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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Primo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO SETTIMO (1-45)

I
Qui comincia il VII libro: come Federigo secondo fue consecrato e fatto imperadore, e le grandi novitadi che furono.
Negli anni di Cristo MCCXX, il dì di santa Cecilia di novembre, fue coronato e consecrato a Roma a imperadore Federigo secondo re di Cicilia, figliuolo che fu dello 'mperadore Arrigo di Soavia e della imperadrice Gostanza, per papa Onorio terzo a grande onore. Al cominciamento questi fu amico della Chiesa, e bene dovea esser; tanti benefici e grazie avea dalla Chiesa ricevute, ché per la Chiesa il padre suo Arrigo ebbe per moglie Gostanza reina di Cicilla, e in dote il detto reame e·regno di Puglia, e poi morto il padre, rimanendo piccolino fanciullo, dalla Chiesa, come da madre, fu guardato e conservato, e eziandio difeso il suo reame, e poi fattolo re de' Romani eleggere contro a Otto quarto imperadore, e poi coronato imperadore, come di sopra è detto. Ma elli figliuolo d'ingratitudine, non riconoscendo santa Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in tutte le cose le fu contrario e perseguitatore, egli e' suoi figliuoli, quasi più che' suoi anticessori, sì come innanzi faremo di lui menzione. Questo Federigo regnò XXX anni imperadore, e fue uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura e di senno naturale, universale in tutte cose; seppe la lingua latina, e la nostra volgare, tedesco, e francesco, greco, e saracinesco, e di tutte virtudi copioso, largo e cortese in donare, prode e savio in arme, e fue molto temuto. E fue dissoluto in lussuria in più guise, e tenea molte concubine e mammoluchi a guisa de' Saracini: in tutti diletti corporali volle abbondare, e quasi vita epicuria tenne, non faccendo conto che mai fosse altra vita. E questa fu l'una principale cagione perché venne nemico de' cherici e di santa Chiesa. E per la sua avarizia di prendere e d'occupare le giuridizioni di santa Chiesa per male dispenderle, e molti monasteri e chiese distrusse nel suo regno di Cicilia e di Puglia, e per tutta Italia, sicché, o colpa de' suoi vizii e difetti, o de' rettori di santa Chiesa che co·llui non sapessono o non volessono praticare, né esser contenti ch'elli avessero le ragioni dello 'mperio, per la qual cosa sottomise e percosse santa Chiesa; overo che Idio il permettesse per giudicio divino, perché i rettori della Chiesa furono operatori ch'egli nascesse della monaca sagra Gostanza, non ricordandosi delle persecuzioni che Arrigo suo padre e Federigo suo avolo aveano fatte a santa Chiesa. Questi fece molte notabili cose al suo tempo, che fece a tutte le caporali città di Cicilia e di Puglia uno forte e ricco castello, come ancora sono in piede, e fece il castello di Capovana in Napoli, e le torri e porta sopra il ponte del fiume del Volturno a Capova, le quali sono molto maravigliose, e fece il parco dell'uccellagione al Pantano di Foggia in Puglia, e fece il parco della caccia presso a Gravina e a Melfi a la montagna. Il verno stava a Foggia, e la state a la montagna a la caccia a diletto. E più altre notabili cose fece fare: il castello di Prato, e la rocca di Samminiato, e molte altre cose, come innanzi faremo menzione. E ebbe due figliuoli della sua prima donna, Arrigo e Currado, che ciascuno a sua vita fece l'uno appresso l'altro eleggere re de' Romani; e della figliuola del re Giovanni di Ierusalem ebbe Giordano re, e d'altre donne ebbe il re Federigo, onde sono discesi il legnaggio di coloro che si chiamano d'Antioccia, il re Enzo e lo re Manfredi, che assai furono nimici di santa Chiesa. E alla sua vita egli e' figliuoli vivettono e signoreggiaro con molta gloria mondana, ma alla fine egli e' suoi figliuoli per gli loro peccati capitaro e finiro male, ed ispensesi la sua progenia, sì come innanzi faremo menzione.
II
La cagione perché si cominciò la guerra da' Fiorentini a' Pisani.
A la detta coronazione dello 'mperadore Federigo si ebbe grande e ricca ambasceria di tutte le città d'Italia; e di Firenze vi fue molta buona gente, e simile di Pisa. Avvenne che uno grande signore romano ch'era cardinale, per fare onore a' detti ambasciadori, convitò a mangiare gli ambasciadori di Firenze, e andati al suo convito, uno di loro veggendo uno bello catellino di camera al detto signore, sì gliele domandò; e il detto signore disse che mandasse per esso a sua volontà. Poi il detto cardinale il dì appresso convitò gli ambasciadori di Pisa, e per simile modo uno de' detti ambasciadori invaghì del detto catellino, e domandollo in dono. Il detto cardinale non ricordandosi come l'avea donato all'ambasciadore di Firenze, il promise a quello di Pisa. E partiti dal convito, l'ambasciadore di Firenze mandò per lo catellino, e ebbelo. Poi vi mandò quello di Pisa, e trovò come l'aveano avuto gli ambasciadori di Firenze: recarlosi in onta e in dispetto, non sappiendo com'era andato il detto dono del catellino. E trovandosi per Roma insieme i detti ambasciadori, richeggendo il catellino, vennero insieme a villane parole, e di parole si toccaro; onde gli ambasciadori di Firenze furono alla prima soperchiati e villaneggiati dalle persone, però che cogli ambasciadori pisani avea L soldati di Pisa. Per la qual cosa tutti i Fiorentini ch'erano intorno alla corte del papa e dello 'mperadore, ch'erano in gran quantità (e ancora ve n'andarono assai di Firenze per volontà, onde fu capo messer Oderigo de' Fifanti), s'accordarono e assaliro i detti Pisani con aspra vendetta. Per la qual cosa scrivendo eglino a Pisa come erano stati soperchiati e vergognati da' Fiorentini, incontanente il Comune di Pisa fece arrestare tutta la roba e mercatantia de' Fiorentini che si trovò in Pisa, ch'era in buona quantità. I Fiorentini per fare ristituire a' loro mercatanti, più ambascerie mandaro a Pisa, pregando che per amore dell'amistà antica dovessono ristituire la detta mercatantia. I Pisani non l'assentiro, dando cagione che la detta mercatantia era barattata. Alla fine s'agecchiro a tanto i Fiorentini, che mandarono pregando il Comune di Pisa che in luogo della mercatantia mandassero almeno altrettante some di qual più vile cosa si fosse, acciò che quella onta non facessono a·lloro, e il Comune di Firenze de' suoi danari ristituirebbe i suoi cittadini; e se ciò non volessono fare, che protestavano che più non poteano durare l'amistà insieme, e che comincerebbono loro guerra; e questa richesta durò per più tempo. I Pisani per loro superbia, parendo loro esser signori del mare e della terra, rispuosono a' Fiorentini che qualunque ora eglino uscissono a oste rammezzerebbono loro la via. E così avenne che' Fiorentini, non possendo più sostenere l'onta e 'l danno che faceano loro i Pisani, cominciaro loro guerra. Questo cominciamento e cagione della detta guerra, com'è detto di sopra, sapemo il vero da antichi nostri cittadini, che i loro padri furono presenti a queste cose, e ne feciono loro ricordo e memoria.
III
Come i Pisani furono sconfitti da' Fiorentini a Castello del Bosco.
Avenne che gli anni di Cristo MCCXXII i Fiorentini s'apparecchiaro d'andare ad oste sopra la città di Pisa, e partiti di Firenze del mese di luglio, i Pisani, come aveano promesso, si feciono loro allo 'ncontro a·luogo detto Castello del Bosco nel contado di Pisa. Quivi s'afrontaro insieme, e fuvi grande battaglia. A la fine i Pisani vi furono sconfitti da' Fiorentini a dì XXI di luglio del detto anno, e molti ne furono morti, e presi ne vennoro a Firenze per numero MCCC uomini, e de' migliori della città di Pisa; e così si mostra per giudicio d'Iddio che' Pisani avessono quella disciplina per la loro superbia, arroganza, e ingratitudine. Avemo sì lungamente detto sopra questa matera da' Fiorentini a' Pisani, perché sia notorio a ciascuno il cominciamento di tanta guerra e dissensione che ne seguì appresso, e grandi aversità e battaglie e pericoli in tutta Italia, e massimamente in Toscana, e alla città di Firenze e di Pisa; e cominciossi per così vil cosa, come fu per la contenza d'uno piccolo cagniuolo, il qual si può dire che fosse diavolo in ispezie di catellino, perché tanto male ne seguìo, come per innanzi faremo menzione.
IV
Come i Fiorentini andarono ad oste a Fegghine, e feciono l'Ancisa.
Negli anni di Cristo MCCXXIII quegli del castello di Fegghine in Valdarno, il quale era molto forte e possente di genti e di ricchezze, sì si rubellaro, e non vollono ubbidire al Comune di Firenze; per la qual cosa nel detto anno, essendo podestà in Firenze messere Gherardo Orlandi, i Fiorentini per comune feciono oste a Figghine, e guastarla intorno, ma non l'ebbono; e per battifolle, overo bastita, tornando l'oste de' Fiorentini a Firenze, sì puosono i Fiorentini il castello di l'Ancisa, acciò ch'al continuo colle masnade de' Fiorentini fosse guerreggiato il castello di Fegghine.
V
Come i Fiorentini fecero oste sopra Pistoia, e guastarla intorno.
Negli anni di Cristo MCCXXVIII, essendo podestà di Firenze messer Andrea da Perugia, i Fiorentini feciono oste sopra la città di Pistoia col carroccio; e ciò fu perché i Pistolesi guerreggiavano e trattavano male quegli di Montemurlo; e guastò la detta oste intorno alla città infino alle borgora, e disfeciono le torri di Montefiore ch'erano molto forti; e 'l castello di Carmignano s'arendé al Comune di Firenze. E nota che in su la rocca di Carmignano avea una torre alta LXX braccia, e ivi su due braccia di marmo, che faceano le mani le fiche a Firenze, onde per rimproccio usavano gli artefici di Firenze quando era loro mostrata moneta o altra cosa, diceano: "No·lla veggo, però che m'è dinanzi la rocca di Carmignano"; e per questa cagione feciono i Pistolesi le comandamenta de' Fiorentini, sì come seppono divisare i Fiorentini, e feciono disfare la detta rocca di Carmignano.
VI
Come i Sanesi ricominciaro la guerra a' Fiorentini per Montepulciano.
Negli anni di Cristo MCCXXVIIII i Sanesi ruppono la pace a' Fiorentini, imperciò che contra i patti della detta pace i Sanesi feciono oste sopra Montepulciano del mese di giugno nel detto anno. Per la qual cosa il settembre vegnente, essendo podestà di Firenze messer Giovanni Bottacci, i Fiorentini feciono oste sopra i Sanesi, e guastarono il loro contado infino a la pieve a Sciata verso Chianti, e disfeciono Montelisciai, uno loro castello presso a Siena a tre miglia. E poi l'anno appresso, essendo podestà di Firenze Otto da Mandella di Milano, i Fiorentini fecero generale oste sopra Siena a dì XXI di maggio l'anno MCCXXX, e menaro il carroccio, e valicaro la città di Siena, e andarono a San Chirico a Rosenna, e disfeciono il bagno a Vignone. E poi andaro per la valle d'Orcia infino a Radicofani, e passaro le Chiane per guastare i Perugini, perché aveano favorati i Sanesi, domandando giuridizione del lago, per ragione che v'avea la Badia di Firenze per privilegio del marchese Ugo. Ma i Perugini richesto l'aiuto de' Romani, i Fiorentini si partiro di sopra il contado di Perugia, e tornaro in su quello di Siena, e disfeciono da XX tra castella e gran fortezze, e tagliaro il pino da Montecellese, e tornando si puosono a Siena a campo, e per forza combattero l'antiporte, e ruppero i serragli, e entraro ne' borghi della città, e menarne presi a Firenze più di MCC uomini. In questo anno MCCXXX i Fiorentini andarono ad oste a Caposelvoli in Valdambra a le confine d'Arezzo, imperciò che facea guerra in Valdarno nel contado di Firenze co la forza degli Aretini, e sì era della diocesi di Fiesole e del distretto di Firenze, e presollo, e disfeciollo.
VII
D'uno grande miracolo ch'avenne a Santo Ambruogio in Firenze del corpo di Cristo.
Nel detto anno MCCXXVIIII, il dì di san Firenze, dì XXX di dicembre, uno prete della chiesa di Santo Ambruogio di Firenze ch'avea nome prete Uguiccione, avendo detta la messa e celebrato il sacrificio, e per vecchiezza non asciugò bene il calice; per la qual cosa il dì appresso prendendo il detto calice, trovovvi dentro vivo sangue appreso e incarnato, e ciò fu manifesto a tutte le donne di quello munistero, e a tutti i vicini che vi furono presenti, e al vescovo, e a tutto il chericato, e poi si palesò tra tutti i Fiorentini, i quali vi trassono a vedere con grande devozione, e trassesi il detto sangue del calice, e misesi in una ampolla di cristallo, e ancora si mostra al popolo con grande reverenza.
VIII
Ancora della guerra da' Fiorentini a' Sanesi.
Negli anni di Cristo MCCXXXII i Sanesi presono Montepulciano, e disfeciono le mura e tutte le fortezze de la terra, imperciò che quelli di Montepulciano per mantenersi in loro libertade si erano in lega e compagnia co' Fiorentini. Per la qualcosa i Fiorentini andaro ad oste sopra i Sanesi, essendo podestà di Firenze messer Iacopo da Perugia, e guastarono molto del loro contado, e puosono oste al castello di Querciagrossa, presso a Siena a quattro miglia, il quale era molto forte, e per forza d'edifici s'arendero; e avuto il castello, il feciono tutto disfare, e gli uomini che v'erano dentro menaro pregioni a Firenze.
IX
Di novità da Firenze.
Nel detto anno s'apprese il fuoco in Firenze da casa i Caponsacchi presso di Mercato Vecchio, onde arsono molte case, e arsono uomini e femmine e fanciulli XXII, onde fu grande danno.
X
Ancora della guerra di Siena.
L'anno appresso MCCXXXIII i Fiorentini feciono grande oste sopra la città di Siena, e assediarla dalle tre parti, e con molti difici vi gittaro dentro pietre assai, e per più dispetto e vergogna vi manganarono asini e altra bruttura.
XI
Ancora della guerra co' Sanesi.
Apresso, l'anno MCCXXXIIII i Fiorentini ancora rifeciono oste sopra i Sanesi, e mossesi di Firenze a dì IIII di luglio, essendo podestà di Firenze messer Giovanni del Giudice di Roma, e stettono in oste sopra il loro contado LIII dì, e disfeciono Asciano e Orgiale, con XLIII tra castella e ville e grandi fortezze, onde i Sanesi ricevettono gran dannaggio.
XII
Di novità di Firenze.
Nel detto anno, per pasqua di Natale, s'apprese il fuoco in Firenze nel borgo di piazza Oltrarno, e quasi arse tutto con grandissimo danno. E nota quanta pestilenzia la nostra città ha ricevuta di fuochi appresi, che quasi tra più volte il più della città è stato arso e rifatto.
XIII
Come fu fatta pace da' Fiorentini a' Sanesi.
Negli anni di Cristo MCCXXXV, essendo podestà di Firenze messer Compagnone del Poltrone, apparecchiandosi i Fiorentini di fare sopra la città di Siena maggiore oste che per gli anni passati non aveano fatta, e' Sanesi veggendosi molto guasti del loro contado, e la loro forza e potenza molto affiebolita, sì richiesono di pace i Fiorentini, la quale fu esaudita e ferma con patti, che' Sanesi alle loro spese rifacessono Montepulciano, e quetassollo d'ogni ragione e domanda, e alle loro spese, a·ppetizione de' Fiorentini, fornissono il castello di Monte Alcino, il quale era in lega co' Fiorentini, e riebbono i loro pregioni; la quale guerra pienamente era durata VI anni, onde i Fiorentini ebbono grande onore. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze e del paese intorno, faccendo incidenzia, tornando addietro, per raccontare de' fatti, e dell'opere, e guerre dello 'mperadore Federigo alla Chiesa di Roma; le quali novitadi furono sì grandi, che bene sono da notare, imperciò che furono commovimento quasi a tutto il mondo, onde molto ne cresce materia di dire.
XIV
Come lo 'mperadore Federigo venne in discordia colla Chiesa.
Dapoi che Federigo secondo fue coronato da papa Onorio, come detto avemo addietro, nel suo cominciamento fu amico della Chiesa, ma poco tempo appresso per la sua superbia e avarizia cominciò ad esurpare le ragioni della Chiesa in tutto suo imperio, e nel reame di Cicilia e di Puglia, promutando vescovi, e arcivescovi, e altri prelati, e cacciandone quegli messi per lo papa, e faccendo imposte e taglie sopra i cherici a vergogna di santa Chiesa; per la qual cosa da papa Onorio detto che·ll'avea coronato fue citato e ammonito che lasciasse a santa Chiesa le sue giuridizioni, e rendesse il censo. Il quale imperadore veggendosi in grande potenzia e stato, sì per la forza degli Alamanni e per quella del reame di Cicilia, e ch'era signore del mare e della terra, e temuto da tutti i signori de' Cristiani, e eziandio da' Saracini, e veggendosi abracciato de' figliuoli che della prima donna figliuola dell'antigrado d'Alamagna avea, Arrigo e Currado, il quale Arrigo già avea fatto coronare in Alamagna re de' Romani, e Currado era duca di Soavia, e Federigo d'Antioccia suo primo figliuolo naturale fece re, e Enzo suo figliuolo naturale era re di Sardigna, e Manfredi prenze di Taranto, non si volle dechinare all'obedienza della Chiesa, anzi fu pertinace, vivendo mondanamente in tutti i diletti corporali. Per la qual cosa dal detto papa Onorio fu scomunicato gli anni di Cristo..., e per ciò non lasciò di perseguire la Chiesa, ma maggiormente occupava le sue ragioni, e così stette nimico della Chiesa e di papa Onorio infino che vivette. Il quale papa passò di questa vita gli anni di Cristo MCCXXVI, e dopo lui fu fatto papa Gregorio nono nato d'Alagna di Campagna, il quale regnò papa anni XIIII; il quale papa Gregorio ebbe collo imperadore Federigo grande guerra, imperciò che·llo 'mperadore in nulla guisa volea lasciare le ragioni e giuridizioni di santa Chiesa, ma maggiormente l'occupava, e molte chiese del Regno fece abattere e disertare, faccendo imposte gravi a' cherici, e alle chiese. E' Saracini, i quali erano in sulle montagne di Trapali in Cicilia, per esser più al sicuro dell'isola, e dilungati da' Saracini della Barberia, e ancora per tenere per loro in paura i suoi suditi del regno di Puglia, con ingegno e promesse gli trasse di quelle montagne, e misegli in Puglia in una antica città diserta, che anticamente fue in lega co' Romani, e fue disfatta per gli Sanniti, cioè per quelli di Benevento, la quale allora si chiamava Licera, e oggi si chiama Nocera, e furono più di XXm uomini d'arme, e quella città rifeciono molto forte; i quali più volte corsono le terre di Puglia e guastarle. E quando il detto imperadore Federigo ebbe guerra colla Chiesa, gli fece venire sopra il ducato di Spuleto, e assediaro in quel tempo la città d'Ascesi, e feciono gran danno a santa Chiesa. Per la qual cosa il detto papa Gregorio confermò contra lui le sentenzie date per papa Onorio suo predecessore, e di nuovo gli diè sentenzia di scomunicazione gli anni di Cristo...
XV
Come fu fatto accordo da papa Gregorio e lo 'mperadore Federigo.
Avenne in que' tempi, dapoi che 'l soldano e' Saracini d'Egitto ripresono la città di Dammiata, e quella di Ierusalem, e gran parte della Terrasanta, il re Giovanni ch'era allora re di Ierusalem, il quale fu del legnaggio del conte di Brenna, e per sua bontà essendo oltremare ebbe per moglie la figliuola che fu del re Almerigo re di Ierusalem, della schiatta di Gottifredi di Buglione, ch'era reda, e per lei era re di Ierusalem, veggendo la Terrasanta in male stato per la soperchia forza de' Saracini, passò in ponente per avere aiuto dal papa e da la Chiesa, e dallo imperadore Federigo, e dal re di Francia, e dagli altri re di Cristianità, e trovò papa Gregorio detto di sopra co la Chiesa a Roma molto tribolato da Federigo imperadore; e mostrando al detto papa il grande bisogno che·lla Terrasanta avea d'aiuto e di soccorso, e come Federigo imperadore era quegli che più vi potea operare di bene per la sua gran forza e podere ch'egli avea in mare e in terra, sì cercò pace tra la Chiesa e 'l detto imperadore, acciò ch'egli andasse oltremare al passaggio, e il papa gli perdonasse l'offese fatte alla Chiesa e ricomunicasselo. Il quale accordo fu fatto per lo detto re Giovanni, ch'era savio e valoroso signore. E oltre a·cciò fatta la detta pace, il detto papa Gregorio diè per moglie allo 'mperadore Federigo, ch'era morta la sua prima donna, la figliuola del detto re Giovanni ch'era reda del reame di Ierusalem per la madre, e promise e giurò il detto imperador di difendere il detto papa e la Chiesa da' malvagi mani, che tutto dì erano ribelli contra la Chiesa per loro avarizia, e poi d'andare oltremare con tutta sua forza al passaggio ordinato per lo detto papa. E fatta la detta pace, la figliuola del re Giovanni venne di Soria a Roma, e lo 'mperadore la sposò con gran festa per mano del detto papa Gregorio, e di lei ebbe tosto uno figliuolo ch'ebbe nome Giordano, ma poco tempo vivette. Ma per l'opera del nimico dell'umana generazione, trovando Federigo corrotto in vizio di lussuria, si giacque con una cugina della detta imperadrice e reina, ch'era pulcella e di sua camera privata; e la 'mperadrice lasciando, e trattandola male, sì si dolfe al re Giovanni suo padre dell'onta e vergogna che Federigo le facea, e avea fatto della nipote. Per la qual cosa il re Giovanni crucciato, di ciò dolendosi allo 'mperadore, e ancora minacciandolo, lo 'mperadore batté la moglie, e misela in pregione, e mai poi non istette co·llei; e secondo che·ssi disse, tosto la fece morire. E lo re Giovanni, il quale era in Puglia, tutto governatore per la Chiesa e per lo 'mperadore a·ffare fornire e apparecchiare lo stuolo del passaggio che dovea andare oltremare, si·ll'acommiatò del Regno, onde molto isconciò il passaggio per la detta discordia. Poi il re Giovanni tornò a Roma al papa, dogliendosi molto di Federigo, e andossene in Lombardia, e da' Lombardi molto fue onorato, e ubbidieno lui più che·llo 'mperadore; onde grande parte e sette si cominciaro in Lombardia e in Toscana, che molte terre si teneano dalla parte della Chiesa e del re Giovanni e altre collo imperadore. Poi lo re Giovanni andòe in Francia e inn Inghilterra, e grande aiuto ebbe da tutti que' signori per lo passaggio, e per mantenere le terre d'oltremare che·ssi teneano per gli Cristiani.
XVI
Come la Chiesa ordinò il passaggio oltremare, ond'era capitano lo 'mperadore Federigo, il quale mosso lo stuolo si tornòe addietro.
Infra questo tempo papa Gregorio con grande sollecitudine formò l'apparecchiamento del passaggio d'oltremare. Per lo detto papa Gregorio sì richiese lo 'mperadore Federigo che attenesse la promessa e saramento fatto a la Chiesa, d'andare oltremare con uno legato cardinale, e egli fosse signore dello stuolo in mare e in terra. Il quale imperadore fece tutto l'apparecchiamento, e collo stuolo de' Cristiani si partì di Brandizio in Puglia gli anni di Cristo MCCXXXIII, e come lo stuolo fu alquanto infra mare e mosso a piene vele, lo 'mperadore Federigo segretamente fece volgere la sua galea, e tornossi in Puglia, sanza andare oltremare, egli e gran parte di sua gente. Per la qual cosa il papa e tutta la Chiesa indegnati dell'opere e falli di Federigo, tegnendo ch'egli avesse ingannata e tradita la Chiesa e tutta la Cristianità, e messo in grande pericolo le bisogne e 'l soccorso della santa terra d'oltremare, il detto papa Gregorio scomunicò da capo il detto imperadore Federigo, gli anni di Cristo MCCXXXIII. Questo ritorno che·llo 'mperadore fece, e non seguire il passaggio giurato, egli medesimo e chi·llo volle difendere disse ch'avea sentito che come fosse oltremare, il papa e la Chiesa col re Giovanni gli dovea rubellare il regno di Cicilia e di Puglia. Altri dissono che 'l detto imperadore al continuo s'intendea col soldano di Babbillonia per lettere e messaggi e grandi presenti, e ch'egli mandò con patti fatti e fermi che s'egli rompesse il detto grande passaggio (temendo forte de' Cristiani), che a·ssua volontà il metterebbe in signoria e sagina del reame di Ierusalem sanza colpo di spada; le quali di su dette cagioni e l'una e l'altra pareano esser il vero, per le cose che avennero appresso; imperciò che con tutta la pace e accordo fatto da la Chiesa allo 'mperadore, sempre di ciascuna parte rimase la mala volontà, e maggiormente nello 'mperadore, per la sua superbia.
XVII
Come lo 'mperadore Federigo passòe oltremare, e fece pace col soldano, e riebbe Ierusalem contra volontà della Chiesa.
Poi gli anni di Cristo MCCXXXIIII lo 'mperadore Federigo fatta sua armata e grande apparecchiamento, sanza richiedere il papa o la Chiesa, o nullo altro signore de' Cristiani, si mosse di Puglia e andonne oltremare più per avere la signoria di Ierusalem, come gli avea promessa il soldano, che per altro benificio di Cristianità; e ciò apparve apertamente, ché giunto lui in Cipri, e mandato in Soria innanzi il suo maliscalco con parte di sua gente, non intese a guerreggiare i Saracini, ma i Cristiani; ché tornando i pellegrini d'una cavalcata fatta sopra i Saracini con grande preda e molti pregioni, il detto maliscalco combatté co·lloro, e molti n'uccise, e rubò loro tutta la preda. E questo si disse che fece per lo trattato che·llo 'mperadore tenea col soldano, stando lui in Cipri, che spesso si mandavano ambasciadori e ricchi presenti. E ciò fatto, lo 'mperadore n'andòe in Acri, e volle disfare il tempio d'Acri a' Tempieri, e fece torre loro castella, e mandòe suoi ambasciadori a papa Gregorio, che gli piacesse di ricomunicarlo, imperciò ch'avea fatta sua penitenza e saramento; dal quale papa non fu intesa sua petizione e richesta, imperciò che al papa e alla Chiesa era palese per lettere e per messaggi venuti di Soria dal legato del papa, e dal patriarca di Ierusalem, e dal mastro del Tempio, e da quello dello Spedale, e da più altri signori di là, che·llo imperadore non facie in Soria nullo beneficio comune de' Cristiani, né co' signori ch'erano di là non consigliava al racquisto della Terrasanta, ma istava in trattati col soldano e co' Saracini. E al detto trattato e accordo diede compimento abboccandosi a parlamento col soldano, nel quale il soldano gli fece molta reverenza, dicendogli: "Tu se' Cesare de' Romani, maggiore signore di me". L'accordo fu tra·lloro in questo modo, che 'l soldano gli rendé a queto la città di Ierusalem, salvo il tempio Domini che volle rimanesse a la guardia de' Saracini, acciò che vi si gridasse la salà, e chiamasse Maometto; e lo 'mperadore l'asentì per dispetto e mala volontà ch'avea co' Tempieri, e lasciogli il soldano tutto il reame di Ierusalem, salvo il castello chiamato il Craito di Monreale, e più altre castella fortissime alle frontiere, e erano la chiave e l'entrata del reame. A la qual pace non fu consenziente il legato del papa cardinale, né 'l patriarca di Ierusalem, né Tempieri, né gli Spedalieri, né gli altri signori di Soria, né capitani de' pellegrini, imperciò che a·lloro parve falsa pace, e a danno e vergogna de' Cristiani, e a sconcio del racquisto della Terrasanta. Ma però lo 'mperadore Federigo non lasciò, ma co' suoi baroni e col mastro maggiore de la magione degli Alamanni andò in Ierusalem, e fecesi coronare in mezza quaresima, gli anni di Cristo MCCXXXV. E ciò fatto, sì mandò suoi ambasciatori in ponente a significarlo al papa, e al re di Francia, e a più altri re e signori, com'era coronato, e possedea il reame di Ierusalem; de la qual cosa il papa e tutta la Chiesa ne furono crucciosi a morte, conoscendo come ciò era falsa pace, e con inganno a piacere del soldano, acciò che' pellegrini ch'erano iti al passaggio nol potessono guerreggiare. E videsi apertamente, ché poco appresso che Federigo fu tornato in ponente i Saracini ripresono Ierusalem e quasi tutto il paese che 'l soldano gli avea renduto, a grande danno e vergogna de' Cristiani; e rimase la Terrasanta e la Soria in peggiore stato che no·lla trovò.
XVIII
Come lo 'mperadore tornò d'oltremare perché gli era rubellato il Regno, e come ricominciò la guerra colla Chiesa.
Come papa Gregorio seppe la falsa pace fatta per lo 'mperadore Federigo e col soldano, a vergogna e danno de' Cristiani, incontanente ordinò col re Giovanni, il quale era in Lombardia, che colla forza della Chiesa entrasse con gente d'arme nel regno di Puglia a rubellare il paese a Federigo imperadore; e così fece, e gran parte del Regno ebbe a' suoi comandamenti e della Chiesa. Incontanente che Federigo ebbe oltremare la novella, lasciò il suo maliscalco, il quale non intese ad altro ch'a guerreggiarsi co' baroni di Soria per occupare loro città e signoria, che' loro anticessori con grande affanno e dispendio e spargimento di sangue aveano conquistato sopra i Saracini, e combattési col re Arrigo di Cipri e co' baroni di Soria, e sconfissegli a saetta; ma poi fue egli sconfitto in Cipri, e perdé quasi tutto il reame di Ierusalem in poco tempo, ché 'l ripresono i Saracini per la discordia ch'era tra 'l detto maliscalco e gli altri signori cristiani. E chi queste storie vorrà meglio sapere le troverrà distesamente nel libro del conquisto. Lasceremo omai de' fatti d'oltremare, e diremo di Federigo, il quale con due galee solamente, gli anni di Cristo MCCXXXVI, arrivò al castello d'Astone in Puglia, la quale fu la prima terra che gli s'arrendé. E lui arrivato in Puglia, raunò le sue forze, e cominciarsi le terre a ritornare alla sua signoria; e mandò in Alamagna per Currado suo figliuolo e per lo duca d'Ostericchi, i quali con gente grande vennero in Puglia, e per la loro forza tutto il paese che gli s'era rubellato racquistaro, e più; che 'l Patrimonio San Piero, e il ducato di Spuleto, che sono propio retaggio della Chiesa, e la Marca d'Ancona, e la città di Benevento, camera della Chiesa, occupò, menando in loro oste i Saracini di Nocera, tutto tolsono a santa Chiesa, e 'l papa Gregorio quasi assediaro in Roma, e con dispendio di moneta fatto per Federigo a certi malvagi nobili romani avrebbe preso il detto papa Gregorio in Roma, il quale accorgendosi di ciò, trasse di Santo Santoro di Laterano la testa de' beati appostoli Pietro e Paulo, e con essi in mano, con tutti i cardinali, vescovi, e arcivescovi, e altri prelati ch'erano in corte, e col chericato di Roma, con solenni digiuni e orazioni andò per tutte le principali chiese di Roma a processione; per la quale devozione e miracolo de' detti santi appostoli il popolo di Roma fu tutto rivocato a la difensione del papa e della Chiesa, e quasi tutti si crucciaro contra Federigo, dando il detto papa indulgenza e perdono di colpa e di pena. Per la qual cosa Federigo, che di queto si credeva intrare in Roma e prendere il detto papa, sentita la detta novitade, temette del popolo di Roma e si ritrasse in Puglia, e il detto papa fu liberato, con tutto che molto fosse afflitto dal detto imperadore, però ch'egli tenea tutto il Regno e Cicilia, e avea preso il ducato di Spuleto, e Campagna, e il Patrimonio Santo Piero, e la Marca, e Benevento, come detto è di sopra, e distruggea in Toscana e in Lombardia tutti i fedeli di santa Chiesa.
XIX
Come lo 'mperadore Federigo fece che' Pisani presono in mare i parlati della Chiesa che venieno al concilio.
Papa Gregorio veggendo la Chiesa di Dio così tempestata da Federigo imperadore, ordinò di fare a Roma concilio generale, e mandò in Francia due legati cardinali, l'uno fu messer Iacopo vescovo di Pilestrino, e l'altro messer Oddo vescovo di Porto detto il cardinale Bianco, acciò che richiedessono il re Luis di Francia e quello d'Inghilterra d'aiuto contra Federigo, e che sommovessono tutti i prelati d'oltremonti a venire al concilio, per dare sentenzia contra Federigo. I quali legati sollicitamente fecero loro legazione, e predicando contro a Federigo, tutto il ponente scommossono contra lui. E 'l cardinale Bianco ne venne innanzi con molti prelati, arcivescovi, e vescovi, e abati, i quali arrivarono a Nizza in Proenza, e poco appresso vi venne e arrivò l'altro cardinale di Pilestrino, imperciò che per Lombardia non poterono avere il cammino, ché Federigo avea a sua gente fatti prendere i passi e le strade in Toscana e in Lombardia. Per la qual cosa papa Gregorio mandò a' Genovesi che co·lloro navilio, alle spese della Chiesa, dovessono levare i detti cardinali e parlati da Nizza, e conducergli per mare a Roma; la quale cosa fu fatta, ch'egli armaro in Genova che galee, e che uscieri, e batti, e barcosi, in quantità di LX legni, onde fu ammiraglio messere Guiglielmo Ubbriachi di Genova. Lo 'mperadore Federigo, il quale non dormia a perseguitare santa Chiesa, mandò Enzo suo figliuolo bastardo con galee armate del Regno a Pisa, e mandò a' Pisani che dovessono armare galee, e intendere col detto Enzo a prendere i detti parlati; i quali armaro XL galee di molta buona gente, onde fue ammiraglio messer Ugolino Buzzaccherini di Pisa; e sentendo la venuta de' legni de' Genovesi, si feciono loro incontro tra Porto Pisano e l'isola di Corsica. E ciò sentendo i cardinali, e' parlati, e' signori ch'erano in sull'armata de' Genovesi, pregarono l'amiraglio che tenesse la via di fuori dall'isola di Corsica per ischifare l'armata de' Pisani, non sentendo la loro armata con tante galee di corso e da battaglia, e molti legni grossi carichi di cavalli, e d'arnesi, e di cherici, e di gente disutile a battaglia. Messere Guiglielmo Obbriaco, ch'era di nome e di fatto e uomo di testa e di poco senno, non volle seguire quello consiglio, ma per sua superbia e disdegno de' Pisani si volle conducere alla battaglia, la quale fu aspra e dura, ma tosto fu sconfitta l'armata de' Genovesi da' Pisani, onde furono presi i detti legati cardinali e prelati, e molti n'anegaro e gittaro in mare sopra lo scoglio, overo isoletta, che si chiama la Meloria, presso a Porto Pisano, e gli altri ne menarono presi nel Regno, e più tempo gli tenne lo 'mperadore in diverse pregioni; e ciò fu gli anni di Cristo MCCXXXVII. Per la qual cosa la Chiesa di Dio ricevette grande danno e persecuzione; e se non fossono i messaggi del re Luis di Francia, e le minacce, se non lasciasse i parlati di suo reame, Federigo non gli avrebbe mai diliberi; ma per paura della forza de' Franceschi, quegli ch'erano rimasi in vita poveramente diliberò di pregione, ma molti ne moriro innanzi per diverse pregioni, fame, e disagi. Per la detta presura furono scomunicati i Pisani, e tolto loro ogni benificio di santa Chiesa, e cominciossene la prima guerra tra Genovesi e' Pisani; onde poi Iddio per lo suo giudicio, de' Pisani per la forza de' Genovesi fece giusta e aspra vendetta, come innanzi farà menzione.
XX
Come i Melanesi furono sconfitti dallo 'mperadore.
Poi che Federigo imperadore si fu partito dall'asedio di Roma e tornato in Puglia, come addietro facemmo menzione, ebbe novelle come la città di Milano, e Parma, e Bologna, e più altre terre di Lombardia e di Romagna s'erano rubellate dalla sua signoria, e teneano parte colla Chiesa; per la qual cosa si partì dal Regno, e andonne colle sue forze in Lombardia, e là fece molta guerra alle cittadi che si teneano colla Chiesa. A la fine i Melanesi con tutta loro forza, e del legato del papa, e di tutta la lega di Lombardia, che teneano colla Chiesa, s'afrontaro a battaglia col detto imperadore al luogo detto Cortenuova, e dopo la grande battaglia Melanesi e tutta loro oste furono sconfitti, gli anni di Cristo MCCXXXVII, onde ricevettono gran danno di morti e de' presi; e prese il carroccio loro, e la loro podestà ch'era figliuolo del dogio di Vinegia, e lui e molti nobili di Milano e di Lombardia ne mandò presi in Puglia, e la detta podestà fece impiccare a Trani in Puglia sopra un'alta torre a la marina, e gli altri pregioni, cui fece morire a tormento, e cui in crudeli carcere. Per la detta vittoria lo 'mperadore ricoverò la sua signoria, e assediò Brescia con più di VIm cavalieri, e furonvi i Guelfi e' Ghibellini di Firenze a gara al servigio dello 'mperadore, e poi l'ebbe a patti; e simile tutte le città e terre di Lombardia, salvo Parma e Bologna; e montò in grande superbia e signoria, e 'l papa e·lla Chiesa e tutti i suoi seguaci n'abassaro molto in tutta Italia. Per la qual cosa poco tempo appresso papa Gregorio quasi per dolore infermò, e poi morì a Roma gli anni di Cristo MCCXXXVIIII; e dopo lui fu fatto papa Celestino nato di Milano, ma non vivette che XVII dì nel papato, e vacò la Chiesa sanza pastore XX mesi in mezzo, imperciò che era tanta la forza di Federigo, che non lasciava fare papa, se non fosse a sua volontà. E di ciò era grande contasto nella Chiesa, che' cardinali erano tornati a picciolo numero per le tribolazioni e aversitadi ch'avea avuta la Chiesa dal detto Federigo, e che era sì infiebolita la forza e la baldanza della Chiesa, che non ardivano gli cardinali a fare più ch'allo 'mperadore piacesse, e a fare il suo volere non s'accordavano e non piaceva loro.
XXI
Come Federigo imperadore assediò e prese la città di Faenza.
Nella detta vacazione, cioè gli anni di Cristo MCCXL, Federigo imperadore tribolando e perseguendo tutte le terre e città e signori che si teneano a la fedeltà e obbedienza di santa Chiesa, sì entrò nella contea di Romagna, la quale si dicea ch'era di ragione di santa Chiesa, e quella ribellò e tolse per forza, salvo che si tenne la città di Faenza, a la quale stette con sua oste all'asedio VII mesi, e poi l'ebbe a patti; e nel detto asedio ebbe gran difalta e di vittuaglia e di moneta, e poco vi fosse più dimorato all'assedio, era stancato. Ma lo 'mperadore per suo senno, fallitagli la moneta, e impegnati i suoi gioelli e vasellamenti, e più moneta non potea rimedire, sì ordinò di dare a' suoi cavalieri e a chi servia l'oste una stampa in cuoio di sua figura, stimandola in luogo di moneta, sì come la valuta d'uno agostaro d'oro; e quelle stampe promise di fare buone per la detta valuta a chiunque poi l'arecasse al suo tesoriere, e fece bandire che ogni maniera di gente per tutte vittuaglie le prendesse sì come moneta d'oro, e così fu fatto, e in questo modo civanzò la sua oste. E poi avuta la città di Faenza, a chiunque avea delle dette stampe gli cambiò ad agostari d'oro, i quali valea l'uno la valuta di fiorini uno e quarto; e dall'uno lato dell'agostaro improntato era il viso dello 'mperadore a modo di Cesari antichi, e da l'altro una aguglia, e era grosso, e di carati XX di fine paragone, e questa molto ebbe grande corso al suo tempo e poi assai nella detta oste. Furono i Fiorentini, Guelfi e Ghibellini, in servigio dello imperadore.
XXII
Come lo 'mperadore fece pigliare il re Arrigo suo figliuolo.
In questi medesimi tempi, con tutto che prima si cominciasse, Arrigo Sciancato, primogenito del detto Federigo imperadore, il quale avea fatto eleggere da' lettori d'Alamagna re de' Romani, come addietro fatta è menzione, veggendo egli che·llo 'mperadore suo padre facie ciò che potea di contradio a santa Chiesa, de la qual cosa prese conscienzia, e più volte riprese il padre, ch'egli faceva male. Della qual cosa lo 'mperadore il si recò a contradio, e non amandolo né trattandolo come figliuolo, fece nascere falsi accusatori che 'l detto Arrigo gli volea fare rubellazione, a petizione della Chiesa, di suo imperio; per la qual cosa, o vero o falso che fosse, fece prendere il detto suo figliuolo re Arrigo e due suoi figliuoli piccoli garzoni, e mandogli in Puglia in diverse carcere, e in quelle il fece morire a inopia a grande tormento, i figliuoli poi fé morire Manfredi. Lo 'mperadore mandò inn Alamagna, e di capo fece eleggere re de' Romani succedente a·llui Currado suo secondo figliuolo; e ciò fu gli anni di Cristo MCCXXXVI. Poi alquanto tempo lo 'mperadore fece abbacinare il savio uomo maestro Piero da le Vigne, il buono dittatore, opponendogli tradigione; ma ciò gli fu fatto per invidia di suo grande stato. Per la qual cosa il detto per dolore si lasciò tosto morire in pregione, e chi disse ch'egli medesimo si tolse la vita.
XXIII
Come si cominciò la guerra tra papa Innocenzio quarto e lo 'mperadore Federigo.
Avenne poi, come piacque a·dDio, che fu eletto papa messer Ottobuono dal Fiesco, de' conti da Lavagna di Genova, il quale era cardinale, e fu fatto papa per lo più amico e confidente che·llo 'mperadore Federigo avesse in santa Chiesa, acciò che accordo avesse dalla Chiesa a·llui, e fu chiamato papa Innocenzio quarto. E ciò fu gli anni di Cristo MCCXLI, e regnò papa anni XI, e riempié la Chiesa di molti cardinali di diversi paesi di Cristianità. E come fu eletto papa, fu recata la novella allo 'mperadore Federigo per grande festa, sappiendo ch'egli era suo grande amico e protettore. Ma ciò udito lo 'mperadore, si turbò forte, onde i suoi baroni si maravigliarono molto. E que' disse: "Non vi maravigliate, però che di questa elezione avemo molto disavanzato; ch'egli ci era amico cardinale, e ora ci fia nimico papa"; e così avenne, ché come il detto papa fu consecrato, sì fece richiedere allo 'mperadore le terre e le giuridizioni che tenea della Chiesa, della quale richesta lo 'mperadore il tenne più tempo in trattato d'accordo, ma tutto era vano e per inganno. A la fine veggendosi il detto papa menare per ingannevoli parole, a danno e vergogna di lui e di santa Chiesa, divenne più nimico di Federigo imperadore che nonn-erano stati i suoi anticessori; e veggendo che la forza dello imperadore era sì grande che quasi tutta Italia tirannescamente signoreggiava, e' cammini tutti presi, e per sue guardie guardati, che nullo potea venire a corte di Roma sanza sua volontà e licenza, e 'l detto papa veggendosi per lo detto modo così assediato, sì ordinò segretamente per gli suoi parenti di Genova, e fece armare XX galee, e subitamente le fece venire a Roma, e ivi su montò con tutti i cardinali e con tutta la corte, e di presente si fece portare alla sua città di Genova sanza contasto niuno; e soggiornato alquanto in Genova, se n'andò a Leone sovra Rodano per la via di Proenza; e ciò fu gli anni di Cristo MCCXLI.
XXIV
Della sentenzia che papa Innocenzo diede al concilio a·lLeone sovra Rodano sopra Federigo imperadore.
Come papa Innocenzo fue a Leone, ordinò concilio generale nel detto luogo, e fece richiedere per l'universo mondo vescovi e arcivescovi e altri prelati, i quali tutti vi vennero. E vennollo a vedere infino a la badia di Crugnì in Borgogna il buono re Luis di Francia, e poi venne infino al concilio a·lLeone, ove sé e 'l suo reame proferse al servigio del detto papa e di santa Chiesa contra Federigo imperadore, e contra chi fosse nimico di santa Chiesa, e crociossi per andare oltremare. E partito il re Luis, il papa fece nel detto concilio più cose in bene della Cristianità, e canonizzò più santi, come fa menzione la cronica martiniana nel suo trattato. E ciò fatto, il detto papa fece citare il detto Federigo, che personalmente dovesse venire al detto concilio, sì come in luogo comune, a scusarsi di XIII articoli provati contro a·llui di cose fatte contra a la fede di Cristo e contra a santa Chiesa. Il quale imperadore non vi volle comparire, ma mandovvi suoi ambasciadori e proccuratori, il vescovo di Freneborgo d'Alamagna, e frate Ugo mastro della magione di Santa Maria degli Alamanni, e il savio cherico e maestro Piero da le Vigne del Regno, i quali scusando lo 'mperadore come nonn-era potuto venire per malatia e disagio di sua persona, ma pregando il detto papa e' suoi frati che gli dovessono perdonare, e ch'egli tornerebbe a misericordia, e renderebbe ciò che occupava della Chiesa, e profersono, se 'l papa gli volesse perdonare, s'obbligava che infra uno anno adoperrebbe sì che 'l soldano de' Saracini renderebbe a' suoi comandamenti la Terrasanta d'oltremare. E 'l detto papa udendo le 'nfinte scuse e vane proferte dello 'mperadore, domandò i detti ambasciadori se di ciò fare aveano autentico mandato, li quali appresentaro piena procura a tutto promettere e obbligare sotto bolla d'oro del detto imperadore. E come il papa l'ebbe a·ssé, in pieno concilio e presenti i detti ambasciadori, abbominò Federigo di tutti i detti XIII articoli colpevole, e per ciò confermare disse: "Vedete, fedeli Cristiani, se Federigo tradisce santa Chiesa e tutta Cristianità, che secondo il suo mandato egli proffera infra uno anno di fare rendere la Terrasanta al soldano; assai chiaramente si mostra che 'l soldano la tiene per lui, a vergogna di tutti i Cristiani". E ciò detto e sermonato, fece piuvicare il processo incontro al detto impradore, e condannollo e scomunicollo siccome eretico e persecutore di santa Chiesa, agravandolo di più crimini disonesti contra lui provati, e privollo della signoria dello 'mperio, e del reame di Cicilla, e di quello di Ierusalem, assolvendo d'ogni fedeltà e saramento tutti i suoi baroni e sudditi, iscomunicando chiunque l'ubbidisse, o gli desse aiuto o favore, o più il chiamasse imperadore o re. E il detto processo fu fatto al detto concilio a Leone sopra Rodano gli anni di Cristo MCCXLV, dì XVII di luglio. Le principali ragioni perché Federigo fu condannato furono IIII: la prima imperciò che, quando la Chiesa lo 'nvestì del reame di Cicilla e di Puglia, e poi dello 'mperio, giurò a la Chiesa dinanzi a' suoi baroni, e dinanzi allo 'mperatore Baldovino di Costantinopoli, e a·ttutta la corte di Roma di difendere santa Chiesa in tutti suoi onori e diritti contra tutte genti, e di dare il debito censo, e ristituire tutte le possessioni e giuridizioni di santa Chiesa; delle quali cose fece il contradio, e fu ispergiuro, e tradimento commise, e infamò villanamente a torto papa Gregorio VIIII e' suoi cardinali per sue lettere per l'universo mondo. La seconda cosa fu che ruppe la pace fatta da·llui alla Chiesa, non ricordandosi della perdonanza a·llui fatta delle scomuniche e degli altri misfatti per lui operati contra santa Chiesa; e quegli che furono colla Chiesa contro a·llui in quella pace giurò e promise di mai non offendere, e elli fece tutto il contradio; che tutti gli disperse, o per morte o per esilio, loro e loro famiglie, levando loro possesioni, e non ristituì a' Tempieri né agli Spedalieri le loro magioni per lui occupate, le quali per patti della pace avea promessi di ristituire e rendere, e lasciò per forza vacanti XI arcivescovadi, con molti vescovadi e badie nello imperio e nel reame, i quali non lasciava a quegli che degnamente erano eletti per lo papa tenere né coltivare, faccendo forze e torzioni alle sacre persone, recandoli a piati dinanzi a' suoi balii e corti secolari. La terza causa fu per sacrilegio che fece, che per le galee di Pisa e per lo figliuolo re Enzo fece pigliare i cardinali e molti parlati in mare, come detto è in adietro, e di quegli mazzerare in mare, e tenere morendo in diverse e aspre carcere. La quarta causa fu perch'egli fu trovato e convinto in più articoli di resia di fede; e di certo egli non fu cattolico Cristiano, vivendo sempre più a suo diletto e piacere, che a ragione, o a giusta legge, e participando co' Saracini: sempre usò poco o niente la Chiesa e 'l suo oficio, e non facie limosina; sì che non sanza grandi cagioni e evidenti fue disposto e condannato; e con tutto che molta molestia e persecuzione facesse a santa Chiesa, come fue condannato, ogni onore e stato e potenzia e grandezza in poco di tempo Idio gli levò, e gli mostrò la sua ira, sì come innanzi faremo menzione. E perché molti fecero questione chi avesse il torto della discordia, o la Chiesa o lo 'mperadore, udendo le sue scuse per le sue lettere, a·cciò rispondo e dico, manifestamente e per divino miracolo, ma più miracoli si mostrarono, che 'l torto fu dello 'mperadore, imperciò che aperti e visibili giudicii Idio mostrò per la sua ira a Federigo e a sua progenia.
XXV
Come il papa e la Chiesa feciono eleggere nuovo imperio contra Federigo disposto imperadore.
E disposto e condannato il detto Federigo, com'è detto di sopra, il papa mandò agli elettori d'Alamagna che hanno a eleggere il re de' Romani, che dovessono sanza indugio fare nuova elezione d'imperio, e così fue fatto; ch'eglino elessono Guiglielmo conte d'Olanda e antigrado, valente signore, al quale la Chiesa diè le sue forze, e fecegli rubellare gran parte d'Alamagna, e diede indulgenza e perdono, sì come andasse oltremare, a chi fosse contro al detto Federigo; onde in Alamagna ebbe grande guerra tra 'l detto eletto re Guiglielmo d'Olanda e 'l re Currado figliuolo del detto Federigo. Ma poco durò di là la guerra, ché si morì il detto re Guiglielmo gli anni di Cristo..., e regnò in Alamagna Currado detto, il quale il padre Federigo imperadore avea fatto eleggere re, come faremo menzione. Di questa sentenzia Federigo appellò al successore di papa Innocenzo, e mandò sue lettere e messaggi per tutta la Cristianità, dolendosi della detta sentenzia, e mostrando com'era iniqua, come appare per la sua pistola la quale dittò il detto maestro Piero da le Vigne, che comincia detta la salutazione: "Avegna che noi crediamo che parole della innanzi corritrice novella etc.". Ma considerando la verità del processo e dell'opere di Federigo fatte contro a la Chiesa, e della sua dissoluta e non cattolica vita, egli fu colpevole e degno della privazione, per le ragioni dette nel detto processo, e poi per l'opere commesse per lo detto Federigo appresso la sua privazione; che se prima fue, e era stato crudele e persecutore di santa Chiesa e de' suoi fedeli in Toscana e in Lombardia, appresso fu maggiormente infino che vivette, come innanzi faremo menzione. Lasceremo alquanto la storia de' fatti di Federigo, ritornando addietro, ove lasciammo, a' fatti di Firenze, e dell'altre notevoli novitadi avenute per gli tempi per l'universo mondo, ritornando poi all'opere e alla fine del detto Federigo e de' suoi figliuoli.
XXVI
Incidenza, e diremo de' fatti di Firenze.
Negli anni di Cristo MCCXXXVII, essendo podestà di Firenze messer Rubaconte da Mandello da Milano, si fece in Firenze il ponte nuovo, e elli fondò con sua mano la prima pietra, e gittò la prima cesta di calcina; e per lo nome della detta podestà fu nomato il ponte Rubaconte. E alla sua signoria si lastricarono tutte le vie di Firenze, che prima ce n'avea poche lastricate, se non in certi singulari luoghi, e mastre strade lastricate di mattoni; per lo quale acconcio e lavorio la cittade di Firenze divenne più netta, e più bella, e più sana.
XXVII
Come e quando scurò tutto il sole.
L'anno appresso, ciò fu MCCXXXVIII a dì III di giugno, iscurò il sole tutto a·ppieno nell'ora di nona, e durò scurato parecchie ore, e del giorno si fece notte; onde molte genti ignoranti del corso del sole e dell'altre pianete si maravigliaro molto, e con grande paura e spavento molti uomini e femmine in Firenze, per la tema della non usata novità, tornaro a confessione e penitenzia. Dissesi per gli astrolaghi che la detta scurazione anunziò la morte di papa Gregorio, che morì l'anno appresso, e l'abassamento e scuritade ch'ebbe la Chiesa di Roma da Federigo imperadore, e molto danno de' Cristiani, come poi fu appresso.
XXVIII
Della venuta de' Tartari nelle parti d'Europia infino in Alamagna.
Nel detto anno MCCXXXVIIII i Tartari, i quali erano scesi di levante, e presa Turchia e Cumania, sì passaro in Europia, e feciono due parti di loro, l'una andòe nel reame da·pPollonia, e l'altra gente entraro in Ungaria, e colle dette nazioni ebbono dure e aspre battaglie; ma alla fine il fratello del re d'Ungaria ch'avea nome Filice, duca di Colmano in Pannonia, e lo re Arrigo da·pPollonia uccisono e sconfissono in battaglia, e tutta la gente, sì uomini come femmine e fanciulli, misono alle spade e a morte; per la qual cagione i detti due così grandi paesi e reami furono quasi diserti d'abitanti. E dopo lo stimolo de' Tartari, quegli cotanti che di loro mano scamparono, fu sì grande e sì crudele fame nel paese, che la madre per la fame mangiava il figliuolo, e gran parte polvere d'uno monte che v'era, come diciamo gesso, in luogo di farina mangiavano. E guasti i Tartari quelli paesi, scorsono infino in Alamagna, e volendo passare il grande fiume del Danubio in Ostericchi, chi di loro con navi e, co·lloro cavagli, e chi con otri pieni di vento, si misono nel fiume; e difesi con saette e altri ingegni e armi al passo del detto fiume, onde forati gli otri colle saette da' paesani, quasi tutti annegaro, e furono morti sanza potere ritornare adietro; e così finìo la loro pestilenzia, non sanza infinito e gravissimo danno de' Cristiani di quegli paesi lontani da·nnoi. E di questa venuta de' Tartari fu sì grande e spaventevole fama, che infino in questo nostro paese si temea fortemente di loro, che non passassono in Italia.
XXIX
D'uno grande miracolo di tremuoto ch'avvenne in Borgogna.
Nel detto anno avvenne nella Borgogna imperiale, nella contrada di..., per diversi tremuoti certe montagne si dipartirono, e per ruina nelle valli somersero; onde tutte le villate di quelle valli furono sommerse, ove morirono più di Vm persone.
XXX
D'uno grande miracolo che si trovò in Ispagna.
Nel detto tempo e anno avenne uno miracolo in Ispagna, il quale è bene da notare, e per ogni Cristiano d'avere in reverenzia, e bene che sia in altre croniche, da recarlo in memoria in questo: ché regnando Ferrante re di Castello e di Spagna, nella contrada di Tolletta, uno Giudeo cavando una ripa per crescere una sua vigna, sotterra trovò uno grande sasso, il quale di fuori era tutto saldo e sanza neuna fessura, e rompendo il detto sasso, il trovò dentro vacuo, e dentro al vacuo, quasi imarginato col sasso, vi trovò uno libro con fogli sottili, quasi di legno, ed era di volume quasi com'uno saltero: iscritto era di tre lingue, greca, ebraica, e latina, e contenea in sé tre membri del mondo, da Adam infino ad Anticristo, le propietà degli uomini che doveano essere al mondo ne' detti isvariati tempi. Il principio del terzo mondo, overo secolo, puose così: "Nel terzo mondo nascerà il figliuolo di Dio d'una vergine ch'avrà nome Maria, il quale patirà morte per salute dell'umana generazione"; le quali cose leggendo il detto Giudeo, incontanente con tutta sua famiglia divenne Cristiano, e si feciono battezzare. E ancora era scritto a la fine del detto libro che nel tempo che Ferrante re regnerà in Castella si troverebbe il detto libro: lo quale miracolo veduto per molta gente degni di fede, fu rapportato al detto re, e fattane memoria, e grande reverenza. E 'l detto libro fu traslatato e isposto, e molte grandi profezie e vere vi si trovaro. E di certo si disse, e si dee credere, che ciò fosse opera fatta per la volontà di Dio. E simile miracolo si trovò in Gostantino sesto, i quali miracoli sono molto efficaci e affermativi a la nostra fede.
XXXI
Come fue fatto e poi disfatto il borgo a San Giniegio.
Negli anni di Cristo MCCXL fue rifatto il borgo a San Giniegio a piè di Samminiato per quegli della terra, per lo buono sito e trapasso, il quale era in sul cammino di Pisa; ma poi l'anno MCCXLVIII, l'ultimo di giugno, fue disfatto per modo che mai più non si rifece.
XXXII
Come i Tartari sconfissono i Turchi.
Negli anni di Cristo MCCXLIIII Hoccata Cane imperadore de' Tartari mandò Bacho suo secondo figliuolo contra il soldano d'Alappo e contra quello di Turchia, ch'avea nome Givatadin, con XXXm Tartari a cavallo, e nel luogo chiamato Cosadach fue dura e aspra battaglia tra' detti Tartari e' Turchi, e certi Cristiani ch'erano al soldo del soldano. A la fine il soldano e sua gente furono sconfitti, e più di XXm Saracini vi furono tra morti e presi.
XXXIII
Come di prima fu cacciata la parte guelfa di Firenze per gli Ghibellini e la forza di Federigo imperadore.
Ne' detti tempi, essendo Federigo in Lombardia, e essendo disposto del titolo dello imperio per papa Innocenzio, come detto avemo, in quanto potéo si mise a distruggere in Toscana e in Lombardia i fedeli di santa Chiesa in tutte le città ov'ebbe podere. E prima cominciò a volere stadichi di tutte le città di Toscana, e tolse de' Ghibellini e de' Guelfi, e mandogli a Sa·Miniato del Tedesco; ma ciò fatto, fece lasciare i Ghibellini e ritenere i Guelfi, i quali poi abandonati, come poveri pregioni, di limosine in Samminiato stettono lungo tempo. E imperciò che la nostra città di Firenze in quelli tempi nonn-era delle meno notabili e poderose d'Italia, sì volle in quella spandere il suo veleno e fare partorire le maladette parti guelfa e ghibellina, che più tempo dinanzi erano incominciate per la morte di messer Bondelmonte, e prima, sì come adietro facemmo menzione. Ma bene che poi fossono le dette parti tra' nobili di Firenze, e spesso si guerreggiassono tra loro di propie nimistadi, e erano in setta per le dette parti e si teneano insieme, e quegli che si chiamavano Guelfi amavano lo stato del papa e di santa Chiesa, e quegli che si chiamavano Ghibellini amavano e favoravano lo 'mperadore e suoi seguaci, ma però il popolo e Comune di Firenze si mantenea in unitade, a bene e onore e stato della repubblica. Ma il detto imperadore mandando sodducendo per suoi ambasciadori e lettere quegli della casa delli Uberti ch'erano caporali di sua parte, e loro seguaci che si chiamavano Ghibellini, ch'elli cacciassono della cittade i loro nemici che si chiamavano Guelfi, profferendo loro aiuto de' suoi cavalieri; sì fece a' detti cominciare dissensione e battaglia cittadina in Firenze, onde la città si cominciò a scominare, e a·ppartirsi i nobili e tutto il popolo, e chi tenea dall'una parte, e chi dall'altra; e in più patti della città si combattero più tempo. Intra gli altri luoghi, il principale era per gli Uberti alle loro case, ch'erano ov'è oggi il gran palagio del popolo: si raunavano co' loro seguaci, e combattiesi, co' Guelfi del sesto di San Piero Scheraggio, ond'erano capo quegli dal Bagno, detti Bagnesi, e' Pulci, e' Guidalotti, e tutti i seguaci di parte guelfa di quello sesto; e ancora gli Guelfi d'Oltrarno su per le pescaie passando, gli venieno a soccorrere quando erano combattuti dagli Uberti. L'altra puntaglia era in porte San Piero, ond'erano capo de' Ghibellini i Tedaldini, perch'aveano più forti casamenti di palagi e torri, e co·lloro teneano Caponsacchi, Lisei, Giuochi, e Abati, e Galigari, e erano le battaglie con quegli della casa de' Donati, e con Visdomini, e Pazzi, e Adimari. E l'altra puntaglia era in porte del Duomo a la torre di messer Lancia de' cattani da Castiglione, e da Cersino, ond'erano capo de' Ghibellini con Agolanti e Bruneleschi, e molti popolari di loro parte, contra i Tosinghi, Agli, e Arrigucci. E l'altra punga e battaglia era in San Brancazio, ond'erano capo per gli Ghibellini i Lamberti, e Toschi, Amieri, Cipriani, e Megliorelli, e con molto seguito di popolo, contra i Tornaquinci, e Vecchietti, e Pigli, tutto che parte de' Pigli erano Ghibellini. E' Ghibellini faceano capo in San Brancazio a la torre dello Scarafaggio de' Soldanieri; e di quella venne a messer Rustico Marignolli, ch'avea la 'nsegna de' Guelfi, cioè il campo bianco e 'l giglio vermiglio, uno quadrello nel viso, ond'egli morìo; e il dì che' Guelfi furono cacciati, e innanzi che si partissono, armati il vennono a soppellire a San Lorenzo; e partiti i Guelfi, i calonaci di San Lorenzo tramutaro il corpo, acciò che' Ghibellini nol disotterrassono e facessone strazio, però ch'era uno grande caporale di parte guelfa. E l'altra forza de' Ghibellini era in Borgo, ond'erano capo gli Scolari, e Soldanieri, e Guidi, contra i Bondelmonti, Giandonati, Bostichi, e Cavalcanti, Scali, e Gianfigliazzi. Oltrarno erano tra gli Ubbriachi e' Mannelli (e altri nobili di rinnomo non n'avea, se none di case de' popolari), incontro a' Rossi e' Nerli. Avenne che·lle dette battaglie duraro più tempo, combattendosi a' serragli, overo isbarre, da una vicinanza ad altra, e alle torri l'una a l'altra (che molte n'avea in Firenze in quegli tempi, e alte da C braccia in suso); e con manganelle, e altri difici si combatteano insieme di dì e di notte. In questo contasto e battaglie Federigo imperadore mandò a Firenze lo re Federigo suo figliuolo bastardo, con XVIc di cavalieri di sua gente tedesca. Sentendo i Ghibellini ch'egli erano presso a Firenze, presono vigore, e con più forza e ardire pugnando contra i Guelfi, i quali nonn-aveano altro aiuto, né attendeano nullo soccorso, perché la Chiesa era a Leone sopra Rodano oltremonti, e la forza di Federigo era troppo grande in tutte parti in Italia. E in questo usarono i Ghibellini una maestria di guerra, che a casa gli Uberti si raunava il più della forza de' detti Ghibellini, e cominciandosi le battaglie ne' sopradetti luoghi, sì andavano tutti insieme a contastare i Guelfi, e per questo modo gli vinsono quasi in ogni parte della città, salvo nella loro vicinanza contra il serraglio de' Guidalotti e Bagnesi, che più sostennono; e in quello luogo si ridussono i Guelfi, e tutta la forza de' Ghibellini contra loro. Alla fine veggendosi i Guelfi aspramente menare, e sentendo già la cavalleria di Federigo imperadore in Firenze, entrato già lo re Federigo con sua gente la domenica mattina, sì si tennero i Guelfi infino al mercolidì vegnente. Allora non potendo più resistere a la forza de' Ghibellini, si abandonarono la difenza, e partirsi della città la notte di santa Maria Candellara gli anni di Cristo MCCXLVIII. Cacciata la parte guelfa di Firenze, i nobili di quella parte si ridussono parte nel castello di Montevarchi in Valdarno, e parte nel castello di Capraia; e Pelago, e Ristonchio, e Magnale, infino a Cascia per gli Guelfi si tenne, e chiamossi la Lega; e in quelli faceano guerra a la cittade e al contado di Firenze. Altri popolani di quella parte si ridussono per lo contado a·lloro poderi e di loro amici. I Ghibellini che rimasono in Firenze signori colla forza e cavalleria di Federigo imperadore sì riformaro la cittade a·lloro guisa, e feciono disfare da XXXVI fortezze de' Guelfi, che palagi e grandi torri, intra le quali fu la più nobile quella de' Tosinghi in su Mercato Vecchio, chiamato il Palazzo, alto LXXXX braccia, fatto a colonnelli di marmo, e una torre con esso alta CXXX braccia. Ancora mostraro i Ghibellini maggiore empiezza, per cagione che i Guelfi faceano di loro molto capo a la chiesa di San Giovanni, e tutta la buona gente v'usava la domenica mattina, e faceansi i matrimoni. Quando vennero a disfare le torri de' Guelfi, intra l'altre una molto grande e bella ch'era in sulla piazza di San Giovanni a l'entrare del corso degli Adimari, e chiamavasi la torre del Guardamorto, però che anticamente tutta la buona gente che moria si soppelliva a San Giovanni, i Ghibellini faccendo tagliare dal piè la detta torre, sì·lla feciono puntellare per modo che, quando si mettesse il fuoco a' puntelli, cadesse in su la chiesa di Santo Giovanni; e così fu fatto. Ma come piacque a Dio, per reverenza e miracolo del beato Giovanni, la torre, ch'era alta CXX braccia, parve manifestamente, quando venne a cadere, ch'ella schifasse la santa chiesa, e rivolsesi, e cadde per lo diritto della piazza, onde tutti i Fiorentini si maravigliaro, e il popolo ne fu molto allegro. E nota che poi che·lla città di Firenze fu rifatta, non v'era disfatta casa niuna, e allora si cominciò la detta maladizione di disfarle per gli Ghibellini. E ordinaro che della gente dello 'mperadore ritennero VIIIc cavalieri tedeschi al loro soldo, onde fu capitano il conte Giordano. Avvenne che infra l'anno medesimo che' Guelfi furono cacciati di Firenze quegli ch'erano a Montevarchi furono assaliti da le masnade de' Tedeschi che stavano in guernigione nel castello di Gangareta nel mercatale del detto Montevarchi, e di poca gente fue aspra battaglia, infino nell'Arno, dagli usciti guelfi di Firenze a' detti Tedeschi; a la fine i Tedeschi furono sconfitti, e gran parte di loro furono tra morti e presi; e ciò fu dì..., gli anni di Cristo MCCXLVIII.
XXXIV
Come l'oste di Federigo imperadore fu sconfitta da' Parmigiani e dal legato del papa.
In questo tempo Federigo imperadore si puose ad assedio a la città di Parma in Lombardia, imperciò ch'erano rubellati dalla sua signoria e teneano colla Chiesa, e dentro in Parma era il legato del papa con gente d'arme a cavallo per la Chiesa in loro aiuto. Federigo con tutte le sue forze e quelle de' Lombardi v'era intorno, e stettevi per più mesi, e giurato aveva di non partirsi mai, se prima non l'avesse; e però avea fatto incontro a la detta città di Parma una bastita a modo d'un'altra cittade con fossi, e steccati, e torri, e case coperte e murate, a la quale puose nome Vittoria; e per lo detto assedio avea molto ristretta la città di Parma, e era sì assottigliata di fornimento di vittuaglia, che poco tempo si poteano più tenere, e ciò sapea bene lo 'mperadore per sue spie; e per la detta cagione quasi gli tenea come gente vinta, e poco gli curava. Avenne, come piacque a Dio, che uno giorno lo 'mperadore, per prendere suo diletto, si andò in caccia con uccegli e con cani, con certi suoi baroni e famigliari, fuori di Vittoria; i cittadini di Parma avendo ciò saputo per loro spie, come gente avolontata, ma più come disperata, uscirono tutti fuori di Parma armati, popolo e cavalieri, a una ora, e vigorosamente da più parti assaliro la detta bastita di Vittoria. La gente dello 'mperadore improvisi, e non con ordine, e con poca guardia, come coloro che non curavano i nemici, veggendosi così sùbiti e aspramente assaliti, e non essendovi il loro signore, non ebbono nulla difesa, anzi si misono in fugga e inn-isconfitta; e sì erano tre cotanti cavalieri e genti a piè che quegli di Parma; ne la quale sconfitta molti ne furono presi e morti, e lo 'mperadore medesimo sappiendo la novella, con gran vergogna si fuggìo a Chermona; e' Parmigiani presono la detta bastita, ove trovarono molto guernimento e vittuaglia, e molte vasellamenta d'argento, e tutto il tesoro che·llo 'mperadore aveva in Lombardia, e la corona del detto imperadore, la quale i Parmigiani hanno ancora nella sagrestia del loro vescovado, onde furono tutti ricchi; e spogliato il detto luogo della preda, vi misero fuoco, e tutto l'abattero, acciò che mai non v'avesse segno di cittade, né di bastita; e ciò fu il primo martedì di febbraio, gli anni di Cristo MCCXLVIII.
XXXV
Come i Guelfi usciti di Firenze furono presi nel castello di Capraia.
Poco tempo appresso lo 'mperadore si partì di Lombardia, e lasciovvi suo vicario generale Enzo re di Sardigna suo figliuolo naturale, con gente assai a cavallo, sopra la taglia de' Lombardi, e venne in Toscana, e trovò che·lla parte de' Ghibellini, che signoreggiavano la città di Firenze, del mese di marzo s'erano posti ad assedio al castello di Capraia, nel quale erano i caporali delle maggiori case de' nobili guelfi usciti di Firenze. Lo 'mperadore vegnendo in Toscana, non volle entrare nella città di Firenze, né mai v'era entrato, ma se ne guardava, che per suoi aguri, overo detto d'alcuno demonio, overo profezia, trovava ch'egli dovea morire in Firenze, onde forte temea; ma passò all'oste, e andossene a soggiornare nel castello di Fucecchio, e la maggior parte di sua gente lasciò all'asedio di Capraia, il quale castello per forte assedio e fallimento di vittuaglia non possendosi più tenere, feciono quegli d'entro consiglio di patteggiare, e avrebbono avuto ogni largo patto ch'avessono voluto; ma uno calzolaio uscito di Firenze, ch'era stato uno grande anziano, non essendo richesto al detto consiglio, isdegnato si fece alla porta, e gridò a quegli dell'oste che·lla terra non si potea più tenere; per la qual cosa quegli dell'oste non vollono intendere a patteggiare, onde quegli d'entro, come gente morta, s'arrendero a la mercé dello imperadore; e ciò fu del mese di maggio, gli anni di Cristo MCCXLVIIII. E' capitani de' detti Guelfi era il conte Ridolfo di Capraia e messer Rinieri Zingane de' Bondelmonti; e rapresentati a Fucecchio allo 'mperadore, tutti gli ne menò seco pregioni in Puglia, e poi per lettere a ambasciadori mandatigli per gli Ghibellini di Firenze, a tutti quegli delle gran case nobili di Firenze fece trarre gli occhi, e poi mazzerare in mare, salvo messer Rinieri Zingane: perché 'l trovò savio e magnanimo no·llo volle fare morire, ma fecelo abacinare degli occhi, e poi in su l'isola di Montecristo come religioso finì sua vita. E 'l sopradetto calzolaio da quegli di fuori fu guarentito, il quale, tornati poi i Guelfi in Firenze, egli vi ritornò, e riconosciuto in parlamento, a grido di popolo fu lapidato, e vilmente per gli fanciulli strascinato per la terra, e gittato a' fossi.
XXXVI
Come il re Luis di Francia fue sconfitto e preso da' Saracini a la Monsura in Egitto.
Nel detto tempo essendo il buono Luis re di Francia andato oltremare con grande stuolo e passaggio di navilio, e in sua compagnia Ruberto conte d'Artese e Carlo conte d'Angiò suoi fratelli, con tutta la baronia di Francia, puosono in Egitto con allegro cominciamento, ma con tristo fine; che nella loro venuta ebbono di presente la città di Dammiata, e poi volendo andare per forza d'arme al Caro e Babbillonia d'Egitto, ov'era il soldano e tutto suo podere, come furono al luogo detto la Monsura, avendo avute più battaglie e assalti da Saracini, e di tutte essendo vincitori i Franceschi, il soldano conoscendo ch'egli erano in quella parte ch'a·llui piaceva, maestrevolmente fece rompere in più parti gli argini del fiume del Calice, ch'esce dal fiume del Nilo, i quali argini sono a modo di quelli che sono sopra il fiume del Po in Lombardia; e rotti i detti argini, il fiume che soprasta alle pianure d'Egitto incontanente allagò tutto il piano dov'era l'oste de' Franceschi per tale modo che molti n'anegaro, e non potevano andare a neuno salvamento, né riconoscere via o cammino, né avere mercato né vittuaglia; onde gran parte dell'oste chi morì di fame e chi affogò in acqua, e tutti i loro cavalli e bestiame moriro. Per la qual cosa di nicessità quegli che scampati erano s'arendero a pregioni al soldano e a' Saracini, e fu preso il detto re Luis e Carlo conte d'Angiò suo fratello con molti baroni; e morìvi Ruberto conte d'Artese. Ma come piacque a Dio, avuti i Cristiani la detta aversità, il detto Luis e' suoi baroni tosto trovarono pace e redenzione da' Saracini, ché rendendo la città di Dammiata, e pagando CCm di parigini furono liberi; ma Carlo si fuggì colla guardia ch'avea nome Ferzacata. La detta scofitta fue a dì XXVII di marzo, gli anni di Cristo MCCL. E come lo re Luis e gli suoi baroni furono ricomperati, e pagata la detta moneta, si tornarono in ponente; e per ricordanza della detta presura, acciò che vendetta ne fosse fatta o per Luis o per li suoi, lo re Luis fece fare nella moneta del tornese grosso dal lato della pila le bove da pregioni. E nota che quando questa novella venne in Firenze, signoreggiando i Ghibellini, ne feciono festa e falò, secondo che si dice. Lasceremo a parlare de' Franceschi, e torneremo a nostra materia, a dire de' fatti di Firenze, e di Federigo imperadore, e della sua fine.
XXXVII
Come lo re Enzo figliuolo di Federigo imperadore fue sconfitto e preso da' Bolognesi.
Negli anni di Cristo MCCL, del mese di maggio, lo re Enzo figliuolo di Federigo imperadore, essendo rimaso generale vicario e capitano della taglia in Lombardia, venne ad oste sopra la città di Bologna, i quali si teneano colla Chiesa di Roma, ed eravi il legato del papa con gente d'arme al soldo della Chiesa. I Bolognesi uscirono fuori vigorosamente, popolo e cavalieri, incontra il detto re Enzo, e combattersi co·llui, e sconfissollo e presollo nella detta battaglia con molta di sua gente, e lui misono in carcere in una gabbia di ferro, e in quella con grande misagio finì sua vita a grande dolore.
XXXVIII
Come certi Ghibellini di Firenze furono sconfitti nel borgo di Fegghine dagli usciti guelfi
Per la partita che·llo 'mperadore fece di Toscana, e per la sconfitta ch'ebbe lo re Enzo da' Bolognesi, come detto avemo, la forza dello 'mperio cominciò alquanto a calare in Toscana e in Lombardia; e quegli che teneano parte guelfa e della Chiesa cominciarono a prendere forza e vigore. Avenne che essendo il vicario dello 'mperadore co' Fiorentini ghibellini ad assedio al castello d'Ostina in Valdarno, il quale gli usciti guelfi di Firenze aveano rubellato, e essendo grande parte de la detta oste nel borgo di Fegghine per guardia, acciò che' Guelfi ch'erano co·lloro amistade in Montevarchi raunati non potessono venire a soccorrere il detto castello d'Ostina, i detti Guelfi partendosi di Montevarchi la notte di santo Matteo di settembre, gli anni di Cristo MCCL, vennero e entraro ne' detti borghi di Fegghine, e subitamente assalendo la detta gente, per la notte ch'era, e sùbito assalto, sanza nulla difenza furono sconfitti, e la maggiore parte morti e presi per le case; e la mattina vegnente si levò l'oste villanamente da Ostina, e tornò in Firenze.
XXXIX
Come in Firenze si fece il primo popolo per riparare le forze e le 'ngiurie che facieno i Ghibellini.
Tornata la detta oste in Firenze, si ebbe infra' cittadini grande ripitio, imperciò che i Ghibellini che signoreggiavano la terra gravavano il popolo d'incomportabili gravezze, libbre e imposte; e con poco frutto, che' Guelfi erano già isparti per lo contado di Firenze, e teneano molte castella, e faceano guerra alla cittade, e oltre a·cciò quegli della casa degli Uberti e tutti gli altri nobili ghibellini tiranneggiavano il popolo di gravi torsioni e forze e ingiurie. Per la qual cosa i buoni uomini di Firenze raunandosi insieme a romore, e feciono loro capo a la chiesa di San Firenze; e poi per la forza degli Uberti non v'ardiro a stare, sì n'andarono a stare a la chiesa de' frati minori a Santa Croce, e ivi stando armati, non s'ardivano di tornare a·lloro case, acciò che dagli Uberti e gli altri nobili, avendo lasciate l'arme, non fossono rotti, e da le signorie condannati. Sì n'andaro armati alle case delli Anchioni da San Lorenzo, ch'erano molto forti, e qui armati durando, co·lloro forza feciono XXXVI caporali di popolo, e levarono la signoria a la podestà ch'allora era in Firenze, e tutti gli uficiali rimossono. E ciò fatto, sanza contasto sì ordinarono e feciono popolo con certi nuovi ordini e statuti, e elessono capitano di popolo messer Uberto da Lucca; e fu il primo capitano di Firenze; e feciono XII anziani di popolo, due per ciascuno sesto, i quali guidavano il popolo e consigliavano il detto capitano, e ricogliensi nelle case della Badia sopra la porta che vae a Santa Margherita, e tornavansi alle loro case a mangiare e a dormire. E ciò fu fatto a dì XX d'ottobre, gli anni di Cristo MCCL, e in quello dì si diedono per lo detto capitano XX gonfaloni per lo popolo a certi caporali partiti per compagnie d'arme e per vicinanze, e a più popoli insieme, acciò che quando bisognasse, ciascuno dovesse trarre armato al gonfalone della sua compagnia, e poi co' detti gonfaloni trarre al detto capitano del popolo. E feciono fare una campana, la quale tenea il detto capitano in su la torre del Leone; e 'l gonfalone principale del popolo, ch'avea il capitano, era dimezzata bianca e vermiglia. Le 'nsegne de' detti gonfaloni erano queste: nel sesto d'Oltrarno, il primo si era il campo vermiglio e la scala bianca; il secondo, il campo bianco con una ferza nera; il terzo, il campo azzurro iv'entro una piazza bianca con nicchi vermigli; il quarto, il campo rosso con uno dragone verde. Nel sesto di San Piero Scheraggio, il primo fu il campo azzurro e uno carroccio giallo, overo a oro; il secondo, il campo giallo con uno toro nero; il terzo, il campo bianco con uno leone rampante nero; il quarto, era pezza gagliarda, cioè a liste a traverso bianche e nere: questa era di San Pulinari. Nel sesto di Borgo, il primo era il campo giallo e una vipera, overo serpe verde; il secondo, il campo bianco e una aguglia nera; il terzo, il campo verde con uno cavallo isfrenato covertato a bianco e a croce rossa. Nel sesto di San Brancazio, il primo, il campo verde con uno leone naturale rampante; il secondo, il campo bianco con uno leone rampante rosso; il terzo, il campo azzurro con uno leone rampante bianco. In porte del Duomo, il primo, il campo azzurro con uno leone a oro; il secondo, il campo giallo con uno drago verde; il terzo, il campo bianco con uno leone rampante azzurro incoronato. Nel sesto di porte San Piero, il primo, il campo giallo con due chiavi rosse; il secondo, a ruote acerchiate bianche e nere; il terzo, il di sotto a vai e di sopra rosso. E come ordinò il detto popolo le 'nsegne e gonfaloni in città, così fece in contado a tutti i pivieri il suo ch'erano LXXXXVI; e ordinargli a leghe, acciò che·ll'una atasse l'altra, e venissero a città e in oste quando bisognasse. Per questo modo s'ordinò il popolo vecchio di Firenze, e per più fortezza di popolo ordinaro e cominciaro a fare il palagio il quale è di dietro a la Badia, e in su la piazza di San Pulinari, cioè quello ch'è di pietre conce colla torre; ché prima non avea palagio di Comune in Firenze, anzi stava la signoria ora in una parte de la città e ora in altra. E come il popolo ebbe presa signoria e stato, sì ordinaro per più fortezza di popolo che tutte le torri di Firenze, che ce n'avea grande quantità alte CXX braccia, si tagliassono e tornassono alla misura di L braccia e non più, e così fu fatto; e delle pietre si murò poi la città oltrarno.
XL
Delle insegne per guerra ch'usava il Comune di Firenze.
Poi ch'avemo detto de' gonfaloni e insegne del popolo, è convenevole che facciamo menzione di quelle de' cavalieri e della guerra, e come i sesti andavano per ordine nell'osti. La 'nsegna della cavalleria del sesto d'Oltrarno era tutta bianca; quella di San Piero Scheraggio a traverso nera e gialla, e ancora oggi l'usano i cavalieri in loro sopransegne ad armeggiare; quello di Borgo addogato per lungo bianco e azzurro; quello di San Brancazio tutto vermiglio; quello di porte del Duomo era...; quello di porte San Piero era tutto giallo. Le 'nsegne dell'oste erano le prime del Comune dimezzate bianche e vermiglie: queste aveva la podestà. Quelle della posta dell'oste e guardia del carroccio erano due, l'uno campo bianco e croce piccola rossa, l'altro per contrario campo rosso e croce bianca. Quello del mercato era...; quelle de' balestrieri erano due, l'una il campo bianco, e l'altra vermiglio, in ciascuno il balestro; e per simile modo quelle de' pavesari, l'uno gonfalone bianco col pavese vermiglio e il giglio bianco, e l'altro rosso col pavese bianco e 'l giglio rosso; e quegli degli arcadori l'uno bianco e l'altro rosso, iv'entro gli archi; quello della salmeria era bianco col mulo nero; e quello de' ribaldi bianco co' ribaldi dipinti in gualdana e giucando. Queste insegne de' cavalieri e dell'oste si davano sempre il dì di Pentecosta ne la piazza di Mercato Nuovo, e per antico così ordinate, e davansi a' nobili e popolani possenti per la podestà. I sesti quando andavano tre insieme, era ordinato Oltrarno Borgo, e San Brancazio, e gli altri tre insieme: e quando andavano a due sesti insieme, andava Oltrarno e San Brancazio, San Piero Scheraggio e Borgo, porte del Duomo e porte San Piero; e questo ordine fu molto antico. Lasceremo degli ordini di Firenze, e diremo della morte di Federigo imperadore, che molto fu utole e bisognevole a santa Chiesa, e al nostro Comune.
XLI
Come lo 'mperadore Federigo morì a Firenzuola in Puglia.
Nel detto anno MCCL, essendo Federigo imperadore in Puglia nella città di Fiorenzuola a l'uscita d'Abruzzi, si amalò forte, e già del suo aguro non si seppe guardare, che trovava che dovea morire in Firenze, e come dicemmo adietro, per la detta cagione mai non volle entrare in Firenze, né in Faenza; ma male seppe interpetrare la parola mendace del dimonio, che gli disse si guardasse che morrebbe in Firenze, e elli non si guardò di Fiorenzuola. Avenne che agravando de la detta malatia, essendo co·llui uno suo figliuolo bastardo ch'avea nome Manfredi, disiderando d'avere il tesoro di Federigo suo padre, e la signoria del Regno e di Cicilia, e temendo che Federigo di quella malatia non iscampasse o facesse testamento, concordandosi col suo segreto ciamberlano, promettendoli molti doni e signoria, con uno pimaccio che a Federigo puose il detto Manfredi in su la bocca, sì·ll'afogò; e per lo detto modo morì il detto Federigo disposto dello 'mperio e scomunicato da santa Chiesa, sanza penitenzia, o nullo sagramento di santa Chiesa. E per questo potemo notare la parola che Cristo disse nel Vangelio: "Voi morrete nelle peccata vostre"; che così avenne a Federigo, il quale fu così nimico di santa Chiesa, ch'egli fece morire la moglie e Arrigo re suo figliuolo, e... e videsi sconfitto e preso Enzo suo figliuolo, e egli dal suo figliuolo Manfredi vilmente morto e sanza penitenza; e ciò fu il dì di santa Lucia di dicembre, gli anni detti MCCL. E lui morto, Manfredi detto prese la guardia del reame e tutto il tesoro, e 'l corpo di Federigo fece portare e soppellire nobilemente alla chiesa di Monreale di sopra a la città di Palermo in Cicilia, e a la sua sepultura volendo scrivere molte parole di sua grandezza e podere, e grandi cose fatte per lui, uno cherico Trottano fece questi brievi versi, i quali piacquero molto a Manfredi e agli altri baroni, e fecegli intagliare nella detta sepultura, gli quali diceano:
Si probitas, sensus, virtutum gratia, census,
Nobilitas orti possint resistere morti,
Non foret extintus Federicus qui iacet intus.
E nota che in quello tempo che lo 'mperadore Federigo morìo avea mandato in Toscana per tutti gli stadichi di Guelfi per fargli morire; e andando in Puglia, quando furono in Maremma, seppono novelle della morte di Federigo, le guardie per paura gli lasciarono; i quali ricoverarono in Campiglia, e di là tornarono a Firenze e nell'altre terre di Toscana molto poveri e bisognosi.
XLII
Come il popolo di Firenze rimisono per pace i Guelfi in Firenze.
La notte medesima che morì Federigo imperadore morì il podestà che per lui era in Firenze, ch'avea nome messer Rinieri da Montemerlo, che dormendo nel letto suo gli cadde adosso una volta ch'era sopra la camera, e ciò fu in casa gli Abati. E ciò fu bene segnale che nella città di Firenze dovea morire la sua signoria, e così avenne assai tosto; ché essendo levato popolo in Firenze per le forze e oltraggi de' nobili ghibellini, come avemo detto adietro, e vegnendo in Firenze novelle de la morte del detto Federigo, pochi giorni appresso, il popolo di Firenze rappellò e rimisono in Firenze la parte de' Guelfi che fuori n'erano cacciati, faccendo loro fare pace co' Ghibellini; e ciò fu a dì VII di gennaio, gli anni di Cristo MCCL.
XLIII
Come al tempo del detto popolo i Fiorentini sconfissono i Pistolesi, e poi cacciarono certe case di Ghibellini di Firenze.
Molto esultò la parte della Chiesa e parte guelfa per tutta Italia e per la morte dello 'mperadore, e la parte d'imperio e ghibellina abassò, imperciò che papa Innocenzo tornò d'oltre i monti colla corte a Roma, favorando i fedeli della Chiesa. Avenne che del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCLI, il popolo e Comune di Firenze feciono oste a la città di Pistoia, ch'erano loro ribelli, e combattero co' detti Pistolesi, e sconfissongli a Monte Robbolini con grande danno de' morti e de' presi de' Pistolesi. E allora era podestà di Firenze messer Uberto da Mandella di Milano. E per cagione che la maggiore parte delle case de' Ghibellini di Firenze non piacea la signoria del popolo, perché parea loro che favorassono più ch'a·lloro non piacea i Guelfi, e per lo passato tempo erano usi di fare le forze e tiranneggiare per la baldanza dello 'mperadore, sì non vollono seguire il popolo né 'l Comune a la detta oste sopra Pistoia; anzi in detto e in fatto la contradiaro per animosità di parte, imperciò che Pistoia in quelli tempi si reggea a parte ghibellina; per la quale cagione e sospetto, tornata l'oste da Pistoia vittoriosamente, le dette case de' Ghibellini di Firenze furono cacciati e mandati fuori della città per lo popolo di Firenze il detto mese di luglio MCCLI. E cacciati i caporali de' Ghibellini di Firenze, il popolo e gli Guelfi che dimoraro a la signoria di Firenze si mutaro l'arme del Comune di Firenze; e dove anticamente si portava il campo rosso e 'l giglio bianco, si feciono per contradio il campo bianco e 'l giglio rosso, e' Ghibellini si ritennero la prima insegna; ma·lla insegna antica del Comune dimezzata bianca e rossa, cioè lo stendale ch'andava nell'osti in sul carroccio, non si mutò mai. Lasceremo alquanto de' fatti de' Fiorentini, e diremo alquanto della venuta del re Currado figliuolo dello 'mperadore Federigo.
XLIV
Come lo re Currado figliuolo di Federigo imperadore venne d'Alamagna in Puglia, e ebbe la segnoria del reame di Cicilia, e come morì.
Come il re Currado d'Alamagna seppe la morte dello 'mperadore Federigo suo padre, s'aparecchiò con grande compagnia per passare in Puglia e in Cicilia, per possedere il detto Regno, del quale Manfredi suo fratello bastardo s'era fatto vicario generale e signoreggiava tutto, salvo la città di Napoli e di Capova, i quali s'erano rubellati per la morte di Federigo, e tornati a l'ubbidenza della Chiesa. E per cagione della morte del detto Federigo molte cittadi di Lombardia e di Toscana aveano fatta mutazione, e tornate all'obedienza della Chiesa. Non si volle il detto Currado mettere a passare per terra, ma lui arrivato nella Marca di Trevigi, fece co' Viniziani apparecchiare grande navilio, e di là per mare con tutta sua gente arrivò in Puglia gli anni di Cristo MCCLI. E con tutto che Manfredi fosse cruccioso della sua venuta, perché intendea a esser signore del detto Regno, a Currado suo fratello fece grande accoglienza, rendendogli molto onore e reverenza. E come fue in Puglia, sì fece oste sopra la città di Napoli, la quale prima da Manfredi prenze di Salerno per V volte era stata osteggiata e assediata, e no·ll'avea potuta vincere, ma Currado con sua grande oste per lungo assedio ebbe la cittade, salvi le persone e la terra.
Ma Currado non attenne loro i patti, ma come fu in Napoli sì fece disfare le mura e tutte le fortezze di Napoli; e simigliantemente fece a la città di Capova che s'era rubellata, e in poco di tempo tutto il Regno recò sotto la sua signoria, abbattendo ogni ribello, o che fosse amico o seguace di santa Chiesa; e non solamente i laici, ma i religiosi e le sacre persone, fece morire per tormenti, rubando le chiese, e abbattendo chi non era della sua obbedienza, e promovendo i benefici, come fosse papa, sì che se Federigo suo padre fue persecutore di santa Chiesa, questo Currado, se fosse vivuto lungamente, sarebbe stato peggiore. Ma come piacque a Dio, poco appresso infermò di grande malatia, ma non però mortale, e faccendosi curare a medici fisiziani, Manfredi suo fratello, per rimanere signore, il fece a' detti medici per moneta e gran promesse avelenare in uno cristeo, e per tale sentenzia di Dio, per opera del fratello, di tale morte morìo sanza penitenzia e scomunicato gli anni di Cristo MCCLII. E di lui rimase in Alamagna uno picciolo figliuolo ch'ebbe nome Curradino, nato per madre della figlia del duca di Baviera.
XLV
Come Manfredi figliuolo naturale di Federigo prese la signoria del regno di Cicilia e di Puglia, e fecesi coronare re.
Morto Currado detto re della Magna, Manfredi rimase signore e balio di Cicilia e del Regno, con tutto che per la morte di Currado alquante terre del Regno si rubellassono, e papa Innocenzo quarto con grande oste della Chiesa si mise nel Regno per racquistare la terra che tenea Manfredi contra volontà della Chiesa, e sì come scomunicato. E come la detta oste della Chiesa fu entrata nel Regno, tutte le città e castella infino a Napoli s'arendero al detto papa; ma poco lui dimorato in Napoli, infermò e passò di questa vita gli anni di Cristo MCCLII, e nella città di Napoli fue soppellito. E per la morte del detto papa, e per la vacazione che dopo lui ebbe la Chiesa, che più di due anni stette sanza pastori, Manfredi racquistò tutto il Regno, e crebbe molto la sua forza e lungi e appresso; e con grande studio s'intendea con tutte le città d'Italia, ch'erano Ghibellini e fedeli dello imperio, e aiutavagli co' suoi cavalieri tedeschi, faccendo co·lloro taglia e compagnia in Toscana e in Lombardia. E quando il detto Manfredi si vide in gloria e inn-istato, si pensò di farsi fare re di Cicilia e di Puglia, e perché ciò gli venisse fatto, si recò ad amici con ispendio, e doni, e promesse, e ufici, i maggiori baroni de·Regno. E sappiendo come del re Currado suo fratello era rimaso uno suo figliuolo chiamato Curradino, il quale per ragione era diritto erede del reame di Cicilia, e era in Alamagna a la guardia della madre, sì si pensò una frodolente malizia per esser re, ch'elli raunò tutti i baroni del Regno, e propuose loro quello ch'avesse a·ffare della signoria, con ciò fosse cosa che elli avesse novelle come il suo nipote Curradino era grave infermo, e da non potere mai reggere reame; onde per gli suoi baroni fue consigliato che mandasse suoi ambasciadori in Alamagna a sapere dello stato di Curradino, e se fosse morto o infermo. Infino allora consigliavano che Manfredi fosse fatto re. A·cciò s'accordò Manfredi, come colui che tutto avea ordinato fittiziamente, e mandati i detti ambasciadori a Curradino e a la madre con ricchi presenti e grandi proferte. I quali ambasciadori giunti in Soavia, trovarono il garzone che la madre ne facea gran guardia, e co·llui tenea più altri fanciulli di gentili uomini vestiti di sua roba: dimandando i detti ambasciadori Curradino, la madre temendo di Manfredi, sì mostrò loro uno de' detti fanciulli. E quegli con ricchi presenti gli feciono doni e reverenzia, intra' quali doni furono de' confetti di Puglia avelenati, e quello garzone prendendone, tosto morìo. Eglino credendo Curradino avere morto di veleno, si partirono d'Alamagna, e come furono tornati in Vinegia, feciono fare alla loro galea vele di panno nero e tutti gli arredi neri, e eglino si vestiro a nero; e sì come giunsono in Puglia feciono sembiante di grande dolore, sì come da Manfredi erano amaestrati. E rapportato a Manfredi e a' baroni tedeschi del Regno come Curradino era morto, e fatto per Manfredi sembiante di grande corrotto, a grido de' suoi amici e di tutto il popolo, sì come avea ordinato, fu eletto re di Cicilla e di Puglia, e a Monreale in Cicilia si fece coronare gli anni di Cristo MCCLV.

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Ultimo Aggiornamento:10/07/05 20:42