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Satire

di. SALVATOR ROSA

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SATIRA TERZA

LA PITTURA


Così va 'l mondo oggi da l'Indo al Mauro,
né a guarire il suo mal saría bastante
3 il medico di Timbria o d'Epidauro;
cade il mondo a tracollo e indarno Atlante
spera gl<i> Alcidi. Ah, chi m'adita un Giove,
6 or ch'il vizio qua giù fatto è gigante?
Tutti gli sdegni suoi grandina e piove
sopra gli Acrocerauni e poi su gl<i> empî
9 la neghittosa destra il ciel non move.
Quali norme ne date e quali esempî,
stelle, ch'in vece di punire i rei
12 fulminate le torri e i vostri tempî?
Voi saettate ognor gl<i> antri rifei
e rimanete di rossore accese
15 se Diagora poi non crede i dei;
che voi siate schernite e vilipese
non è stupor: l'invendicata ingiuria
18 chiama da lungi le seconde offese.
Scatenata, d'Averno esce ogni Furia
e regna sol sovra la terra immonda
21 Gola, Invidia, Pigrizia, Ira e Lussuria.
Sol d'Avarizia e di Superbia abonda
il corrotto costume, e 'l tempo indegno
24 ne la piena del mal corre a seconda.
Ma già ch'in voi l'addormentato sdegno
alcun senso non ha, tentare io voglio
27 s'anco i fulmini suoi vanta l'ingegno. -
Sì dissi furibondo e, preso il foglio,
già già scrivea del secolo presente,
30 vòto d'ogni valor, pien d'ogni orgoglio,
quando su gl<i> occhi miei nascer repente
vidi un fantasma in disusato aspetto,
33 che richiamò dal suo furor la mente
(mirabil mostro e mostruoso oggetto!):
donna giovin di viso, antica d'anni,
36 piena di maestade il volto e 'l petto.
A lei d'aquila altera uscian due vanni;
da l'una e l'altra tempia il crin disciolto
39 cadea sul tergo a ricamarle i panni.
Parea che il sol negl<i> occhi avesse accolto,
e superbo splendea in mezzo a l'iride
42 d'attorcigliati bissi il capo avvolto:
d'Isi nel tempio, là dentro a Busiride,
con simil benda il crine adorna e stringe
45 l'antica Egitto al favoloso Osiride;
ma l'edra, il pesco e il lauro intreccia e cinge
quelle bianche ritorte, e in mezzo usciva
48 il simulacro de l'aonia sfinge.
De la veste il color gl<i> occhi scherniva
variando in se stesso, e da la manica
51 a finissimo lino il varco apriva:
non tessé mai con più sottil meccanica
tela più vaga in su la Mosa o l'Odera
54 la fatica olandese e la germanica.
Lo sventolar de' panni unisce e modera
il manto, ch'affibbiato in su la spalla
57 di più peli di simia avea la fodera;
vestía la sopraveste azzurra e gialla,
e l'imagin del mondo e de le sfere
60 sostenea sott'il braccio entro una palla.
Con fantastiche rote in folte schiere
rapidi intorno a lei l'ali batteano
63 simulacri di larve e di chimere;
i pennelli e i color li si vedeano
et una canna, che teneasi, lenti
66 con verdi anelli i pampini stringeano.
Io restai senza moto a quei portenti
et ella, in me fissando i lumi accesi,
69 disdegnosa parlommi in quest'accenti:
- Che vaneggi, insensato? Ove hai sospesi
i tuo pensieri, e da qual folle ardire
72 si sono in te questi furori accesi?
Sgridar tu vuoi l'universal fallire
e non t'accorgi ancor che tu consumi
75 senza profitto alcun l'impeto e l'ire?
Tôrre il vizio a la terra in van presumi;
dunque lo sdegno tuo s'accheti e cessi,
78 e a quel che tocca a te rivolgi i lumi.
Mira con quanti obbrobrii e quanti eccessi
da gl<i> artefici proprii oggi s'oscura
81 il più chiaro mestier che si professi:
parlo de l'arte tua, de la Pittura,
ch'è divenuta infame in mano a molti
84 con l'indegnità sua, con la natura;
e in vece di punir gl<i> audaci e stolti
professori di lei con dente acerbo,
87 tu verso il mondo i tuoi furor rivolti.
E tant'empio è 'l pennel, tant'è superbo,
che sol tra i vezzi si trastulla e scherza,
90 e de gli sdegni tuoi tu fai riserbo?
Sotto la destra tua provò la sferza
Musica e Poesia: vada del pari
93 con l'altre due sorelle anco la terza.
E se da' tuoi flagelli aspri et amari
alcun percosso esclamerà, suo danno:
96 da le voci d'un solo il resto impari.
So che la rabbia e 'l concepito affanno
farà dire a costoro in tuo disprezzo
99 quanto inventar, quanto sognar sapranno:
tu, come scoglio a le procelle avvezzo,
non t'alterar giammai; noto è per tutto
102 che suol l'odio del vero essere il prezzo.
De la virtù maledicenza è frutto,
ma col tempo a le Furie escon le chiome
105 e s'accheta il Livore indegno e brutto;
le Calunnie, una volta oppresse e dome,
confesseran che con ragion gl<i> emendi,
108 ch'al fin la Verità trova il suo nome.
Sù, sù, desta gli spirti e l'ire accendi
e, pieno il cor d'un nobile ardimento,
111 questi artefici rei sgrida e riprendi. -
Così diss'ella, e su l'estremo accento
con quella verga sua cinta di pampino
114 toccommi il capo e dileguossi in vento.
Da quel momento in qua par che m'avvampino
le fibre interne e che le Furie unite
117 ne l'agitato sen tutte s'accampino:
divenne il petto mio novella Dite.
Dunque dal cor, pria che si cangi in cenere,
120 uscite pur, chiusi pensieri, uscite!
Di voci in cambio adulatrici e tenere
s'armi lo stil senza sapere in cui,
123 ma sgridi i vizii et i difetti in genere;
chi sarà netto de gl<i> errori altrui
riderà su i miei fogli, e chi si duole
126 dimostrerà che la magagna è in lui.
Pur che si sfoghi il cor, dica chi vuole:
a chi nulla desia soverchia il poco,
129 sotto ogni ciel padre comune è 'l sole;
l'estate a l'ombra e 'l pigro verno al foco,
tra modesti desii l'anno mi vede
132 pinger per gloria e poetar per gioco.
De le fatiche mie scopo e mercede
è sodisfare al genio, al giusto, al vero;
135 chi si sente scottar ritiri il piede.
Dica pur quanto sa rancor severo;
contro a le sue saette ho doppio usbergo:
138 non conosco interesse e son sincero;
non ha l'Invidia nel mio petto albergo,
sol lo Zelo lo stil m'adatta in mano
141 e per util comune i<f>.foglio io vergo.
Tutto il mondo è pittori, onde il toscano
Paol fe' dire a certi ambasciatori,
144 che chiedeano d'estrar non so che grano,
ch'ei non volea ch'il grano uscisse fuori,
ma ch'in quel cambio gl<i> avería concessa
147 di prelati una tratta o di pittori.
La rena de l'Egeo non è sì spessa,
su l'Egitto non fûr tanti i ranocchi,
150 le formiche in Tessaglia, i mori in Fessa,
il grand'Argo del ciel non ha tant'occhi,
sono meno le spie, meno i pedanti,
153 né vidde Creso mai tanti baiocchi:
tutto pittori è il mondo, e pur di tanti
non saran due ne l'infinito coro
156 che non sian de le lettere ignoranti.
Filosofo e pittor fu Metrodoro
e i costumi e i color sapea correggere,
159 e scrisse l'arte in versi Apollodoro;
questo mestiero ognun corre ad eleggere,
ma di costor ch'a lavorar s'accingono
162 quattro quinti, per Dio, non sanno leggere!
Stupîr gl<i> antichi, se però non fingono,
perché scriveva un elefante in greco,
165 ma che direbbon or ch'i buoi dipingono?
Arte alcuna non è che porti seco
de le scienze maggior necessità,
168 ché de' color non può trattare il cieco,
ché tutto quel che la natura fa,
o sia soggetto al senso o intelligibile,
171 per oggetto al pittor propone e dà,
che non dipinge sol quel ch'è visibile,
ma necessario è che talvolta additi
174 tutto quel ch'è incorporeo e ch'è possibile.
Bisogna che i pittor siano eruditi
ne le scienze introdotte e sappian bene
177 le favole, l'istorie, i tempi, i riti;
né fare come un tal pittor da bene
qual fece un'Eva e poi vi pinse un bisso
180 per non fare apparir le parti oscene.
Un castrone, assai più di quel di Frisso,
un'Annunziata fece (ond'io n'esclamo)
183 che diceva l'offizio a un crocifisso.
E come compatir, scusar possiamo
un Raffael, pittor raro et esatto,
186 far di ferro una zappa in man d'Adamo?
E cento e mille ignorantoni affatto,
con barba vecchia e con virtù fanciulla,
189 i Panfili sfidar prendono a patto;
e, come la Pittura entro la culla
d'ogni minuzia sua gl<i> avesse instrutti,
192 credon d'esser maestri, e non san nulla.
Dipinger tutt'il dì zucche e preciutti,
rami, padelle, pentole e tappeti,
195 ucelli, pesci, erbaggi e fiori e frutti!
E presumono poi, quest'indiscreti,
d'esser pittori e non voler ch'adopra
198 la sferza de' satirici poeti?
Se s'hanno a metter altre cose in opra,
non vi si vede mai null'a proposito,
201 e 'l costume e l'idea va sottosopra:
i Sciti nel vestir fanno a l'opposito
e perché l'ignoranza hanno per sposa
204 non danno colpo che non sia sproposito.
Perdoni il cielo al cigno di Venosa,
ch'a' poeti e a' pittori aprì la strada
207 di fare a modo lor quasi ogni cosa;
con questa autorità più non si bada
che con il vero il simulato implíchi
210 e che da l'esser suo l'arte decada.
Più tele ha 'l Tebro che non ha lombrichi
e fan più quadri certi capi insani
213 che non fece Agatarco a i tempi antichi;
onde dissero alcuni oltramontani
che di tre cose è l'abbondanza in Roma:
216 di quadri, di speranza e baciamani.
Escon dal Lazio le pitture a soma
e tanta de' pittori è la semenza
219 che infettato ne resta ogn'idioma;
non conoscono studio o diligenza,
e in Roma non di men questi cotali
222 sono i pittori de la Sapienza!
Altri studiano a far sol animali
e, senza rimirarsi entro a gli specchi,
225 si ritraggono giusti e naturali.
Par che dietro al Bassan ciascuno invecchi,
rozzo pittor di pecore e cavalle,
228 et Eufranore e Alberto han negl<i> orecchi,
e son le scole lor le mandre e stalle,
e consumano in far l'etadi intere
231 bisce, rospi, lucertole e farfalle,
e quelle bestie fan sì vive e fiere,
che fra i quadri e i pittor si resta in forse
234 quai sian le bestie finte e quai le vere.
V'è poi talun che col pennel trascorse
a dipinger faldoni e guitterie
237 e facchini e monelli e tagliaborse,
vignate, carri, calcare, osterie,
stuolo d'imbriaconi e genti ghiotte,
240 zingari, tabaccari e barberie,
niregnacche, bracon, trentapagnotte:
chi si cerca i pidocchi e chi si gratta
243 e chi vende a i baron le pere cotte,
un che piscia, un che caca, un ch'a la gatta
vende la trippa, Gimignan che suona,
246 chi rattoppa un bocal, chi la ciabatta;
né crede oggi il pittor far cosa buona
se non dipinge un gruppo di stracciati,
249 se la pittura sua non è barona.
E questi quadri son tanto apprezzati
che si vedon de' grandi entro gli studi
252 di superbi ornamenti incorniciati:
così i vivi mendichi afflitti e nudi
non trovan da coloro un sol danaro,
255 che ne' dipinti poi spendon gli scudi;
così ancor io da quelli stracci imparo
che de' moderni prencipi l'instinto
258 prodigo è a i lussi, a la pietade avaro;
quel ch'aborriscon vivo aman dipinto,
per ch'omai de le corti è vecchia usanza
261 d'avere in prezzo solamente il finto.
Ma chi sa, quel che io chiamo ignoranza
non sia de' grandi un'invenzion morale
264 per fuggir la superbia e l'arroganza;
ché, s'Agatocle già di terra frale
usava i piatti de' miglior bocconi
267 per rammentarsi ognor del suo natale,
l'imagin de' villani e de' baroni
forse tengon costor per ricordarsi
270 che gl<i> antenati lor fûrno guidoni.
Ma non credo che mai possa trovarsi
che de la veritade il cenno e 'l suono
273 abbia sentito l'uom senz'addirarsi;
già rispose quel grande in grave tuono
a chi gli ricordò certo accidente:
276 - Non vuo' saper qual fui, ma quel ch'io sono. -
Fu mostrato a un tedesco anticamente
un quadro in cui l'artefice ritrasse
279 tutto intero un pastor vile e pezzente;
interrogato quanto ei lo stimasse,
rispose che né men voluto avrebbe
282 che vivo un uomo tal gli si donasse.
Prencipi, perch'a voi mai non increbbe
questo dipinger sordido e plebeo,
285 ne l'arte la viltà s'apprese e crebbe.
Da l'atlantico mare a l'eritreo
il decoro non ha dove ricoveri,
288 ch'ognun s'è dato ad imitar Pirreo:
sol bambocciate in ogni parte annoveri,
né vengono a i pittori altri concetti
291 che pinger sempre accattatozzi e poveri.
Ma non son tutti lor questi difetti,
poiché, cercando il mondo a tondo a tondo,
294 fuor che pezzenti non hann'altri oggetti,
e ogni luogo di poveri è fecondo
perché i prencipi omai con le gabelle
297 hanno ridotto a mendicare il mondo;
se tosano un po' più le pecorelle,
gl<i> uomini in breve si potran dipingere
300 no senza panni, no, ma senza pelle.
Prencipi, ad esclamar mi sento spingere,
ma mi dicon pian pian Clinio e Geminio
303 che bisogna con voi tacere o fingere;
dunque di voi l'esame e lo scrutinio
faccia chi solo a grand'imprese è dedito,
306 ch'io torno a censurar la biacca e 'l minio.
Con mio grave stupor contemplo e medito
che quasi sempre ogni pittor peggiora
309 quando comincia ad acquistare il credito,
perché, vedendo che più d'un l'onora
e ch'hanno facilmente esito e spaccio
312 le cose che dipinge e che lavora,
del faticar più non si prende impaccio
e, presa la pigrizia in enfiteusi,
315 dolcemente diventa un asinaccio.
Così non fece il nominato Zeusi,
al cui studio indefesso aprì le porte
318 colui che nacque là presso ad Eleusi.
Chi di Nicia fra noi segue le scorte,
che spesso il cibo si scordò, cotanto
321 era lo studio suo tenace e forte?
Chi nella nostra età pervenne al vanto
di Timante, di Ludio o di Nicomaco,
324 e chi può gire a Polignoto a canto?
Non è pagato alcun come Timomaco,
ma chi, per istudiar, quel Cauno imíta
327 che di lupini sol pascea lo stomaco?
Oggi l'antichità da noi s'addita,
oziosi sedendo, entro le carte,
330 ma la prisca virtude erra smarrita.
Furon le donne infin chiare in quest'arte:
or qual femmina fia ch'a lor rassembri
333 e possa andar de la lor gloria a parte?
Ma che! L'antiche in ciò nessun rimembri,
perché le nostre son più dotte e deste
336 nel porre in opra la natura e i membri.
Fra i pittori vi son genti sì leste:
con un certo liquor che non si scerne
339 fanno antiche apparir certe lor teste;
degno d'applausi e di memorie eterne,
de le donne il pennel scaltro et astuto
342 le teste antiche fa[n] parer moderne.
Ma in qual digression son io caduto?
Il mio ronzino, appunto in sul più bello,
345 di strada uscì de le cavalle al fiuto;
dietro a le donne ognun perde il cervello
e le cose con lor tutt'a gran passo
348 per certa simpatia vanno in bordello.
Lasciam dunque le donne andare in chiasso
e torniam fra i pittori, ove trascorre
351 la superbia per tutto a gran fracasso.
Apelle, il gran pittor, soleva esporre
le sue fatiche al publico, e nascosto
354 per emendarle i detti altrui raccôrre;
questo costume adesso usa a l'opposto:
per riportarne solo encomio e lode
357 è da' nostri pittori un quadro esposto;
negl<i> applausi ciascun si gonfia e gode,
ma, se qualche censor la sferza adopra,
360 di sdegno e di rancor s'infuria e rode.
Già Cimabue, quando mostrava un'opra,
se alcun lo riprendea, montato in rabbia,
363 gettava in pezzi il quadro e sottosopra;
ma tutta l'albagia non credo ch'abbia
un fatto più superbo e più bestiale
366 di quel ch'ora mi viene in su le labbia.
Scoperse il suo Giudizio Universale
Michelangiolo al papa e ognun che v'era
369 lo celebrava un'opera immortale;
solo un tal cavalier, con faccia austera
e con parole di rigor ripiene,
372 favellò col pittore in tal maniera:
- Questo vostro Giudizio espresso è bene
perché si vedon chiare in questo loco
375 de la vita d'ognun le cose oscene.
Michelangiolo mio, non parlo in gioco:
questo che dipingete è un gran Giudizio,
378 ma del giudizio voi n'avete poco.
Io non vi tasso intorno a l'artifizio,
ma parlo del costume, in cui mi pare
381 che il vostro gran saper si cangi in vizio;
dovevi pur distinguere e pensare
che dipingevi in chiesa: in quanto a me
384 sembra una stufa questo vostro altare.
Sapevi pur ch'il figlio di Noè,
perché scoperse le vergogne al padre,
387 tirò l'ira di Dio sovra di sé;
e voi, senza temer Cristo e la Madre,
fate che mostrin le vergogne aperte
390 infin dei santi qui l'intere squadre!
Dunque là dove al ciel porgendo offerte
il Sovrano Pastore i voti scioglie,
393 s'hanno a veder l'oscenità scoperte?
Dove la terra e 'l ciel lega e discioglie
il Vicario di Dio, staranno esposte
396 e natiche e cotali e culi e coglie? -
In udir il pittor queste proposte,
divenuto di rabbia rosso e nero,
399 non poté proferir le sue risposte,
né potendo di lui l'orgoglio altero
sfogare il suo rancor per altre bande,
402 dipinse ne l'inferno il cavaliero.
E pure era un error sì brutto e grande
che Danielle di poi fece da sarto
405 in quel Giudizio a lavorar mutande.
L'arroganza e 'l pittor nacquero a un parto:
di questi esempi va piena ogni cronica
408 e ne vede ogni dì l'espero e l'arto.
Classide, uscendo da la terra ionica,
perché non ebbe in Efeso accoglienze,
411 in braccio a un pescator pinse Stratonica;
di Parrasio si san l'impertinenze,
che dicea che d'Apollo era figliuolo
414 e vantava dal ciel le discendenze;
credea Zeusi ch'il Gange e ch'il Pattolo
non avessero insieme oro a bastanza
417 per poterli pagare un quadro solo,
e per quest'albagia pose in usanza
di donar l'opre sue: così vantava
420 la liberalità con l'arroganza,
et in tutte le feste ov'egli andava
tutto d'oro intessuto a letteroni
423 il nome suo nel ferraiol portava.
Anco a' dì miei certi pittor coglioni,
che fanno i Raffaelli e se l'allacciano,
426 portan nel ferraiol cento crocioni;
per satrapi de l'arte ognor si spacciano,
ma la fame, a la fé, te gl<i> adomestica
429 e co' barbieri a lavorar si cacciano;
l'alterigia così fatta domestica,
per la necessità de la panatica
432 si riducono a dare infin la mestica,
e, mitigata l'ambizion lunatica,
perch'han di ciabattin la mano e 'l genio,
435 di scarpinelli han conoscenza e pratica;
ma, scorsi i più begl<i> anni e giunti al senio,
fra la prigione e lo spedal si mirano,
438 non ostante il lor fumo e 'l loro ingenio.
Così per Roma tutto il dì s'ammirano
certi cavalli indomiti e feroci
441 che da le gonfie nari il fumo spirano,
batton la terra e co' nitriti atroci
sfidando l'aure e le saette al corso
444 de la superbia lor spiegan le voci;
rifiuta il labro altero il freno e 'l morso,
e sol fastosi d'alterigia e fregi,
447 sdegnan lo sprone al fianco e l'uom sul dorso;
ma con tutto il lor fasto e tutti i pregi
in breve tempo vedonsi a Ripetta
450 pieni di guidaleschi e di dispregi;
quindi, cangiata in trotto la corvetta
et in cavezza il fren, la sella in basto,
453 si riducono al fine a la carretta.
Ma conosco ben io che sol non basto
contro i pittori e che non ho favella
456 per un soggetto così grande e vasto;
la vita lor, d'ogni bruttura ancella,
per me facci palese a le persone
459 un'istoria passata, e par novella.
Fu nei tempi trascorsi un bertuccione,
che, stanco omai di star legato in piazza,
462 di diventar pittore ebbe oppinione;
venía dal ceppo de l'antica razza
di quel che già in Arezzo a Bufalmacco
465 fe' quella burla stravagante e pazza.
Or questo un dì d'estate, allor che stracco
ciascun dormía, si sciolse e di pedina
468 a la sua schiavitù diede lo scacco.
Fuggì fin ch'a la sera il dì declina
e in una casa, con suo gran diletto,
471 per la ferrata entrò de la cantina,
perché dal finestrone a canto al letto
e da l'altre fenestre o chiuse o rotte
474 che vi stesse un pittor fece concetto;
né si scostò dal vero, onde, in tre botte
fatta la scala, arrivò sopra e disse:
477 - Maestro, il ciel vi dia la buona notte. -
Parve che su l'orecchio il tuon ferisse
l'atterrito pittor, ch'un gran portento
480 su quell'ora stimò che gl<i> apparisse;
se ne avvidde la scimmia e in un momento
ripigliando il parlare: - Olà, - soggiunse,
483 - sbandeggiate, maestro, ogni spavento.
L'amor de la vostr'arte il cuor mi punse
e col di lei color l'affetto mio
486 un genio ereditario in un congiunse.
La pittura imparar da voi desío
e, se ben io son bestia, ho tanto ingegno
489 che n'han pochi pittor quanto n'ho io.
L'arte del colorito e del disegno
è pura immitazion, e voi sapete
492 che dell'immitazion la scimia è segno;
onde, se coltivare in me vorrete
questa disposizione, io vi predíco
495 che per me glorioso un dì sarete.
Fu mio bisavo quel scimmione antico
che con modo sì nobile e sì saggio
498 quell'opra ritrovò di Buonamico:
argumentate or voi se gran passaggio
farà chi sente un triplicato instinto
501 d'analogia, di genio e di lignaggio.
Ma il vostro volto, di pallor dipinto,
cognietturar mi fa ch'il cor vi trema
504 per sentirmi parlare in suon distinto.
Scacciate lo stupor, cessi la tema,
ch'io non son qualche larva a voi nemica,
507 né ch'io vi parli è meraviglia estrema:
parlano il corvo, il pappagal, la pica
e noi sappiam parlar quant'un teologo,
510 ma non parliam per non durar fatica;
per saper questo non ci vuole astrologo:
in quell'autor ch'in Frigia tanto valse
513 troverete di noi più d'un apologo.
Mi getterò per voi ne l'onde salse;
basta che m'insegn<i>ate, e poi del resto
516 vi prometto di far monete false. -
Sì disse lo scimmiotto agile e lesto,
e tanto s'adoprò ch'al fin d'accordo
519 di bestia e di pittor fece un innesto.
A' suoi preghi il pittor non fece il sordo
et a l'incontro l'animale accorto
522 di ben servir si dimostrava ingordo.
Sul principio andò ben, ma in tempo corto
il mastro d'insegnar lasciò da canto
525 e strapazzava lo scolare a torto;
ma quanto era schernito, egli altretanto
pazziente soffriva, un dì sperando
528 di riportar con la costanza il vanto.
Così dieci anni intieri andò penando,
ma, visto che lograva il tempo in vano,
531 al fin mandò la sofferenza in bando,
e, detestando di quell'uomo insano
le maniere deformi e l'alma ingrata,
534 risolvé di lasciar cervel sì strano;
onde, chiesta licenza una giornata,
su la vita di lui vile e plebea
537 gli fece una solenne ripassata.
- È possibil, maestro, - egli dicea,
- che chi sol ha per norma il bello e 'l buono
540 abbia un'anima poi sì brutta e rea?
Non star sospeso, no: teco ragiono.
Or, mentre il vizio in te danno e discerno,
543 tu che cosa sarai se bestia io sono?
Tralascio il viver tuo senza governo,
il vestir da guidon scomposto e sporco,
546 dimostrando al di fuor l'abito interno;
con la chioma arrufata a guisa d'orco
avere un sito che da lungi ammorba
549 et in tutte le cose esser un porco;
con una faccia accidiosa e torba
dormire in un casson pieno di paglia,
552 quasi giusto tu sia nespola o sorba;
l'usar cartone in vece di tovaglia
su la tua mensa, in cui giammai satolla
555 non vinsi con la fame una battaglia;
per la pigrizia ch'hai ne la midolla
mangiar sempre ova sode e a un tempo stesso
558 cuocere in un paiol l'ova e la colla.
Trapasso che da lungi e che da presso
la casa tua con il fetore annoia
561 per tante anatomie che tu ci hai messo:
tutta apparata omai d'ossa e di cuoia,
con tante teste intorno e tanti quarti,
564 fa da forca la casa e tu da boia;
se la mente e l'idea solo impregnarti
da' cadaveri fai, con qual motivo
567 credi che possin poi viverne i parti?
E chi sarà sì sciocco e sì corrivo
che vogl'ire a comprar ne' cimiteri?
570 Quel che non visse non somiglia al vivo!
Passo sotto silenzio i mesi interi
che consumai d'estate intorno a i forni
573 a compor olii per trovare i neri;
che m'hai fatto passar le notti e i giorni
a cavar d'ogni tomba e d'ogni fosso
576 ugne, costole, stinchi e teste e corni;
che più la vita adoperar non posso,
ché, per model servendoti di me,
579 tutte le mie giunture hanno il soprosso.
Taccio ch'al fine, e per tua gran mercé,
non mi posso vantar che mi riesca,
582 e son dieci anni omai che sto con te
(e pur questa vitaccia a la turchesca,
degna sol di galera e di legnami,
585 voi chiamate una vita pittoresca!).
Taccio fin qui; ma l'altre cose infami
non mi permetton, no, che stia più immobile,
588 ma fan che strilli et altamente esclami,
ché, per lo genio tuo pedestre e ignobile,
io t'ho veduto fare insino a l'oste,
591 stufo d'esercitare arte sì nobile!
Per non vederti correría le poste
di là dal Tile: e chi può star più saldo
594 a l'azioni tue pazze e scomposte?
Maraviglia non fia s'io mi riscaldo,
perché di te non fu sotto la luna
597 né più baggiano mai, né più ribaldo.
Ogni vizio più tetro in te s'aduna:
malèdico tu sei, matto e bugiardo,
600 superbo e giocator sin da la cuna;
ti si legge l'invidia entro lo sguardo:
quand'è che tu non morda e non abbai
603 senza rispetto alcun, senza riguardo?
Che, se pur tu lodasti alcun giammai
di quest'altri pittori, in quelle cose
606 lo celebrasti sol che tu non fai.
Tentar per mezzo di persone ascose
di levar tutt'il dì l'opre al compagno
609 con invenzion indegne e vergognose;
la coscienza tener sott'il calcagno,
voler presto i denar, dar l'opre tardi,
612 riconoscer per dio solo il guadagno;
non aver d'amistà leggi o riguardi,
un trattar peggio assai che contadino:
615 e ch'io faccia il pittor? Dio me ne guardi!
Gabbare il forestiero e 'l cittadino,
e spacciar, quando viene il sempliciotto,
618 lo smalto per azurro oltramarino;
finger l'uomo da bene e l'incorrotto,
e la parola poi non osservare,
621 vendere un quadro istesso a sette o otto;
non volere esser visto lavorare
(né m'insegnò giammai la tua pietade
624 qualche facile modo a l'operare);
e, con biasmo de l'arte e tua viltade,
peggio ch'un zappator gire affamato
627 a lavorare a canne et a giornade;
le caparre truffare in ogni lato;
tu non ti lodi mai ch'altrui non sprezzi:
630 e s'io faccio il pittor, ch'io sia frustrato!
Tu l'opre altrui ritocchi e a grossi prezzi
le vendi per man tua senza rossore,
633 e le tue per man d'altri ognor rappezzi;
affumicar le tele et il colore,
empir le gallerie de' tuoi capricci
636 ficcandogli per man di grand'autore;
smaltir per di Tizian cento impiastricci,
imbriacar gl'inglesi e gl<i> alemanni,
639 con il vino non già, ma co i pasticci;
vender pastocchie et esitare inganni,
non contentarsi mai di prezzi onesti
642 e trattenere un quadro otto o dieci anni;
lamentarsi ad ogn'ora e far protesti
ch'il secolo è corrotto e che fra i grandi
645 non v'è chi la virtù non prema e pesti;
parlar che son poltroni e son nefandi,
ch'han l'animo di pulce e di formicola,
648 che per i vizzi sol son memorandi;
e con adulazion vile e ridicola
ritrargli armati poi presso a la Gloria,
651 che il nome lor con il trombone articola;
e per gonfiargli d'ambizione e boria
rappresentargli come Augusto e Pirro
654 con le Muse d'intorno e la Vittoria;
aver ne l'alma il canchero e lo scirro,
non mantener la fé per quattro soldi:
657 oh, s'io faccio il pittor, ch'io faccia il birro!
Conversar con bricconi e manigoldi,
e radunare il cicaleccio e 'l crocchio
660 di Gonnelli, d'Arlotti e di Bertoldi;
mormorare e gracchiar com'il ranocchio,
et è cotal la tua superbia interna
663 che nulla rimirar sai con buon occhio;
andar con quei fiamminghi alla taverna,
che, profanando in un la terra e l'ètera,
666 han trovato un battesmo a la moderna;
peggiorar sempre quanto più s'invetera,
far di ragazze e femmine un serraglio
669 per farle stare al naturale, e cetera:
s'io fo il pittor, che mi sia dato un taglio
sopra 'l mostaccio! Se mai più ci torno,
672 mi sia battuto su la testa un maglio!
Prima ch'esser pittor, sia fitto in forno!
Prima ch'esser pittor, altri m'impegoli!
675 Prima ch'esser pittor, m'impali un corno! -
Così diss'egli e su per certi regoli
ver' la finestra a rampicar si messe,
678 sfondò la carta e si salvò su i tegoli.
Sì disse il bertuccione; il ciel volesse
che lo stil de i pittori empio et atroce
681 le bestie sole ad esclamar movesse!
Chi può soffrir, chi può tener la voce
mentre si vede che 'l pennello osceno
684 quanto diletta più, tanto più nuoce?
Di lascive pitture il mondo è pieno
e per le vie degl<i> occhi il cor tradito
687 dal nefando color beve il veleno;
altro ne' quadri non si mostra a dito
che le lussurie de' salaci dei,
690 perché l'uomo al peccar si facci ardito;
la libidin per tutto alza i trofei
e riempiendo va più d'un Tiberio
693 di sfacciate pitture i ginecei.
Non è più sol d'Orazio il desiderio
che in più modi dipinte ove si dorme
696 l'attitudin volea del vituperio:
le positure oscene in varie forme
scolpì Giulio Romano e l'empie immagini
699 espose in versi un poetaccio enorme.
Così Disonestade ha le propagini
sotto la terra da i color ruffiani:
702 e pur non s'apre il suol tutto in voragini?
Gl'impudichi Caracci e i Tizziani
con figure di chiassi han profanati
705 i palazzi de' prencipi cristiani;
sol di femmine ignude i re fregiati
hanno i lor gabinetti, e quindi nasce
708 che divengono anch'essi effemminati;
de le vergini ognor l'occhio si pasce
tra Veneri, Salmaci e Bersabee:
711 qual meraviglia è poi che sian bagasce?
Fuor che Giacinti, Satiri e Napee
per i musei moderni altro non vedi
714 e Psichi e Lede, Danai e Galatee;
Mirre, Europe, Diane e Ganimedi
e le Pasife adultere e bestiali
717 son de le gallerie pregiati arredi,
le pompe di Cotitto e le Florali
degl'Itifalli i riti e dei Luperci
720 e le feste Vinarie e i Baccanali.
O padri, o madri, ammaliati e guerci,
la vostra vigilanza ov'è rimasa,
723 che comprate ogni dì quadri sì lerci?
Ciascun di voi la provvidenza annasa,
ma che vi giova custodir la soglia
726 se corrompon le tele i figli in casa?
Queste pitture ignude e senza spoglia
son libri di lascivia, hanno i pennelli
729 semi da cui disonestà germoglia;
l'uva antica di Zeusi a voi favelli
e voi dimostri, senza alcun velame,
732 se le pitture san tirar gl<i> ucelli.
Di Parrasio tornò lo stile infame
e chiaman le fischiate e la berlina
735 egualmente le tele, il legno e 'l rame:
questi ritrae la druda e tanto inclina
a dimostrarsi imputtanito affatto
738 che fa il suo nome in seno a la sgualdrina;
quel della moglie sua forma il ritratto
e le di lei bellezze orna et adobba;
741 così due mercanzie forma in un tratto,
ché, s'il quadro non è da guardarobba,
almen palesa che da i fatti amici
744 se non ha buon pennello ha buona robba.
Oh, questi può vantar gl<i> astri felici,
che spesso, per ornare un quadro solo,
747 fabricate a lui son cento cornici!
Poi ch'è ben noto a lo scaltrito stuolo
che chi la copia fuor d'esporre ha in uso
750 vuol dir che dà l'originale a nolo.
Ma del ritrarre il vaneggiar diffuso
qui non finisce, no; peggio s'impiega
753 la sacrilega industria e l'empio abuso,
ché ne le chiese, ove s'adora e prega,
de le donne si fanno i ritrattini
756 e la magion di Dio divien bottega;
de la fé, del timor rotti i confini,
in faccia a Dio fomentano i colori
759 gl<i> adulterî e gli stupri a gli zerbini.
Signor, se chi vendea giovenchi e tori
dal Tempio vilipeso e profanato
762 con le frustate già cacciasti fuori,
deh, torna in terra col flagello usato,
ché per man de' pittori entro le chiese
765 de le vacche ogni dì fassi il mercato.
E tu non sol dissimuli l'offese,
ma comporti che sian di questi porci
768 su l'are tue le frenesie sospese?
A quelle il guardo tuo rivolgi e torci,
e mira quali entro le sacre istorie
771 fan fare a i santi e positure e scorci.
Dunque de i giusti tuoi l'eccelse glorie
vedrai sprezzar, né manderai borasche
774 a tôr via de i pittor l'empie memorie?
Non son questi, Signor, scherzi da frasche,
ma falli da punir con gravi angosce,
777 i santi incoronar di tinche e lasche.
Per vantarsi, più d'un, che ben conosce
di tutto il corpo le minuzie e i bruscoli,
780 fa mostrare a le sante e poppe e cosce;
e per farsi tener fra i più maiuscoli,
spogliando i santi vuol mostrar ch'intende
783 i proprii siti e 'l rigirar de' muscoli.
L'attitudini sì che son tremende!
Qual fa corvette, qual galoppa o traina
786 con cento smorfie e torciture orrende;
né qui l'enorme ardir le vele ammaina
ne lo scherzar co i divi, e non li basta
789 che faccin la Lucia con la Sfessaina:
più tavola non v'è ch'al men sia casta,
ché per i tempii la pittura insana
792 la religion col puttanesmo impasta.
Oh quanti Arrellii in questa età profana,
di numi in cambio, ne le sacre tele
795 dipingon la bardassa e la puttana!
Onde tradito poi lo stuol fedele
con scelerata e folle idolatria
798 porge i voti a l'inferno e le querele,
ché, d'un angiolo in vece e di Maria,
d'Ati il volto s'adora e di Medusa,
801 l'effigie d'un Batillo e d'un'arpia.
Sbaglio questo non è degno di scusa,
ché d'una Taide prostituta e nota
804 la sfacciata sembianza il chiasso accusa,
e sempre a qualchedun rimane ignota.
Con che scandalo poi resta atterrita
807 da quei volti impudichi alma divota!
L'error del saggio ebreo ciascuno addita
e con alto rossor narran le stampe
810 che la druda incensò lo Stagirita;
ma sciolto adesso in odorose vampe
a onor de' lupanari arde l'incenso
813 ne' turribuli nostri e ne le lampe.
Come al peccar si negherà l'assenso,
s'entro a i lini sacrati anco s'apprendono
816 allettamenti di lussuria al senso?
Quindi in saggi divieti a noi discendono
de' pontefici accorti i santi oracoli
819 ch'a questi quadri il celebrar sospendono;
quindi è che sol ne i prischi tabernacoli
da la pietà di Dio grazie s'aspettano
822 e in questi d'oggidì non fa miracoli;
quindi è che quanti tuoni in giù s'affrettano
sopra gl<i> altari e su le chiese a gara
825 le giuste fiamme lor tutte saettano.
O pittori, o pittori, il ciel prepara
forse al vostro fallir le pene ultrici,
828 e la tardanza ad aggravarle impara.
Da voi, di zelo e di pietà mendici,
ne' dì festivi a lavorar s'indugia
831 e si lassan le messe e i sacri offici;
io non so come il suol non vi trangugia
mentr'in quel ch'a la fé s'aspetta e a l'alma
834 imitato è da voi quel da Perugia.
Voi de la religion la bella calma
aiutate a turbare, e l'eresie
837 in gran parte da voi vantan la palma.
Le cose che faceste inique e rie
taccio, incise ne i rami e co i colori,
840 per non inorridir l'anime pie;
troppo evidenti sono i vostri errori,
né più di favellar di voi non oso,
843 de le scole infernal muti oratori;
megl<i>'è che faccia punto e dia riposo
a l'animo agitato, e so che suole
846 il mestier d'Aristarco esser odioso.
Chi de le colpe altrui troppo si duole
poco pensa a le sue, ma so ben anco
849 che imagine del cor son le parole:
scrissi i sensi d'un cor sincero e bianco,
che, s'in vaghezza poi manca lo stile,
852 nel zelo al meno e ne l'amor non manco.
Siasi pur il mio stil sublime o vile,
a color che sferzai so che non gusta:
855 sempre i palati amareggiò la bile.
Corra la vena mia frale o robusta,
nulla curo l'oblio; sospendo il braccio
858 da la penna egualmente e da la frusta;
il voler censurare è un grand'impaccio;
no, no, per l'avvenir megl<i>'è ch'io finga:
861 Musica, Poesia, Pittura, io taccio.
Gl<i> abusi un altro a criticar s'accinga,
per me da questa pasta alzo le mani:
864 canti ognun ciò che vuol, scriva o dipinga,
ch'io non vuo' dirizzar le gambe a i cani.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 09/07/05 14.50.05

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