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SOMMARIO DELLA STORIA FIORENTINA |
DAL TUMULTO DEI CIOMPI |
ALLA MORTE Dl COSIMO IL VECCHIO (ANNI 1378-1464). |
Nel 1378 sendo gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe
la novità de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere
stati raffermati piú volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande invidia e grande
contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano rivolti a' favori della
moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non perché e' Ciompi avessino a essere
signori della città ma acciò che col mezzo di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua
loro rimanessino padroni del governo. Il che fu per non riuscire perché e' Ciompi, preso
lo stato e creato e' magistrati a loro modo e non a arbitrio degli otto, volevano potere
tumultuare ogni dí la città, e non arebbono gli otto potuto ritenergli; se non che
Michele di Lando' uno de' Ciompi ed allora gonfaloniere di giustizia, vedendo che questi
modi partorivano una inevitabile ruina della città, accordatosi cogli otto e cogli
aderenti loro, fu cagione di tôrre lo stato a' Ciompi; e cosí el bene e la salute della
città nacque di luogo che nessuno l'arebbe mai stimato. Rimase el governo piú tosto in
uomini plebei e nella moltitudine che in nobili, e fecionsene capi messer Giorgio Scali e
messer Tommaso Strozzi e' quali con questo favore popolare governorono tre anni la città,
e feciono in quel tempo molte cose brutte e massime quando senza alcuna colpa, ma solo per
levarsi dinanzi gli avversari loro, tagliorono el capo a Piero di Filippo degli Albizzi
che soleva essere el piú riputato cittadino di Firenze, a messer Donato Barbadori ed a
molti altri innocenti; ed in ultimo, come è usanza, non potendo essere piú soportati, ed
abandonati dal popolo, a messer Giorgio fu tagliato el capo; messer Tommaso campò la vita
col fuggirsi ed ebbe bando in perpetuo lui e suoi discendenti e messer Benedetto degli
Alberti, che era uno de' primi aderenti loro, fu confinato, |
Ebbe la città in quegli tempi piú volte molti tumulti, e finalmente con uno
parlamento si fermò lo stato nel 93, sendo gonfaloniere di giustizia messer Maso degli
Albizzi, el quale in vendetta di Piero suo zio, cacciò di Firenze quasi tutti gli
Alberti, e rimase el governo in mano di uomini da bene e savi, e con grandissima unione e
sicurtà si continuò insino presso al 1420; e non fa maraviglia, perché gli uomini erano
tanti stracchi delle turbulenzie passate, che abattendosi a uno vivere ordinato, tutti
volentieri si riposorono. E veramente in quegli tempi si dimostrò quanta fussi la
potenzia della città nostra quando era unita, perché soportorono dodici anni la guerra
di Giovan Galeazzo con spesa infinita e di eserciti italiani ed esterni, che feciono
passare in Italia in diverse volte uno duca di Baviera, uno conte di Ormignacca con
quindicimila cavalli, uno imperadore Ruberto; ed a pena sendo usciti di questa guerra,
credendosi che la città fussi esausta e per carestia di danari per riposarsi qualche
tempo, feciono la impresa di Pisa, nella quale, e nella compera e nella espugnazione,
spesono una somma infinita di danari. Ebbono di poi la guerra con Ladislao re di Napoli e
difesonsi francamente anzi ne acquistorono Cortona, in ricompenso però di buona somma di
danari; comperorono Castrocaro, e finalmente ebbono tanti successi, e nella città che si
conservò libera, unita e governata da uomini da bene e buoni e valenti, e fuora, che si
difesono da inimici potentissimi ed ampliorono assai lo imperio, che meritamente si dice
che quello è stato el piú savio, el piú glorioso, el piú felice governo che mai per
alcuno tempo abbi avuto la città nostra. |
Dal 1420 poi al 1434 venne la guerra del duca Filippo, e la divisione della città in
due parte, d'una di quale era a capo Niccolò da Uzzano, uomo riputato molto savio ed
amatore della libertà, dell'altra Giovanni di Bicci de' Medici e di poi Cosimo suo
figliuolo e finalmente doppo molte contese ed agitazione, partorirono nel 1433 che sendo
gonfaloniere di giustizia, di settembre, Bernardo Guadagni, la parte di Niccolò da
Uzzano, el quale era già morto, avendo una signoria a suo proposito, fece sostenere in
palagio Cosimo de' Medici e di poi lo confinò insieme con Lorenzo suo fratello ed
Averardo suo cugino, a Vinegia; ed in capo di pochi mesi eziandio fu preso messer Agnolo
Acciaiuoli, ebbe della fune e fu confinato in Grecia. |
Cacciato Cosimo, rimasono capi del governo messer Rinaldo degli Albizzi, Niccolò
Barbadori, Peruzzi, Bischeri, Guadagni, Castellani, Strozzi ed altri simili, ma poco lo
seppono tenere, perché el settembre seguente che fu in capo dello anno la signoria che ne
fu gonfaloniere Niccolò Cocchi, non però sanza grande tumulto e pericolo rispetto a
quella parte che prese le arme, fece parlamento e rimesse Cosimo e cacciò e' capi della
parte avversa. E perché l'una e l'altra rivoluzione, cioè del 33 e del 34, fu fatta
dalla signoria che entra di settembre e che si era tratta el dí di san Giovanni
dicollato, però fu ordinato che per lo avenire la signoria non si traessi piú in tal
dí, ma el dí dinanzi, e cosí si è sempre osservato, eccetto pochi anni a tempo di fra
Girolamo. Furono potissima cagione di questa ritornata di Cosimo, Neri di Gino Capponi,
Piero di messer Luigi Guicciardini, Luca di messer Maso degli Albizzi ed Alamanno di
messer Iacopo Salviati, ma massime vi si operorono Neri e Piero. |
Tornato Cosimo e fatto capo del governo e fatta fare una Balía di cittadini, per
sicurtà dello stato cacciò di Firenze in grandissimo numero tutti gli avversari sua, che
furono molte famiglie nobilissime e ricchissime, ed in luogo di quelle cominciò a tirare
su di molti uomini bassi e di vile condizione, e dicesi che sendo Cosimo ammunito da
qualcuno che e' non faceva bene a spegnere tanta nobiltà, e che mancando gli uomini da
bene, Firenze rimaneva guasta, rispose che parecchi panni di San Martino riempierebbono
Firenze di uomini da bene; volendo inferire che cogli onori e colle ricchezze gli uomini
vili diventavano nobili. |
Erano allora nella città molte casa nobile che si chiamavano di famiglia, le quali
pe' tempi adrieto, sendo grande e soprafaccendo gli uomini di manco forze, erano state per
opera di Giano della Bella private de' magistrati della città, massime del priorato e de'
collegi, e fatto contra loro molti ordinamenti e legge forte che reprimevano la loro
potenzia, e nondimeno era stato riservato loro alcuno uficio, ne' quali per legge avevono
a avere una certa parte, ed oltra ciò nelle legazione e ne' dieci della Balía avevono
buono corso. Con costoro non aveva Cosimo inimicizia particulare, perché loro sendo
alienati dello stato, non l'avevono offeso nelle sue avversità, e nondimeno rispetto alla
loro maggioranza e superbia non gli amava, né si sarebbe confidato di loro, e però per
tôrre loro quella parte de' magistrati riservata loro dalla legge, e nondimeno in modo
che vi avessino a concorrere, fece una provisione, e si disse con consiglio di Puccio
Pucci, che quelle tali famiglie che vulgarmente si chiamavano de' grandi, fussino fatte di
popolo; e cosí levò loro le legge che gli opprimevano ed abilitogli a tutti gli onori
come gli altri cittadini. Di che nel principio acquistò con loro grado grande, e
nondimeno lo effetto fu che non vincevano gli squittini e non erano eletti a' magistrati;
in modo che non solo non acquistorono di quegli ufici a' quali prima erono inabili, ma
vennono anche a perdere quegli che la legge dava loro di necessità. |
Legò Cosimo lo stato col fare dare a un numero di cittadini balía per anni cinque, e
fece squittini nuovi di tutti e' magistrati della città drento e di fuori; e nondimeno,
per la autorità aveva la balía, e' signori quasi sempre a suo tempo non si trassono a
sorte, ma si eleggevano dagli accopiatori a modo suo; e quando era a tempo de' cinque anni
che durava la balía, faceva prorogare quelle autorità per altri cinque anni |
Ebbe sopratutto cura che nessuno di quegli cittadini che erano stati sue fautori non
si facessi sí grande che lui avessi da temerne, e per questo rispetto teneva sempre le
mani in sulla signoria ed in sulle gravezze per potere esaltare e deprimere chi gli
paressi; nelle altre cose e cittadini avevono piú autorità e disponevano piú a loro
modo che non feciono poi a tempo di Lorenzo, e lui dava volentieri loro ogni larghezza
pure che fussi bene sicuro dello stato. E parendogli che Neri di Gino avessi piú
riputazione e forse piú cervello che alcuno altro cittadino di Firenze, dubitando non
pigliassi tanto credito che avessi da temerne lo adoperava piú che alcuno altro in tutte
le cose importanti della città drento e fuori, e nondimeno cominciò a dare credito a
Luca Pitti, el quale non era valente uomo, ma vivo liberale animoso e piú servente e per
gli amici che alcuno altro che fussi a Firenze, e cosí uomo da fargli fare ogni cosa
sanza rispetto, e non di tal cervello che gli paressi avere da temerne. Cominciò costui
molte volte nelle pratiche, massime quando le cose non erano di molta importanza, quando
Neri aveva parlato, a dire tutto el contrario di quello che aveva consigliato Neri, e
quivi per ordine di Cosimo erano molti che riprovavano el parere di Neri ed approvavano
quello di Luca; di che accorgendosi Neri e vedendo lo stato di Cosimo in modo da non
potere alterarlo e che volendo rompere con lui sarebbe come dare del capo nel muro, sendo
savissimo, mostrava non vedere ed aveva pazienzia aspettando tempo ed occasione. |
Era in quello tempo Baldaccio d'Anghiari capitano di fanterie, uomo di grande animo e
valente nel mestiero suo e di grande credito apresso a' soldati e molto stretto ed
intrinseco amico di Neri; di che temendo Cosimo, e volendo levare a Neri questo
instrumento attissimo a fare novità aspettando che Neri fussi fuora di Firenze o
imbasciadore o commessario, fece che messer Bartolomeo Orlandini gonfaloniere di giustizia
mandò per lui in palagio, ed avutolo in camera lo fece subito da gente ordinate quivi per
quello, gittare a terra dalle finestre. |
Nel tempo che tornò Cosimo era la città collegata co' viniziani ed i n guerra contro
al duca Filippo, la quale si continuò per dodici o quattordici anni, tirandosi eziandio
adosso qualche volta la guerra con papa Eugenio e col re Alfonso, delle quali cose perché
sono notissime non ne dirò altro; e cosí de' successi del conte Francesco, e come con
favore della città acquistassi el ducato di Milano. Solo dirò questo, che quando e'
viniziani presono la difesa dello stato di Milano contro al conte Francesco, venuto a
Firenze in consulta quello si avessi a fare perché ed el conte ed e' viniziani erano
stati amici e collegati della città, la piú parte si accordava che si dovessi conservare
la amicizia de' viniziani e favorirgli contro al conte. A Cosimo parve altrimenti, e
mostrò con ragione che era meglio favorire el conte: e cosí si segui. Di che lui ne
acquistò Milano e nacquene la salute di Italia; perché se cosí non si faceva e'
viniziani si facevano sanza dubio signori di quello stato e successivamente in breve di
tutta Italia; sí che in questo caso la libertà di Firenze e di tutta Italia s'ha a
ricognoscere da Cosimo de' Medici. |
Sendo di poi el conte diventato duca di Milano e non avendo fatto pace co' viniziani,
fu el disegno loro tenergli questo cocomero in corpo, giudicando che essendo entrato in
uno stato nuovo e spogliato e sanza danari e bisognandogli stare armato, si consumerebbe
da se medesimo; di che accorgendosi el duca si risolvé essergli necessario, poi che non
poteva avere pace ragionevole da' viniziani, accozzare tante forze che potessi rompere
loro guerra, e cosí per forza recuperare quello avevono occupato doppo la morte del duca
Filippo, e ridurgli a' loro termini. Ed a questo effetto si trovava gente assai, ma gli
mancava danari a poterle mettere in ordine, e vedendo non potere sperare nel re Alfonso
che gli era inimico, né nel papa che voleva stare neutrale, cercava per fare questi
effetti avere sussidio di danari da' fiorentini. |
A Cosimo ed a' piú savi pareva da farlo, per ovviare a tanta grandezza de' viniziani,
ma bisognando gran somma di danari e vedendo el popolo che si stava in pace e non gustava
e' pericoli futuri, alieno in tutto dallo spendere, non si ardivano mettere innanzi questa
pratica, e però scrivevano al duca che chi governava era bene disposto, ma che avessi
pazienzia perché non era tempo a parlare di simile materia. E certo se e' viniziani si
fussino portati prudentemente, ed atteso a tenere bene disposta con umanità e buone
parole la città, né ricercala di alcuno aiuto, ma contentatisi si stessino a vedere, era
facile cosa conducessino a fine e' loro disegni, dove pel contrario la loro arroganzia e
durezza aperse la via a' favori del duca Francesco. Perché avendo fatta lega col re
Alfonso, richiesono la città, a chi riservorono el luogo, ci volessi entrare drento, il
che sendo loro negato, e risposto che la Italia era in pace e però non bisognava fare
nuove leghe, insuperbiti grandemente cacciorono di tutto el loro dominio e' mercatanti
fiorentini, fatte loro prima molte stranezze, ed operorono che el re Alfonso fece el
medesimo. Il che inteso a Firenze deputorono messer Otto Niccolini imbasciadore a Vinegia;
e chiedendo salvocondotto per lui, lo negorono, credendo con questi modi che la città o
per paura o per voluntà di potere usare el dominio loro conscendessi a ogni cosa. Ma fu
tutto el contrario: perché el popolo se ne sdegnò tanto che fu poca fatica a chi
governava persuadere loro che fussi bene pensare a difendersi ed a offendere e' viniziani,
e però mandorono al duca Dietisalvi di Nerone, e feciono con lui lega a difesa degli
stati servendolo di gran quantità di danari, di che el duca roppe guerra a' viniziani ed
el re Alfonso a noi, con quegli effetti che per essere celebrati in su tutte le istorie
non si raccontono. |
Questi modi de' vinizani non so se nacquono da loro, o pure se chi desiderava favorire
el duca in Firenze persuase loro per qualche modo destro che la via d'avere aiuto dalla
città era questa, per ridurre con tali inconvenienti el popolo a infiammarsi contra loro;
e certo se el disegno fussi nato cosí, non potette uscire se non da uomo di gran
prudenzia. Quel che si sia, tal cosa può dare esemplo che chi non può assolutamente
comandare a' popoli e sforzargli, gli conduce a ciò che vuole piú tosto colle carezze e
modi dolci che colle asprezze; benché altrimenti è in chi può comandare loro e
domargli; e questa qualità se è in popolo nessuno, è nel nostro che, come si dimostra
ogni dí per mille esempli, quando teme potere essere sforzato di presente si condurrebbe
coll'aspro in ogni luogo, ma quando è fuora di questa paura, non si conduce col
mostrargli timore minacci o sospetto, ma solo col dolce e colle speranze. |
Fatta di poi la pace in Lodi fra 'l duca e fiorentini da una parte, ed e' viniziani
dall'altra, e di poi a Napoli pace e lega universale di tutta Italia, eccetto e' genovesi
e Sigismondo Malatesta signore di Rimino, la città stette molti anni sanza guerra,
nondimeno con sospetti di fuora e con movimento drento; le quale cose secondo la mia
notizia narrerò piú particularmente, perché da quello tempo in qua non ci è ancora chi
abbi scritto istorie. |
Doppo la pace fatta, e' viniziani dettono subito licenzia al conte Iacopo Piccinino
loro soldato; e la cagione in verità fu, prima per levarsi da dosso la spesa della
condotta sue che era ducati centomila secondo, perché avevano capitoli con Bartolomeo
Coglione da Bergamo loro condottiere, che la condotta sua fussi ducati centomila mentre el
conte Iacopo era a' soldi loro, e partito lui si riducessi a ducati sessantamila; terzo,
per alleggerire e' sudditi loro che dove stanziavano le genti del conte Iacopo pativano
disagi e danni innumerabili. |
A Milano ed a Firenze dispiacque assai questa cosa, dubitando che el conte Iacopo, per
essere soldato di riputazione ed a chi facilmente tutti e' cassi e sviati farebbono capo,
non suscitassi qualche movimento in Italia, e forse per ordine occulto de' viniziani, e
cosí si raccendessi la guerra passata, e massime che in quegli dí morí papa Niccola che
era stato autore della quiete universale e fu in suo luogo creato Calisto. E però el duca
e la città feciono grande instanzia per imbasciadori, che e' viniziani lo sopratenessino
almeno tanto tempo che le cose di Italia fussino un poco piú assodate. Non vollono e'
viniziani farne nulla; e però partitosi de' terreni loro, stando Italia sospesa di quello
avessi a fare, roppe guerra a' sanesi sotto pretesto di conti vecchi avevano col padre
Niccolò Piccinino; ma risentendosene e' signori della lega e massime el papa ed el duca
Francesco che mandorono gran numero di gente in soccorso de' sanesi, fu tanto stretto che
per non avere luogo dove ridursi era necessario si spacciassi; se non che el re Alfonso,
mandatogli alcune galee, lo ridusse salvo con le sue gente nel reame, di che si vedde che
quel che aveva fatto era stato di consentimento del re, el quale era inquietissimo e non
poteva vivere in pace. Seguitò poi che el re roppe guerra a' genovesi e mandò, credo, el
conte Iacopo in Romagna a' danni de' Malatesti che a sua contemplazione erano fuori della
lega universale. |
Ne' quali tempi trovandosi ancora e' sanesi in molta disunione e faccendosi ogni dí
fuorusciti, la città stava in gran sospetto e paura del re, che ancora teneva le mani ne'
casi di Piombino, dubitando che se acquistava la oportunità di alcuno di quegli luoghi,
sendo naturalmente tanto ambizioso ed inquieto, questa vicinità non mettessi la città in
qualche grave pericolo. Aggiugnevasi che nella città era disunione grande e molti
malcontenti e cupidi di cose nuove; di che el governo presente non era gagliardo come
soleva, anzi pareva indebolito, e però e' cittadini dello stato si risolvevano, per
ovviare a' pericoli e sicurare lo stato, che come avessino uno gonfaloniere di giustizia a
loro proposito, fussi da purgare la città di umori cattivi. A Cosimo non pareva, ed
ancora Neri, che poco poi morí, era di medesima opinione, giudicando forse che rispetto
agli andamenti del re ed e' sospetti di fuora, non fussi bene accrescere travagli alla
città. E stando le cose in questi termini, nel 1457 el re, che era tutto vòlto alla
espugnazione di Genova, si morí, lasciato el regno a don Ferrando suo unico figliuolo non
legittimo, di che posati e' tumulti e pericoli di fuora, Cosimo si risentí e volse lo
animo a assicurare lo stato; e però sendo nel 58 gonfaloniere di giustizia Luca Pitti,
sonorono a parlamento, e ristretta la autorità ed el governo della città a loro
proposito e riformato el reggimento, confinorono ed ammunirono un numero grande di
cittadini, in modo che Cosimo e gli aderenti sua rimasono al tutto e sicuramente padroni
del governo; e Luca Pitti, che fu poi fatto cavaliere dal popolo, ne acquistò tale
riputazione e credito, che doppo Cosimo era assolutamente el primo cittadino di Firenze. |
Morí nel medesimo anno 1458 papa Calisto, e fu eletto in suo luogo papa Pio, chiamato
prima Enea de' Piccuolomini da Siena, el quale confermò nel regno di Napoli don Ferrando
e fece parentado con lui, conciosiaché el re per ottenere le bolle del reame dette una
sua figliuola non legittima per moglie a uno nipote del papa, e per dote el ducato di
Malfi. Ma poco poi Giovanni d'Angiò chiamato duca di Calavria, e figliuolo del re
Rinieri, pretendendo per le antiche differenzie fra gli angioini e ragonesi el reame
spettare a lui, partitosi da Genova dove era a governo pel re di Francia, con una grossa
armata venne nel reame, dove aveva intelligenzia col duca di Sessa cognato del re
Ferrando, col principe di Taranto e con molti altri signori e baroni del regno, di che
seguitò molte ribellioni contro al re, e poco di poi el conte Iacopo che era per lui in
Romagna, avendo cattivi pagamenti, s'accordò co' franzesi con grandi partiti e vantaggi,
e passò nel reame a' favori loro. Di che el re vedendosi oppresso, ricorse a dimandare
aiuto a' potentati di Italia, pretendendo che per la lega fatta a Napoli e' fussino
obligati; da altra parte e' franzesi facevono grande instanzia che el duca Giovanni fussi
favorito; el papa ed el duca Francesco dettono aiuto al re Ferrando; e' viniziani stettono
neutrali. Cosí parve a Cosimo ed a' piú savi che la città dovessi starsi a vedere, e
tenere e' panni a chi voleva annegarsi, e non mettere pe' casi di altri lo stato suo a
pericolo; e massime che per avere el re Alfonso dato nel 54 aiuto al conte Iacopo quando
fece impresa contro a' sanesi, si poteva largamente dire avessi contrafatto alla lega, e
cosí essere finiti li oblighi avevono gli altri per vigore della lega seco. |
Lo effetto di questa guerra fu che avendo avuto el re Ferrando una gran rotta al Sarno
colla morte di Simonetto suo primo condottiere, si fece giudicio avessi in brieve a
perdere lo stato, e cosí era sanza riparo, se dalla parte del duca Giovanni si fussi con
prestezza usata la vittoria. Ma e' principi del reame che erano seco o per fraude per
mantenere piú la guerra, o per la buona sorte dei re don Ferrando, che non gli lasciò
cognoscere le occasione, furono tanto lenti che ebbe tempo a ripigliare le forze e,
sopravenendo aiuti da Roma e da Milano, farsi di nuovo forte alla campagna. E finalmente
feciono una altra volta fatti d'arme, dove el duca di Calavria fu rotto, ed el re seguitò
in modo la vittoria che fu constretto lasciare el reame ed e' principi amici suoi in
preda, e' quali in breve tempo si accordorono col re el meglio potettono, ed el conte
Iacopo si patteggiò uscire del reame per mezzo del duca di Milano, ed andonne a Milano a
consumare el matrimonio con madonna Drusiana sua donna, che era figliuola bastarda del
duca Francesco. |
Morí circa a detto tempo, cioè nell'anno 146[4], Cosimo de' Medici, che era stato
molti anni in casa amalato di gotte e nondimeno non aveva mai intermesso el governare la
città. Lasciò alla morte non gli fussino fatte esequie suntuose, e cosí si seguí, ma
furongli dati tutti quegli onori che può una città libera dare a uno suo cittadino, ed
intra gli altri fu per publico decreto chiamato padre della patria. Fu tenuto uomo
prudentissimo, fu ricchissimo piú che alcuno privato, di chi s'avessi notizia in quella
età, fu liberalissimo, massime nello edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la
casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia di Fiesole, el convento di San Marco,
Careggio, fuori della patria sua in molti luoghi, eziandio in Ierusalem, ed erano gli
edifici sua non solo ricchissimi e di grande spesa, ma fatti ancora con somma
intelligenzia; e per lo stato grande, ché fu circa a trenta anni capo della città, per
la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse
dalla declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva avuta mai
tanta. E in tutte queste cose viveva in casa come privato e civilmente, tenendo conto
ancora delle possessione, che n'aveva infinite, e delle mercatantíe, nelle quali ebbe
tanto successo, che non fu uomo che si impacciassi seco, o come compagno o come
governatore, che non ne arricchissi. |
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II |
GOVERNO DI PIERO DI COSIMO (1464-1469). |
Morto Cosimo, rimase capo dello stato Piero' suo figliuolo, el quale non ebbe quella
prudenzia e laudabili parte aveva avuto el padre; nondimeno fu di buona natura e
clementissimo, ed ebbono apresso a lui buono essere e' cittadini dello stato, perché
oltre alla buona natura, sendo lui molto impedito e quasi perduto di gotte, si lasciava
quasi governare; di che alcuni usurporono tanta autorità, che furono per tòrgli lo
stato, come di sotto si dirà. |
Morí etiam in quel tempo, nel 1464, papa Pio, e fu eletto in luogo suo Pagolo, di
nazione veneto, di casa Barbo, che si dimostrò nel principio molto favorevole ed
affezionato alle cose della città. La quale buona disposizione fu per interrompersi,
perché, sendo morto in levante contro a' turchi el cardinale camarlingo e patriarca di
Aquileia, el quale era ricchissimo ed aveva in Firenze grandissima somma di gioie, danari
ed altro mobile, ed avendo lasciato per testamento queste sua facultà a certi degli
Scarampi, de' quali era uno genero di Luigi Pitti fratello di messer Luca, e volendo el
papa questo tesoro come cosa ecclesiastica, la potenzia di messer Luca era tale che per
beneficio di questo suo parente non lasciava farne quella risoluzione si conveniva; di che
adirandosi el papa molto forte, pure finalmente si deliberò se gli dessino queste robe, e
cosí si fece con sua grande satisfazione. |
In questo tempo el conte Iacopo Piccinino per opera del duca Francesco suo suocero si
riconciliò col re Ferrando e ricondussesi a' soldi sua, ed avendo da lui danari,
deliberò da Milano, dove era transferirsi nel reame a visitare el re e fargli capace
volere essere suo buono servidore, come e lui ed el padre erano stati di suo padre. Venne
adunche a Napoli e fu ricevuto dal re con tanto onore e tanta dimostrazione di
benivolenzia che non si sarebbe piú potuto esprimere, ed ogni dí stava seco qualche ora
a segreto parlamento; nondimeno quando volle partire, avendo preso buona licenzia dal re,
fu ritenuto ed incarcerato insieme con el conte Broccardo suo cancelliere, e pochi dí poi
fu morto in prigione. Mostrò el duca Francesco tal cosa dispiacergli assai dolendosi che
el conte fussi stato tradito quasi sotto la sua fede e sue braccia; ed essendo madonna
Ipolita sua figliuola a Siena, che n'andava a Napoli a marito a Alfonso duca di Calavria
primogenito del re, ed in sua compagnia don Federigo figliuolo del re, gli comandò si
fermassi quivi insino a tanto avessi altra risoluzione da lui; ed in effetto fece cenni di
avere voglia che el parentado non andassi innanzi. La qual cosa dispiacque assai alla
città, perché desideravano si conservassi questa unione fra 'l re e duca per commune
beneficio; e però s'affaticorono molto e publicamente ed in privato alcuni cittadini suoi
familiari in persuadergli non volessi dividere tale amicizia, che portava tanta sicurtà
ed a sé ed agli amici sua; e cosí si fece in effetto. Molti credono che el duca,
parendogli che el conte Iacopo fussi di troppa riputazione nelle arme, ed inoltre, per la
memoria di Niccolò Piccinino suo padre, molto amato dal popolo di Milano, acconsentissi
farlo male capitare per le mani del re; nondimeno a me non è manifesta la verità, e chi
fa questo giudicio, lo fa per conietture e non per certezza, perché se una tale cosa fu,
è da credere si trattassi segretissimamente e nelle conietture è molto facile lo
ingannarsi; e massime che chi io crede non si muove per altro, se non perché questa
morte, per le cagione sopradette, fu riputata utile al duca; pure può essere stato vero,
ed io per me non ne fo giudicio in parte alcuna. |
Cominciorono in questi tempi medesimi a scoprirsi nuove divisione nella città, che
furono massime causate dalla ambizione di messer Dietisalvi di Nerone; el quale, sendo
uomo astutissimo ricchissimo e di grande credito, non contento allo stato e riputazione
grande aveva, si congiunse con messer Agnolo Acciaiuoli, uomo anche egli di grande
autorità, disegnando volere tôrre lo stato a Piero di Cosimo. E parendo loro che messer
Luca Pitti, pel seguito aveva, fussi buono instrumento, entratigli sotto, gli persuasono
farlo capo della città, disposti però fra loro, secondo si dice, sbattuto che avessino
Piero, tôrre anche lo stato a messer Luca; il che giudicavano facile per non essere lui
uomo che valessi. E per dare principio a questi disegni, messono innanzi che le borse si
serrassino, cioè che la signoria ed e' magistrati si traessino a sorte e non per
elezione, il che fu consentito da Piero, perché la cosa piaceva tanto al popolo, che come
era proposta, chi non l'avessi consentita s'arebbe tirato addosso troppo carico. Sendo di
poi tratto gonfaloniere di giustizia Niccolò Soderini che era de' loro seguaci, tentorono
levare via el consiglio del Cento, che disponeva di tutte le cose importante della città.
A che Piero e gli amici sua che ne erano massime capi messer Tommaso Soderini, messer
Luigi ed Iacopo Guicciardini messer Antonio Ridolfi messer Otto Niccolini ed altri simili,
si opposono alla scoperta e finalmente la impedirono. Tentoronsi ancora per questo
gonfaloniere molte altre cose contro allo stato di Piero, e stette la città, mentre che
durò quello magistrato, molto alterata, ma sendo uscito, parve le cose quietassino un
poco. |
Successe a fine di detto anno 1465 la morte del duca Francesco, e successe nello stato
Galeazzo suo primogenito, el quale, sendo in Francia a' favori del re Luigi che
guerreggiava co' baroni, udita la morte del padre, ne venne scognosciuto in poste. Questo
caso dispiacque assai alla città per la amicizia tenuta seco, e perché dubitava che,
sendo gli Sforzeschi nuovi in quello stato, non si facessi qualche alterazione, ed inoltre
che e' viniziani, che sempre avevano temuta la virtú e riputazione di quello duca morto
ora lui, non rompessino guerra a' figliuoli. E si consultò fussi bene fare ogni cosa per
conservare quello stato, donde molti anni si era tratta la sicurtà della città; e però
subito furno mandati imbasciadori a Milano messer Bernardo Giugni e messer Luigi
Guicciardini che, oltre al condolersi e le cerimonie offerissino tutte le forze della
città a' bisogni loro, vegghiassino tutti e' casi occorrenti e dessino aviso acciò che
si potessi provedere. Giunti a Milano, trovorono e' sudditi avere tutti data la
ubidienzia, ma lo stato in gran disordine di danari, e qualche sospetto di guerra da'
viniziani; e però furono richiesti scrivessino a Firenze, pregando fussino serviti in
prestanza di qualche somma di danari, pigliandone assegnamento in sulle piú vive entrate
avessino. |
A Firenze si messe in pratica questa dimanda e si concluse si servissino; e cosí si
rispose agli imbasciadori offerissino ducati quarantamila, e che subito si provederebbe a
fargli. E di poi trattandosi de' modi messer Luca, messer Agnolo e messer Dietisalvi,
parendo loro modo da fare perdere la riputazione grande aveva Piero con lo stato di
Milano, la cominciorono a impedire, in modo che non si potette mai fare conclusione di
pagargli, con grandissimo carico e vituperio della città. Di qui sendo gli animi ogni dí
piú gonfiati, e bisognando che questa quistione si terminassi con vittoria delle parte,
con tutto fussino ite atorno molte pratiche e simulazione di concordia e giuramenti e
obligazione di cittadini, sendo ito Piero a Careggi, disegnorono gli avversari sue nel
tornare di amazzarlo, e messono gente armata in Santo Antonio del Vescovo, donde Piero
soleva tornare; del quale luogo loro si valevano per essere arcivescovo di Firenze uno
fratello di messer Dietisalvi. Volle la buona fortune di Piero e di quella casa che nel
tornare non fece la via soleva, ma prese altra via; in modo si condusse salvo a Firenze.
Dove, crescendo ogni dí queste divisione e sendo la città tutto di piena di gente
armate, ed apparati grandi per l'una parte e l'altra di soccorsi esterni, finalmente,
sendo tratto gonfaloniere di giustizia Ruberto Lioni partigiano di Piero ed una signoria a
suo proposito, sendo impauriti gli avversari, messer Luca, persuaso cosí astutamente, si
riconciliò con Piero; in modo che si fece parlamento e furono confinati di Firenze messer
Agnolo Acciaiuoli ed e' figliuoli, messer Dietisalvi co' figliuoli e fratelli, e Niccolò
Soderini; e rassettossi in tutto lo stato a modo di Piero, el quale, non seguitando lo
stile di Cosimo suo padre, fu clementissimo in questo movimento, né patí si punissino
altro che quegli e' quali sanza pericolo grande non potevano rimanere impuniti. Messer
Luca rimase in Firenze, ma spennecchiato e senza stato e credito, e cosí patí pena
conveniente della stultizia sua, ché, avendo piú bello stato assai che non meritava, per
cercare farne un piú bello capitò male. |
La mutazione dello stato di Firenze partorí gran novità per Italia, perché fece
speranza a' viniziani che sendo la città alterata, non s'avessi opporre alle imprese
loro, sendo massime persuasi e sollecitati dagli usciti nostri, messer Dietisalvi e
Niccolò Soderini, e' quali transferitisi a Vinegia dimostravano quanto fussi facile
voltare lo stato di Firenze e rimettergli in casa, e che sendo poi questa città a' loro
propositi, nessuna impresa era difficile. Di che nacque una pratica fra 'l papa, e'
viniziani e Borso duca di Ferrara che era amico degli usciti, che Bartolomeo Coglione
capitano de' viniziani, finita la condotta sua che durava pochi mesi, come capitano di
venture si volgessi a' danni o del duca Galeazzo o nostri. Il che presentendosi a Firenze,
furno mandati imbasciadori a Vinegia messer Tommaso Soderini ed Iacopo Guicciardini, per
ritrarre, se era possibile, la mente loro circa alla quiete universale, e di poi andarne a
Milano a conferire con quello signore e pensare, se accadeva, a rimedi oportuni per la
salute commune. Vennono a Vinegia, e ricevuti molto onorevolmente, e cosí per tutto el
loro dominio, ritrassono parole ottime in generali, ma in particulare non potettono avere
cosa alcuna per la quale si potessino assicurare della mente loro; andoronne a Milano, e
quivi consultato quello fussi da fare, in capo di pochi giorni se ne vennono a Firenze E
perché questi pericoli si disegnavano communi cosí al re Ferrando come al duca e noi, si
contrasse una lega particulare fra queste tre potenzie a difesa degli stati, e si
disegnorono gli apparati che s'avevano a fare per la salute di tutti. Ma riscaldandosi
ogni dí piú questa mossa di Bartolomeo da Bergamo, parendo alla città che e' signori
collegati procedessino a' provvedimenti molto lentamente, fu mandato messer Antonio
Ridolfi a Napoli e messer Luigi Guicciardini a Milano a sollecitare si dessi colore a'
disegni fatti, e si fece capitano di questa lega Federigo duca di Urbino, che subito colle
gente nostre, di che era capitano el signore Ruberto da Sanseverino, si ridusse in
Romagna. Dove fra pochi dí el signore Astore di Faenza soldato dalle lega, détte la
volta ed accordossi co' viniziani; Bologna ed Imola erano per la lega, Pesero pe'
viniziani, Rimino piú tosto neutrale che in altro modo |
Partí Bartolomeo de' terreni de' viniziani circa allo aprile e prese la volta di
Romagna per passare di quivi in Toscana e fare pruova voltare lo stato di Firenze; ed in
sua compagnia era messer Agnolo Acciaiuoli, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini. E come
fu inteso l'avviarsi delle sue gente, el duca Galeazzo prese anche egli con buone gente la
volta di Romagna per congiugnersi col duca di Urbino; fra' quali era duemila cavalli a'
soldi nostri, perché di principio abondando al duca gente, ma mancandogli danari da
metterle tutte in ordine, e la città non avendo gente abastanza si soldò duemila cavalli
di quegli di Milano e cosí si sopplí a' bisogni l'uno dell'altro. Venne ancora in
Romagna don Alfonso di Davoles condottiere del re, e si congiunse col duca di Urbino, in
modo che el campo nostro stava in campagna a petto di Bartolomeo Coglione; e finalmente,
sendo venuto el duca Galeazzo in Firenze, ed alloggiato in casa Piero di Cosimo, si fece
un bello fatto di arme alla Mulinella, e benché non vi fussi vittoria notabile, pure el
vantaggio fu della lega. E pochi dí poi, ingrossando el campo nostro per gente
sopravenute del reame, era la vittoria nelle mani; se non che el duca Galeazzo
fanciullescamente, credo per non avere danari da Firenze a suo modo, si partí di campo
con buona parte delle sue gente ed andossene a Milano. Di che sendo la cosa pareggiata,
ognuno si voltò a' pensieri della quiete, e fatta tregua a disdetta, pochi dí poi si
fermò questo tumulto; e Bartolomeo se ne tornò in quello de' viniziani, con effetto
della impresa non conveniente alla sua riputazione ed espettazione e' ebbe nel principio
di lui. |
Tornato Bartolomeo in Lombardia, la città si posò circa uno anno; di poi nel 1469
pretendendo papa Paulo che Rimino, che era nelle mani di Ruberto Malatesta figliuolo
bastardo del signore Gismondo, fussi devoluto alla sedia apostolica ed infestando Ruberto
con editti e censure e preparandosi alle arme, la lega, dubitando che lui disperato non si
gittassi nelle mani de' viniziani, co' quali era in pratica, lo tolse a soldo e preselo in
protezione contro a qualunque lo volessi offendere. Di che el papa forte sdegnato, ed
avendo da' viniziani promesse di favore, ed anche credendo che la lega non avessi a essere
unite alla difesa, mandò el campo a Rimino. Fecesi gran consulta fra' signori collegati
circa al modo della difesa; e finalmente, non sendo in molta unione, conchiusono per
allora mandare aiuti a Ruberto di qualità che non lasciassino gli inimici espugnare la
città, e mandare imbasciadori a Roma a giustificarsi col papa di avere preso Rimino in
protezione, non per fare contro alla Chiesa, ma perché non venissi in mano de' viniziani,
usati a occupare le cose ecclesiastiche; avere fatta la lega e presa la protezione per
conservare la pace di Italia, ed a questo effetto pregarlo fussi contento levare el campo
da Arimino, promettendogli si troverrebbe modo a comporre poi queste differenzie e che
Ruberto non mancherebbe delle debite reverenzie verso quella sedia, e quando non volessi
farlo, protestargli che per conservare la pace di Italia e la fede data a Ruberto, lo
difenderebbono in tutti quegli modi fusse possibile, offendendo etiam in qualunque luogo
chi offendeva lui. Mandò la città a questo effetto, insieme cogli oratori ducali, a Roma
messer Otto Niccolini ed Iacopo Guicciardini, ed in questo mezzo strignendosi lo assedio,
el re fece passare el Tronto al duca di Calavria. acciò che don Alonso suo condottiere si
potessi sicuramente congiugnere col conte di Urbino, a chi questo soccorso era molto a
cuore perché temeva la potenzia della Chiesa, e cosí vi si spinse per la città el
signore Ruberto e qualche gente pel duca, ma poche, ché andava freddo a questa impresa,
ed accostandosi l'uno esercito all'altro, si fece finalmente fatto di arme, dove el conte
di Urbino roppe el campo della chiesa. |
Mostrò el papa in pricipio buono animo, di poi mancandogli sotto le promesse e favori
de' viniziani, cominciò pure a volgersi alla pace; e perché nella lega non era unione
per convenirsi in quello s'aveva a fare, si fece una dieta a Firenze, dove furono
imbasciadori pel re e pel duca, e finalmente, non si faccendo alcuna buona conclusione e
sendo disparere fra el duca e re, si ridusse la pratica della pace a Napoli dove per la
città andò messer Otto Niccolini. Furonvi e' trattati vari, e fu opinione che el re
s'avessi a collegare co' viniziani; ma finalmente doppo molte pratiche l'anno 1470 si
rinnovò la lega fra re, duca e noi, con certi capitoli risguardanti alla pace e lega
generale di tutta Italia, come di sotto si dirà. |
Innanzi si conchiudessi la pace e nell'anno 1469 di dicembre, morí in Firenze Piero
di Cosimo de' Medici; la morte del quale dolse assai alla città rispetto alla sua facile
e clemente natura e tutta volta al bene, come massime mostrò la novità del 66, nella
quale non puní piú oltre che si patissi la necessità e piú ancora che non era la
voluntà sua, costretto da molti cittadini dello stato. Lasciò due figliuoli, Lorenzo e
Giuliano, de' quali Lorenzo, che era el maggiore, era di età di anni venti o ventuno, e
benché molti stimassino cosí nella città come fuora, che la sua morte avessi a
partorire rivoluzione, nondimeno la sera morí, o vero la sera seguente, si ristrinsono in
Santo Antonio piú di seicento cittadini, el fiore della città, e feciono conclusione di
mantenere e la unione e lo stato presente e conservare grandi e' figliuoli di Piero; e
cosí concorse tutta la città, affaticandosene massime messer Tommaso Soderini che aveva
allora piú riputazione che altro cittadino e forse era el piú savio. El quale però si
persuase che per essere Lorenzo giovane ed avere quasi a ricognoscere in tutto da lui,
l'avessi a governare; il che di poi non gli riuscí. E per dare riputazione allo stato e
mostrare la unione della città, richiedendolo anche e' tempi che correvano rispetto al
non essere conclusa la pace, si ordinò e vinse prestamente in tutti e' consigli una
provisione di trecentomila ducati. e cosí in effetto si continuò lo stato per
successione in Lorenzo de' Medici, el quale lo governò insino alla morte sua con quelle
virtú e successi che di sotto si diranno. |
|
III |
PRIMI ANNI DEL GOVERNO Dl LORENZO DE' MEDICI |
(1474-1476). |
Conclusesi, come di sopra, nel 1470, la lega fra 'l re, duca e fiorentini con uno
capitolo che ciascuna di queste tre potenzie avessi insieme a mandare imbasciadori al
sommo pontefice a supplicarlo la benedissi e vi entrassi drento, e cosí facessi una lega
generale di tutta Italia, con quelle condizioni si era fatta a tempo di papa Niccola nel
55; riservando però la lega particulare contratta a Napoli, alla quale per questa
generale non s'avessi a pregiudicare in alcuno modo. |
La cagione di questo capitolo fu, perché avendo el Gran turco tolto Negroponte e
molti altri luoghi a' viniziani e continuando tuttavia con loro la guerra, pareva al re
Ferrando che lo stato suo fussi in gravissimo pericolo per avere molti luoghi e marine,
ne' quali el turco poteva facilmente fargli danno, e per questo rispetto desiderava assai
congiugnersi e collegarsi co' viniziani, acciò che insieme potessino pensare e provedere
a' pericoli communi; ed arebbelo fatto da se medesimo, ma gli pareva che non concorrendo
el duca e' fiorentini in questa coniunzione, né e' viniziani né lui rimanessino in modo
sicuri delle cose d'ltalia, che potessino attendere espeditamente alle cose del turco.
Inoltre pensò che ristringendosi col duca e' fiorentini e poi faccendo lega generale co'
viniziani, non solo trarrebbe de' viniziani quello frutto disegnava, ma eziandio sarebbe
facile cosa in tanto suo pericolo trarre qualche sussidio da tutta Italia contro al turco,
e però saviamente condusse questa lega particulare, inserendovi nondimeno el predetto
capitulo della generale. E per dargli esecuzione mandorono communemente imbasciadori a
Roma per praticare questa materia, dove per la città fu deputato messer Otto Niccolini e
Pierfrancesco de' Medici, ma pochi dí poi, morendo messer Otto, vi fu mandato in suo
luogo Iacopo Guicciardini. |
La conclusione di questa pratica ebbe in sé molte difficultà, e passò con piú
lunghezza di tempo non si stimava, perché la lega voleva a ogni modo si riservassi la sua
particulare ed el papa non lo negava, ma diceva volere si facessi in modo vi fussi drento
la conservazione dello onore suo, ed in ogni modo gli era proposto, faceva difficultà; ed
era la cagione vera che questa conclusione non gli piaceva, perché gli pareva sendo
quietata Italia essere necessitato fare impresa contro al turco, il che faceva male
volentieri per non spendere; dove non si conchiudendo questa lega, gli pareva avere scusa
con dire fussi di bisogno prima pacificare Italia. |
Dalla parte della lega era ancora difficultà nel duca di Milano, che male volentieri
ci si conduceva; pure finalmente fu tanta la volontà del re che si facessi questa
conclusione, e cosí de' viniziani, che el duca, per non rompere col re, ed el papa per
non rimanere solo in Italia, vi condescesono. E cosí si concluse una lega generale di
tutta Italia, con riservazione della lega particulare del re Ferrando, duca Galeazzo e
fiorentini; e cominciossi a praticare di uno sussidio universale contra el turco,
faccendone massime grandissima instanzia el re Ferrando, alla quale pratica, per essere
Pierfrancesco tornato a Firenze, rimase solo Iacopo Guicciardini. |
Ma come avviene che quelle cose che si fanno a male in corpo per ogni piccola
difficultà si impediscono, cosí intervenne che, nata differenzia nel distendere le
scritture per certe parole che volevono si aggiugnessino gli oratori ducali, non però di
molta importanza, ed el papa non le consentiva, lo effetto fu che el duca non ratificò a
questa lega; e benché la ratificazione de' fiorentini fussi venuta, pure lo oratore loro
non soscrisse le scritture e cosí el cancelliere suo che ne era rogato; perché cosí fu
la intenzione di chi governava a Firenze, per non si spiccare dal duca, non però con
determinazione publica, per non dare tanto carico a chi aveva lo stato; e cosí in effetto
le cose rimasono pendente. |
In questo tempo ed anno 1470, Lorenzo de' Medici cominciò in Firenze a pigliare piede
perché faccendosi gli accopiatori, che avevano a creare la signoria, pel consiglio del
Cento, lo stato usava fare qualche intelligenzia particulare in compagnie di notte, e qui
disegnare chi avessi a essere fatto, e di poi con questo ordine, in questo e negli altri
magistrati, andare nel consiglio del Cento, el quale era solito a eseguire el disegno. Ma
cominciando qualche volta nel Cento a variare le elezione de' disegni dati, Lorenzo e gli
amici suoi cominciorono a dubitare che non variassi un tratto negli accopiatori, di che
sarebbe facilmente seguita la alterazione dello stato. Di che fatto prima molti consigli
in privato, si risolverono che si dessi autorità per cinque anni alla signoria che
sedessi di luglio e agosto, che, insieme cogli accopiatori che sedevano, facessino gli
accopiatori nuovi; e deliberato questo, subito la signoria, che ne era gonfaloniere messer
Agnolo della Stufa, sonato a collegio e a Cento e ragunatogli, la mattina innanzi
uscissino dette perfezione a questa provisione. Di che lo stato si assicurò, e Lorenzo ne
acquistò grandissima riputazione e forze; in modo che cominciando a pigliare piè, dette
principio a volere essere arbitro della città lui ed a non si lasciare governare da
altri, ma piú tosto avere cura non si facessino troppo grandi messer Tommaso e gli altri
che avevono riputazione e seguito di parentado. E benché non mancassi loro, e nelle
legazione ed in tutti gli onori e primi magistrati della città, nondimeno gli riteneva
indrieto, non gli lasciando qualche volta tirare le imprese facevano, e dando favore a
quegli uomini de' quali non gli pareva potere temere, per essere spogliati di parenti e
credito, come fu in quel tempo uno messer Bernardo Buongirolami, uno Antonio di Puccio, e
di poi qualche anno uno messer Agnolo Niccolini, uno Bernardo del Nero, uno Pierfilippo
Pandolfini e simili; usando etiam di dire che se suo padre avessi fatto cosí, e sforzati
un poco messer Luca, messer Dietisalvi, messer Agnolo Acciaiuoli e simili, non sarebbe nel
66 ito a pericolo di perdere lo stato. |
Sendosi le cose di Italia un poco quietate, seguitò la morte di papa Paolo, in luogo
di chi fu eletto Francesco cardinale di San Pietro in Vincula di nazione saonese, e che
era uno de' frati minori e di poi generale di quello ordine, e fu ordinato tosto, el quale
sendo eletto di poco, nacque nova alterazione nel dominio nostro. E questo è che sendo in
quello di Volterra le allumiere che erano del commune di Volterra, o desiderando Lorenzo
di ottenerle per sé, e rinculando e' volterrani, Lorenzo, parendogli che se la impresa
non riusciva, intaccare la sua riputazione, e però deliberato di averne onore, cominciò
a strignergli in modo che, benché io non sappia bene a punto el particulare loro, si
sdegnarono e nato ombra e sospetto, e loro non essendo ubbidienti in tutto alla signoria,
finalmente lo effetto fu che nel 1472 e' volterrani, prese le arme e cominciato a non
ubbidire a' rettori nostri, si ribellorono. |
A Firenze fu dubio assai che o e' viniziani o el re Ferrando, all'uno e l'altro di chi
ed etiam quasi a tutta Italia, eccetto che al duca Galeazzo, e' volterrani avevano mandati
imbasciadori a darsi, non tenessino acceso questo fuoco; e fecesi risoluzione vedere di
spegnerlo con ogni forza e prestezza. E però si dette intorno a questa guerra la balía a
venti cittadini, e' primi della città; e' quali, sopravenendo poi massime avisi che non
solo el duca, ma etiam el re ed el papa erano vòlti a dare ogni favore perché questo
incendio si quietassi, mandorono per commessario generale Iacopo Guicciardini, che, unita
la gente nostra, attendessi a recuperare el contado, tanto che ne venissi el duca di
Urbino eletto capitano per questa impresa, per chi avevano mandato a Urbino messer
Bongianni Gianfigliazzi. |
Riebbesi el contado in uno subito e sanza colpo di spada, e poco di poi sopravenne el
duca, ed a messer Bongianni fu comandato restassi in campo commessario insieme con Iacopo;
e sanza dilazione di tempo si messe campo alla città, mettendo el duca di Urbino ogni
industria e adoperando ogni virtú militare per espugnarla. Di che e' volterrani vedendosi
stretti e sanza speranza di soccorso di fuora ed in effetto sanza alcuno rimedio, si
arrenderono, salvo l'avere e le persone. Ma nello pigliare la possessione della terra
nacque tanto tumulto per opera, come si crede, del duca di Urbino, che sanza riparo alcuno
la città andò a sacco, benché e' commessari usassino ogni possibile diligenzia che
questo non seguissi, e molto dispiacessi alla città nostra, la quale desiderava riavere
quella terra intera e ricca come era innanzi alla ribellione. Fu bene opinione di molti e
massime de' volterrani che questo fussi stato per ordine publico; nondimeno è falso e non
potette la città perturbarsi piú di tale accidente. |
Seguitò l'anno 1474 nel quale si fece nuove congiunzione e intelligenzie in Italia;
perché essendo papa Sisto molto amico del re Ferrando, ed eziandio el conte di Urbino
sendosi dato in anima e corpo al re, e lui con questi mezzi e favori volessi essere
arbitro di Italia, sdegnandosene el duca di Milano e gli altri potentati, si contrasse una
lega a difesa degli stati fra 'l duca viniziani e fiorentini; dove di poi entrò, non come
aderente e nominato, ma come principale, Ercole duca di Ferrara. E cominciò el duca a
ristrignersi ed intendersi molto con viniziani e fare segni grandissimi di amore e
benivolenzia, faccendo onori supremi agli imbasciadori loro, cedendo loro la precedenzia,
di che a Roma ed in tutti e' luoghi di Italia avevano gli oratori loro avuto infinite
volte questione, dando loro sussidi nella guerra avevano contro al turco; e cosí ebbono
dalla città l'anno 1475 ducati quindicimila in dono per armarne galee. |
Al papa ed al re dispiacque assai questa lega; e però lui ed el duca di Urbino
vennono personalmente a Roma, solo per pensare modi da interrompere questa unione; e
feciono risoluzione che el vero modo fussi che el papa praticassi una lega generale di
tutta Italia ne' modi si era fatto a tempo di Niccola e poi di Paolo, mostrando farlo per
volere pensare alla difesa della religione contro al turco. E fu la opinione loro che e'
viniziani l'avessino a accettare facilmente per trarre sussidi contro a' turchi, da' quali
erano molto oppressati, e stando questo, se el duca ed e' fiorentini non ci volessino
concorrere, sarebbe rotta la unione loro; concorrendoci col fare questa lega generale
sarebbe dissolute la particulare. |
Fu cognosciuta da' signori collegati questa arte; e però, mandando imbasciadori
unitamente a Roma con ordine non si separassino mai l'uno dall'altro, ma che
intervenissino a ogni pratica ed audienzia o col papa o alcuno cardinale, communemente si
rispondessi essere contenti di fare la lega generale con riservo nondimeno della
particulare. La quale risposta non piacendo al papa e re, si roppe questa pratica e pochi
mesi poi si rappiccò, tendendo el papa e re pure al fine di rompere la particulare. El
quale disegno diventava loro ogni dí piú facile, per avere e' viniziani uno ardentissimo
desiderio che e' principi cristiani concorressino alla impresa contro al turco, e d'altra
parte sendo el duca di Milano molto alieno, perché gli pareva, stando e' viniziani in
guerra, avere da non temere di loro, dove, quando fussino in pace, non gli pareva essere
cosí sicuro del suo stato. Di che fra e' viniziani ed el duca cominciò a nascere qualche
ombra, in modo che el duca fu talvolta in disposizione, ed etiam ne tenne pratica, di
riunirsi e collegarsi col re; la qual cosa non messe però a effetto, forse presentendo
che la città non vi sarebbe concorsa, per dispiacergli volubilità e mutazione tanto
spesse. |
Seguitò di poi per principio di cose e movimenti grandissimi la morte del duca
Galeazzo, el quale nel 1476 a dí 26 di dicembre, el dí di santo Stefano, fu morto in
Milano da Giovanni Andrea da Lampognano; e perché era rimasto di lui uno piccolo
figliuolo chiamato Giovan Galeazzo, si dubitò assai che e' popoli sudditi non facessino
qualche movimento, il che sarebbe dispiaciuto assai alla città, rispetto alla amicizia e
congiunzione tenuta tanto tempo con quella casa, e per la sicurtà e riputazione ne traeva
lo stato nostro in ogni occorrenzia. Furono adunche subito deputati imbasciadori a Milano
messer Tommaso Soderini e messer Luigi Guicciardini, e' quali, andati con somma prestezza,
trovorono le cose in buona disposizione e si adoperorono assai a confermarle ed
assicurarle per la via buona. E lo effetto fu che lo stato rimase a madonna Bona, state
moglie del duca Galeazzo, che lo conservassi e guardassi pel figliuolo; e volsesi el
governo di tutto alle mani di messer Cecco Simonetta, el quale sendo di Calavria, di vile
condizione, era stato cancelliere e secretario del duca Francesco, in gran conto, e di poi
in somma riputazione apresso el duca Galeazzo, ed ultimamente gli dette la fortune, sotto
madonna Bona, libera ed assoluta potestà ed amministrazione di tutto quello dominio.
Fecesi alcuno appuntamento tra madonna e monsignor Ascanio cardinale e Lodovico Sforza
duca di Bari, fratelli del duca Galeazzo; ed assettate queste cose, parendo fussi
superfluo tenervi due oratori, fu messer Lulgi rivocato a Firenze, e messer Tommaso rimase
in quella legazione, onorevolissima per la coniunzione era tra l'uno e l'altro stato, e
consequenter per la fede potenzia ed autorità vi aveva uno imbasciadore fiorentino, e
massime qualificato come lui. |
Seguitò poi tumulto in quello stato, perché el signor Lodovico e monsignore Ascanio
cercavano cose nuove per applicarsi quello governo, e con loro si intendeva el signore
Ruberto da Sanseverino; di che venuti in sospetto lo effetto fu che el signore Lodovico fu
confinato a Pisa, Ascanio a Roma, ed el signore Ruberto cacciato dal territorio. Il che si
fece con consenso e participazione della città e stato nostro che non cercava altro che
la conservazione di quello dominio ne' figliuoli del duca Galeazzo e favoriva el governo
in madonna Bona e l'autorità in messer Cecco. E se la città nostra si fussi mantenuta in
pace e quiete, sanza dubio si conservava ma e' movimenti della città nostra de' quali ora
si dirà, furono cagione di molte alterazioni, dissensioni e movimenti in tutta Italia. |
In questo tempo essendo morto uno marchese Spinetta, signore di Fivizzano e di molte
altre castella, sanza eredi, quegli uomini si dettono a' fiorentini, e vi furono mandati a
pigliarne la possessione ed ordinare quello stato, che era di importanza perché
assicurava le cose nostre da quella banda messer Antonio Ridolfi ed Iacopo Guicciardini. |
|
|
IV |
LA CONGIURA DEI PAZZI (1478). |
La città di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo
de' Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero
di cittadini nobili e prudenti ne' quali si distribuivano gli onori della città e si
trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio
e parere contro alla voluntà degli altri e teneva precipua cura che nella città non si
facessi alcuno sí potente che lui avessi cagione da temerne. |
Era allora in Firenze la famiglia de' Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della
città, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo e di qui era in grande riputazione in
molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado grande ed
uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto
molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una
città libera non possono comportare; pure la nobilità, el parentado, le ricchezze ed el
distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era
messer Iacopo uomo d'assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di
giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa
concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti, fra' quali
uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato, tenuto uomo savio e di
piú cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del solito della famiglia, benvoluto
dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo, figliuolo di Antonio, aveva per donna una
figliuola di Piero di Cosimo, e cosí veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era,
chiamato Francesco, pure figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto
animoso ed ambizioso, stavasi a Roma el piú del tempo e teneva amicizia grandissima con
quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto ed a chi el papa aveva
dato Imola e Furlí. |
Pareva a Lorenzo de' Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che
si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori
e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello grado si sarebbe
convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione,
a crescere e' sospetti, e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal
conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall'uno e l'altro. Il che era nato, perché
quando Sisto fu fatto papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, desideroso che la città
comperassi Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari
da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da' Pazzi che
erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che non la potendo
comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo promessono, e poco di poi
servirono el papa per questa compera di ducati trentamila e rivelorono a lui ed al conte
Girolamo la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la
depositeria che gli era di grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de' Pazzi, e
caricògli, avendo presa onesta, che per opera loro la città non avessi avuto Imola. Ed
in effetto augmentandosi ogni di piú questo umore maligno, e Lorenzo pensando
continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare una legge
disponente delle eredità ab intestato, per vigore della quale e' furono privati di una
eredità d'una donna de' Borromei che, secondo la interpretazione di una legge antiqua,
aparteneva loro. |
Concepéronne di questo e' Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per
essere di statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo
stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tôrre lo stato a Lorenzo,
persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissimo, come fussi morto papa Sisto, lo
perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna. Aggiunsesi a questo trattato
messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el quale, quando era in minoribus sendo
vacato lo arcivescovado fiorentino l'arebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che
Lorenzo colla autorità publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo
Orsini cognato suo, e di poi vacando quello di Pisa ed avendolo impetrato dal papa, e
dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la possessione, e
per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo. |
Costoro praticando insieme e' modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere
guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed
inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma
che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo
disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto
Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro,
credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a
seguitare. Faceva in questa conclusione difficultà Giuliano fratello di Lorenzo perché a
amazzarlo insieme con Lorenzo era tanto piú difficile, e rimanendo lui non era fatto
nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e' cittadini
dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme e seguirebbenlo.
Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi fuora della città, e tanto piú
quanto credettono avessi a essere presto perché era voce che Giuliano toglieva per donna
una figliuola del signore di Piombino, e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi
andare a Piombino a vederla. Di poi, non succedendo questo parentado, stettono in
espettazione che Lorenzo, come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno
mentre era in Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche
di poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti non
venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare piú e amazzargli tutt'a dua
col modo ed ordine che di sotto si dirà. |
Concorreva in questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santità del papa ne
era conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el
trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo
confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo stato di
Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si persuadeva, mettendo uno
stato nuovo in Firenze aversi a valere di quella città a modo suo, e di poi rispetto alla
potenzia ed autorità sua, a quello si poteva promettere del papa, alla oportunità di
questa republica, avere a essere quasi arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el
duca Galeazzo, quale se fussi stato vivo, non sarebbe al re entrato in questi farnetichi.
Concorrevaci Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e
dedicato al re, aggiugnevasi la oportunità di Città di Castello, di che sotto governo
della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore di questa
pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer Nicolò Vitelli da
Castello suo avversario. |
Questi tanti favori non solo accesono l'arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed
inquieti, ma eziandio lo persuasono a messer Iacopo, el quale ci era stato un pezzo freddo
e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma perché piú maturamente
considerava quanto la cosa fussi pericolosa e difficile e quanto bello stato e ricchezza
e' mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed
essendosene lo arcivescovo, secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan
Francesco da Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne
andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el dí deputato con cavalli e
fanterie verso Firenze. |
Fatti questi preparamenti secondo e' disegni loro, partí da Pisa d'aprile 1478 el
cardinale di San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio,
non conscio per la età di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne a
alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de' Pazzi, di poi, innanzi che entrassi in
Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare al luogo suo, e fu el
consiglio de' congiurati dare quivi effetto a tanta opera, ma non eseguirno, rispetto che
Giuliano, sentendosi indisposto, non vi venne. Differirono adunche per [farla] a Firenze,
dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dí... a desinare con Lorenzo,
parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi
mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si
ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s'aveva a trovare Lorenzo e Giuliano. |
Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall'arcivescovo Salviato, da
Giovanni Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e
da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava la messa si
communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de' Pazzi che andava
per chiesa a braccia con Giuliano, l'assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano
cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro
interamente l'animo lo ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto
fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed
in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di
chi era a torno e de' preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato
non potessi essere morto. |
Mentre che queste cose si facevano in chiesa, l'arcivescovo, che poco innanzi si era
partito accompagnato da molti parenti ed amici de' quali la piú parte non sapeva nulla,
ed alcuni sui fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo, sotto colore di volere
visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine per montare a cavallo e, correndo
per la città, gridare "libertà" per sollevare el popolo. Non successe in
palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo fare violenzia, fu ributtato e
rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se medesimo, di che la signoria, veduto questo
tumulto, fece serrare le porte del palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da
ciascuno. Sopravenne intanto messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el
palagio; ma fu ributtato da' sassi che erano gittati da e' ballatoi. |
Era in questo mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno
fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e
difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme parte ne andò a
soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa.
El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto
molto brutto e contra ogni civiltà, massime in chiesa in dí solenne; e vedendo el
palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di là, e parendo che el volere occupare
el palagio fussi un volere occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra,
gridando "palle palle", ché tal segno ha l'arme de' Medici; in modo che sendo
el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici
di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria. |
Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu
impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello,
consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú
anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua
mala sorte l'aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli
perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu
preso Franceschino, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però
non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in
palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa
Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan
Batista da Montesecco; furono impiccati el dí piú di cinquanta, né credo mai Firenze
vedessi un dí di tanto travaglio. El dí sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non
sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu impiccato. Confessò che
poi si era fatta la legge sopra le eredità, aveva sempre avuto in animo farne simile
vendetta; dicono ancora disse che oltre agli altri favori e fondamenti in su' quali aveva
preso animo ed appoggiatosi, era stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si
confidava, e gli fu risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli
esaminatori, che doveva piú sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam
impiccato el dí medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di
messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessino pazienzia e
lasciassino fare al tempo, perché Lorenzo nelle mercatantie era in tanto disordine che in
pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed el credito era perduto lo stato,
dicendo: "diangli a cambio e' danari vuole, perché questi, benché con qualche
nostra perdita, lo aiuteranno fallire piú presto". Finalmente non giovando le sue
parole, e presentendo per conietture, perché da lui si guardavano, quello ordinassino di
fare, era, per non vi si trovare, itosene in villa, fu preso quivi e impiccato. Nocegli lo
essere tenuto savio ed avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile
a chi aveva lo stato levarselo dinanzi. |
Giovan Batista da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato
diligentemente, confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone
ed avere preso el carico di amazzare Lorenzo; e nondimeno quando si prese lo ordine per in
Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e ricusato farlo di che nacque
la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la cura, sendo uomo valente animoso ed
esercitato lo amazzava, fugli tagliato el capo. Fu el cardinale sostenuto molti dí per
avere una sicurtà in mano, acciò che el papa non facessi villania a' mercatanti nostri
erano in Roma; finalmente assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato
onorevolmente. Fuggirono ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt'a dua avevono assaltato
Lorenzo, e per piú sicurtà Bernardo ne andò in Turchia, donde l'anno seguente lo cavò
Lorenzo, e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo e rispetto al parentado e
prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a' confini. Furono presi
Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto fratelli di Renato, tutti
innocenti, e furono confinati in perpetuo nelle carcere di Volterra. Fu confiscata la roba
di tutti, levate le arme per la città, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia
mutassino, massime nelle cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e
sorelle de' morti e confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto
fu parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati in
perpetuo del territorio e cavati di carcere. |
Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli
dette tanta riputazione ed utilità, che quello dí si può chiamare per lui felicissimo:
morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba e lo stato messo
in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi braccio publico gli inimici sua e
quanta ombra e sospetto aveva nella città; el popolo prese le arme per lui e, dubitando
della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande
gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli
dato per privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli
armati voleva drieto, ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum
rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia
che insino a quello dí era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e
sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una
parte, el capo dell'altra diventa signore della città, e' fautori ed aderenti sua, di
compagni quasi sudditi, el popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per
eredità e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l'ultimo tuffo alla
città. |
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|
V |
GUERRA DI SISTO IV E DI FERDINANDO D'ARAGONA |
CONTRO FIRENZE (1479). |
Di questa novità di Firenze e pericolo dello stato nacque alla città una guerra
gravissima, perché el re Ferrando e papa Sisto, considerando quanta offesa avessino fatta
a chi aveva el governo della città, e che mai piú vi potrebbe essere fede o amicizia,
deliberorono apertamente e colla forza di fuora fare pruova di quello che aveano tentato
occultamente e colle arme civile, e per dare qualche principio iuridico alla impresa loro,
el papa escomunicò Lorenzo ed interdisse la città per avere impiccato lo arcivescovo di
Pisa e sostenuto el cardinale di San Giorgio. Fu per parte della città risposto
gagliardamente a questa ingiuria, mandando in publico lettere a tutti e' principi
cristiani in giustificazione loro e carico del papa, facendo etiam consigliare a tutti e'
primi dottori di Italia che de iure questo interdetto era nullo e non valeva. Finalmente
venendosi dalle censure e guerra spirituale alle arme e guerra temporale, el papa e re,
condotto per capitano, a spesa commune, Federigo duca di Urbino, e fatto intelligenzia co'
sanesi', mandorono le gente loro per la via di Siena a' danni nostri. Fu in questo
esercito ancora Alfonso duca di Calavria, primogenito del re ed apresso a lui ed el duca
Federigo era la cura del tutto. Dall'altra banda e' viniziani e lo stato di Milano,
secondo gli oblighi della lega, mandorno gente di arme e fanterie in favore de'
fiorentini, ma non quello numero sarebbe suto necessario, in modo che trovandosi superiore
di forze lo esercito inimico, el nostro non potendogli stare a petto alla campagna, si
ridusse in sul Poggio Imperiale, sendo commessari generali messer Luigi ed Iacopo
Guicciardini. E non andavano le cose bene, perché mancando un capitano generale che fussi
condotto da tutta la lega, le gente de' collegati non erano in quella ubidienzia che
bisognava; di che lo esercito inimico, oltre allo essere superiore di forze, andava sanza
rispetto campeggiando e' luoghi gli pareva. Presono adunche Radda, Rencine, Brolio,
Cacchiano e la Castellina, dove stettono a campo ventinove dí. |
Era venuto in questo mezzo in campo, capitano di tutta la lega Ercole duca di Ferrara,
el quale però, per non essere pari agli inimici di gente, non scese del Poggio, ma
molestava e' sanesi con prede e scorrerie, tenendo sempre fermo gli alloggiamenti in sul
Poggio, per essere quello sito fortissimo, ed un freno agli inimici, che, poi che ebbono
espugnati e' primi luoghi in sulle frontiere, non ardissino distendersi piú verso e'
luoghi vicini alla città. Di che gli inimici, per non perdere tempo, volsono alla fine
dello anno lo esercito verso la Valdichiana ed accamporonsi al Monte a San Sovino. Dette
questa cosa alterazione grande alla città, per essere el Monte luogo di importanza per la
qualità del castello e per la oportunità alle altre terre del paese; e però si fece
risoluzione si soccorressi in ogni modo, e subito fu mandato in quella parte commessario
messer Bongianni Gianfigliazzi, acciò che insieme col conte di Pitigliano disegnassino e'
modi necessari e gli alloggiamenti oportuni a questo soccorso. Ed in questo mezzo si
scrisse nel campo nostro (el quale, rimasto per la partita degli inimici superiore da
quella banda, aveva fatte grande prede in sul sanese e presi alcuni luoghi di non molta
importanza) che el capitano insieme con Iacopo Guicciardini, lasciate le gente bastavano
per guardia del paese, si transferissino alla volta del Monte ed agli alloggiamenti che si
disegnassino pel conte di Pitigliano e per messer Bongianni. Volsonsi a quella volta e
doppo molte dispute e dispareri alloggiorono presso al campo inimico; dove sendo, si fece
tregua per alcuni giorni. La quale fu accettata da' nostri, perché sendo nello autunno
pareva loro utile ogni tempo si togliessi agli inimici, sendosi allo stremo dello anno; fu
accettata da loro, perché, sendo la natura del duca di Urbino fare le cose sue piú
sicuramente poteva, si volle fortificare da una banda donde dubitava potere essere offeso,
e la quale però non era stata prevista da' nostri. Finalmente, spirata la triegua, gli
uomini del Monte si dettono loro spontaneamente, benché da par loro si fussino potuti
tenere alcuni dí, ed inoltre avessino la speranza propinqua del soccorso ed el tempo di
natura da credere che el campo fussi necessitato a levarsene presto. |
Questa perdita del Monte sbigottí ed alterò assai l'universale della città, perché
fu contro la opinione commune, riputandosi che quel luogo fussi forte ed eziandio molto
fedele ed ebbonne el capitano e commessari e le gente nostre gran biasimo, ed imputatine
di viltà, come se non fussi bastato loro lo animo a soccorrerlo e di qui gli uomini del
Monte, privati di speranza del soccorso, si fussino dati. Nondimeno pe' piú savi si
ritrasse essere stata malignità di parecchi capi della terra, e' quali a poco a poco
avevano persuaso la moltitudine, che da sé naturalmente era inclinata alla divozione
nostra e cosí che le gente nostre meritavano scusa, perché non potevano avere a fare con
gli inimici, se non con gran disavantaggio. |
Nel medesimo tempo fu in Firenze un poco di disordine causato dagli otto della balía.
Quello magistrato ne' tempi passati era stato creato con grandissima autorità nelle cose
criminali, sottoposta pure nel giudicare, benché non nel procedere, alle leggi e statuti
della città, e con potestà libera ed assoluta e fuora di ogni legge, ne' peccati
concernenti lo stato; e fu invenzione di chi si trovava nelle mani el reggimento, per
avere un bastone a loro posta, col quale potessino stiacciare el capo a chi volessi
malignare ed alterare el governo. E benché la origine sua nascessi da violenzia e
tirannide, riuscí nondimeno un ordine molto salutifero; perché come sa chi è pratico
nella terra, se el timore di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare e'
delitti e giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi a Firenze non si potrebbe vivere;
e cosí come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli fu proibito per
espresso non potessi impacciarsi nel civile. El quale ordine non si osservò interamente,
perché a poco a poco per spezialità di chi era nell'ufficio e pe' mezzi e favori degli
uomini che vi venivano vi si cominciò a introdurre molti casi civili, chamandogli, per
qualche ragione indiretta, criminali, la qual cosa sendo molto trascorsa, parve a Lorenzo
di correggerla, e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne' quali
gli otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo dalla Stufa che
allora si trovava degli otto fu chiamata la gismondina; e sendosi osservata per qualche
uficio, gli otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo loro, un dí subito sanza
conferirne o con magistrati o con chi governava la città, la stracciorono ed arsono. La
qual cosa parendo fussi un toccare lo stato avendolo fatto di loro propria autorità, e
massime ne' tempi che correvano, dispiacque a chi reggeva, e subito furono cassi dello
uficio e fatti altri in loro scambio. Né fu fatta loro altra punizione, perché si
ritrasse non era stata malignità contro al governo, ma piú tosto leggerezza; ed essere
stati messi su da' cancellieri dello uficio, a' quali piaceva vi si cognoscessi di ogni
caso, perché si valevano piú; e si riconfermò la gismondina, benché oggi non si
osservi, e quietossi la cosa. |
Gli inimici, preso el Monte, se ne andorno alle stanze; ed in Firenze, pensandosi
all'anno sequente, si attese a pensare e' preparamenti per tempo nuovo, ed a questo
effetto ristrignersi co' collegati, mostrando loro e' nostri pericoli e strignendogli a'
soccorsi. Fu però mandato a Vinegia oratore messer Tommaso Soderini ed a Milano si
trovava Girolamo Morelli; e' quali molte volte discorsono e mostrorno come gli eserciti
che noi avevamo avuti fra nostri e loro la state passata, non erano bastanti stare in
campagna ed a petto agli inimici, e però non si faccendo maggiore sforzo, che loro
continuamente si insignorirebbono de' luoghi nostri ed indebolirebbonci in modo che noi
saremo constretti pigliare con gran disavantaggio nostro e di tutta la lega qualche
partito con loro, benché la intenzione nostra fussi prima morire che abandonare la lega e
mancare della fede nostra, essere necessario, se ci volevano conservare lo stato secondo
gli oblighi mandare aiuti piú gagliardi e fare altri disegni che l'anno passato.
Soggiunsono di poi che, quando bene ci mandassino l'esercito che fussi per resistere agli
inimici ad essere loro mai nondimeno non bastare per la salute nostra, perché e' danni
che si facevano cosí da' soldati nostri come dagli inimici a' nostri cittadini e sudditi
erano tanto grandi e sí innumerabili che continuandosi piú tempo era impossibile a
reggerli, avendo massime tanto peso d'avere colle borse private a sostenere tutte le spese
ed incarichi della guerra; consumarsi a poco a poco questo corpo ed in modo diminuirsi,
che, non si rilevando, cadrebbe da se medesimo, la vera ed unica medicina di questo male
essere che fra noi ed e' nostri collegati si facessi tanta forza che si potessi cacciare
gli inimici di su' nostri terreni e perseguitargli in ogni luogo e fare la guerra
potentemente a casa loro. |
Questi discorsi e ragione introdussono in pratica molti modi da fare questo effetto, e
disegnossi due modi: uno di fare armata per mare e con essa infestare le marine del re
Ferrando, e cosí divertire la guerra in Toscana, l'altra chiamare in Italia angioini e
voltargli alla impresa di Napoli. Finalmente dolendo la spesa a' collegati, non se ne fece
la conclusione si doveva, ma si deliberò per difesa nostra in questa forma: condussesi a'
soldi nostri per capitano nostro Ruberto Malatesta signore di Rimino, e si disegnò con
lui fare uno campo in quello di Perugia per levare quella città dalla divozione della
Chiesa e di poi potere ferire negli altri luoghi nello stato del papa; e per fare questa
impresa piú riuscibile, si disegnò per questo campo el conte Carlo del Montone, sperando
che la riputazione la benivolenzia e parte aveva in Perugia, l'avessi facilmente a fare
ribellare, dalla parte di Siena e verso el campo inimico fu disegnato el duca di Ferrara
capitano generale di tutta la lega, ed el marchese di Mantova capitano dello stato di
Milano. Furono etiam in qualche speranza d'avere aiuti dal re di Francia, al quale sendosi
mandati imbasciadori da tutta la lega, che vi andò per la nostra città messer
Guidantonio Vespucci a fare querela del pontefice e tentarlo volessi insieme cogli altri
principi chiamare il papa a concilio e cosí richiederlo di aiuti per la difesa nostra,
aveva quel re piú volte promesso mandare buono numero di gente d'arme in Italia, ed in
effetto ogni cosa fu vana se non che con lettere e con ambasciadori al pontefice, con
minacci e protesti favorí assai la causa nostra. |
Disegnati l'anno 1479 questi apparati, e venendone el tempo nuovo da esercitargli, el
signore Ruberto da Sanseverino fuoruscito dello stato di Milano, con gente e favori del re
scorse di quello di Genova insino in sulle porte di Pisa; la quale città, per non
aspettare la guerra, era improvista di tutte le cose necessarie. Ma subito vi furono
mandati commessari messer Bongianni Gianfigliazzi ed Iacopo Guicciardini, e di poi presto
vi si volse el duca di Ferrara, ed in modo si raffrenorno gli impeti degli inimici, ed
eziandio si scoprí in Pisa uno trattato, che el signore Ruberto vedendosi inferiore di
gente e dubitando ancora, venendo aiuto da Milano, non essere rinchiuso, si ritirò e
partissi d'in sul nostro. |
Cessato questo pericolo, el duca e messer Bongianni se ne andorono verso el Poggio, ed
Iacopo ne venne in quello di Arezzo, dove pochi dí poi giunse el nostro capitano
magnifico Ruberto Malatesta, ed aspettavasi el conte Carlo del Montone el quale, sendo
amalato, si fermò in Cortona e quivi pochi dí poi si morí, tagliando una grande
speranza si era conceputa per la venuta sua, rispetto al credito ed alla parte aveva in
Perugia, nondimeno colle gente vi erano si seguitò la impresa e presesi alcune castella
del perugino. E perché lo esercito del papa e re, colla persona de' due duchi Calavria ed
Urbino campeggiava dalla banda di Siena e però non attendeva alla difesa del perugino, fu
mandato dagli inimici in quella parte un altro esercito sotto la cura del prefetto, nipote
del papa, e di messer Matteo da Capua; e' quali arrivati si affrontorono co' nostri e,
doppo un bello fatto di arme in che molto apparí la prudenzia ed ordine grande del
capitano magnifico Ruberto, e' nostri ebbono una gloriosa vittoria, pigliando gran numero
di uomini e cavalli degli inimici e spogliandogli insieme degli alloggiamenti. |
Dalla parte di Siena non si era fatto ancora cosa notabile, perché e' nostri stavano
in sul Poggio, donde operavano piú in difesa de' paesi nostri che in offesa degli
inimici, e gli avversari, temendo dello esercito nostro, non potevano sforzare le nostre
terre e non ardivano volere fare fazione co' nostri rispetto al disavantaggio arebbono
avuto per la fortezza del Poggio. Ma avendo le nuove della rotta di Perugia e dubitando di
quello stato, si volsono a gran giornate in là; il che presentendosi pe' nostri che già
erano accampati a alcune castella in sul lago di Perugia, perché erano di numero molto
inferiori agli inimici, si ritrassono a salvamento a piè di Cortona ma el campo del
Poggio, rimanendo per la partita del campo opposito sanza riscontro, scese del Poggio ed
andò a campo a Casoli, castello grosso de' sanesi che confina con noi dalla parte di
Volterra; e piantatovi le artiglierie, lo prese per forza e saccheggiollo. Di che nel
saccheggiare e dividere la preda nacque gran quistione e contesa fra quegli del duca di
Ferrara e quegli del marchese di Mantova, e vennono alle mani, e con gran difficultà
furono divisi da' commessari nostri messer Bongianni e Girolamo degli Albizzi. |
Furono, e per la rotta del perugino e per la avuta di Casoli, e' successi nostri tanto
felici, che indubitatamente eravamo al disopra della guerra, e si faceva giudicio che la
vittoria dovessi essere dal nostro; ma mutossi la fortuna e recò quella gloria e
felicità agli avversari, che ragionevolmente doveva essere nostra; perché la quistione
nata nel sacco di Casoli fra e' ferraresi e mantovani fu di tanta efficacia, sendo massime
fra quegli dua principi qualche sdegno ed inimicizia antica, che per fuggire maggiore
scandolo, fu necessario pigliare partito di separargli. E però fu mandato el marchese di
Mantova nel perugino a congiugnersi col magnifico Ruberto ed el duca di Ferrara insieme
col signor Gostanzo di Pesero rimase a fare la guerra nella parte di Siena. |
Sendo adunche le gente nostre divise in due parte quasi pari, ed in modo che, se bene
unite insieme sarebbono stati superiori agli inimici, nondimeno cosí separate ciascuna di
loro era molto inferiore gli inimici, esaminando e' casi loro, si risolverono tenere lo
esercito unito in mezzo quello di Siena e la Valdichiana, acciò che, come el campo del
Poggio facessi movimento, potessino in tre o quattro dí essere loro adosso; e cosí con
questo terrore ritenergli che non ardissino campeggiare con artiglierie, e cosí che non
rimanessi loro da fare fazione, se non prede e scorrerie e cose di poco momento; e cosí
medesimamente raffrenare, quando si movessi, lo esercito di verso Perugia. E parve loro
con questi modi che el campo loro, piú grosso che alcuno degli inimici, potessi
facilmente avere occasione di opprimerne uno, e quando pure questo non fussi, stimavano
assai consumare questo anno e tenerci colla guerra addosso, e fu parola del duca di
Urbino, che e' fiorentini el primo anno della guerra erano vivi e gagliardi, el secondo
mediocri, el terzo spacciati; e che ci aspettava al terzo anno. |
Questi loro ordini cosí disegnati riuscirono in buona parte, perché come el campo
nostro di Perugia si moveva, subito gli inimici andavano alla volta loro, in modo che
vedendogli superiori erano constretti a ritirarsi a luoghi salvi; e per questo rispetto
non si accampavano a terra alcuna con artiglierie, riputandosi vergogna l'aversi di poi a
levare, ed erano constretti infestare e' perugini con scorrerie solo, e se pure andavano a
un castello, non potevano combatterlo con altro che con battaglia di mano. El medesimo
interveniva a' nostri di verso Siena, in modo che gli inimici con questa astuzia tenevano
impedite molte piú gente che loro non erano, e consultandosi del rimedio a questo male,
pareva necessario unire insieme questi due eserciti, co' quali per essere in piú numero
si sarieno sanza dubio urtati gli inimici, ma non si poteva, per la quistione stata tra e'
ferraresi e mantovani, e cosí perché el magnifico Ruberto Malatesta ed el signore
Gostanzo di Pesero, nostro soldato, erano inimici ed incompatibili in uno campo medesimo.
Restava ingrossare tanto l'uno e l'altro campo che separati potessino stare a petto agli
inimici; il che non ebbe effetto, percné gli aiuti de' viniziani erano freddi e deboli, e
cosí dello stato di Milano; massime che in quello tempo el signore Lodovico, monsignore
Ascanio ed el signore Ruberto da Sanseverino con spalle e favore del re presono Tortona ed
alcune terre di quello stato; e lo effetto fu che madonna Bona, mossa da paura e da
persuasioni come donna, gli richiamò al governo del figliuolo, e loro subito entrati
incarcerorno messer Cecco e poi gli feciono tagliare el capo. |
Fu necessario, intendendosi questi movimenti di Milano, che el marchese di Mantova
loro soldato ed el duca Ercole, capitano di tutta la lega, andassino a Milano benché
Ercole lasciassi in sul Poggio le sue gente a governo di messer Gismondo da Esti suo
fratello. Indebolito in questo modo e' nostri campi, e continuando gli inimici la astuzia
loro, si consumò tutta la state; pure finalmente e' perugini, non volendo piú soportare
la guerra ed avendo cosí protestato al papa, erano alle strette di pigliare accordo colla
lega; quando gli inimici intendendo farsi in sul Poggio Imperiale mala guardia ed essere
disordinato molto quel campo, di che era a governo messer Gismondo e commessario Girolamo
degli Albizzi, ed avendo certa intelligenzia in una bastía vi era, partitisi dal ponte a
Chiusi a grandissime giornate, assalirono improvisamente e' nostri in sul Poggio, e' quali
per questo assalto sí subito sbigottiti, né si rifidando al sito fortissimo, sanza fare
alcuna difesa vilissimamente si fuggirono e furono rotti. |
Fu questa rotta una percossa nel cuore alla città, la quale impaurita e pensando
solamente alla difesa della libertà, attese a riordinare el piú poteva le gente rotte,
richiese instantissimamente di aiuto e' collegati e subito revocò le gente del perugino,
in modo che le pratiche dello accordo non ebbono conclusione. Mandossi in quello di Arezzo
el signore Gostanzo per guardia del paese; e perché non poteva essere in uno luogo
medesimo col magnifico Ruberto, ridussesi el campo nostro a San Casciano, e gli inimici
doppo una tanta vittoria ne vennono a campo a Colle, dove stettono circa a sessanta dí; e
finalmente non sendo soccorso, l'ebbono a patti, del mese di... |
|
VI |
VIAGGIO A NAPOLI Dl LORENZO DE' MEDICI (1479). |
PACE CON FERDINANDO D'ARAGONA (1480). |
NUOVI ORDINAMENTI A FIRENZE. |
La città in questo mezzo, benché doppo la rotta dal Poggio avessi avuto qualche
soccorso da Vinegia, nondimeno veduto Colle in modo stretto che era da credere si potessi
poco tenere, e benché el tempo dello ire alle stanze si appressassi, pure considerando in
quanti pericoli avessino a essere lo anno futuro, e massime perché si dubitava lo stato
di Milano non seguitassi la parte del re o saltem si stessi neutrale, e vedendo bisognare
pigliare modo alla salute sua o coll'avere altri soccorsi da' collegati che pel passato o
col pigliare la pace con piú tollerabili condizioni si potessi, mandorono imbasciadore a
Vinegia messer Luigi Guicciardini a fare intendere a quella signoria, come etiam si era
fatto l'anno passato mediante messer Tommaso Soderini, in che condizione si trovava lo
stato nostro, e che ci era uno unico rimedio, di transferire la guerra in su' terreni
degli inimici, el quale, rispetto alla debolezza nostra e la mutazione del governo di
Milano, era fondato in gran parte in quella signoria. Le quali cose sendo mostre per lo
oratore, non feciono quello frutto che meritamente dovevono fare. Di che sendo a Firenze
per lettere di messer Luigi certificati, e come da loro non si poteva sperare piú che pel
passato, Lorenzo de' Medici, considerando in che pericolo si trovava lo stato suo e
dubitando che questa guerra lunga e pericolosa non straccassi in modo la città, che e'
cittadini, per levarsi questa febre da dosso, non gli togliessino lo stato, voltosi tutto
a' pensieri della pace, né gli parendo altro modo che di placare lo animo del re, massime
disperandosi del pontefice, e conferito questo suo pensiero con pochi o con nessuno, fatto
una sera a dí 6 di dicembre chiamare da' dieci una pratica di circa quaranta cittadini
de' principali, disse avergli fatto chiamare per conferire loro una sua deliberazione,
nella quale non ricercava lo consigliassino, ma solo lo sapessino; avere considerato
quanto la città avessi bisogno di pace, non potendo difendersi per se medesima da sí
potenti inimici, né volendo e' collegati fare el debito loro; e perché gli avversari
pretendevano lo odio essere piú tosto seco che colla città, ed el re in particulare
aveva detto non essere inimico della città, ma amarla e desiderare la amicizia sua e
cercare di ottenerla colle battiture sua, poi che altro modo non gli era giovato, però
essere disposto transferirsi personalmente a Napoli; la quale andata gli pareva
utilissima, perché, se gli inimici desideravano lui solo, l'arebbono nelle mani e per
saziarsi di lui non bisognerebbe perseguitassino piú la città; se e' desideravano non
lui, ma la amicizia publica, questo essere modo a intendergli presto ed a potere ancora
migliorare le condizioni della pace; se e' volevano altro, questa andata lo dimostrerebbe,
e intendendosi quello che e' volessino, e' cittadini si sforzerebbono con qualche modo
piú vivo difendere la libertà e lo imperio; cognoscere in quanto pericolo si mettessi ma
essere disposto preporre la salute publica al bene privato e pel debito universale di
tutti e' cittadini verso la patria e pel particulare suo, rispetto a avere avuti dalla
città piú benefíci e piú condizione che alcuno altro; sperare che quegli cittadini che
erano presenti non mancherebbono in conservare lo stato e l'essere suo, e cosí
raccomandare loro sé, la sua casa e famiglia; e sopratutto sperare che Dio, risguardando
alla iustizia publica ed alla sua buona intenzione privata, aiuterebbe questo pensiero; e
quella guerra che si era principiata col sangue del suo fratello e suo, si poserebbe e
quieterebbe per le sue mani. |
Dette questo parlare ammirazione a tutti quegli che non avevano prima notizia, ed e'
pareri furono in sé vari come si fa nelle cose grande; nondimeno, perché gli aveva detto
non ci ricercare drento consiglio, nessuno la contradisse. E cosí lui, raccomandata la
città ed el governo agli amici dello stato, si partí la notte medesima; ed el dí
sequente giunto a San Miniato al Tedesco, scrisse una lettera alla signoria, scusandosi
non gli avere prima communicato questo suo disegno, perché gli pareva che el tempo
ricercassi piú tosto fatti che parole, ed allegando le cagione della andata sua, quasi in
quel medesimo modo aveva viva voce fatto co' dieci e colla pratica. Giunto di poi a
Livorno e trovatovi due o tre galee mandate dal re Ferrando per levarlo, come ebbe avuto
da Firenze el mandato di potere conchiudere quanto voleva el popolo fiorentino, se ne
andò per acqua alla volta di Napoli. Aveva el re Ferrando, avisato di tale deliberazione,
credo dagli oratori milanesi che praticavano a Napoli la pace, mandato a sua richiesta le
galee in Porto Pisano, e per dare uno saggio di pace innanzi che Lorenzo partissi, fatto
che el duca di Calavria aveva richiesta la città di levare le offese a disdetta di dieci
dí, e cosí si era consentito. |
Questa andata di Lorenzo alterò assai e' viniziani per essere fatta sanza saputa
loro, e feciono concetto la pace essere conchiusa, e Lorenzo essere ito a cosa fatta, e
loro essere lasciati a discrezione; e nondimeno per impedirla se la non fussi pure
conchiusa, veramente sendo conchiusa, per accertarsene, ed in ogni evento per trovarsi
forti ed armati, subito feciono tornare in Romagna le gente loro che erano in Toscana in
aiuto de' fiorentini; richiesono lo stato di Milano e fiorentini di rinnovare la lega,
allegando che per qualche accidente si era divulgato a Roma ed in piú luoghi che la era
rotta per non si essere osservata secondo e' capitoli, e però essere bene per tôrre ogni
ombra potessi nascere, rinnovarla, e concorrendovi lo stato di Milano, la città, per non
perturbare le pratiche di Napoli, la negò. Tolsono per loro capitano el magnifico Ruberto
Malatesta; e perché gli era capitano de' fiorentini, e durava la condotta sua qualche
anno, e non voleva obligarsi a' viniziani se non in caso avessi licenzia da' fiorentini,
feciono tanta instanzia si dessi questa lincenza, che la città, per non alienarsegli in
tutto se pure seguissi guerra, lo fece, benché molto male volentieri. Levate le offese,
messer Lodovico e messer Agostino da Campofregoso ci tolsono furtivamente Serezzana, e
querelandosene la città al duca di Calavria e di Urbino che fussi stata tolta sotto la
fede loro dagli uomini loro, dimostrorno averlo per male e fare ogni instanzia con lettere
ed imbasciadori ci fussi restituita; il che non ebbe effetto, o per la ostinazione de'
Fregosi, o perché egli operassino in fatto el contrario. |
La città in quel tempo si trovava molto inferma, e diminuita assai la virtú, sí per
la lunga guerra, sí etiam perché assai avevano preso animo di sparlare del governo, e
cercare novità e gridare che gli era bene che gli onori e le gravezze non si
distribuissino a arbitrio di pochi, ma de' consigli. Nasceva questa audacia, perché molti
facevano giudicio che el re avessi a tenere Lorenzo, dicendo che lui, disperato potere
sostenere questo, si era gittato nelle braccia di quel re suo inimico temerariamente e
sanza avere da lui fede o sicurtà alcuna; e se pure l'aveva avuta, che el re non la
osserverebbe, sendo uomo sanza fede, come aveva mostro la esperienza passata nel conte
Iacopo ed in altri. E multiplicando ogni dí questo omore nella città, non si poteva
pensare a fare provedimenti alla guerra; e massime che molti delle casa dello stato, o
perché dispiacessi loro el governo presente, o per credere che Lorenzo non avessi a
tornare, cercavano cose nuove e volgevano credito a Girolamo Morelli; el quale, sendo di
riputazione grandissima e forse cosí savio come altri che fussi nella città, avendo
forse la medesima opinione di Lorenzo, era in qualche sospetto collo stato, nata forse non
meno della autorità che egli aveva, che da alcuno suo sinistro portamento. Gli amici del
reggimento pareva loro assai conservare lo stato sanza mutazione, tanto che Lorenzo
tornassi, ed ingegnavansi creare signorie di qualità da potersene fidare. |
Lorenzo, giunto a Napoli, fu ricevuto dal re con onore grandissimo e sforzossi
persuadergli che se gli dava la pace e conservavalo nello stato, si varrebbe molto piú
della città a suo proposito che se lo spacciassi; perché se si mutassi a Firenze
governo, potrebbe venire in mano di tali, che el re non ne disporrebbe come di lui solo.
Stette el re molti dí dubio, sendo da un canto molto stimolato dal papa di spacciarlo, da
altro parendogli vere le sua ragione, ed aspettava vedere se questa suspensione facessi in
Firenze novità alcuna. Finalmente non si alterando nulla a Firenze, si risolvé alla pace
ed a conservare Lorenzo, el quale vedendosi menare in lunga si ritrovava in gran paura; e
nondimeno si soprasedé molti dí la conclusione, perché el re voleva farlo con meno
alterazione del papa fussi possibile, e non venendo da Roma la licenzia, fu contento che
Lorenzo si partissi, avendolo certificato di quello voleva fare in ogni modo. Di che
Lorenzo tornò per acqua e subito ritornato a Firenze, dove fu ricevuto con grandissimi
segni di letizia e benivolenzia, venne la nuova della pace cosa molto desiderata e che gli
recò grandissima riputazione, in modo che quanto la sua deliberazione fu pericolosa e
forse troppo animosa, tanto gli fu lieto e glorioso il fine. |
La pace dal canto nostro ebbe quelle condizione in qualche parte che sogliono avere e'
vinti; perché non vi furono inclusi e' signori di Romagna che erano sotto la protezione
della nostra lega, ma ne fu fatto compromesso nel re, el quale aveva a parole dato
speranza di salvargli; non ci fu problema la restituzione delle terre perdute, ma rimesse
in arbitrio del re, el quale di poi nello 1481, alla fine di marzo, restituí Vico,
Certaldo, Poggibonzi, Colle ed el Monte a San Sovino; la Castellina e le altre rimasono a'
sanesi secondo le convenzione avevano col re; pagossi certa somma di danari, e nondimeno
fu pace con meno disavantaggio non ricercavano le condizioni nostre. Aggiunsesi una lega
universale di Italia, non riservando la particulare e si dispose che perché e' viniziani
avessino cagione di acconsentirla, avessino tutti e' principi di Italia a mandare loro
imbasciadori, come altra volta si era fatto nel 54, al re Alfonso. Fu ratificato ogni cosa
dal re, Milano, Ferrara e noi; el papa ratificò la pace; e' viniziani, non piacendo loro
nuova lega, non ratificorono, anzi feciono, fuora della opinione di tutti, una nuova lega
col pontefice. A Firenze si elesse imbasciadori al papa e re ed a rallegrarsi messer
Antonio Ridolfi e Piero di Lutozzo Nasi, di poi si deputò undici imbasciadori a Roma a
chiedere la assoluzione dalle censure messer Francesco Soderini vescovo di Volterra,
messer Luigi Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Piero Minerbetti, messer
Guidantonio Vespucci, Gino Capponi Domenico Pandolfini, Antonio de' Medici, Iacopo
Lanfredini Piero Mellini... e' quali usate molte cerimonie e supplicazione la ottennono. |
Quietate le cose della città di fuori, parendo agli uomini del reggimento le cose
drento essere disordinate, attesono a restrignere lo stato e dettono pegli oportuni
consigli balía a trenta cittadini per piú mesi, e di poi a dugentodieci, e' quali
feciono squittino nuovo, ordinorono nuova gravezza, dettono a que' trenta arroti quaranta,
e' quali per cinque anni avessino molte autorità, e di creare la signoria ed altro e
circa le provisioni della città, che si chiamorono el consiglio de' settanta, el quale si
continuò poi di tempo in tempo in modo che fu un consiglio a vita. E perché el
magistrato de' dieci vacava, finita la guerra, ordinorono si eleggessi di sei mesi in sei
mesi, del numero de' settanta, otto cittadini chiamati otto di pratica, e' quali avessino
a vegghiare le cose importante dello stato di fuora ed a tenerne quella cura nella pace,
che tenevano e' dieci nella guerra; e cosí rilegorono e riformorono lo stato con piú
grandezza e stabilità di Lorenzo. |
|
|
VII |
GUERRA TRA VENEZIA E FERRARA (1482). |
PACE Dl BAGNOLO. IMPRESA Dl PIETRASANTA. |
Fatta questa pace, stette Italia in quiete insino all'armo 1482, nel qual tempo sendo
nate alcune discordie tra e' viniziani ed Ercole duca di Ferrara rispetto a' confini ed
antique convenzione loro, e non potendo e' viniziani sopportarle sí per la loro superbia
naturale, sí etiam per essere usi a disporre molto di quello stato; e da altra parte
Ercole faccendo piú renitenzia che pel passato, per confidarsi in essere genero del re
Ferrando e nella lega aveva con lui, con Milano e Firenze; ed ultimamente sendo el
vicedomine che stava in Ferrara per la signoria di Vinegia scomunicato dal vicario dello
vescovo, lo effetto fu che e' viniziani deliberorono rompergli guerra con consiglio e
consenso ancora di papa Sisto. E parendo loro che la vittoria consistessi nella prestezza,
disegnorono una armata grossa in Po e due campi per terra, uno dalla banda di Ferrara
sotto el signore Ruberto da Sanseverino, l'altro in Romagna sotto el magnifico Ruberto
Malatesta e cominciorono potentemente a infestare lo stato di Ferrara. Da altra banda e'
signori collegati risentendosi non tanto per gli oblighi della lega, quanto pel pericolo
commune a tutta Italia se e' viniziani si insignorivano di quello stato mandorono gente e
commessari a Ferrara, non in quello numero bisognava, e per capitano Federigo duca di
Urbino, sperando che la presenzia ed autorità sua avessi a fare frutto. |
Partissi del reame el duca di Calavria per soccorrere el suo cognato ma sendogli
dinegato el passo dal papa che favoriva e' viniziani, congiuntosi con Savelli e Colonnesi,
cominciorono a infestare le terre della Chiesa; e sendo el papa, il conte Girolamo e
signore Verginio Orsino occupati alla difesa, e' fiorentini levorono Città di Castello da
obidienzia della Chiesa, rimettendovi a governo messer Niccolò Vitelli che ne era stato,
cacciato da messer Lorenzo Iustino capo della parte avversa. E perché el papa potessi
difendersi dal duca di Calavria, e' viniziani gli mandorono el magnifico Ruberto; e cosí
la guerra dello stato di Ferrara si alleggerí dalla parte di Romagna. Ma di verso Ferrara
e' viniziani non avendo riscontro, presono Rovigo con tutto el Pulesine e vennono a campo
a Ficheruolo, strignendolo per terra e per acqua; ma difendendosi ferocemente, per esservi
drento a guardia valenti uomini e perché el duca Federigo, accampato in sull'altra riva
di Po, gli dava tutti quegli favori era possibile, non l'ebbono se non in spazio di
quaranta o cinquanta dí. Nel qual tempo el duca Federigo, sendo amalato per la cattiva
aria di quegli paludi, morí con grandissimo danno di tutta la lega, rispetto alla sua
grandissima fede virtú ed autorità, e ne' medesimi dí el magnifico Ruberto colle gente
ecclesiastiche presso a Velletri a un luogo detto Campo Morto, si appiccò col duca di
Calavria, dove doppo un lungo fiero e bellissimo fatto di arme, el duca di Calavria fu
rotto, presi assai di quegli baroni romani erano con lui, e lui colla fuga scampò le mani
degli inimici. Doppo la quale gloriosa vittoria Ruberto, sendo amalato per la grandissima
fatica durata nel fatto dell'arme, portato a Roma pochi dí poi morí in grandissima fama,
e fu sepulto in San Pietro con uno epitafio vulgare: |
Ruberto sono che venni vidi e vinsi |
lo invitto duca e Roma liberai |
e lui di fama e me di vita 'stinsi. |
Morí in quegli giorni medesimi e, come dicono alcuni, in quello dí medesimo che
morí a Ferrara el duca di Urbino. |
Furono questi successi tanto in favore de' viniziani, sendo rotto el duca di Calavria,
espugnato Ficheruolo, morto Federigo duca di Urbino, che, non avendo ostaculo, el signore
Ruberto coll'esercito passò Po, fatti ne' luoghi oportuni molti ponti e bastioni, massime
uno al Lagoscuro di grandissima importanza alla infermità di quello paese, e venne insino
alle porte di Ferrara, sendo molto impaurito el duca e deliberato abandonare Ferrara ed
andarsene a Modona, se da messer Bongianni Gianfigliazzi, che vi era commessario de'
fiorentini, non fussi stato con gagliarde parole e conforti ritenuto. E certo la vittoria
pareva in mano de' viniziani, avendo stretto el collo a Ferrara con uno esercito
potentissimo, con una grossa armata per Po, e sendovi gli aiuti de' collegati molto
deboli, e sperandovisene pochi altri, perché el re, poiché era rotto, non pareva
sufficiente a sforzare el papa di dargli el passo; lo stato di Milano aveva guerra co'
Rossi di Parmigiana, e' quali sotto la speranza de' viniziani si erano ribellati, e tutto
lo sforzo di quello stato era vòlto a espugnare San Secondo, luogo fortissimo, ed e'
fiorentini soli non potevano né volevano difendere questa piena, e come accade nelle cose
che s'hanno a fare per piú, comunemente la freddezza dell'uno intepidiva gli altri. |
Ma perché lo imperio di Italia non era ancora disegnato a' viniziani, si volse nuovo
vento, in modo che mutate la condizione delle cose, non solo si salvò Ferrara, ma furono
e' viniziani in grandissimo pericolo perdere tutto lo stato avevano in Italia in
terraferma; perché el papa e conte Girolamo che avevano insino a quel dí dato loro
favore, si rivolsono e collegoronsi colla lega alla difesa di Ferrara. La cagione può
essere varia, o perché fussino sdegnati co' viniziani d'avere loro mancato forse in
qualche convenzione avevano insieme, o perché fussino allettati da qualche promessa de'
collegati, o perché fussino impauriti, considerando che se e' vinizani ottenevano,
verrebbono in tanta grandezza, che e gli amici e gli inimici arebbono a stare a loro
discrezione. Comandò dunche el papa a' viniziani che levassino le offese da Ferrara e
restituissino le cose occupate a quello stato; e non ubbidendo loro successivamente,
benché con qualche intervallo di tempo, gli dichiarò scomunicati ed interdetti; e per
pigliare el modo della difesa, si fece una dieta a Cremona, dove oltra gli oratori di
tutti gli altri stati di Italia, eccetto e' genovesi, vi intervenne personalmente el duca
di Calavria, el signore Lodovico Sforza, Lorenzo de' Medici, el marchese di Mantova,
messer Giovanni Bentivogli, e credo el conte Girolamo, oltre a Francesco da Gonzaga,
cardinale mantovano, legato del papa. E finita la dieta, el legato e duca di Calavria si
transferirono a Ferrara; dove attendendo alla difesa ed ingrossando continuamente di
gente, el signore Lodovico espugnò San Secondo e spacciò tutto lo stato de' Rossi, in
modo che potendosi valere di tutte le gente sforzesche, si conchiuse, per piú difesa di
Ferrara, rompere a' viniziani dalla banda di Milano in sul bresciano. La qual cosa si
accelerò, perché el signore Ruberto sperando avere parte in Milano e potervi fare
movimento, partito del ferrarese e fatto un ponte in sull'Adda, ne venne insino in sulle
porte di Milano, dove non si vedendo novità, si ritornò adrieto, non avendo fatto alcuno
acquisto; e perché gli era molto tardi al campeggiare, le fazioni dell'arme si
riposorono. |
Nella medesima state la città recuperò le terre tenevano e' sanesi di nostro,
acquistate nella guerra del 78, perché avendo e' sanesi fatto novità e cacciati molti
cittadini, e loro ridottosi in su' confini, dove si stimava avessino favore o dal papa o
dal re, entrò gran sospetto a quegli reggevano, in modo che per loro sicurtà e appoggio
feciono lega colla città e restituirono la Castellina e gli altri luoghi. E di poi
andorono a campo a Serezzana la quale non s'ebbe, per avere in Lunigiana poche gente e
quelle non potendo tardare, perché avevono a essere in Lombardia. |
L'anno sequente lo esercito della lega, sendo potentissimo e molto superiore a'
viniziani, prese Asola e molti luoghi del bresciano e bergamasco; e continuando tuttavia
la vittoria, avendo el duca di Calavria notizia che el bastione del Lagoscuro non era
tanto guardato che giugnendolo alla improvista non si espugnassi e cosí si levassi tutta
la guerra da Ferrara, cavalcò con le gente subitamente verso Ferrara. Ma fu in que'
giorni tanta tempesta in Po, che le barche ordinate da lui non furono a ostia a tempo
potessi passare; in modo che, soprastandovi a aspettarle, el signore Ruberto che egli era
cavalcato drieto collo esercito, lo raggiunse e fu al bastione innanzi a lui. |
Nel medesimo anno Giovan Francesco conte di Caiazzo e messer Galeazzo, figliuoli del
signor Ruberto, tennono stretta pratica col signore Lodovico venire a' soldi sua e dettono
speranza a principio del signore Ruberto loro padre; di poi vedendo che lui non lo
farebbe, con alcuni loro fidati fuggirono occultamente del campo de' viniziani e vennono
in quello della lega. Il che si stimò assai, perché fu opinione che e' viniziani
avessino a insospettire del signore Ruberto e volersene assicurare o veramente non lo
adoperare; ma lui prudentissimamente, come intese el caso, se ne andò a un castello de'
viniziani, e quivi fatto chiamare el castellano, gli comandò per l'autorità aveva dalla
signoria per conto del capitanato, lo ritenessi a stanza della signoria; il che lui non
volle fare. E con questi ed altri modi in modo assicurò e' viniziani, che loro gli
mandorono imbasciadori a confortarlo, ed a mostrargli avere in lui piú fede che mai. |
Avevano e' viniziani tenute astutamente molte pratiche di pace, massime col papa, non
tanto per farla, quanto per ingegnarsi di mettere qualche ombra tra e' signori della lega,
a fine che questa unione si dissolvessi, o almeno che la speranza della pace gli
raffreddassi ne' provedimenti s'avevono a fare, le quale arte sendo cognosciute, non solo
si pensava alla pace, ma nella fine di quello anno si consultorono in una dieta a Milano
gli ordini del continuare l'anno sequente potentemente la guerra; in modo che in quella
vernata furono e' viniziani in grande angustie di pensare e provedere gente e danari per
difendersi. E sopravenendo la state, uscí alla campagna el duca di Calavria collo
esercito della lega tanto potente che non potendo el signore Ruberto stare alla campagna a
petto agli inimici, sforzavano tutti e' luoghi dove si accampavano. Di qui e' viniziani,
diminuendo ogni dí la riputazione, sbigottiti e con poca speranza, mancavano ne'
provedimenti necessari ed ogni dí diventavano piú deboli, benché l'armata loro avessi
nel reame preso Galipoli; in modo che gli era manifesto che non avevano riparo che gli
inimici non pigliassino o Brescia o Bergamo, e di poi con maggiore forza e riputazione, e
favoriti da popoli di conto, togliessino loro lo imperio di terraferma di Italia. |
Ma quella fortuna che gli ha piú volte conservati per riputazione difesa ed ornamento
di Italia fuori di Italia, per peste e calamità di Italia in Italia, in tanto pericolo
non abbandonò. Perché sendo lo esercito della lega a Bagnuolo, el signore Lodovico
dubitando da un canto che, spacciati e' viniziani, el duca di Calavria seguitato da'
collegati non lo levassi dal governo dello stato di Milano, quale lui governava in nome di
Giovan Galeazzo suo nipote e genero del duca di Calavria, da altro sendogli occultamente
promesso da' viniziani favorirlo in continuarlo nel governo e forse in farlo duca di
quello stato, e correndovi anche forse sotto mano qualche somma di danari, tenuto pratica
di pace col signore Ruberto da Sanseverino, finalmente la conchiuse con condizione
disonorevole alla lega: restituissi la lega tutte le terre e luoghi tolti in questa guerra
a' viniziani, ed e converso e' viniziani restituissino al re, al duca di Ferrara tutti e'
luoghi occupati, eccetto Rovigo con tutto el Polesine e ritenessino in Ferrara e nel
ferrarese l'antique immunità privilegi e preeminenzie, ritenessi lo stato di Milano e'
luoghi tolti a' Rossi; delle differenzie de' fiorentini e Fregosi circa allo stato di
Serezzana non si parlò, e cosí dello includere nella lega el presente stato di Siena;
rimanessi el signor Ruberto soldato de' viniziani ed avessi titolo di capitano generale di
tutta Italia. |
Dispiacque questa pace universalmente a tutti e' collegati, parendo loro perduta una
grandissima occasione di assicurare Italia per qualche tempo da' viniziani, e dolendosi
delle condizioni vituperose; dispiacque particularmente al duca di Ferrara, e per tornare
nelle antique servitú e per vedersi sanza el Pulesine, luogo importantissimo allo stato
suo ed e' viniziani presso alle porte di Ferrara a quattro miglia, dispiacque a'
fiorentini per non si essere tenuto conto delle particularità loro di Serezzana e di
Siena, la qual cosa desideravano, dolendosi che avendo fatto per difesa di Ferrara e per
commune beneficio piú che non toccava loro, fussino stati lasciati adrieto; e nondimeno
perché la guerra non si poteva sanza lo stato di Milano seguitare, fu ratificata da tutti
la pace. |
Fatta la pace, subito morí papa Sisto, quale era stato uomo valentissimo ed inquieto
e tanto inimico della pace, che a suo tempo Italia stette sempre in guerra; e per essergli
naturale questo appetito e perché era noto che della pace ultima aveva avuto dispiacere
ed alterazione grandissima, nacque una voce che era morto per dolore della pace, donde
vulgarmente se ne celebrò uno distico: |
Nulla vis saevam potuit extinguere Xistum; |
Audito tantum nomine pacis obit |
Fu eletto in suo luogo... cardinale di Malfetta, di nazione genovese, e chiamato
Innocenzio ottavo. |
Nel quale tempo e' fiorentini, desiderosi recuperare Serezzana con favore del re e
dello stato di Milano, ordinorono mandarvi el campo e provistosi di gente e forze
necessarie, e mandato commessario Iacopo Guicciardini, e di già sendo quasi all'intorno
di Serezzana, accadde che Paolo dal Borgo loro connestabole passando da Pietrasanta, che
era de' genovesi, per scorta di alcuni muli carichi di vettovaglie che andavano in campo,
fu assaltato e svaligiato, e presi e' muli da quegli della terra; in modo che el campo di
Serezzana ne venne subito alla volta di Pietrasanta, e quivi si accamporono, fondandosi in
su uno capitolo della pace: che qualunque andassi a recuperare le cose sue e fussi
impedito da alcuna altra terra, potessi voltarsi a quella. E fu questa occasione procurata
artificiosamente dalla città, stimando molto piú Pietrasanta per la qualità del luogo e
per la commodità ed importanza, se mai s'avessi a fare impresa di Lucca. |
Sendo le gente nostre accampate a Pietrasanta, venne per soccorrerla dalle riviere di
Genova parecchi migliaia di fanti, e' quali non ebbono resistenzia, perché el campo
nostro aveva carestia di fanterie, ed in quegli luoghi aspri non si poteva adoperare
cavalli; in modo che el campo nostro venne in tanto pericolo che fu constretto levarsi da
campo e ritirarsi. Ma non volendo la città a nessuno modo soportare questa vergogna, fu
ingrossato el campo di fanterie e di altre cose necessarie, e per piú riputiazione della
impresa e per portare ordine di danari, furono mandati in campo commessari, in compagnia
di Iacopo Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi ed Antonio Pucci; e ristrinsesi in
modo la terra, che non era possibile vi entrassi soccorso alcuno. Difendevansi quegli di
drento francamente, e per la cattiva aria nel campo nostro amalò molti, e tutt'a tre e'
commesari ne furono portati a Pisa infermi, dove pochi dí poi morirono messer Bongianni
ed Antonio di Puccio. Finalmente sendo quegli di drento disperati di soccorso, dettono la
terra, salvo l'avere e le persone; e cosí fu loro osservato. Fu questo buono acquisto
perché, oltre alla qualità della terra era una scala a fare piú facile la impresa di
Serezzana, era una briglia in bocca a' lucchesi, di natura che erano forzati stare sempre
in continuo sospetto, ed uno instrumento potente alle altre terre e luoghi di Lunigiana
quivi propinqui. |
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VIII |
CONGIURA DEI BARONI (1484). |
POLITICA Dl LORENZO. |
Creato Innocenzio ottavo si suscitorono in Italia nuove guerre e tumulti; e la cagione
fu che l'anno 1484 molti baroni e principi del regno di Napoli, sendo male contenti del re
Ferrando, e con loro gli aquilani, si ribellorono da lui e furono presi in difesa da
Innocenzio el quale entrato in speranza potere per questo mezzo disfare el re e valersi di
quello reame e disporne a arbitrio suo, tolse a soldo el signore Ruberto da Sanseverino
per mandarlo contro al re. Questa impresa dispiacque assai a Milano e Firenze, e
presentendo questo appetito del papa, già innanzi avevano disposto, per ovviare
all'ambizione de preti la quale sarebbe state infinita, e per gli oblighi della lega,
favorire con ogni sforzo el re Ferrando, ed ingegnatisi persuadere al papa non ci mettessi
le mani, mostrando che quando facessi altrimenti erano obligati a risentirsene. Cosí el
signore Lodovico, avendo mostro a' viniziani quanto questo movimento fussi pernizioso a
tutta Italia, gli aveva pregati che per conservare la quiete commune non volessino dare
licenzia al signore Ruberto che andassi a' soldi del papa, perché toltogli questo
instrumento di mano, gli rimaneva poche arme da perturbare Italia. Loro avevano promesso
farlo, di poi gli dettono pure licenzia, o per non si recare el papa inimico, perché
avessino caro le guerre di altri, standosi neutrali per guadagnarne, secondo la loro
consuetudine. |
Erano le cose del regno per le molte ribellione in grande disfavore del re e
riducevansi in peggiore condizione per questa passata del signore Ruberto, ed in modo tale
che sanza soccorso de' collegati non aveva redenzione alcuna; ed in ogni forma se la
guerra s'avessi avuta a fare tutta nel reame, si trovava in modo condizionato che e'
rimedi sarebbono stati difficili. Parve adunque, per divertire l'omore i transferire la
guerra in quello di Roma; e però si tolsono a soldo ei signore Virginio, el conte Niccola
da Pitigliano e gli altri signori Orsini, ed el duca di Calavria con parte delle gente
della lega venne in terra di Roma, dove aspettando ingrossassi lo esercito per
congiugnersi co' signori Orsini che erano a Bracciano, el signore Ruberto spugnò el ponte
Nomentano dove a Fracasso suo figliolo fu guasta la bocca di una artiglieria, e alcune
altre terre degli Orsini, in modo che Battista Orsino cardinale ed el signore Iulio e
signore Organtino, contro alla voluntà de li altri di casa, si accordorno con molte terre
col papa. Di che mancando alla lega la oportunità di quegli luoghi, e vedendosi lo stato
del re in pericolo manifesto, ed essere impossibile che sanza piú potente sforzo
l'esercito della lega si congiugnessi a Bracciano col signore Virginio e col conte, e
cosí loro e quello stato restando quasi a discrezione, el duca di Calavria per consultare
questi inconvenienti ne venne alla volta di Firenze e fermosi a Montepulciano, chiese gli
fussi mandati due degli Otto della pratica per potere conferire con loro. Mandossi
Giovanni Serristori e Pierfilippo Pandolfini, e' quali raportorono a Firenze come al duca
pareva che per divertire la guerra del reame, si rompessi guerra a Perugia. Consultossi
questo parere a Firenze ed a Milano, e finalmente si conchiuse non essere la salute vera
di questo male, perché la impresa di Perugia era difficile, come aveva mostro la
esperienzia dell'anno 1479, di poi perché bisognava dare al papa, nel capo e nel vivo,
cioè in terra di Roma; e però si risolverono ingrossare tanto lo esercito, che el duca
si potessi congiugnere con gli Orsini; la quale cosa fatta, pareva la guerra essere vinta. |
Mandossi adunche le gente disegnate, e benché e' milanesi fussino piú tardi, perché
el signore Lodovico sborsava adagio e male volentieri, pure finalmente importunato assai
dai fiorentini che a questo effetto vi avevano nel principio della guerra mandato
imbasciadore Iacopo Guicciardini, fece el debito suo. Venne el duca con questo esercito a
Pitigliano. e perché el signore Ruberto, e colle genti sue e col vantaggio de' luoghi che
erano in mezzo, gli impediva el passare, consumò quivi molti dí, e di poi in sulla
collina di Campagnano apiccorno quasi a sera uno fatto di arme, dove gli inimici ebbono
disavantaggio e perderono tuttavia di terreno, ed e' nostri in modo gli urtorono, che se
la notte non fussi sopravenuta, gli arebbono sanza dubio rotti. Alla fine sendo e' nostri
superiori di gente, passorono e vennono a Bracciano, e non potendo gli inimici stare alla
campagna, recuperorono le terre perdute degli Orsini; le accordate con el cardinale si
rivolsono, ed acquistoronne delle altre. |
Aveva el papa già innanzi, intendendo la lega farsi viva, tenuto, per mezzo del
cardinale San Pietro in Vincola, pratica col duca del Loreno che aveva nel reame le
ragioni della casa di Angiò, che e' passassi in Italia, promettendo favorirlo alla
impresa del regno, la quale cosa appiccandosi, el duca si metteva in ordine venirne in
Italia con qualche favore del re di Francia e de' genovesi, ed aveva mandato imbasciadori
a Firenze a pregare desistessino da' favori del re Ferrando e di fare contro alla Chiesa,
e lo aiutassino a questa impresa, ricordando le ingiurie ricevute dal re Ferrando, e'
benefíci avuti dalla casa di Francia e la devozione antiqua e debita verso la Chiesa. Fu
risposto loro mostrando quanto naturalmente la città era desiderosa di pace e che per
conservarla si erano piú anni innanzi collegati con Napoli e Milano, e che di poi, avendo
el papa contro allo officio suo suscitato nuova guerra, erano stati constretti per
osservare la fede ed etiam per ovviare a chi voleva occupare quello di altri, pigliar
insieme con Milano la difesa del re Ferrando; el papa non avere insino a quello dí fatto
menzione del duca del Loreno, anzi avere trattato la guerra come causa sua propria; ora
questa essere una arte non per beneficare el duca, ma per valersi di quello nome e
riputazione, e però la città non potere deliberare altro, infino non si chiarissi se
cosí era da vero la intenzione del pontefice; e quando cosí fussi, che consulterebbe co'
collegati, ed in quello potessi l'onestà, si ricorderebbe delle obligazioni aveva con la
casa di Francia. |
Fu dato nella risposta loro questo appicco per non gli fare sdegnare, perché erano
non solo oratori del duca ma etiam del re, con chi bisognava procedere destramente,
rispetto a' mercatanti; e però a Milano, che poteva procedere piú audacemente, fu data
loro quando esposono nel medesimo effetto, risposta piú gagliarda. E nondimeno questa
venuta del duca del Loreno, la quale ogni dí piú rinfrescava dava terrore assai, ed in
modo che Lorenzo de' Medici, considerando quanto fussi accetta e grata alla città
universalmente la casa di Francia ed e converso quando fussi esoso al popolo el re
Ferrando, entrato in paura non si recare troppo peso in sulle spalle, massime che questa
impresa in beneficio del re era dispiaciuta a molti cittadini de' principali, arebbe forse
mutato proposito, se già e' viniziani, per non volere oltramontani in Italia, non si
fussino accostati col re, quando una subita pace assicurò ogni cosa. Perché Innocenzio,
veduto che e' baroni erano nel regno in declinazione, e già alcuni erano ritornati alla
divozione del re, e la lega in modo al disopra di quello di Roma, che non vi stava drento
sanza pericolo, subito per mezzo di messer Gian Iacopo da Triulzi e di Ioanni Ioviano
Pontano secretario del duca di Calavria, conchiuse pace colla lega: nella quale assettate
le cose di Roma, furono e' baroni e l'Aquila lasciata a discrezione del re; fu provisto
che el signore Ruberto non fussi piú suo soldato e si partissi de' terreni sua; di
Serezzana ed altri desideri particulari de' fiorentini non si parlò, con poca
satisfazione della città. |
Fatta la pace, el signore Ruberto licenziato prese la volta di Romagna per ridursi
colle gente nelle terre de' viniziani; la quale cosa sendogli negata, per non si tirare la
guerra adosso, fu constretto lasciare le gente in mano degli inimici, andarsene con pochi
cavalli a Ravenna e di quivi a Vinegia. El re, avute le nuove della pace, innanzi la
publicassi fece subito pigliare el conte di Sarni, el Coppola, secretario, messer Empò,
messer Anello ed alcuni altri che gli avevono occultamente trattato contro, e presone la
debita punizione, trovò in loro di mobile el valsente di piú che trecentomila ducati; e
di poi voltose a rassettare le cose sue, non avendo quasi ostaculo dagli inimici perché
erano abandonati, gli spacciò tutti; e si fece cosí intero ed assoluto signore di quel
regno, come ne fussi stato alcuno altro gran tempo innanzi; in modo che gli fu imputato a
felicità l'avere avuta questa guerra, per avergli data occasione di assicurarsi de'
baroni. |
El papa non gli sendo riuscita la prima impresa, si volse tutto a' pensieri della pace
e si congiunse assai colla città nostra, dando a Franceschetto, suo figliuolo bastardo,
per moglie Maddalena figliuola di Lorenzo de' Medici, e faccendo cardinale messer Giovanni
de' Medici suo figliuolo fanciullo, e intrinsicandosi tanto con Lorenzo, che Lorenzo
mentre visse ne dispose sempre in ogni cosa a suo modo con sua grandissima riputazione. E
perché nella conclusione non si era tenuto delle particularità della città quello conto
che ricercavano e' meriti sua rispetto alle spese soportate nella guerra, e la città se
ne era gravemente doluta col re e col signore Lodovico, e loro mossi dal giusto avevano
promesso favorirla nella impresa di Serezzana, e si vedeva che la città desiderosa di
recuperare le cose sue era per attendervi presto, e' genovesi l'anno 1487 vennono a campo
a Serezzanello per vendicarsi della ingiuria ricevuta in Pietrasanta e perché el luogo
era fortissimo e pareva inespugnabile co' modi ordinari cominciorono, per disegno d'uno
ingegnere loro, una buca sotto terra per entrare sotto le mura del castello e messovi
polvere da bombarde darvi fuoco, sperando che la potenzia di quella polvere avessi a
aprire e rovinare el castello. |
A Firenze inteso el subito assalto si avviorono le gente avevamo a Pietrasanta, e
dettesi ordine condurre quante fanterie si poteva e furno mandati commessari Iacopo
Guicciardini e Piero Vettori, e' quali colle gente avevano se ne vennono presso a
Serezzanello per tenere forti quegli di drento colla speranza del soccorso, e con animo
non si affrontare insino a tanto non si ingrossassi el campo di gente si conducevano e di
aiuti dovevano venire da Milano, quando e' genovesi seguitando la cava e di già sendo
entrati sotto el rivellino. del castello e seguitando piú innanzi, trovorono un masso
molto duro, el quale era impossibile rompere sanza lunghezza di tempo, ed el tempo non si
poteva aspettare per paura del campo inimico che tutto dí ingrossava. Dettono adunque
fuoco, per l'impeto del quale el rivellino furiosamente si aperse e rovinò con morte di
dodici o sedici uomini vi erano drento; el castello tutto tremò ma non si aperse, perché
la cava non era ita tanto innanzi vi fussi sotto, ma si vedde che el disegno era vero e da
riuscire; di che gli uomini di drento, impauriti di tanta furia cominciorono a fare cenni
di soccorso e di non si potere piú tenere, parve per questo anticipare el tempo e non
aspettare piú, dubitando che se indugiavano, di non essere tardi. E la mattina sequente,
che fu el dí di pasqua di resurrezione, assaltorono el campo inimico, appiccossi una
zuffa belle e gagliarda, e finalmente e' nostri furono vincitori con gran rotta e
sbaraglio degli inimici, de' quali rimase prigioni assai, e fra gli altri messer Gian
Luigi dal Fiesco. Avuta questa vittoria, e' commessari colle gente nostre si avviorno alla
volta di Serezzana, dove, sendo ingrossato el campo di gente aragonese e sforzesche, si
accamporono; e continuando e' felici successi, avendo preso per forza San Francesco e
battagliata assai e bombardata la terra, ed ordinandosi dare una altra forte battaglia,
quegli della terra si dettono, salve la robe e le persone. |
Questo fine ebbono le imprese di Pietrasanta e Serezzana e cosí si terminorono con
grande gloria della città e dello stato, e come parve allora, con gran sicurtà di Pisa e
degli altri luoghi nostri da quella banda, e con grande ignominia de' genovesi. E' quali,
risentitisi di queste perdite, con molte galee e legni l'anno seguente vennono a campo a
Livorno, e per potere bombardare le nostre torre di mare, fondorono con grandissima
difficultà in mare una travata di legni, in su' quali condussono e piantorono le
artiglierie. Trovavasi nella torre del Fanale commessario Piero Vettori, ed a Pisa, per el
soccorso di Livorno, commessari Iacopo Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Piero
Capponi; e' quali, benché fussino in dubio grande di perdere Livorno, pure, sendosi
opposti e' venti a' genovesi, ingrossarono tanto che vi messono soccorso, ed e' genovesi,
veduto non potere fare piú nulla, si partirono. |
L'anno sequente andandone a marito madonna Isabella figliuola di Alfonso duca di
Calavria e moglie di Giovan Galeazzo duca di Milano, ed avendo a toccare Livorno per
passo, si disegnò, rispetto al padre ed al marito ed alla congiunzione avevano colla
città, fargli grande onore e furono mandati commessari a Livorno a onorarla, Iacopo
Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Paolantonio Soderini, e' quali, secondo la
commessione della città, la riceverono ed onorarono grandissimamente. |
In questo medesimo tempo, sendo Nero Cambi gonfaloniere di giustizia ed avendosi a
trarre la nuova signoria (la quale tratta non si può fare se non vi intervengono e' due
terzi de' signori e de' collegi), accadde che si trovorono fuori di Firenze tanti collegi,
che non vi sendo el numero sufficiente, la tratta non si potette fare all'ora deputata, e
sendosi spacciati cavallari per loro nelle ville, non vi fu el numero innanzi alla sera,
ed allora si fece la tratta. Di che sendo sdegnato el gonfaloniere che sedeva, propose a'
compagni di ammunire tre o quattro de' collegi che si erano partiti di Firenze senza
licenzia, e perché non vi sarebbono concorsi se non avessino inteso piú là, disse loro
che cosí era la volontà di chi reggeva. Dispiacque assai questa cosa a Lorenzo de'
Medici ed a' cittadini dello stato, parendo loro che se si introducessi in consuetudine
che una signoria avessi ardire ammunire e' cittadini sanza conferirne con chi governava,
che lo stato loro fussi a cavallo in su uno baleno e che sei fave gli caccierebbono un dí
da Firenze; e però come el gonfaloniere fu uscito, fattasi pratica di questo caso, furono
restituiti e' collegi ammuniti, ed el Nero Cambi fu ammunito in perpetuo. |
Ne' medesimi tempi stando Italia tutta in pace e le cose della città in sommo ozio e
felicità, si prese forma riordinare molte cose di drento; e levata a' settanta la
autorità di creare la signoria, perché le cose andassino piú strette, si elessono
accopiatori che la facessino; e di poi perché pareva dovere nella città riordinarsi
molte cose, e circa al creare e' magistrati e circa alle gravezze e circa al Monte e circa
alle gabelle, per fuggire la difficultà ed el tedio delle provisioni e de' consigli, fu
data per gli oportuni consigli autorità e balía a diciassette cittadini. che potessino
disporre di tutte le cose della città tanto quanto poteva tutto el popolo di Firenze; e
furono creati detti diciassette cittadini, e' quali furono questi: Lorenzo de' Medici,
Iacopo Guicciardini, Bernardo del Nero, Niccolò Ridolfi, Pierfilippo Pandolfini, Giovanni
Serristori, messer Agnolo Niccolini, messer Piero Alamanni,... |
............................. |
Antonio di Bernardo. E perché Iacopo Guicciardini morí durante l'ufficio, fu eletto
in suo luogo Piero suo figliuolo. Costoro riformorono molte cose della città, ed infra
l'altre ordinorono di nuovo che le gabelle si pagassino di monete bianche che valevano el
quarto piú delle altre, e cosí e' sudditi le loro gravezze ed estimi, in modo che
multiplicorono assai le entrate della città, ma con gran grido dell'universale e della
plebe, alla quale doleva essere per questo ordine rincarate tutte le grascie e cose
necessarie al vitto. |
Nel medesimo anno sendo amalato gravemente papa Innocenzio e già disperandosi la
salute, furono eletti due imbasciadori per Roma che subito dovessino cavalcare, messer
Guidantonio Vespucci e Piero Guicciardini; e la cagione fu perché operassino con ogni
instanzia in nome della città che fussi ammesso in conclave come cardinale messer
Giovanni figliuolo di Lorenzo de' Medici, che era stato eletto cardinale da Innocenzio, ma
per la età non ancora publicato né ricevuto el cappello; ma di poi, sopravenendo ex
insperato la guarigione del papa, non andorono. |
L'anno sequente 1491 sendo Lorenzo tutto vòlto per la quiete publica alle arti della
pace, e tra le altre cose, come dicono alcuni, in riformare lo stato e crearsi
gonfaloniere a vita, volse lo animo a rassettare Pisa, la quale era in povertà
grandissima e molta vòta di abitanti e di esercizi; e parendogli da dare questa cura a'
consoli di mare, mutato el modo di eleggergli, che erano per squittino, ed el numero che
erano cinque e l'autorità che era ordinaria, ne face fare a mano ne' settanta, tre con
autorità amplissima, che furono Lorenzo Morelli, Filippo della Antella e Piero
Guicciardini; e' quali avessino a ordinare la riforma di Pisa, attendere a fortificare
Livorno, armare legni grossi per potere navigare, come si soleva fare innanzi alle guerre
co' genovesi. Le quali cose sendo abozzate si interruppono per lo accidente di che dí
sotto si dirà. Fortificossi in quello tempo medesimo Serezzana, faccendosene un luogo
quasi inespugnabile, giudicando avessi a essere uno passo che tenessi ogni grosso esercito
volessi passare di Lombardia; muravasi ancora con uno disegno bellissimo e fortissimo el
Poggio Imperiale e tutto el paese; e le cose nostre si ornavano di legge e di munizione. |