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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Il Milione

di Marco Polo

 Capitolo 157 - 209

 

[Nota: il simbolo † indica lacune nel manoscritto originario]

157
Come sono gl'idoli di questa isola.
Or sapiate che gl'idoli di queste isole e quelle del Catai sono tutte d'una maniera. E questi di queste isole, e ancora de l'altre ch'ànno idoli, ta' sono ch'ànno capo di bue, e tal di porco, e cosí di molte fazioni di bestie, di porci, di montoni e altri; e tali ànno un capo e 4 visi e tali ànno 4 capi e tali 10; e quanti piú n'ànno, magiore speranza e fede ànno in loro. Gli fatti di quest'idoli son sí diversi e di tante diversità di diavoli, che qui non si vuole contare.
Or vi dirò d'una usanza ch'è in questa isola. Quando alcun di quest'isola prende alcuno uomo che non si possa ricomperare, convita suoi parenti e compagni, e fanno 'l cuocere e dàllo a mangiare a costoro; e dicono ch'è la migliore carne che si mangi.
Or lasciamo andare questa matera e torniamo a la nostra. Or sapiate che questo mare, ov'è quest'isola, si chiama lo mare de Cin, che vale a dire lo 'mare ch'è contra lo Mangi'; e in questo mare de Cin, secondo che dicono savi marinari che ben lo sanno, à bene 7448 isole, de le quali le piú s'abitano. E sí vi dico che in tutte queste isole no nasce niuno àlbore che no ne vegna olore, come di legno aloe e magiore. E ànno ancora molte care spezie di piú maniere; e in quest'isole nasce il pepe bianco come neve, e del nero in grande abondanza. Troppo è di grande valuta ill'oro, e l'altre care cose che vi sono, ma sono sí di lungi ch'a pena vi si può andare. E le navi di Quinsai e del Zaiton, quando vi vanno, ne recano grande guadagno, e penanvi ad andare un anno, ché vanno il verno e tornano la state. Quini non à se non due venti, l'uno che mena in là e l'altro in qua; e questi due venti l'uno è di verno e l'altro è di state. Ed è questa contrada molto di lungi d'India, e questo mare è bene del mare Ozeano, ma chiamasi de Cin, sí come si dice lo mare d'Inghilterra o quel de Rocella; e 'l mare d'India ancora è del mare Ozeano.
Di queste isole non vi conteròe piú, però che non vi sono stato, e 'l Grande Kane non v'à che fare. Or torneremo al Zaiton, e quine riconinceremo nostro libro.
158
Della provincia di Ciamba.
Sapiate che, quando l'uomo si parte dal porto di Zaiton e navica ver' ponente e alcuna (cosa) ver' garbino 1.500 miglia, sí si truova una contrada ch'à nome Cianba, ch'è molto ricca terra e grande. E ànno re per loro, e sono idoli, e fanno trebuto al Grande Kane ciascuno anno 20 leofanti - e no li danno altro - li piú belli che vi si può trovare, ché n'ànno assai.
E questo fece conquistare il Grande Kane negli anni Domini 1278; or vi dirò de l'afare del re e del regno. Sapiate che 'n quel regno non si può maritare neuna bella donzella che no convegna (prima) che 'l re la pruovi, e se li piace, sí la tiene, se no, sí la marita a qualche barone. E sí vi dico che negli anni Domini 1285, secondo ch'io Marco Polo vidi, quel re avea 326 figliuoli, tra maschi e femine, ché ben n'a(vea) 150 da arme.
In quel regno à molti elefanti, e legno aloe assai; e ànno molto del legno (ebano) onde si fanno li calamari.
Qui non à altro da ricordare; or ci partimo e 'ndamo ad un'isola ch'à nome Iava.
159
Dell'isola di Iava.
Quando l'uomo si parte di Cianba e va tra mezzodie e siloc ben 1.500 miglia, si viene a una grandissima isola ch'à nome Iava. E dicono i marinai ch'è la magior isola del mondo, ché gira ben 3.000 miglia. E' sono al grande re; e sono idoli, e non fanno trebuto a uomo del mondo. Ed è di molto grande richezza: qui à pepe e noci moscade e spig[o] e galinga e cubebe e gherofani e di tutte care spezie. A quest'isola viene grande quantità di navi e di mercatantie, e fannovi grande guadagno; qui à molto tesoro che non si potrebbe contare. Lo Grande Kane no l'à potuta conquistare per lo pericolo del navicare e de la via, sí è lunga. E di quest'isola i mercatanti di Zaiton e de li Mangi n'ànno cavato e cavano grande tesoro.
Or andiamo piú 'nanzi.
160
Dell'isole di Sodur e di Codur.
Quando l'uomo si parte de l'isola d'Iava e va tra mezzodie e garbino 700 miglia, sí truova due isole, l'una grande e l'altra piccola, che si chiamano Sondur e Condur.
E di qui si parte l'uomo e va per siloc da 500 miglia, e quine truva una provincia che si chiama Locac, molto grande e ricca; ed èvi un grande re. E' sono idoli, e no fanno trebu[to] a neuno, però che sono in tal luogo che no vi si può andare per mal fare. In questa provincia nasce [berci] dimestico in grande quantità. Egli ànno tant'oro che no si può credere; egli ànno leofanti, cacciagioni e ucelagioni assai. E di questa provincia si parte tutte le porcelane onde si fa le monete di quelle contrade.
Altro non v'à ch'i' sappia, perch'è sí mal luogo che poca gente vi va; e 'l re medesimo n'è lieto, perché non vuole ch'altre sappia lo tesoro ch'egli àe.
Or andremo piú oltra, e conterenvi altre cose.
161
Dell'isola di Petam.
Or sapiate che quando l'uomo si parte di Locac e va 500 miglia per mezzodie, sí truova un'isola ch'à nome Pentain, che molto è salvatico luogo. Tutti loro boschi sono di legni olorosi.
Or paseremo queste due isole intorno 60 miglia. E non v'à se non 4 passa d'acqua, e non si porta timone a le navi per l'acqua piccola, onde si convegnono tirare le navi. Quando l'uomo à pasato queste 60 miglia, ancora va per siloc 30 miglia. Qui si truova una isola che v'è un re e si chiama Malavir la città, e l'isola Pentain. La città è grande e nobile; quine si fae grandi mercatantie d'ogne cosa; di spezie à grande abondanza.
Non v'à altro da ricordare; però ci partiremo, e conteròvi de la piccola Iava.
162
Della piccola isola di Iava.
Quando l'uomo si parte de l'isola di Pentain e l'uomo va per siloc da 100 miglia, truova l'isola di Iava la minore, ma è sí piccola che gira 2.000 miglia. E di quest'isola vi conterò tutto 'l vero.
Sapiate che su quest'isola à 8 re coronati. E' sono tutti idoli; e ciascun di questi reami à lingua per sé. Qui à grande abondanza di tesoro e di tutte care spezie. Or vi conterò la maniera di tutti questi reami, ciascun per sé, e diròvi una cosa che parrà meraviglia a ogn'uomo: che quest'isola è tanto verso mezzodie che la tramontana non si vede, né poco né assai. Or torneremo a la maniera degli uomini, e diròvi del reame di Ferlet.
Sapiate che, perché mercatanti saracini usano in questo reame co lor navi, ànno convertita questa gente a la legge di Maomet. E questi sono soli quelli de la città; quelli de le montagne sono come bestie, ch'elli mangiano carne d'uomo e d'ogn'altra bestia e buona e rea. Elli adorano molte cose, ché la prima cosa ch'elli veggono la mattina, sí l'adorano. Contato di Fe(r)let, conteròvi del reame de Basma.
Lo reame de Basman, ch'è a l'uscita del Ferlet, è reame per sé e (ànno) loro linguaggio; ma elli no ànno neuna legge, se non come bestie. Elli si richiamano per lo Grande Kane, ma no li fanno neun trebuto, perché son sí a la lunga che la gente del Grande Kane non vi potrebbe andare, ma 'lcuna volta lo presentano d'alcuna strana cosa. Elli ànno leofanti assai salvatichi e unicorni, che no son guari minori d'elefanti; e' son di pelo bufali, i piedi come di lefanti; nel mezzo de la fronte ànno un corno grosso e nero. E dicovi che no fanno male co quel corno, ma co la lingua, che l'ànno spinosa tutta quanta di spine molto grandi; lo capo ànno come di cinghiaro, la testa porta tuttavia inchinata ve(r)so la terra: sta molto volentieri tra li buoi. Ell'è molto laida bestia, né non è, come si dice di qua, ch'ella si lasci prendere a la pulcella, ma è 'l contradio. Egli ànno scimie assai e di diverse fatte; egli ànno falconi neri buoni da ucellare.
E vo'vi fare asapere che quelli che recano li piccoli uomini d'India, si è menzogna, ché quelli che dicono che sono uomini, e' li fanno in questa isola, e diròvi come. In quest'isola àe scimmie molto piccole, e ànno viso molto simile a uomo; gli uomini pelano quelle scimmie, salvo la barba e 'l pettignone, poi l[e] lasciano secare e pongolle in forma e concialle con zaferano e con altre cose, che pare che sieno uomini. E questo è una grande buffa, ché mai no fue veduti cosí piccoli uomini.
Or lasciamo questo reame, ché non ci à altro da ricordare; e diròvi de l'altro ch'à nome Samarra.
163
Del reame di Samarra.
Or sapiate che, quando l'uomo si parte di Basma, elli truova lo reame di Samarra, ch'è in questa isola medesima. Ed io Marco Polo vi dimórai 5 mesi per lo mal tempo che mi vi tenea, e ancora la tramontana no si vedea, né le stelle del maestro. E' sono idoli salvatichi; e ànno re ricco e grande; anche s'apellano per lo Grande Kane. Noi vi stemmo 5 mesi; noi uscimmo di nave e facemmo in terra castella di legname, e in quelle castelle stavavamo per paura di quella mala gente e de le bestie che mangiano gli uomini. Egli ànno il migliore pesce del mondo, e non ànno grano ma riso; e non ànno vino, se non com'io vi dirò. Egli ànno àlbori che tagliano li rami, gocciolano, e quell'acqua che ne cade è vino; ed empiesine tra dí e notte un grande coppo che sta apiccato al troncone, ed è molto buono. L'àlbore è fatto come piccoli datteri, e ànno quattro rami; e quando lo troncone non gitta piúe di questo vino, elli gittano de l'acqua al piede di questo àlbore e, stando un poco, el troncone gitta; ed àvine del bianco e del vermiglio. Di noci d'India à grande abondanza; elli mangiano tutti carne e buone e reie.
Or lasceremo qui, e conteròvi de Dragroian.
164
Del reame di Dragouain.
Dragroian è un reame per sé, e ànno lor linguaggio. E' son di quest'isola; la gente è molto salvatica e sono idoli.
Ma io vi conterò un male costume ch'egli ànno, che quando alcuno à male, elli mandano per loro indevini e incantatori che 'l fanno per arti di diavoli, e domandano se 'l malato dé guerire o morire. E se 'l malato dé morire, egli mandano per certi ordinati a ciò, e dicono: "Questo malato è giudicato a morte, fa' quello che de' fare". Questi li mette alcuna cosa su la bocca ed afogalo; poscia lo cuocono; quand'egli è cotto, vegnono tutti i parenti del morto e màngiallo. Ancora vi dico ch'elli mangiano tutte le mirolla dell'osso; e questo fanno perché dicono che no vogliono che ne rimanga niuna sustanza, perché se ne rimanesse alcuna sustanza, farebbe vèrmini, e questi vermi morebbono per difalta di mangiare; e de la morte di questi vermi l'anima del morto n'avrebbe grande peccato, e perciò mangiano tutto. Poscia piglian l'ossa e pongolle in una archetta, e apíccalle in caverne sotterra ne le montagne, in luogo ch'altre no le possa tocare, né uomo né bestia. E se possono pigliare alcuno uomo d' altra contrada che non si possa rimedire, sí 'l mangiano.
Or lasciamo di questo reame, e conteròvi de La(n)bri.
165
Del reame di Lambri.
Lanbri è reame per sé e richiamasi per lo Grande Kane. E' sono idoli. Elli ànno molto berci e canfora e altre care spezie - del seme del berci regai io a Venigia, e non vi nacque per lo freddo luogo.
In questo reame sono uomini ch'ànno coda grande piú d'un palmo, e sono la maggior parte, e dimorano ne le montagne di lungi da la città; le code son grosse come di cane. Egli ànno unicorni assai, cacciagioni e ucellagioni assai.
Contato di Lanbri, conteròvi de Fansur.
166
Del reame di Fansur.
Fansur è reame per sé. E' sono idoli e si richiamano per lo Grande Kane; e sono di questa isola medesima. E qui nasce la miglior canfora del mondo, che vi si vende a peso con oro. No ànno grano, ma manucano riso; vino ànno degli àlbori ch'abiamo detto di sopra. Qui à una grande maraviglia, che ci àn farina d'àlbori, che sono àlbori grossi e ànno la buccia sottile, e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farin[a] si fa molti mangiar di pasta e buoni, ed io piú volte ne mangiai.
Or abiamo contato di questi reami; degli altri di quest'isola non contiamo, però che noi non vi fummo, e però vi conterò d'un'altra isola molto piccola, che si chiama Nenispela.
167
Dell'isola di Neguveran.
Quando l'uomo si parte di Iava e del reame di La(n)bri e va per tramontana 150 miglia, sí truova le due isole: l'una si chiama Neguveran. E in quest'isola no à re; e sono come bestie, e vanno tutti ignudi e non si cuoprono nulla. E' sono idoli. E tutti lor boschi sono d'àlbori di grande valuta, cioè sandoli, noci d'India, gherofali e berci e molti altre buoni àlbori.
Altro non v'à da ricordare; però ci partiremo, e diròvi de l'altra isola ch'à nome A(n)gaman.
168
Dell'isola d'Angaman.
Angaman è un'isola, e no ànno re. E' sono idoli, e sono come bestie salvatiche. E tutti quelli di quest'isola ànno lo capo come di cane e denti e naso come di grandi mastini. Egli ànno molte spezie. E' sono mala gente e mangiano tutti gli uomini che posson pigliare, fuori quelli di quella contrada. Lor vivande son latte, riso e carne d'ogne fatta; e ànno frutti diversi da' nostri.
Or ci partiremo di qui, e dirén d'un'altr'isola chiamata Seillan.
169
Dell'isola di Seilla.
Quando l'uomo si parte de l'isola de Angaman e va 1.000 miglia per ponente e per gherbino, truova l'isola di Seilla, ch'è la migliore isola del mondo di sua grandezza. E diròvi come ella gira 2.400 miglie. E sí vi dico ch'anticamente ella fue via magiore, ché girava 3.600 miglia, secondo che dice la mapamundi; ma 'l vento a tramontana vi viene sí forte, che una grande parte à fatto andare sott'acqua.
Quest'isola sí à re che si chiama Sedemain. E' sono idoli e no fanno trebuto a neuno. E' vanno tutti ignudi, salvo lor natura. No ànno biade, ma riso, e ànno sosimain, onde fanno l'olio, e vivono di riso, di latt'e di carne; vino fanno degli àlbori ch'ò detto (di sopra). Or lasciamo andare questo, e conteròvi de le piú preziose cose del mondo.
Sapiate che ('n) quest'isola nasce li nobili e li buoni rubini, e non nasciono in niuno lugo del mondo piúe; e qui nasce zafini e topazi e amatisti, e alcune altre buone pietre preziose. E sí vi dico che 'l re di questa isola àe il piú bello rubino del mondo, né che mai fue veduto; e diròvi com'è fatto. Egli è lungo presso a un palmo ed è grosso ben tanto come un braccio d'uomo; egli è la piú sprendiente cosa del mondo; egli non à neuna tecca, egli è vermiglio come fuoco; egli è di sí grande valuta che non si potrebbe comperare. E 'l Grande Kane mandò per questo rubino, e volea dare presso lo valer d'una città, ed elli disse che nol darebbe per cosa del mondo, però che fue de li suoi antichi. La gente è vile e cattiva, e se li bisogna gente d'arme, ànno gente d'altra contrada, spezialemente saracini.
Qui non à 'ltro da ricordare; però ci partiremo e conteremo di Maabar.
170
Della provincia di Maabar.
Quando l'uomo si parte de l'isola di Silla e va ver' ponente da 60 miglia, truova la grande provincia di Maabar, ch'è chiamata l'India magiore. E questa è la miglior India che sia, ed è de la terra ferma. E sapiate che questa provincia à cinque re che sono fratelli carnali, ed io dirò d'alcun per sé. E sapiate che questa è la piú nobile provincia del mondo e la piú ricca. Sapiate che da questo capo de la provincia regna un di questi re, ch'à nome Senderban re de Var. In questo regno si truova le perle buone e grosse, ed io vi dirò com'elle si pigliano le perle.
Sapiate ch'egli àe in questo mare un golfo ch'è tra l'isole e la terra ferma, e non v'à d'acqua piú di 10 passi o 12, e in tal luogo non piú di due; e in questo golfo si pigliano le perle, e diròvi come. Gli uomini pigliano le navi grandi e piccole e vanno in questo golfo, del mese d'aprile insino in mezzo maggio, in un luogo che si chiama Baccalar. E' vanno nel mare 60 miglia, e quini gittano loro ancore, ed entrano in barche piccole e pescano com'io vi diròe. E sono molti mercatanti, e fanno compagnia insieme, e aluogano molt[i] uomini per questi 2 mesi, tanto come la pescheria dura. E' mercatanti donano al re de le 10 parti l'una di ciò che pigliano; e ancora ne donano a colui che incanta i pesci, che non facciano male agli uomini che vanno sott'acqua per (trovare) le perle: a costui donano de le 20 parti l'una. E questi sono abrinamani incantatori. E questo incantesimo non vale se no 'l die, sí che di notte neuno non pesca; e costoro (ancora) incantano ogne bestia e ucello. Quando questi uomini alogati vanno sott'acqua, 2 passi o 4 o 6 insino a 12, e' vi stanno tanto quanto possono, e pigliano cotali pesci che noi chiamiamo areghe: in queste areghe si pigliano le perle grosse e minute d'ogne fatta.
E sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n'à grande tesoro. Or v'ò detto come si truovano le perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si ne truova piúe. Ben è vero che, di lungi di qui 300 miglia, si ne truova di settembre insino ad ottobre.
E sí vi dico che tutta questa provincia di Maabar non li fa bisogno sarto, però che vanno tutti ignudi d'ogne tempo, però ch'egli ànno d'ogne tempo temperato, cioè né freddo né caldo; però vanno ignudi, salvo che cuoprono lor natura con un poco di panno. E cosí vae il re come gli altri, salvo che porta altre cose, com'io vi dirò.
E' porta a la natura piú bel panno che gli altri, e a collo un collaretto tutto pieno di pietre preziose, sí che quella gorgiera vale bene 2 grandissimi tesori. Ancor li pende da collo una corda di seta sottile che li va giú dinanzi un passo, e in questa corda àe da 104 tra perle grosse e rubini, lo quale cordone è di grande valuta. E diròvi perch'elli porta questo cordone, perché conviene ch'egli dica ogne die 104 orazioni a' suoi idoli; e cosí vuole lor legge, e cosí fecero gli altri re antichi, e cosí fanno questi. Ancora porta a le braccia bracciali tutti pieni di queste pietre carissime e di perle, e ancora tra le gambe in tre luoghi porta di questi bracciali cosí forniti. Anche vi dico che questo re porta tante pietre adosso che vagliono una buona città: e questo non è maraviglia, se n'à cotante com'io v'ò contato.
E sí vi dico che neuno può trare neuna pietra né perla fuori di suo reame, che pesi da un mezzo saggio in su; e 'l re ancora fa bandire per tutto suo reame che chi à grosse pietre e buone o perle grosse, che le porti a lui, ed elli ne farà dare due cotanti che no li costano. E quest'è usanza del regno, di donare lo doppio; e' mercatanti e ogn'uomo, quando n'ànno, volentieri le portano al segnore, perché sono ben pagati.
Or sappiate che questo re à bene 500 femine, cioè moglie, ché, come vede una bella femina o donzella, incontanente la vòle per sé, e sí ne fa quello ch'io vi dirò. Incontanente che elli vide una bella moglie al fratello, sí lile tolse e tennela per sua, e 'l fratello, perch'era savio, lo soferse e no volle briga co lui.
Ancora sappiate che questo re àe molti figliuoli che sono grandi baroni, che li vanno atorno sempre quando cavalca. E quando lo re è morto, lo corpo suo s'arde, e tutti questi suoi figliuoli s'ardono, salvo il maggiore che dé retare; e questo fanno per servirlo ne l'altro mondo.
Ancora v'è una cotale usanza, che del tesoro che lascia il re al figliuolo, mai non ne tocca, ché dice ch[e] no vòle mancare quello che li lasciò il suo padre, anzi il vòle acrescere; e catuno sí l'acresce, e l'uno il lascia a l'attro, e perciò è questo re cosí ricco.
Ancora vi dico che in questo reame no vi nasce cavalli, e perciò tutta la rendita loro o la maggiore parte, ogn'anno si cunsuma in cavalli. E diròvi come: i mercatanti di Quisai e de Dufar e d'Eser e de Adan - queste province ànno molti cavalli - e questi mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a questi 5 re che sono fratelli, e vendeno l'uno bene 500 saggi d'oro, che vagliono bene piú di 100 marchi d'ariento. E questo re n'accatta bene ogn'anno 2.000 o piú, e li fratelli altretanti: di capo de l'anno tutti sono morti, perché non v'à marescalco veruno, perch'elli no li sanno governare. E questi mercatanti no vi ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli muoiano, per guadagnare.
Ancora v'à cotale usanza: quando alcuno omo à fatto malificio veruno che debbia perdere persona, e quello cotale uomo dice che si vòle uccidere elli istesso per amor e per onore di cotale idolo, e 'l re li dice che bene li piace. Alotta li parenti e li amici di questo cotale malefattore lo pígliaro e pongolo in su una caretta, e dannoli bene 12 coltella e portal[o] per tutta la terra, e vanno dicendo: ".Questo cotale prod'uomo si va ad uccidere elli medesimo per amore di cotale idolo". E quando sono al luogo ove si dé fare la giustizia, colui che dé morire piglia uno coltello e grida ad alta boce: "Io muoio per amore di cotale idolo". Com'à detto questo, elli si fiede del coltello per mezzo il braccio, e piglia un altro e dassi ne l'altro (braccio), e poscia de l'altro per lo corpo; e tanto si dà ch'elli s'ucide. Quand'è morto, li parenti l'ardono con grande alegrezza.
Ancora v'à un altro costume, che quando neiuno uomo morto s'arde, la moglie si gitta nel fuoco e arde co lui; e queste femine che fanno questo sono molto lodate da le genti, e molte donne il fanno.
Questa gente adorano l'idole, e la magiore parte il bue, ché dicono ch'è buona cosa; e veruno v'à che mangiasse di carne di bue, né nullo l'ucciderebbe per nulla. Ma e' v'à una generazione d'uomini, ch'ànno nome gavi, che mangiano i buoi, ma non li usarebbero uccidere; ma se alcuno ne muore di sua morte, sí 'l mangiano bene. E sí vi dico ch'elli ungono tutta la casa del grasso del bue.
Ancora ci à un altro costume, che li re e baronia e tutta altra gente non siede mai se no in terra; e dicono che questo fanno perché sono di terra e a la terra debbono tornare, sí che non la possono troppo inorare.
E questi gavi che mangiano la carne del buoi, sono quelli i cui antichi ucisero santo Tommaso apostolo anticamente; e veruno di questa generazione no potrebbe intrare colà ov'è il corpo di santo Tomaso. Ancora vi dico che 20 uomini no vi ne potrebbero mettere uno, di questa cotale generazione de' gavi, per la virtú del santo corpo. Qui non à da mangiare altro che riso. Ancora vi dico che se un grande destriere amontass[e] una cavalla, non ne nascerebbe se no uno piccolo ronzino co le gambe torte, che no vale nulla e non si può cavalcare. E questi uomini vanno in bataglie co scudi e co lance, e vanno ignudi, e non sono prod'uomini, anzi sono vili e cattivi. Eglino non uciderebbero alcuna bestia, ma quando vogliono mangiare alcuna carne, sí la fanno ucidere a' saracini ed ad altra gente che no siano di loro legge. Ancora ànno un'altra usanza, che maschi e femine ogne dí si lavano due volte tutto il corpo, la mattina e la sera; né mai no mangerebbero se questo non avessero fatto, né no berebbero; e chi questo no facesse, è tenuto come sono tra noi i paterini.
Ed in questa provincia sí si fa molto grande giustizia di quelli che fanno mecidio o che imbolino, e d'ogne maleficio. E chi è bevitore di vino non è ricevuto a testimonianza per l'ebrietà; ed ancora chi va per mare dicono ch'è disperato. E sapiate ch'elli no tengono a pecato nulla lussuria.
E v'à sí grande caldo ch'è maraviglia. E' vanno ignudi; e no vi piuove se no tre mesi dell'anno, giugno e luglio e agosto; e se no fosse questa acqua che renfresca l'aire, e' vi sarebbe tanto caldo che veruno vi potrebbe campare.
Quivi àe molti savi uomini di fi[sonomia], cioè di conoscere li costumi de li uomini a la vista. Elli guatano ad agure piú che uomini del mondo e piú ne sanno, ché molte volte tornano adietro di loro viaggio per uno istarnuto [o] per la vista d'uno uccello. A tutti loro fanciulli, quando nascono, sí scrivono lo punto e la pianeta che regna allotta, perciò che v'à molti astrolagi e indivini.
E sappiate che per tutta l'India li uccelli loro sono divisati da' nostri, salvo la quaglia; li pipistrelli vi sono grandi come astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a li cavalli carne cotta co riso e molte altre cose c[otte].
Qui àe molti monasteri d' idole, ed àvi molte donzelle e fanciulli oferti da li ro padri e madri per alcuna cagione. E 'l segnore del monistero, quando vòle fare alcuno solazzo a li idoli, sí richieggiono questi oferti; ed elli sono tenuti d'andarvi e quivi ballano e trescano e fanno grande festa. Queste sono molte donzelle; e piú volte queste donzelle portano da mangiare a questi idoli, ove sono oferte; e pongono la tavola dina(n)zi a l'idolo e pongovi suso vivande, e lasciavile istare suso una grande pezza, e tuttavia le donzelle cantando e ballando per la casa. Quando ànno fatto questo, dicono che lo spirito de l'idolo à mangiato tutto il sottile de la vivanda, e ripongolo e vànnosine. E questo fanno le pulcelle tanto che si maritano.
Or ci partimo di questo regno, e diròvi d'un altro ch'à nome Multifili.
171
Del regno di Multifili.
Multifili è un reame che l'uomo truova quando si parte da Maabar e va per tramontana bene 1.000 miglia. Questo regno è d'una reina molto savia, che rimase vedova bene 40 anni, e volea sí grande bene a suo segnore che giamai no volle pigliare altro marito. E costei à tenuto questo regno in grande istato, ed è piú amata che mai fosse re o reina.
In questo reame si truovano i diamanti, e diròvi come. Questo reame àe grandi montagne, e quando piove, l'acqua viene ruvinando giú per queste montagne, e li uomini vanno cercando per la via dove l'acqua è ita, e truovane assai. La state, che no vi piuove, sí si ne truovano su per queste montagne; ma e' v'à sí grande caldo ch'a pena vi si può soferire. E su per quelle montagne à tanti serpenti e sí grandi, che li uomini vi vanno a grande dotta(n)za - e' sono molto velenosi - e non sono arditi d'andare presso a le caverne di quelli serpenti. Ancora li òmini ànno li diamanti per un altro modo: ch'elli v'ànno sí grandi fossati e sí perfondi che veruno vi puote andare; ed elli sí vi gíttaro entro cotali pezzi di carne, e gittala in questi fossati. La carne cade in su questi diamanti; e' ficcansi ne la carne. E su queste montagne istanno aguglie bianche, che stanno per questi serpenti; quando l'aguglie sentono questa carne in questi fossati, si vanno colà giú e recala in su la ripa di questo fossato. E questi vanno a l'aguglie, e l'aguglie fuggono, e li uomini truovano in questa carne questi diamanti. Ed ancora ne truovano: ché l'aguglie sí ne beccano di questi diamanti co la carne, e li uomini vanno la matina al nido de l'aguglie e truovane co l'uscita loro di questi diamanti.
Cosí si truovano i diamanti in questi tre modi, né in luogo del mondo non si ne truova se non in questo reame. E no crediate che i buoni diamanti si rechino qua tra li cristiani, ma portansi al Grande Kane ed agli altri re e baroni di quelle contrade ch'ànno lo grande tesoro.
E sappiate che in questa contrada si fa il migliore bucherame e 'l piú sottile del mondo e 'l piú caro. Egli ànno bestie assai, ed ànno i magiori montoni del mondo; ed ànno grande abondanza d'ogni cosa da vivere.
Or udirete del corpo di messer santo Tomaso apostolo e dov'egli è.
172
Di santo Tomaso l'apostolo.
Lo corpo di santo Tomaso apostolo è nella provincia di Mabar in una picciola terra che non v'à molti uomini, né mercatanti non vi vengono, perché non v'à mercatantia e perché 'l luogo è molto divisato. Ma vèngovi molti cristiani e molti saracini in pellegrinaggio, ché li saracini di quelle contrade ànno grande fede in lui, e dicono ch'elli fue saracino, e dicono ch'è grande profeta, e chiàmallo varria, cio(è) "santo uomo".
Or sapiate che v'à costale maraviglia, che li cristiani che vi vegnono in pellegrinaggio tolgono della terra del luogo ove fue morto san Tomaso e dannone un poco a bere a quelli ch'ànno la febra quartana o terzana: incontanente sono guariti. E quella terra si è rossa.
Ancora vi dirò una maraviglia che venne ne li anni Domini 1288. Uno barone era in quella terra, ch'avea fatto empiere tutte le case della chiesa di riso, sicché veruno pellegrino vi potea albergare. I cristiani che guardavano la chiesa, sí n'avevano grande ira; e non giovava di pregare, tanto che questo barone le facesse isgombrare. Sicché una notte aparve a questo barone santo Tomaso con una forca in mano, e misegliele in bocca e disseli: "Se tosto non fai isgombrare la mia casa, io ti farò morire di mala morte". E con questa forca si gli strinse sí la gola, ch'à colui fue grande pena; e 'l santo corpo si partío. La mattina vegnente il barone fece insgombrare (le case de) la chiesa e disse ciò che gli era intervenuto, e' cristiani n'ebbero grande allegrezza, e grande reverenza ne rendero a santo Tomaso.
E sapiate ch'egli guarisce tutti i cristiani che sono lebrosi.
Or vi conterò come fu morto, secondo ch'io intesi. Messer santo Tomaso si stava in uno romitoro in uno bosco e dicea sue orazioni, e d'intorno a lui si avea molti paoni, ché in quella contrada n'à piú che in lugo del mondo. E quando san Tomaso orava, e uno idolatore della schiatta dei gavi andava ucellaldo a' paoni, e saettando a uno paone, sí diede a santo Tomaso per le costi, ché nol vedea; ed issendo cosí fedito, sí orò dolcemente e cosí orando morío. E inanzi che venisse in questo romitoro, molta gente convertío alla fede per l'India.
Or lasciamo di san Tomaso e diròvi delle cose del paese. Sapiate che fanciugli e fanciulle nascono neri, ma non cosí neri com'eglino sono poscia, ché continuamente ogni settimana s'ungono con olio di sosima, acciò che diventino bene neri, ché in quella contrada quello ch'è più nero è più pregiato.
Ancora vi dico che questa gente fanno dipigne(r) tutti i loro idoli neri, e i dimoni bianchi come neve, ché dicono che il loro idio e i loro santi sono neri.
E sí vi dico che tanta è la speranza e la fede ch'egli ànno nel bue, che quando vanno in oste, il cavaliere porta del pelo del bue al freno del cavallo, e 'l pedone ne porta a lo scudo; e tali se ne fanno legare a' capegli. E questo fanno per campare d'ogni pericolo che puòne incontrare nell'oste. Per questa cagione il pelo de(l) bue v'è molto caro, ché veruno si tiene sicuro se non n'à adosso.
Partiamoci quinci ed andamone in una provincia che si chiamano i bregomanni.
173
Della provincia di Lar.
Lar è una provincia verso ponente, quando l'uomo si parte dal luogo ov'è il corpo di san Tomaso. E di questa provincia sono nati tutti li bregomanni e di là vennero primamente. E sí vi dico che questi bregomanni sono i migliori mercatanti e' piú leali del mondo, ché giamai non direbbero bugia per veruna cosa (del mondo), né non mangiano carne né non beono vino. E' stanno in molta grande onestade, e non tocherebboro altra femina che loro moglie, né none ucciderebboro veruno animale, né non farebboro cosa onde credessoro avere peccato.
Tutti li bregomanni sono conosciuti per uno filo di bambagia ch'egli portano sotto la spalla manca, e sí 'l si legano sopra la spalla ritta, sicché li viene il filo atraverso il petto e le spalle. E sí vi dico ch'egli ànno re ricco e potente, e compera volontieri perle e priete preziose, e conviene ch'abbia tutte le perle che recano li mercatanti delli bregomanni da Mabar, ch'è la migliore provincia ch'abbia l'India.
Questi sono idolatri e vivono ad agura d'uccelli e di bestie piú ch'altra gente. Ed àvi uno cotale costume: quando alcuno mercatante fa alcuna mercatantia, elli si pone mente a l'ombra sua; e se l'ombra è tamanta come dee essere, sí compie la mercatantia, e s'ella non fosse tale come dé essere in quello die, non la compie per cosa del mondo; e questo fanno se(m)pre. Ancora fanno un'alt(r)a cosa: che quando elli sono in alcuna bottega per comperare alcuna mercatantia, e se vi viene alcuna tarantola - che ve n'à molte -, sí guata da quale parte ella viene; e puote venire da tale parte ch'e' compie il mercato, e da tale che che per cosa del mondo nol compierebbe. Ancora, quando escono di casa, ed egli oda alcuno starnuto che no gli piaccia, imantenente ritorna in casa e none anderebbe piú inanzi.
Questi bregomanni vivono piú che gente che sia al mondo, perché mangiano poco e fanno magiore astine(n)za; li denti ànno bonissimi per una erba ch'egli usano a mangiare. E v'à uomini regolati che vivono piú ch'altra gente, e vivono bene 150 anni o 'nfino 200 anni, e tutti sono prosperosi a servire loro idoli; e tutto questo è per la grande astinenza ch'e' fanno. E questi regalati si chiamano congi(u)gati. E' mangiano sempre buone vivande, cioè, lo piú, riso e latte; e questi congiugati pigliano ogne mese uno cotale beveraggio: che tòlgoro arien(t)o vivo e solfo, e míschiallo insieme coll'acqua e béollo; e dicono che questo tiene sano e 'lunga gioventudine, e tutti quelli che l'usano vivono piú delli altri.
Elli sono idoli, ed ànno tanta isperanza nel bue, che l'adorano; e li piú di loro pòrtaro uno bue di cuoio [o] d'ottone inorato nella fronte. E' vanno tutti ignudi sanza coprire loro natura alcuno di questi regolati; e questo fanno per grande penitenzia. Ancora vi dico ch'elli ardono l'ossa del bue e fannone polvere, e di quella polvere s'ungono in molte parti del loro corpo con grande reverenzia, altressí come fanno i cristiani dell'acqua santa. E' non mangiano né in taglieri né in iscodelle, ma in su foglie di certi àlbori, larghe, secche e non verdi, ché dicono che le verdi ànno anima, sicché sarebbe peccato. Ed elli si guardano di non fare cosa ond'ellino credesser avere peccato, enanzi si lascerebboro morire. E quando sono domandati: "Perché andate voi ignudi?", e quelli dicono, perché in questo mondo non ne r[e]caro nulla e nulla vogliono di questo mondo: "Noi non abiamo nulla vergogna di mostare nostre nature, perciò che noi non facciàno con esse veruno peccato, e per(ciò) noi non abiamo vergogna piú d'un vembro che d'altro. Ma voi, che li po(r)tate coperti, e perciò che voi li aoperate in peccati, e perciò avete voi vergogna". Ed ancora vi dico che questi none ucciderebbero niuno animale di mondo, né pulci né pidocchi né mosca né veruno altro, perché dicono ch'elli ànno anima, onde sarebbe peccato. Ancora no mangiano niuna cosa verde, né erba né frutti infino tanto che non sono secchi, perché dicono anche ch'ànno anima. Elli dormono ignudi in sulla terra né non tengono nulla né sotto né adosso; e tutto l'anno digiunano e no mangiano altro che pane ed acqua.
Ancora vi dico ch'elli ànno loro aregolati, che guardano l'idoli. Ora li vogliono provare s'egli sono bene onesti, e mandano per le pulcelle che sono oferte all'idoli, e fannoli toccare a loro in piú parte del corpo ed istare con loro in sollazzi; e se 'l loro vembro si rizza o si muta, sí 'l mandano via e dicono che non è onesto, e non vogliono tenere uomo lusorioso; e se 'l vembro non si muta, sí 'l tengono a servire l'idoli nel munistero.
Questi ardono li corpi morti, perché dicono che se e' non s'ardessero, e' se ne farebbe vèrmini, e quelli vèrmini si morrebbero quando non avessero piú che mangiare, sicch'egli sarebbero cagioni della morte di quelli vermi; [perciò] che dicono che li vermi ànno anima, onde l'anima di quello cotale corpo n'averebbe pena nell'altro mondo. E perciò ardono i corpi, perch'e' no meni vèrmini.
Avemovi contato de' costumi di questi idolatri; diròvi una novella ch'avavamo dimenticato de l'isola di Seila.
174
Dell'isola di Seila.
Seila è una grande isola: è grande com'io v'ò contato in adrieto. Or è vero che in questa isola àe una grande montagna, ed è sí diruvinata che persona non vi puote suso andare se no per uno modo: che a questa montagna pendono catene di ferro sí ordinate che li uomini vi possono montare suso. E dicono che in quella montagna si è il monumento d'Adam nostro padre; e questo dicono li saracini, ma l'idolatori dicono che v'è il munimento di Sergamon Borgani. E questo Sergamon fue il primo uomo a cui nome fue fatto idole, ché, secondo loro usansa, questi fue il migliore uomo che fosse mai tra loro, e 'l primo ch'eglino avessero per santo. Questo Sergamon fue figliuolo d'uno grande re ricco e possente, e fue sí buono che mai non volle atendere a veruna cosa mondana. Quando il re vide che 'l figliuolo tenea questa via e che non volea succedere al reame, ébbene grande ira, e mandò per lui, e promiseli molte cose, e disseli che lo volea fare re e sé volea disporre; né 'l figliuolo non ne volle intendere nulla. Quando il re vide questo, sí n'ebbe sí grande ira ch'a pena che no morío, perché non avea piú figliuoli che costui, né a cui egli lasciasse il reame.
Anco il padre si puose in cuore pure di fare tornare questo suo figliuolo a cose mondane. Ora lo fece mettere in uno bello palagio, e misevi co lui 300 pulcelle molto belle che lo servissero; e queste donzelle il servivano a tavola ed in camera, sempre ballando e cantando in grandi zolazzi, sí come il re avea loro comandato. Costui istava fermo, né per questo non si mutava a veruna cosa di peccato, e molto face' buona vita secondo loro usansa. Ora era tanto tempo istato in casa ch'egli non avea mai veduto veruno morto né alcuno malato; il padre si vollé uno dí cavalcare per la terra con questo suo figliuolo. E cavalcando loro, il figliuolo si ebbe veduto uno uomo morto che si portava a sotterare ed avea molta gente dietro. E 'l giovane disse al padre: "Che fatto è questo?". E 'l re disse: "Figliuolo, è uno uomo morto". E quegli isbigotío tutto, e disse al padre: "Or muoiono tutti li uomini?". E 'l padre disse: "Figliuolo, sí". E 'l giovane non disse piú nulla, ma rimase molto pensoso. Andando uno poco piú ina(n)zi, e que' trovarono uno vecchio che non potea andare, ed era sí vecchio ch'avea perduti i denti.
E questo donzello si ritornò al palagio, e disse che non volea piú istare in questo malvagio mondo, da che li convenía morire o divenire sí vecchio che li bisognasse l'aiuto altrui; ma disse che volea cercare Quello che mai no moría né invecchiava, e Colui che l'avea criato e fatto, ed a lui servire. Ed incontanente si partío da questo palagio, e andossine in su questa alta montagna, ch'è molto divisata dall'altre, e quivi dimorò poscia tutta la vita sua molto onestamente; che per certo, s'egli fosse istato cristiano battezzato, egli sarebbe istato un grande santo appo Dio.
A poco tempo costui si morío, e fue recato dinanzi al padre. Lo re, quando il vide, fue lo piú tristo uomo del mondo; e imantanente sí fece fare una statua tutta d'oro a sua similitudine, ornata di pietre preziose, e mandò per tutte le genti del paes' e del suo reame, e fecelo adorare come fosse idio. E disse che questo suo figliuolo era morto 84 volte, e disse che quando moríe la prima volta diventò bue, e poscia morío e diventò cane. E cosí dicono che morío 84 volt'e tuttavia diventava qualche animale, o cavallo od uccello od altra bestia; ma in capo dell'ottantaquattro volte dicono che morío e diventò idio. E costui ànno l'idolatri per lo migliore idio che egli abbiano. E sappiate che questi fue il primo idolo che (fosse) fatto, e da costui sono discesi tutti l'idoli. E questo fue nell'isola di Seila in India.
E sí vi dico che gl'idolatori dalle piú lontane parte vi vengono in pelligrinaggio, siccome vanno i cristiani a San Iacopo in Galizia. Ma i saracini che vi vengo in peligrinaggio, dicono ch'è pure il munimento d'Adamo; ma, secondo che dice la Santa Iscrittura, il munimento d'Adamo si è in altra parte.
Ora fu detto al Grande Kane che in su questa montagna era lo corpo d'Adamo, e li denti suoi e la scodella dov'elli mangiava. Pensò d'avere li denti e la scodella: fece ambasciadori e mandògli al re dell'isola di Seila a dimandare queste cose. E il re di Seila le donò loro: la scodella era d'un proferito bianco e vermiglio. Gli a(m)basciadori tornarono e recarono al Grande Kane la scodella e due denti mascellari, i quali erano molti grandi. Quando il Grande Kane seppe che questi ambasciadori erano presso a la terra ov'egli dimorava e che veníano con queste cose, fece mettere bando che ogni uomo e tutti gli aregolati andassero incontro a quelle reliquie, ché credea che veracemente fossero d'Adamo; e questo fue nel 1284. E fue ricevuta questa cosa in Ganbalu con grande reverenzia; e trov[o]ssi iscritto che quella iscodella avea cotale vertú, che mettendovi entro vivanda per uno uomo solo, n'aveano assai cinque uomini; e 'l Grande Kane il provò, e trovò ch'era vero.
Ora udirete della città di Caver.
175
Della città di Caver.
Caver è una città nobile e grande; ed è d'Asciar, del primo fratello de li 5 re. E s[a]piate che a questa città fanno porto tutte le navi che vegnono verso ponente, cioè di Curimasa e di Quisai e d'Arden e di tutta l'Arabia, cariche di mercatantia e di cavalli; e fanno qui capo perch'è buono porto. E questo re è molto ricco di tesoro, e suo tesoro si è molte ricche pietre preziose. Suo regno tiene bene, e spezialment' e' mercatanti che vengono d'altra parte; e perciò vi vanno piú volontieri.
E quando questi 5 fratelli re pigliano briga insieme e vogliono combattere, la madre, ch'è ancora viva, sí si mette in mezzo e pacíficagli; quando ella non puote, sí piglia uno coltello e dice che s'ucciderà, e taglierassi le poppe del petto "dond'i' vi diedi lo mio latte". Alora i figliuoli, per la pietà che fa la madre loro, e' proveggono ch'è il meglio: sí fanno pace. E questo è divenuto per piú volte; ma, morta la madre, non fallirà che non àbiaro briga insieme.
Partimoci di qui, ed andamo nel reame di Coilun.
176
Del reame di Coilun.
Coilun si è uno grande reame verso garbino, quando l'uomo si parte di Mabar e va 500 miglie. E tutti sono idolatri, e sí v'à di cristiani e giudei; e ànno loro linguaggio.
Qui nasce i merobolani embraci e pepe in grande abondanza, che tutte le campagne e i boschi ne sono pieni; e tagliansi di maggio e di giugno e di luglio. E gli àl[bori] che fanno il pepe sono dimestichi, e piantansi ed inàcquarsi. Qui à sí grande caldo ch'a pena vi si puote soferire, che se toglieste uno uovo e metesselo in alcuno fiume, non andresti quasi niente che sarebbe cotto. Molti mercatanti ci vengono di Ma(n)gi e d'Arabia e di levante, e recano e portano mercatantia co loro navi.
Qui si à bestie divisate dall'altre, ch'egli ànno lioni tutti neri e papagalli di piú fatte, che vi n'à di bianchi, ed ànno i piedi e 'l becco rosso, e sono molto begli a vedere; e sí v'à paoni e galline piú belli e piú grandi de' nostri. E tutte cose ànno divisate dalle nostre, e non ànno niuno frutto che s'assomigli a' nostri. Egli fanno vino di zucchero molto buono. Egli ànno grande mercato d'ogni cosa, salvo che non ànno grano né biada, ma ànno molto riso. E sí v'à molti savi astrolagi. Questa gente sono tutti neri, maschi e femmine, e vanno tutti ignudi, se no se tanto che si ricuopre loro natura con uno bianco panno. Costoro non ànno per peccato veruna lussuria, e tolgono per moglie la gugina e la matrigna, quando il loro padre si muore, e la moglie del fratello: cotale è il loro costume, come avete inteso.
Partimoci quinci, ed andamo nelle parti d'India, in una contrada che si chiama Comacci.
177
Della contrada di Comacci.
Comacci si è in India, da la quale contrada si può vedere alcuna cosa della tramontana. Questo luogo non è molto dimestico, ma sente del salvatico. Qui si à molte bestie salvatiche di diverse fatte (e fiere).
Partimoci di qui, ed entramo nel reame d'Eli.
178
Del reame di Eli.
Eli si è uno reame verso ponente, ed è di lungi da Comacci 300 miglie. Qui si à re e sono gente idolatri; e' non fanno trebuto a veruna altra persona. Questo reame non à porto, salvo ch'àe uno grande fiume, il quale àe buone foci. Qui si nasce pepe e ge(n)giove e molti ispezierie. Lo re si è ricco di tesoro, ma no di genti. L'entrata del reame è sí forte ch'a pena vi si puote intrare per fare male.
E se alcuna nave capitasse a queste foci, s'ella non venisse prima a la terra, sí la pigliano e tolgogli ogni cosa e dicono: "Dio ti ci mand[ò] perché tu fossi nostra"; né non ne credono avere peccato. E cosí aviene per tutte le province de l'India. E se alcuna nave vi capita per fortuna, sí è presa e tolto ogne cosa, salvo a quelle che capitano ad alcuna terra primamente.
E sappiate che le navi di Mangi vi vengoro la state, e quelle d'altra parte, e si caricano (in) 3 o 4 dí o infino i(n) 8 dí, e vannosene il piú tosto che possono, perciò che non à buono porto, ed èvi molto pauroso l[o] sta[re] per le piagge che vi sono e per lo sabione. Vero è che le navi di Ma(n)gi non temono tanto per le buone ancore de legno, ch'a tutte le fortune tengono bene loro navi.
Egli ànno leoni ed altre bestie assai, cacciagioni e uccellagioni assai.
Partimoci di qui, e diròvi di Melibar.
179
Del reame di Melibar.
Melibar è uno grandissimo reame, ed ànno re e loro ling[u]aggio. No rendono trebuto a niuna persona, e sono idolatri. Di questo paese si vede piú la tramontana. † E d'un alt(r)o paese che v'è allato, ch'à nome Gofurat, ed esce bene ogni die ben 100 navi di corsali, che vanno rubando tutto il mare; e menano co loro le mogli e i fanciulli, e tutta la state vi stanno in corso e fanno grande danno a' mercatanti. E' partonsi, e sono tanti che pigliano ben 100 miglie e piú del mare, e fannosi insegne di fuoco, sicché veruna nave non può passare per quello mare che non sia presa. Li mercatanti, che 'l sanno, vanno molti insieme e bene armati, sí che non ànno paura di lor[o], e danno loro malaventura piú volte, ma no per tanto che pure si ne pígliaro. Ma non fanno altrui male, se non ch'elli rubano e tolgono altrui tutto l'avere, e dicono: "Andate a procacciare dell'altro".
Qui si à pepe e gengiove e canella e turbitti e noci d'Ind[ia] e molte ispezie, e bucherame del piú bello del mondo. Li mercatanti recano qui rame, drappi di seta e d'oro e d'ariento, garofani e spigo, perch'elli non n'ànno; qui si vengono i mercatanti di Mangi e p[o]rt[a]nsi queste mercatantie per molti parti.
A dirvi di tutte le contrade del paese sarebbe troppo lunga mena; diròvi del reame di Gufurat, e di loro maniera e costumi.
180
Del reame di Gufurat.
Gufurat è uno grande reame, ed ànno re e linguaggio per loro. E' sono gente idolatri, e non fanno trebuto a veruno segnore di mondo. E sono li peggiori corsari che vadano per mare e' i piú maliziosi, ché quando e' pigliaro alcuno mercatante, sí li danno a bere i tamerindi co l'acqua salsa per farli andare a sella, e poscia sí cercano l'uscita, se lo mercatante avesse mangiato perle od altre care cose, per ritrovarle. Ora vedete se questa è bene grande malizia: ché dicono che li mercatanti sí le trangugiano quando sono presi, perché no siano trovate da' corsari.
In questo paese si à pepe e gengiove asai e bambagia, ch'egli ànno àlbori che fanno la bambagia molto grandi, che sono alti bene 6 passi ed ànno bene 20 anni. Ma quando sono cosí vecchi, non fanno buona bambagia da filare, ma fassine altre cose; da 12 anni infino in 20 si chiamano vecchi.
Qui si conciano molte cuoia di becco e di bue e d'unicorni e d'altre bestie, e fassine grandi mercatantie e forniscosene molte contrade.
Partimoci di qui, andamone in una contrada che si chiama Tana.
181
Del reame della Tana.
Tana è anche uno grande reame, e sono simiglianti a questi di sopra, ed ànno anche loro re. Qui non à spezie, àcci incenso, ma non è bianco, anzi è bruno, e fassine grande mercatantia. Qui si à bucherame e bambagia assai. Li mercatanti recano qui oro e ariento, rame e di quelle cose di che vi bisogna, e portane delle loro.
Ancora escono di qui molti corsari per mare, e fanno grande danno a' mercatanti; e questo è per la volontà del loro segnore. E fa il re questo patto con loro, che li corsari li danno tutti li cavalli che pigliano, ché molti vi ne passano, perciò che in India si ne fa grande mercatantia, sicché poche navi vanno per l'India che no menino cavagli; e tutte l'altre cose sono de li corsali.
Or ci partiamo di qui, ed andiamo in una contra(da) che si chiama Canbaet.
182
Del reame di Canbaet.
Canbaet si è ancora un altro grande reame, ed è simile a questo di sopra, salvo che non ci à corsali né male genti. Vivono di mercatantia e d'arti, e sono buona gente. Ed è verso il ponente, e vedesi meglio la tramontana.
Altro non ci è che ci sia da ricordare. Diròvi d'un [reame] ch'à nome Chesmancora.
183
Dello reame di Chesmancora.
C(h)esmancora è uno reame ch'ànno loro re e divisato linguaggio; ed anche sono idolatri; ed è reame di molte mercatantie. E' vivono di riso e di carne e di latte.
Questo reame è d'India. E sapiate che da Mabar infino a qui è de la magiore India e de la migliore; e le terre e' reami che noi v'abiamo contato sono pure quelle di lungo il mare, (ché) a contare quelle della terra ferma sarebbe troppo lunga mena.
Vo'vi dire d'alquante isole che sono per l'India.
184
D'alquante isole che sono per l'India.
L' isola che si chiama Malle è nell'alto mare bene 500 miglia verso mezzodie, partendosi da Chesmancora. Questi sono cristiani battezzati e tengon[o] legge del Vecchio Testamento, che mai non tocherebbero femina pregna e, poscia ch'à partori[t]o, a 40 dí. E dicovi che in questa isola no stae veruna femina, ma istanno in un'altra isola che si chiama Femele, che v'è di lungi 30 miglia. E li uomini vanno a questa isola ove stanno queste femine, e istanno co loro 3 mesi dell'anno, ed in capo di 3 mesi tornano a l'isola loro, e quivi si fanno loro uttulità 9 mesi.
In questa isola nasce l'ambra molta fina e bella. Questi vivono di riso e di carne e di latte. E' sono buoni pescatori, e seccano molti pesci, sicché tutto l'anno n'ànno assai. Qui non à signore, salvo ch'ànno uno vescovo ch'è sotto l'arcivescovo di Scara. E perciò no stanno tutto l'anno colle loro donne, perché non avrebbero da vivere. Li loro figliuoli istanno co le madri 14 anni, e poscia il maschio si ne va co(l) padr'e la femina sta colla madre.
Qui non trovamo altro da ricordare; partimoci ed a[n]damone a l'isola di Scara.
185
Dell'isola di Scara.
Quando l'uomo si parte da queste due isole, [sí va] per mezzodí 500 miglia e [trovasi] l'isola di Scara. Questa gente sono anche cristiani battezzati, ed ànno arcivescovo. Qui si à molta ambra. Elli ànno drappi di bambagia buoni e altre mercatantia; e sí ànno molti pesci salati e buoni. Egli vivono di riso e di carne e di latte, e vanno tutti ignudi. Qui vanno molte navi di mercatantia.
Questo arcivescovo non à che fare col papa di Roma, ma è sottoposto a l'arcivescovo che sta a Baldac. Questo arcivescovo che sta a Baldac manda piú vescovi ed arcivescovi per molte contrade, come fa il papa di qua; e tutti questi cherici e parlati ubidiscono questo arcivescovo come papa. Qui vengono molti corsari a vendere loro prede, e vendolle bene; costoro le comperano anche bene, perciò che sanno che questi corsari no rúbaro se non saracini e idolatri, e non cristiani. E quando questo arcivescovo di Scara muore, conviene che ci vegna di Baldac.
Que[sti] sono buoni incantatori, ma l'arcivescovo molto li contrada, ché dice ch'è peccato, ma costoro dicono che li loro antichi l'ànno fatto, e perciò lo vogliono eglino anche fare. Diròvi di loro incantesimi. Se una nave andasse a vela, forte, eglino farebbero venire vento in contradio, e farebberla tornare adrietro; e sí fanno venire tempesta nel mare quand'e' vogliono, e fanno venire quale vento vogliono; e sí fanno altre cose maravigliose che non è buono a ricordare.
Altro non ci à ch'io voglia ricordare; partimoci quinci ed andamo nell'isola di Madegascar.
186
Dell'isola di Madegascar.
Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di lungi da Scara intorno da 1.000 miglia. Questi sono saracini ch'adorano Malcometo; questi ànno 4 vescovi - cio(è) 4 vecchi uomini -, ch'ànno la signoria di tutta l'isola. E sapiate che questa è la migliore isola e la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch'ella gira 4.000 miglia. E' vivono di mercatantia e d'arti. Qui nasce piú leofanti che in parte del mondo; e per tutto l'altro mondo non si vende né compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola ed in quella di Zaghibar. E sapiate che in questa isola non si mangia altra carne che di camelli, e mangiavisene tanti che non si potrebbe credere; e dicono che questa carne di camelli è la piú sana carne e la migliore che sia al mondo.
Qui si à grandissimi àlbori di sandali rossi, ed ànnone grandi boschi. Qui si à ambra assai, perciò che in quello mare àe assai balene e capodoglie; e perché pigliano assai di queste balene e di queste capodoglie si ànno ambre assai. Elli ànno leoni e tutte bestie da prendere in caccia, e uccelli molti divisati da' nostri. Qui vengono molti navi, e recano e portano molta mercatantia.
E sí vi dico che le navi non possono andare piú verso mezzodie che infino a questa isola ed a Zanghibar, perciò che 'l mare corre sí forte verso il mezzodí, ch'a pena si ne potrebbe tornare. E sí vi dico che le navi che vengono da Mabar a questa isola, vengono in 20 dí, e quando elle retornano a Mabar, penano a ritornare 3 mesi; e questo è per lo mare che corre cosí forte verso il mezzodí.
Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto verso il mezzodí, le navi non vi vanno voluntieri per l'acqua che corre cosí forte. Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v'à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dell'anno, ma non sono cosí fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com'io vi dirò. Egli pigliano l'alifante e pòrtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa tutto, poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che l'ànno veduti, che l'alie sue sono sí grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello ch'io n'ò veduto di questi uccelli, io il vi dirò in altro luogo.
Lo Grande Kane vi mandò messaggi per sapere di que]le cose di quell'isola, e preserne uno, sicché vi rimandò ancora messaggi per fare lasciare quello. Questi messaggi recarono al Grande Kane uno dente di porco salvatico che pesòe 14 libbre.
Elli ànno sí divisate bestie e uccelli ch'è una maraviglia. Quelli di quella isola sí chiamano quello uccello ruc, ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone.
Or ci partiamo di questa isola, ed andamo i(n) Zaghimbar.
187
Dell'isola di Zachibar.
Zaghibar è una isola grande e bella, e gira bene 2.000 miglia; e tutti sono idola[tr]i, ed ànno lor re e loro linguaggio. La gente è grande e grossa, ma dovrebbero essere piú lunghi, a la grossezza che elli ànno, ché sono sí grossi e sí vembruti che paiono gioganti, e sono sí forti che porta l'uno carico per 4 uomini; e questo non è maraviglia, ché mangia l'uno bene per 5 uomini. E' sono tutti neri e vanno ignudi, se no che si ricuoprono loro natura; e sono li capegli tutti ricciuti. Elli ànno grande bocca e 'l naso rabuffato in suso, e le labre e li anare grosse ch'è maraviglia, che chi li vedessi in altri paesi parebbero diavoli.
Elli ànno molti leofánti e fanno grande mercatantia di loro denti; elli ànno leoni assai d'altra fatta che li altri, e sí v'à lonze e leopardi assai. Or vi dico ch'elli ànno tutte bestie divisate da tutte quelle del mondo; ed ànno montoni e berbíce d'una fatta [e] d'uno colore, che sono tutti bianchi e la testa è nera; ed in tutta questa isola non si troverebbero d'altro colore. E sí ànno giraffe molte belle, e sono fatte com'io vi dirò. Elle ànno corta coda, e son alquante basse dirieto, ché le gambe di drieto sono piccole, e le gambe dina(n)zi e ('l) collo si è molto alto e grande: alt'è da terra bene 3 passi. E la testa è piccola, e non fanno niuno male; ell'è di colore rosso e bianco a cerchi, ed è molta bella a vedere. Lo leofante giace colla leofantessa siccome fa l'uomo [co] 'la femina, cioè che stae rovescio, perché àe la natura nel corpo. Qui si à le piú sozze femine del mondo, ch'elle ànno la bocca grande e 'l naso grosso e [corto], le mani grosse 4 cotante che l'altre.
Vivono di riso e di carne e di latte e di datteri; non ànno vino di vigne, ma fannolo di riso e di zucchero e di spezie. Qui si fa molte mercatantie, e molti mercatanti vi recano e portan[e]. Ancora ànno ambra assai, perché pigliano molte balene.
Li uomini di questa isola sono buoni combattitori e forti, e non temono la morte. E' non ànno cavagli, ma combattono in su i camelli e in su' leofanti; e fanno le castella in su' leofanti, e istannovi su da 12 uomini a 20, e combattono co lance e con ispade e con pietre, e sono molto crudele battaglie le loro. E quando vogliono menare i leofanti a battaglie, sí danno loro a bere molto vino, e vannovi piú voluntieri, e sono piú orgogliosi e piú fieri.
Qui sí no v'à altro da dire. Diròvi ancora alcuna cosa de l'India, ché sappiate ch'io non v'ò detto de l'India se non l'isole maggiori e le piú nobile e le migliori, ché a contarle tutte non si potrebbe fare, ché troppo sarebbe grande mena. Ché, secondo che dicon li savi marinari che vanno per l'India e secondo che si truova iscritto, l'isole de l'India, tra l'abitate e le no abitate, sono 12.700. Ora lasciamo de l'India maggiore, ch'è da Mabar infino a Chesmancora, che sono 13 reami grandissimi, dei quali v'abiamo contati di 9. E sappiate che l'India minore si è da Cianba infino a Montifi, che v'à 8 grandi reami. E sappiate ch'io non v'ò ditto di quelli de l'isole, che sono ancora grandi quantità di reami. Udirete de la mezzana India, la quale è chiamata Anabascie.
188
Della mezzana India chiamata Nabasce.
Nabascie si è una grandissima provincia, e questa si è la mezzana India. E sappiate che 'l maggiore re di questa provincia si è cristiano, e tutti li altri re de la provincia si sono sottoposti a lui i quali sono 6 re: 3 cristiani e 3 saracini. Li cristiani di questa provincia si ànno tre segnali nel volto: l'uno si è da la fronte infino a mezzo il naso, e uno da catuna gota. E questi segni si fanno con ferro caldo: che, poscia che sono battezzati ne l'acqua, sí fanno questi cotali segni; e fannolo per grande gentilezza, e dicono ch'è compimento di batesimo. I saracini si ànno pure uno segnale, il quale si è da la fronte infino a mezzo il naso. Il re maggiore si dimora nel mezzo de la provincia; i saracini si dimorano verso Aden, ne la quale contrad[a] messer santo Tommaso convertío molta gente; poscia si ne partío ed andonne a Mabar, colà ove fue morto. E sappiate che in questa provincia d'Abascie si à molti cavalieri e molta gente da arme; e di ciò fa bene bisogno, imperciò ch'egli si ànno grande guerra col soldano d'Aden e con quelli di Nubia e co molta altra gente.
Or io sí vi voglio contare una novella ch'avenne al re d'Abascie quando egli volle andare in pellegrinaggio.
189
D'una novella del re d'Abasce.
Lo re d'Abascie si ebbe voglia d'andare in pellegrinaggio al santo sepolcro di Cristo. Ora li convenía passare per la provincia d'Aden, che sono suoi nemici, sí che fue consigliato che vi mandasse uno vescovo in suo luogo, sí ch'egli si vi mandò uno santo vescovo e di buona vita.
Ora venne quest[o] vescovo al Santo Sipolcro come pellegrino, molto orevolemente co molta bella compagnia. Fatta la reverenza al Santo Sipolcro che si convenía e fatta l'oferta, sí si misero a ritornare a loro paese. E quando furo giu(n)ti a' Aden e 'l soldano l'ebbe saputo chi questo vescovo era, e per dispetto del suo segnore sí l'ebbe fatto pigliare, e disseli che volea ch'egli divenisse saracino. Questo vescovo, sí come santo uomo, disse che no ne farebbe nulla. Alora il soldano sí comandò che per forza si li fosse fatto uno segnale nel volto come si fanno a' saracini, e fatto che fue, lasciollo andare.
Quando questo vescovo fue guarito sí ch'elli potéo cavalcare, sí si mosse a venire e tornò al suo re. Quando lo re lo vide tornato, sí ne fue molto alegro e domandò del Santo Sipolcro e di tutte le cose; e quando egli seppe come per suo dispetto il soldano l'avea cosí concio, si volle morire di dolore, e disse che questa onta vendicherebbe egli bene.
Alora si fece il re bandire grandissima oste sopra la provincia d'Aden. Fatto l'aparecchiamento, sí si mosse il re co tutta la gente, e sí fece grandissimo danno al soldano e ucisero molti saracini. Quando lo re ebbe fatto tutto il danno che fare potea e che piú no potea fare loro danno, né andare no si potea piú ina(n)zi per le troppe male vie che v'erano, sí si misero a ritornare in loro paese. E sappiate che li cristiani sono asai megliore gente per arme che no sono i saracini; e questo si fue ne li anni Domini 1288.
Da che v'abiamo detta questa novella, diròvvi de la vita di quegli d'Abascie. La vita loro si è di riso e di latte e di carne; e sí ànno leofanti: non ch'egli vi nascaro, ma vengonvi d'altre paesi. Nasconvi molte giraffe e molte altre bestie, e sí ànno molte bellissime galline, e sí ànno istruzzoli grandi quasi come asini; e sí ànno molte altre cose, ch'a volerle tutte contare sarebbe troppo lunga mena. Ca(ccia)gione e uccellagioni si ànno assai, e sí ànno pappagalli bellissimi e di piú fatte, e sí ànno gatti mamoni e iscimmie asai.
Avete inteso d'Abascie; vo'vi dire de la parte d'Aden.
190
Della provincia d'Aden.
La provincia d'Aden si à uno signore ch'è chiamato soldano. E' sono tutti saracini, i quali adorano Malcometto, e sono grandi nemici de' cristiani. In questa provincia si à molte cittadi e molte castella, ed è porto ove tutte le navi d'India capitano co loro mercatantie, che sono molte.
Ed in questo porto caricano li mercatanti loro mercatantie e mettole in barche piccole, e passano giú per uno fiume 7 giornate; e poscia le traggoro de le barche e càricalle in su camelli, e vanno 30 giornate per terra. E poscia truovano lo mare d'Alexandra, e per quello mare ne vanno le genti infino in Allexandra, e per questo modo e via si ànno li saracini d'Allesandra lo pepe ed altre ispezierie di verso Aden; e dal porto d'Aden si partono le navi, e ritornasi cariche d'altre mercatantie e riportale per l'isole d'India. E sí recano li mercatanti da questo porto medesimo molti belli destrieri e menali per l'isole d'India; e sappiate che uno buono e u(n) bello cavallo si vende bene in India 100 marchi d'ariento. E sappiate che lo soldano d'Aden si à una grandissima rendita de le gabelle ch'elli si à di queste navi e de le mercatantie; e per questa rendita ch'elli si à cosí grande, si è egli uno ricchissimo segnore dei grandi del mondo.
E sappiate che, quando il soldano di Babilona venne sopra ad Acri ad oste, lo soldano d'Aden li fece aiuto 30.000 cavalieri e 40.000 camegli. E sappiate che questo aiuto no fece egli per bene ch'egli li volesse, ma solo per lo grande male che egli vòle a' cristiani, ché al soldano di Babilonia no volle egli anche bene.
Ora vi lascerò a dire d'Aden, e diròvvi d'una grandissima cità, la quale si è chiamata Escier, ne la quale si à uno picciolo re.
191
Della città d'Escier.
Escier si è una grande città, ed è di lungi dal porto d'Aden 400 miglia. Ed è sottoposta ad uno conte, lo quale si è sotto il soldano d'Aden; e si à molte castella sotto sé, e sí mantiene bene ragione e giustizia. E' sono saracini, i quali adorano Malcometto. E sí ci à porto molto buono, al quale si capitano molte navi, le quali vengono de l'Indiaco molte mercatantie, e portane di buoni cavalli da due selle. Qui si à molti datteri; riso ànno poco, biada vi viene d'altronde assai. E sí ànno pesci assai, ma si ànno tonni molti, che per uno viniziano si averebbe 2 grandi tonni. Vino si fanno di riso e di zucchero e di datteri. E sí vi dico ch'elli si ànno montoni che non ànno orecchi né foro, ma colà dove debboro essere li orecchi si ànno due cornetti; e sono bestie piccole e belli. E sappiate che danno a' buoi ed a' camegli ed a' montoni ed a' ronzini piccoli a ma(n)giare pesci; e questa si è la vivanda che danno a le loro bestie. E questo è per cagioni che in loro contrada sí non à erba, perciò ch'ella si è la piú secca contrada che sia al mondo. E li pesci di che si pascono queste bestie, sí si pigliano di marzo e d'aprile e di maggio in sí grande quantità ch'è una maraviglia. E seccagli e ripongogli per tutto l'anno, e cosí li danno a loro bestie; veritade si è che le bestie loro vi sono sí avezz[e] che, cosí vivi com'egli escono dell'acqua, sí li mangiano.
Ancora vi dico ch'egli si ànno di molti buoni pesci, e fannone biscotto; ch'elli tolgono questi pesci e tagliali a pezzuoli quasi d'una libbra il pezzo, e poscia sí li apiccano e fannoli seccare al sole; e quando sono secchi sí li ripongono, e cosí li si mangiano tutto l'anno come biscotto. Qui si nasce lo 'ncenso in grande quantità e fassine molto grande mercatantia.
Altro non ci à da ricordare; partimoci di questa cità ed andamo verso la cità Dufar.
192
Della città Dufar.
Dufar si è una grande e bella città, ed è di lu(n)gi da Escer 500 miglia, ed è verso maestro. E' sono saracini ed ànno per segnore uno conte, e sono sotto il reame d'Aden.
Ed ànno anche porto, e sono quasi al modo di questa di sopra di mercatantie. Diròvvi in che modo si fa lo 'nce(n)so. Sappiate che sono certi àlbori, ne' quali àlbori sí si fa certe intaccature, e per quelle tacche si esce gocciole, le quali s'asodano; e questo si è lo 'ncenso. Ancora per lo molto grande caldo che v'è, si nasce in questi cotali àlbori certe galle di gomme, lo quale si è anche incenso. Di questo incenso e di cavagli che vengono d'Arabbia e vanno in India, sí si fa grandissima mercatantia.
Ora vi voglio contare del golfo di Calatu, e come istà e che cittade ella si è.
193
Della città di Calatu.
Calatu si è una grande cità, ed è dentro dal golfo che si chiama Calatu, ed è di lungi da Dufar 600 miglia verso maestro. Ed è una nobile cità sopra il mare; e tutti sono saracini ch'adorano Malcometto. Qui non à biada, ma per lo buono porto che àe, sí vi capitano molte navi, le quali vi ne recano asai de la biada e de l'altre cose.
La cità si è posta in su la bocca del golfo di Calatu, sí che vi dico che veruna nave non vi puote né passare né uscire sansa la volontà di questa città.
Partimoci di qui ed andamo ad una città la quale si chiama Curmos, di lungi da Calatu 300 miglia, tra maestro e tramontano. Ma chi si partisse da Calatu e tenesse tra maestro e ponente, anderebbe 500 miglia, e poi troverebbe la cità d'Aquixi.
Udirete de la cità di Curmos, ove noi arivamo.
194
Della città di Curmos.
Qurmos si è una grande città, la quale si è posta in sul mare, ed è fatta quasi come quella di sopra. In questa città si à grandissimo caldo, ch'a pena vi si puote campare, se non ch'egli si ànno ordinate ventiere, le quali recano lo vento a le loro case, né altrimente no vi camperebbono. No vi voglio dire di questa cità piú nulla, però che ci converà tornare qui, ed a la ritornata vi diremo tutti i fatti che noi lasciam[o]. Diròvi de la Grande Turchia, ove noi intramo.
195
De la Grande Turchia.
Turchia si à uno re ch'à nome Caidu, lo quale si è nepote del Grande Kane, ché fue figliuolo d'uno suo fratello cugino. Questi sono Tarteri, uomini valentri d'arme, perché sempre mai istanno in guerra ed in brighe. Questa Grande Turchia si è verso maestro, quando l'uomo si parte da Qurmos e passa per lo fiume di Gion, (e) dura di verso tramontano infino a le terre del Grande Kane.
Sapiate che tra Caidu e lo Grande Kane si à grandissima guerra, perché Caidu si vorebbe conquistare parte de le terre del Catai e de' Mangi, ma lo Grande Kane si vuole che lo seguiti, sí come fanno li altri che tengono terra da lui; questi sí nol vuole fare, perché non si fida, e perciò sono istate tra loro molte battaglie. E sí fa questo re Caidu bene 100.000 cavalieri, e piú volte àe isconfitto li cavalieri e li baroni del Grande Kane, perciò che questo re Caidu si è molto prode de l'arme, egli e sua gente.
Ora sappiate che questo re Caidu si avea una sua figliuola, la quale si era chiamata in tarteresco Aigiarne, cioè viene a dire in latino 'lucente luna'. Questa donzella si era sí forte che non si trova(va) persona che vincere la potesse di veruna pruova. Lo re suo padre sí la volle maritare; quella disse che mai non si mariterebbe s'ella non trovasse alcuno gentile uomo che la vincesse di forza [o] d'altra pruova. Lo re sí l'avea brivelleggiata che ella si potesse maritare a la sua voluntade.
Quando la donzella ebbe questo dal re, sí ne fue molto alegra; ed allora si mandò dicendo per tutte le contrade che, se alcuno gentile uomo fosse che si volesse provare co la figliuola de lo re Caidu, si andasse là a sua corte, sappiendo che, quale fosse quegli che la vincesse, la donzella si lo torrebbe per suo marito. Quando la novella fue saputa per ogne parte, ed èccoti venire molti gentili uomini a la corte del re.
Ora fue ordinata la pruova in questo modo. Ne la mastra sala del palagio si era lo re e la reina co molti cavalieri e co molte donne e co molte donzelle, ed ecco venire la donzella tutta sola, vestita d'una cotta di zendado molto acconcia: la donzella si era molto bella e bene fatta di tutte le bellezze. Ora convenía che si levasse il donzello, lo quale si volesse provare co lei a questi patti com'io vi dirò: che se 'l donzello la vincesse, la donzell[a] lo dovea prendere e tòrrelo per suo marito, ed egli dovea avere lei per sua moglie; e se cosa fosse che la donzella vincesse l'uomo, si convenía che l'uomo desse a lei 100 cavagli. Ed in questo modo si avea la donna già guadagnati ben 10.000 cavagli. E sappiate che questo non era maraviglia, ché questa donzella era sí bene fatta e sí informata ch'ella parea pure una giogantessa.
Ora v'era venuto uno donzello, lo quale era figliuolo del re di Pumar, per provarsi con questa donzella; e menò seco molto bella e nobole compagnia e sí menò 1.000 cavagli, per mettere a la pruova; ma il cuore li stava molto franco di vincere, e di ciò li parea essere troppo bene sicuro. E questo fue nel tempo del 1280.
Quando lo re Caidu vide questo donzello, sí ne fue molto allegro, e molto disiderava in suo cuore che questo donzello la vincesse, perciò ch'egli si era u(n) bello giovane e figliuolo d'uno grande re. Ed allora sí fece pregare la figliuola ch'ella si dovesse lasciare vincere a costui. Ed ella sí rispuose e disse: "Sappiate, padre, che per veruna cosa di mondo no[n] farei altro che diritto e ragione". Or èccoti la donzella intrata ne la sala a la pruova: tutta la gente che istava a vedere pregavano che desse a perdere a la donzella, acciò che cosí bella coppia fossero acompagnati insieme. E sappiate che questo donzello si era forte e prode, e non trovava uomo che lo vincesse, né che si potesse co lui ch'egli no l[o] vincesse d'ogne pruova.
Ora si vennero la donzella e 'l donzello a le prese, e furonsi presi insieme a le braccia e fecero una molto bella incominciata; ma poco durò, che 'l donzello si co(n)venne pure che perdesse la pruova. Alora si levò in su la sala lo maggiore duolo del mondo perché questo donzello avea cosí perduto, ch'era uno dei piú belli uomini che vi fosse anche venuto o che mai fosse veduto. Ed alotta si ebbe la donzella questi 1.000 cavagli; questo donzello si partío ed andossine molto vergognoso in sua contrada.
E vo' che sappiate che lo re Caidu si menò questa sua figliuola in piú battaglie. E quando ella era a le battaglie, ella si gittava tra li nimici sí fieramente che non era cavaliere sí ardito né sí forte ch'ella nol pigliasse per forsa; e menavalo via, e facea molte prodesse d'arme.
Or lasciamo [di] questa matera, e udirete d'una battaglia, la quale si fue fra lo re Caidu ed Argo, figliuolo de lo re Abaga, segnore del Levante.
196
D'una battaglia.
Sappiate che lo re Abaga, segnore del Levante, si tiene molte terre e molte province, e confina le terre sue con quelle de lo re Caidu: cioè da la parte dell'Albero Solo, lo quale noi chiamamo l'Albero Secco. Lo re Abaga, per cagioni che lo re Caidu non facesse danno a le terre sue, si mandò lo suo figliuolo Argo con grande gente a cavallo ed a piede ne le contrade dell'Albero Solo infino al fiume de Ion, perch'egli guardasse quelle terre che sono a le confini.
Ora avenne che lo re Caidu si mandò uno suo fratello, molto valentre cavaliere, lo quale aveva nome Barac, co molta gente, per fare danno a le terre ov'era questo Argo. Quando Argo seppe che costoro viniero, sí fece asembiare sua gente e venne incontro a' nemici; e quando furo asembiati l'una parte e l'altra, li naccari cominciarono a sonare da l'una parte e da l'altra. Alora si fue cominciata la piú crudele battaglia che mai fosse veduta al mondo. Ma pure a la fine Barac e sua gente si non potéo durare, sicché Argo l'isconfisse a cacciògli di là dal fiume.
Da che v'abbiamo cominciato a dire d'Argo, diròvvi com'egli si fue preso e com'egli segnoreggiò poscia, dopo la morte del suo padre.
197
Quando Argo ebbe vinta questa battaglia, una novella sí li venne, sí come lo padre era passato di questa vita. Quando intese questa novella, si ne fue molto cruccioso, e mossesi per venirsene per pigliare la segnoria; ma egli si era di lungi bene 40 giornate.
[O]r avenne che lo fratello che fue d'Abaga, lo quale si era soldano ed era fatto saracino, sí vi giunse prima che giugnesse Argo, ed incontanente si intrò in su la segnoria e riformò la terra per sé. E sí vi trovò sí grandissimo tesoro ch'a pena si poterebbe credere; e sí ne donò sí largamente a li baroni ed a' cavalieri de la terra, che costoro dissero che non voleano mai altro segnore. Questo soldano si facea a tutta gente apiacere.
Quando lo soldano seppe che Argo venía co molta gente, sí si aparecchiò co la sua gente e fece tutto suo isforzo in una settimana. E questa gente per amore del soldano andavano molto voluntieri incontro ad Argo per pigliarlo e per uciderlo a tutto loro podere.
198
Quando lo soldano ebbe fatto tutto suo isforzo, sí si mossero ed andaro incontro ad Argo. E quando fue presso a lui, sí si atendò in uno molto bello piano, e disse a la sua gente: "Segnori, e' ci conviene essere prodi uomini, perciò che noi sí difendiamo la ragione, ché questo regno si fue del mio padre. Il mio fratello Abaga si l'à tenuto tutto quanto a tutta sua vita, ed io sí dovea avere lo mezzo, ma per cortezia sí lile lasciai. Ora, da ch'è morto, si è ragione ch'io l'abbia tutto; ma io sí vi dico ch'io no voglio altro che l'onore de la segnoria, e vostro sia tutto il frutto".
Questo soldano avea bene 40.000 di cavalieri e grande quantità di pedoni. La gente rispuose e dissero tutti ch'anderebbero co lui infin' a la morte.
199
Argo, quando seppe che lo soldano era atendato presso di lui, si ebbe sua gente, e disse cosí: "Segnori e frategli ed amici miei, voi sapete bene che 'l mio padre, infino che e' visse, vi tenne tutti per fratelli e per figliuoli; e sí sapete bene come voi e i vostri padri siete istati co lui in molte battaglie e (a) conquista[r]e molte terre; e sí sapete bene com'io sono suo figliuolo, e com'egli v'amò assai, ed io ancora sí v'amo tanto quanto il mio cuore. Dunque ben è ragione che voi sí m'aiutiate riconquistare quello che fue del mio padre e vostro, ch'è contra colui che viene contra ragione, e voleci diretare de le nostre terre e cacciare via tutte le nostre famiglie. Ed anche sapete bene ch'egli sí non è di nostra legge, ma è saracino e adora Malcometto; ancora vedete come sarebbe degna cosa che li saracini avessero segnoria sopra li cristiani! Da che voi vedete bene ch'è cosí, ben dovete essere prodi e valentri, sí come buoni fratelli, in aiutare e in difendere lo nostro, ed io abbo isperanza in Dio che noi lo metteremo a la morte, sí com'egli è degno. Perciò sí priego catuno che faccia piú che suo potere non porta, sí che noi vinciamo la battaglia".
200
Li baroni e' cavalieri d'Argo, quando ebbero inteso e udito lo parlamento ch'avea fatto Argo, tutti rispuosero, e dissero ch'avea ditto bene e saviamente, e fermaro tutti comunemente che voleano a(n)zi morire co lui che vi(vere) sansa lui o che neiuno li venisse meno. Alora si levò un barone e disse ad Argo: "Messer, ciò che voi avete ditto, tutto si è verità, ma sí voglio dire questo: ch'a me sí parebbe che si mandasse ambasciadori al soldano per sapere la cagione di quello che fae e per sapere quello che vòle". E sí fue fermo di fare. Quando ebbero cosí fermato, ed eglino sí fecero due ambasciadori ch'andassero al soldano ad isporregli queste cose, come tra loro non dovea essere battaglia, perciò ch'erano una cosa, e che 'l soldano si dovesse lasciare la terra e renderla ad Argo.
Lo soldano rispuose a li ambasciadori, e disse: "Andate ad Argo, e sí li dite ch'io lo voglio tenere per nepote e per figliuolo, sí com'io debbo", e che li volea dare segnoria che si convenisse, e che stesse sotto lui; ma non volea ch'egli fosse segnore: "e se cosí non vòle fare, sí li dite che s'aparecchi de la battaglia".
201
Argo, quando ebbe intesa questa novella, si ebbe grande ira, e disse: "Non ci è da dire piú nulla". Allora si mosse con sua gente, e fue giu(n)to al campo dove la battaglia dovea essere. E quando furono aparecchiati l'una parte e l'altra, e li naccari cominciaro a sonare da catuna parte, alora si cominciò la battaglia molto forte e molto crudele da catuna parte. Argo fece lo dí grandissima prodezza, egli e sua gente, ma no gli valse; tanto fue la disaventura che Argo si fue preso e perdéo alora la battaglia.
Lo soldano si era uomo molto lusorioso, sí che si pensò di ritornare a la terra e di pigliare molte belle donne che v'erano. Alora si partío, e lasciò uno suo vicaro ne l'oste, ch'avea nome Melichi, che dovesse guardare bene Argo; e cosí se n'andò a la terra, e Milichi rimase.
202
[O]ra avenne che uno barone tartaro, lo quale era aguale sotto il soldano, vide lo suo segnore Argo, lo quale dovea essere (di ragione). Venneli un grande pensiero al cuore, e l'animo li cominciò molto a enfiare, e dicea fra se istesso che male li parea che suo segnore fosse preso; e pensò di fare suo podere sí ch'egli fosse lasciato. Ed alora cominciò a parlare con altri baroni de l'oste; e catuno parea che fosse in buono animo di volersi pentere di ciò ch'aveano fatto. E quando furono bene acordati, uno barone ch'avea nome Boga si fue cominciatore; e levaronsi suso tutti a romore, ed andarono a la pregione dove Argo era preso, e dissergli come s'erano riconosciuti, e ch'aveano fatto male, e che voleano ritornare a la misericordia e fare e dire bene, e lui tenere per segnore.
E cosí s'acordaro, ed Argo perdonò loro tutto ciò ch'eglino aveano fatto contra di lui. Ed incontane(n)te si mossero tutti questi baroni, ed andarono al padiglione dov'era Milichi, lo vicaro del soldano, ed ebborlo morto. Ed alora tutti quelli de l'oste sí confermaro Argo per loro diritto segnore.
203
Di presente giunse la novella al soldano come lo fatto era istato e come Milichi suo vicaro era morto. Alora, com'ebbe inteso questo, si ebbe grande paura, e pensossi di fuggire in Babbilona, e misesi a partire con quella gente ch'avea.
Uno barone, lo quale era grande amico d'Argo, si istava ad uno passo, e quando lo soldano passava, e questo barone sí l'ebbe conosciuto, ed imantenente li fue dina(n)zi in sul passo ed ebbelo preso per forza; e menollo dina(n)zi ad Argo a la cità, che v'era giunto già di tre giorni. Argo, quando lo vide, sí ne fue molto alegro, ed imantenente si comandò che gli fosse data la morte sí come traditore. Quando fue cosí fatto, e Argo si mandò uno suo figliuolo a guardare le terre da l'Albero Solo, e mandò co lui 30.000 di cavalieri.
A questo tempo che Argo intrò ne la segnoria, corea anni Domini 1285, e regnò segnore 6 anni; ed in capo di questi 6 anni si fue avelenato, e cosí morío. Morto che egli si fue Argo, uno suo zio si entrò su la segnoria, per cagione che lo figliuolo d'Argo si era molto da la lunga. E' tenne la segnoria 2 anni, ed in capo de li due anni si fue anche morto di beveraggio.
Ora vi lascio qui, ché non ci à altro da dire, e diròvvi uno poco de le parti di verso tramontana.
204
Delle parti di verso tramontana.
In tramontana si à uno re ch'è chiamato lo re Conci. E' sono Tartari; questi sono genti molto bestiali.
Costoro si ànno uno loro dominedio, ed è fatto di feltro, e chiamalo Nattigai, e fannogli anche la moglie, e dicono che sono i dominedii terreni che guardano tutti i loro beni terreni. E cosí li danno da mangiare, e fanno a questo cotale iddio secondo che fanno li altri Tarteri, li quali v'abbiamo contato adietro. Questo re Conci è de la schiatta di Ci(n)ghi Kane ed è parente del Grande Kane. Questa gente non ànno né cità né castella, ma sempre istanno in piani od in montagne. E' sono grande gente de le persone, e vivono di latt'e di bestie e di carne; biada non ànno. E non sono gente che mai facciano guerra ad altrui, anzi istanno tutti in grande pace. Eglino si ànno molte bestie, ed ànno orsi che sono tutti bianchi e sono lunghi 20 palmi, ed ànno volpi che sono tutte nere, e sí ànno asini salvatichi assai. Ancora si ànno giambelline, cioè quelle donde si fanno le care pegli, che una pelle da uomo vale bene 1.000 bisanti; vai ànno assai.
Questo re si è di quella contrada ove i cavagli non possoro andare, perciò che v'à grandi laghi e molte fontane, e sonvi ghiacci sí grandi che non vi si puote menare cavallo. E dura questa mala contrada 13 giornate; ed in capo di catuna giornata si à una posta, dove albergano li messi che passano e che vengono; ed a catuna di queste poste si istanno 40 cani, li quali istanno per portare li messaggi da l'una posta a l'altra, sí come io vi dirò. Sappiate che queste 13 giornate si sono (tra) due montagne, e tra queste due montagne si à una valle, ed in questa valle à sí grande lo fango e lo ghiaccio che cavallo non vi potrebbe andare. Eglino sí ànno ordinate tregge sanza ruote, ché le ruote non vi potrebbero andare, perciò ch'elle si ficherebbero tutte nel fango, e per lo ghiaccio corerebbero troppo. In su questa treggia si pongono uno cuoio d'orsa, e vannovi suso questi cotali messaggi; e questa treggia si menano 6 di questi cani, e questi cani sí sanno bene la via, e vanno infino a l'altra posta. E cosí vanno di posta in posta tutte queste 13 giornate di questa mala via; e quelli che guarda la posta sí monta su un'altra treggia e ménali per la migliore via.
E sí vi dico che gli uomini che stanno su per queste montagne sono buoni cacciatori e pigliano di molte buone bestiuole, e si ne fanno molto grande guadagno, sí come sono giambellini e vai ed ermellini e coccolini e volpi nere ed altre bestie assai, donde si fanno le care pegli. E pigliale in questo modo, che fanno loro reti che no vi ne puote campare veruna. Qui si à grandissima freddura.
Andamo piú ina(n)zi, e udirete quello che noi sí trovamo, ciò fue la valle iscura.
205
La valle iscura.
Andando piú ina(n)zi per tramontana, sí trovamo una contrada ch'è chiamata Iscurità. E certo ella sí à lo nome bene a ragione, ch'ella si è sempre mai iscura: qui si non apare mai sole né luna né stella; sempre mai v'è notte. La gente che v'è vi vive come bestie. E' non ànno segnore, se non che li Tartari sí vi mandano talvolta com'io vi dirò: che li uomini che vi vanno si tolgono giomente ch'abbiano poledri dietro, e lasciano li poledri di fuori da la scurità, e poscia si vanno rubando ciò ch'e' possono trovare; e poscia le giomente si ritornano a' loro poledri di fuori da la scurità. Ed in questo modo riede la gente che vi si mette ad andare.
Questa gente si ànno molte pelli di quelle care ed altre cose assai, perciò ch'egli sono maravigliosi cacciatore, ed amassano molte di quelle care pegli ch'avemo contato di sopra. La gente che vi dimora ad abitare sono gente pallida e di male colore.
Partimoci di qui, ed andamo a la [provincia] di Rossia.
206
Della provincia di Rossia.
Rossia si è una grandissima provincia verso tramontana. E' sono cristiani e tengono maniera di greci; ed àvvi molti re, ed ànno loro linguaggio. E no rendono trebuto se non ad uno re dei Tarteri e quello è poco. La contrada si à fortissimi passi a entrarvi. Costoro non sono mercatanti, ma sí ànno asai de le pelli ch'avemo ditto di sopra. La gente si è molto bella, i maschi e le femine, e sono bianchi e biondi, e sono semprice gente. In questa contrada si à molte argentiere, e càvane molto argento.
In questo paese non à altro da dire. Diròvvi de la provincia la quale à nome Lacca, perché confina co la provincia di Rossia.
207
Della provincia di Lacca.
Quando noi ci partimo da Rossia, sí 'ntramo ne la provincia di Lacca. Quivi si trovano gente che sono cristiani e gente che sono saracini. Non ci à quasi altra novità che abbia. † da quelle di sopra, ma vogliovi dire d'una cosa che m'era dimenticata de la provincia di Rossia.
In quella provincia si à grandissimo freddo, ch'à pena vi si puote iscampare; e dura infino al mare Oziano. Ancora vi dico che v'à isole ove nascono molti girfalchi e molti falconi pellegrini, i quali si pòrtaro per piú parti del mondo. E sappiate che da Rossia ad Orbeche si no v'à grande via ma, per lo grande freddo che v'è, sí non si puote bene andare.
Or vi lascio a dire di questa provincia, ché non ci à altro da dire; e vògliovi dire un poco dei Tarteri di Ponente e di loro signore e quanti signori ànno avuti.
208
De' signori de' Tarteri del Ponente.
Lo primo signore ch'ebbono gli Tarteri del Ponente si fu uno ch'ebbe nome Frai. Questo Frai fu uomo molto possente e conquistò molte province e molte terre, ch'egli conquistò Rossia e Comania e Alanai e Lacca e Megia e Ziziri e Scozia e Gazarie. Queste furono tutte prese per cagione che non si tenevano insieme, ché s'elle fossero istate tutte bene insieme, non sarebbono istate prese.
Ora, dopo la morte di Frai fu signore Patu, dopo Patu si fu Bergo; dopo Bergo Mogletenr; poscia fu Catomacu; dopo costui fu il re ch'è oggi, lo quale à nome lo re Toccai.
Ora avete inteso dei signori che sono istati delli Tarteri del Ponente. Vogliovi dire d'una battaglia che fu molto grande tra lo re Alau, signore del Levante, e lo re Bergo, signore del Ponente.
209
D'una gran battaglia.
Al tempo degli anni Domini 1261 sí si cominciò una grande discordia tra gli Tarteri del Ponente e quegli del Levante. E questo si fu per una provincia, ché l'uno signore e l'altro la voleva, sicché ciascuno fece suo isforzo e suo apparecchiamento in sei mesi.
Quando venne in capo degli sei mesi, e ciascuno síe uscíe fuori a campo; e ciascuno avea bene in sul campo bene 300.000 cavalieri bene apparecchiati d'o[gn]i cosa da battaglia, secondo loro usanza. Sappiate che lo re Barga avea bene 350.000 di cavalieri. Or si puose a campo a 10 miglia presso l'uno all'altro; e voglio che voi sappiate che questi campi erano i piú ricchi campi che mai fossono veduti di padiglioni e di trabacche, tutti forniti di sciamiti e d'oro e d'ariento. E cosí istettoro tre dí.
Quando venne la sera che la battaglia dovea essere la mattina vegnente, ciascuno confortò bene sua gente ed amonío siccome si conveniva. Quando venne la mattina, e ciascuno signore fu in sul campo, e' feciono loro ischiere bene e ordinatamente. Lo re Barga fece 35 ischiere, lo re Alau ne fece pure 30, perché avea meno di gente; e ogni ischiera era da 10.000 uomeni a cavallo. Lo campo era molto bello e grande, e bene faceva bisogno ché giammai non si ricorda che tanta gente s'asembiasse in sun un campo; e sappiate che ciascuna gente erano prodi ed arditi. Questi due signori furono amendue discesi della ischiatta di Cinghy Kane, ma poi sono divisi, ché l'uno è signore del Levante e l'altro del Ponente.
Quando furono aconci l'una parte e l'altra e gli naccheri incominciarono a sonare da ciascuna parte, allora fu cominciata la battaglia colle saette. Le saette cominciarono ad andare per l'aria tante che tutta l'aria era piena di saette, e tante ne saettarono che piú non n'avevano: tutto il campo era pieno d'uomeni morti e di fediti. Poi missoro mano alle ispade: quella era tale tagliata di teste e di braccia e di mani di cavalieri, che giammai tale non fu veduta né udita, e tanti cavalieri a terra ch'era una maraviglia a vedere da ciascuna parte, né giammai non morí tanta gente in un campo, che niuno non potea andare per terra, se no su per gli uomeni morti e fediti. Tutto il mondo pareva sangue, ché gli cavagli andavano nel sangue insino a mezza gamba; lo romore e 'l pianto era sí grande dei fediti ch'erano in terra, ch'era una maraviglia a udire lo dolore che facevano.
E lo re Alau fece sí grande maraviglia di sua persona che non pareva uomo, anzi pareva una tempesta, sicché il re Barga non poté durare, anzi gli co(n)venne alla perfine lasciare il campo; e missesi a fuggire, e lo re Alau gli seguí dietro con sua gente, tuttavia uccidendo quantunque ne giugnevano.
Quando lo re Barga fu isconfitto con tutta sua gente, e il re Alau si ritornò in sul campo, e comandò che tutti gli morti fossono arsi, cosí gli nemici come gli amici, però ch'era loro usanza d'ardere i morti. E fatto ch'ebbono questo, sí si partirono e ritornarono in loro terre.
Avete inteso tutti i fatti dei Tarteri e dei saracini, quanto se ne può dire, e di loro costumi, e degli altri paesi che sono per lo mondo, quanto se ne puote cercare e sapere, salvo che del Mar Maggiore non vi abiamo parlato né detto nulla, né delle province che gli sono d'intorno, avegna che noi il cercamo ben tutto. Perciò il lascio a dire, ché mi pare che sia fatica a dire quello che non sia bisogno né utile, né quello ch'altri fa tutto dí, ché tanti sono coloro che 'l cercano e 'l navicano ogni dí che bene si sa, siccome sono Viniziani e Genovesi e Pisani e molta altra gente che fanno quel viaggio ispesso, che catuno sa ciò che v'è; e perciò mi taccio e non ve ne parlo nulla di ciò.
Della nostra partita, come noi ci partimmo dal Grande Kane, avete inteso nel cominciamento del libro, in uno capitolo ove parla della briga e fatica ch'ebbe messer Matteo e messer Niccolò e messer Marco in domandare commiato dal Gran Kane; e in quello capitolo conta l'aventura ch'avemmo nella nostra partita. E sappiate, se quella aventura non fosse istata, a gran fatica e con molta pena saremmo mai partiti, sicché a pena saremmo mai tornati in nostro paese.
Ma credo che fosse piacere di Dio nostra tornata, acciò che si potessoro sapere le cose che sono per lo mondo, ché, secondo ch'avemo contato in capo del libro nel titolo primaio, e' non fu mai uomo, né cristiano né saracino né tartero né pagano, che mai cercasse tanto nel mondo quanto fece messer Marco, figliuolo di messer Niccolò Polo, nobile e grande cittadino della città di Vinegia.

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