Introduzione |
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Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a
supplizi atrocissimi alcuni accusati d'aver propagata la peste con certi ritrovati
sciocchi non men che orribili, parve d'aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che,
nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de' supplizi, la demolizion
della casa d'uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio
s'innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un'iscrizione che
tramandasse ai posteri la notizia dell'attentato e della pena. E in ciò non
s'ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile. |
In una parte dello scritto antecedente, l'autore aveva
manifestata l'intenzione di pubblicarne la storia; ed è questa che presenta al pubblico,
non senza vergogna, sapendo che da altri è stata supposta opera di vasta materia, se non
altro, e di mole corrispondente. Ma se il ridicolo del disinganno deve cadere addosso a
lui, gli sia permesso almeno di protestare che nell'errore non ha colpa, e che, se viene
alla luce un topo, lui non aveva detto che dovessero partorire i monti. Aveva detto
soltanto che, come episodio, una tale storia sarebbe riuscita troppo lunga, e che,
quantunque il soggetto fosse già stato trattato da uno scrittore giustamente celebre (Osservazioni
sulla tortura, di Pietro Verri), gli pareva che potesse esser trattato di nuovo, con
diverso intento. E basterà un breve cenno su questa diversità, per far conoscere la
ragione del nuovo lavoro. Così si potesse anche dire l'utilità; ma questa, pur troppo,
dipende molto più dall'esecuzione che dall'intento. |
Pietro Verri si propose, come indica il titolo medesimo
del suo opuscolo, di ricavar da quel fatto un argomento contro la tortura, facendo vedere
come questa aveva potuto estorcere la confessione d'un delitto, fisicamente e moralmente
impossibile. E l'argomento era stringente, come nobile e umano l'assunto. |
Ma dalla storia, per quanto possa esser succinta, d'un
avvenimento complicato, d'un gran male fatto senza ragione da uomini a uomini, devono
necessariamente potersi ricavare osservazioni più generali, e d'un'utilità, se non così
immediata, non meno reale. Anzi, a contentarsi di quelle sole che potevan principalmente
servire a quell'intento speciale, c'è pericolo di formarsi una nozione del fatto, non
solo dimezzata, ma falsa, prendendo per cagioni di esso l'ignoranza de' tempi e la
barbarie della giurisprudenza, e riguardandolo quasi come un avvenimento fatale e
necessario; che sarebbe cavare un errore dannoso da dove si può avere un utile
insegnamento. L'ignoranza in fisica può produrre degl'inconvenienti, ma non delle
iniquità; e una cattiva istituzione non s'applica da sé. Certo, non era un effetto
necessario del credere all'efficacia dell'unzioni pestifere, il credere che Guglielmo
Piazza e Giangiacomo Mora le avessero messe in opera; come dell'esser la tortura in vigore
non era effetto necessario che fosse fatta soffrire a tutti gli accusati, né che tutti
quelli a cui si faceva soffrire, fossero sentenziati colpevoli. Verità che può parere
sciocca per troppa evidenza; ma non di rado le verità troppo evidenti, e che dovrebbero
esser sottintese, sono in vece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il
giudicar rettamente quell'atroce giudizio. Noi abbiam cercato di metterla in luce, di far
vedere che que' giudici condannaron degl'innocenti, che essi, con la più ferma
persuasione dell'efficacia dell'unzioni, e con una legislazione che ammetteva la tortura,
potevano riconoscere innocenti; e che anzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero
che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con caratteri chiari
allora com'ora, come sempre, dovettero fare continui sforzi d'ingegno, e ricorrere a
espedienti, de' quali non potevano ignorar l'ingiustizia. Non vogliamo certamente (e
sarebbe un tristo assunto) togliere all'ignoranza e alla tortura la parte loro in
quell'orribile fatto: ne furono, la prima un'occasion deplorabile, l'altra un mezzo
crudele e attivo, quantunque non l'unico certamente, né il principale. Ma crediamo che
importi il distinguerne le vere ed efficienti cagioni, che furono atti iniqui, prodotti da
che, se non da passioni perverse? |
Dio solo ha potuto distinguere qual più, qual meno tra
queste abbia dominato nel cuor di que' giudici, e soggiogate le loro volontà: se la
rabbia contro pericoli oscuri, che, impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che
le veniva messo davanti; che aveva ricevuto una notizia desiderata, e non voleva trovarla
falsa; aveva detto: finalmente!e non voleva dire: siam da capo; la rabbia
resa spietata da una lunga paura, e diventata odio e puntiglio contro gli sventurati che
cercavan di sfuggirle di mano; o il timor di mancare a un'aspettativa generale,
altrettanto sicura quanto avventata, di parer meno abili se scoprivano degl'innocenti, di
voltar contro di sé le grida della moltitudine, col non ascoltarle; il timore fors'anche
di gravi pubblici mali che ne potessero avvenire: timore di men turpe apparenza, ma
ugualmente perverso, e non men miserabile, quando sottentra al timore, veramente nobile e
veramente sapiente, di commetter l'ingiustizia. Dio solo ha potuto vedere se que'
magistrati, trovando i colpevoli d'un delitto che non c'era, ma che si voleva(1) , furon
più complici o ministri d'una moltitudine che, accecata, non dall'ignoranza, ma dalla
malignità e dal furore, violava con quelle grida i precetti più positivi della legge
divina, di cui si vantava seguace. Ma la menzogna, l'abuso del potere, la violazion delle
leggi e delle regole più note e ricevute, l'adoprar doppio peso e doppia misura, son cose
che si posson riconoscere anche dagli uomini negli atti umani; e riconosciute, non si
posson riferire ad altro che a passioni pervertitrici della volontà; né, per ispiegar
gli atti materialmente iniqui di quel giudizio, se ne potrebbe trovar di più naturali e
di men triste, che quella rabbia e quel timore. |
Ora, tali cagioni non furon pur troppo particolari a
un'epoca; né fu soltanto per occasione d'errori in fisica, e col mezzo della tortura, che
quelle passioni, come tutte l'altre, abbian fatto commettere ad uomini ch'eran tutt'altro
che scellerati di professione, azioni malvage, sia in rumorosi avvenimenti pubblici, sia
nelle più oscure relazioni private. "Se una sola tortura di meno," scrive
l'autor sullodato, "si darà in grazia dell'orrore che pongo sotto gli occhi, sarà
ben impiegato il doloroso sentimento che provo, e la speranza di ottenerlo mi
ricompensa(2) ." Noi, proponendo a lettori pazienti di fissar di nuovo lo sguardo
sopra orrori già conosciuti, crediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile frutto,
se lo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ogni volta, si rivolgeranno anche,
e principalmente, contro passioni che non si posson bandire, come falsi sistemi, né
abolire, come cattive istituzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle
ne' loro effetti, e detestarle. |
E non temiamo d'aggiungere che potrà anche esser cosa,
in mezzo ai più dolorosi sentimenti, consolante. Se, in un complesso di fatti atroci
dell'uomo contro l'uomo, crediam di vedere un effetto de' tempi e delle circostanze,
proviamo, insieme con l'orrore e con la compassion medesima, uno scoraggimento, una specie
di disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da
cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da
cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevole
l'indegnazione che nasce in noi spontanea contro gli autori di que' fatti, e che pur nello
stesso tempo ci par nobile e santa: rimane l'orrore, e scompare la colpa; e, cercando un
colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a
esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla. Ma
quando, nel guardar più attentamente a que' fatti, ci si scopre un'ingiustizia che poteva
esser veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche
da loro, dell'azioni opposte ai lumi che non solo c'erano al loro tempo, ma che essi
medesimi, in circostanze simili, mostraron d'avere, è un sollievo il pensare che, se non
seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo
assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di tali fatti si
può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori. |
Non ho però voluto dire che, tra gli orrori di quel
giudizio, l'illustre scrittore suddetto non veda mai, in nessun caso, l'ingiustizia
personale e volontaria de' giudici. Ho voluto dir soltanto che non s'era proposto
d'osservar quale e quanta parte c'ebbe, e molto meno di dimostrare che ne fu la
principale, anzi, a parlar precisamente, la sola cagione. E aggiungo ora, che non
l'avrebbe potuto fare senza nocere al suo particolare intento. I partigiani della tortura
(ché l'istituzioni più assurde ne hanno finché non son morte del tutto, e spesso anche
dopo, per la ragione stessa che son potute vivere) ci avrebbero trovata una
giustificazione di quella. - Vedete? - avrebbero detto, - la colpa è dell'abuso, e non
della cosa. - Veramente, sarebbe una singolar giustificazione d'una cosa, il far vedere
che, oltre all'essere assurda in ogni caso, ha potuto in qualche caso speciale servir di
strumento alle passioni, per commettere fatti assurdissimi e atrocissimi. Ma l'opinioni
fisse l'intendon così. E dall'altra parte, quelli che, come il Verri, volevano
l'abolizion della tortura, sarebbero stati malcontenti che s'imbrogliasse la causa con
distinzioni, e che, con dar la colpa ad altro, si diminuisse l'orrore per quella. Così
almeno avvien d'ordinario: che chi vuol mettere in luce una verità contrastata, trovi ne'
fautori, come negli avversari, un ostacolo a esporla nella sua forma sincera. È vero che
gli resta quella gran massa d'uomini senza partito, senza preoccupazione, senza passione,
che non hanno voglia di conoscerla in nessuna forma. |
In quanto ai materiali di cui ci siam serviti per
compilar questa breve storia, dobbiam dire prima di tutto, che le ricerche fatte da noi
per iscoprire il processo originale, benché agevolate, anzi aiutate dalla più gentile e
attiva compiacenza, non han giovato che a persuaderci sempre più che sia assolutamente
perduto. D'una buona parte però è rimasta la copia; ed ecco come. Tra que' miseri
accusati si trovò, e pur troppo per colpa d'alcun di loro, una persona d'importanza, don
Giovanni Gaetano de Padilla, figlio del comandante del castello di Milano, cavalier di
sant'Iago, e capitano di cavalleria; il quale poté fare stampare le sue difese, e
corredarle d'un estratto del processo, che, come a reo costituito, gli fu comunicato. E
certo, que' giudici non s'accorsero allora, che lasciavan fare da uno stampatore un
monumento più autorevole e più durevole di quello che avevan commesso a un architetto.
Di quest'estratto, c'è di più un'altra copia manoscritta, in alcuni luoghi più scarsa,
in altri più abbondante, la quale appartenne al conte Pietro Verri, e fu dal degnissimo
suo figlio, il signor conte Gabriele, con liberale e paziente cortesia, messa e lasciata a
nostra disposizione. È quella che servì all'illustre scrittore per lavorar l'opuscolo
citato, ed è sparsa di postille, che sono riflessioni rapide, o sfoghi repentini di
compassion dolorosa, e d'indegnazione santa. Porta per titolo: Summarium offensivi
contra Don Johannem Cajetanum de Padilla; ci si trovan per esteso molte cose delle
quali nell'estratto stampato non c'è che un sunto; ci son notati in margine i numeri
delle pagine del processo originale, dalle quali son levati i diversi brani; ed è pure
sparsa di brevissime annotazioni latine, tutte però del carattere stesso del testo: Detentio
Morae; Descriptio Domini Johannis; Adversatur Commissario; Inverisimile; Subgestio, e
simili, che sono evidentemente appunti presi dall'avvocato del Padilla, per le difese. Da
tutto ciò pare evidente che sia una copia letterale dell'estratto autentico che fu
comunicato al difensore; e che questo, nel farlo stampare, abbia omesse varie cose, come
meno importanti, e altre si sia contentato d'accennarle. Ma come mai se ne trovano nello
stampato alcune che mancano nel manoscritto? Probabilmente il difensore poté spogliar di
nuovo il processo originale, e farci una seconda scelta di ciò che gli paresse utile alla
causa del suo cliente. |
Da questi due estratti abbiamo naturalmente ricavato il
più; ed essendo il primo, altre volte rarissimo, stato ristampato da poco tempo, il
lettore potrà, se gli piace, riconoscere, col confronto di quello, i luoghi che abbiam
presi dalla copia manoscritta. |
Anche le difese suddette ci hanno somministrato diversi
fatti, e materia di qualche osservazione. E siccome non furon mai ristampate, e gli
esemplari ne sono scarsissimi, non mancherem di citarle, ogni volta che avremo occasion di
servircene. |
Qualche piccola cosa finalmente abbiam potuto pescare
da qualcheduno de' pochi e scompagnati documenti autentici che son rimasti di quell'epoca
di confusione e di disperdimento, e che si conservano nell'archivio citato più d'una
volta nello scritto antecedente. |
Dopo la breve storia del processo abbiam poi creduto
che non sarebbe fuor di luogo una più breve storia dell'opinione che regnò intorno ad
esso, fino al Verri, cioè per un secolo e mezzo circa. Dico l'opinione espressa ne'
libri, che è, per lo più, e in gran parte, la sola che i posteri possan conoscere; e ha
in ogni caso una sua importanza speciale. Nel nostro, c'è parso che potesse essere una
cosa curiosa il vedere un seguito di scrittori andar l'uno dietro all'altro come le
pecorelle di Dante, senza pensare a informarsi d'un fatto del quale credevano di dover
parlare. Non dico: cosa divertente; ché, dopo aver visto quel crudele combattimento, e
quell'orrenda vittoria dell'errore contro la verità, e del furore potente contro
l'innocenza disarmata, non posson far altro che dispiacere, dicevo quasi rabbia, di
chiunque siano, quelle parole in conferma e in esaltazione dell'errore, quell'affermar
così sicuro, sul fondamento d'un credere così spensierato, quelle maledizioni alle
vittime, quell'indegnazione alla rovescia. Ma un tal dispiacere porta con sé il suo
vantaggio, accrescendo l'avversione e la diffidenza per quell'usanza antica, e non mai
abbastanza screditata, di ripetere senza esaminare, e, se ci si lascia passar
quest'espressione, di mescere al pubblico il suo vino medesimo, e alle volte quello che
gli ha già dato alla testa. |
A questo fine, avevam pensato alla prima di presentare
al lettore la raccolta di tutti i giudizi su quel fatto, che c'era riuscito di trovare in
qualunque libro. Ma temendo poi di metter troppo a cimento la sua pazienza, ci siam
ristretti a pochi scrittori, nessuno affatto oscuro, la più parte rinomati: cioè quelli,
de' quali son più istruttivi anche gli errori, quando non posson più esser contagiosi. |
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Capitolo 1 |
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La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e
mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra
d'un cavalcavia che allora c'era sul principio di via della Vetra de' Cittadini, dalla
parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo),
vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano, sopra
la quale, dice costei nella sua deposizione, metteva su le mani, che pareua che
scrivesse. Le diede nell'occhio che, entrando nella strada, si fece appresso alla
muraglia delle case, che è subito dopo voltato il cantone, e che a luogo a luogo
tiraua con le mani dietro al muro. All'hora, soggiunge, mi viene in pensiero
se a caso fosse un poco uno de quelli che, a' giorni passati, andauano ongendo le muraglie.
Presa da un tal sospetto, passò in un'altra stanza, che guardava lungo la strada, per
tener d'occhio lo sconosciuto, che s'avanzava in quella; etviddi,dice, che
teneua toccato la detta muraglia con le mani. |
C'era alla finestra d'una casa della strada medesima
un'altra spettatrice, chiamata Ottavia Bono; la quale, non si saprebbe dire se concepisse
lo stesso pazzo sospetto alla prima e da sé, o solamente quando l'altra ebbe messo il
campo a rumore. Interrogata anch'essa, depone d'averlo veduto fin dal momento ch'entrò
nella strada; ma non fa menzione di muri toccati nel camminare. Viddi, dice, che
si fermò qui in fine della muraglia del giardino della casa delli Crivelli... et viddi
che costui haueua una carta in mano, sopra la quale misse la mano dritta, che mi pareua
che volesse scrivere; et poi viddi che, leuata la mano dalla carta, la fregò sopra la
muraglia del detto giardino, dove era un poco di bianco. Fu probabilmente per pulirsi
le dita macchiate d'inchiostro, giacché pare che scrivesse davvero. Infatti, nell'esame
che gli fu fatto il giorno dopo, interrogato, se l'attioni che fece quella mattina,
ricercorno scrittura, risponde: signor sì.E in quanto all'andar rasente al
muro, se a una cosa simile ci fosse bisogno d'un perché, era perché pioveva, come
accennò quella Caterina medesima, ma per cavarne una induzione di questa sorte: è ben
una gran cosa: hieri, mentre costui faceva questi atti di ongere, pioueua, et bisogna mo
che hauesse pigliato quel tempo piovoso, perché più persone potessero imbrattarsi li
panni nell'andar in volta, per andar al coperto. |
Dopo quella fermata, costui tornò indietro, rifece la
medesima strada, arrivò alla cantonata, ed era per isparire; quando, per un'altra
disgrazia, fu rintoppato da uno ch'entrava nella strada, e che lo salutò. Quella
Caterina, che, per tener dietro all'untore, fin che poteva, era tornata alla finestra di
prima, domandò all'altro chi fosse quello che haueua salutato. L'altro, che, come
depose poi, lo conosceva di vista, e non ne sapeva il nome, disse quel che sapeva, ch'era
un commissario della Sanità. Et io dissi a questo tale, segue a deporre la
Caterina, è che ho visto colui a fare certi atti, che non mi piacciono niente. Subito
puoi si diuulgò questo negotio,cioè fu essa, almeno principalmente, che lo divolgò,
et uscirno dalle porte, et si vidde imbrattate le muraglie d'un certo ontume che pare
grasso et che tira al giallo; et in particolare quelli del Tradate dissero che haueuano
trovato tutto imbrattato li muri dell'andito della loro porta.L'altra donna depone il
medesimo. Interrogata, se sa a che effetto questo tale fregasse di quella mano sopra il
muro, risponde: dopo fu trouato onte le muraglie, particolarmente nella porta del
Tradate. |
E, cose che in un romanzo sarebbero tacciate
d'inverisimili, ma che pur troppo l'accecamento della passione basta a spiegare, non venne
in mente né all'una né all'altra, che, descrivendo passo per passo, specialmente la
prima, il giro che questo tale aveva fatto nella strada, non avevan però potuto dire che
fosse entrato in quell'andito: non parve loro una gran cosadavvero, che costui,
giacché, per fare un lavoro simile, aveva voluto aspettare che fosse levato il sole, non
ci andasse almeno guardingo, non desse almeno un'occhiata alle finestre; né che tornasse
tranquillamente indietro per la medesima strada, come se fosse usanza de' malfattori di
trattenersi più del bisogno nel luogo del delitto; né che maneggiasse impunemente una
materia che doveva uccider quelli che se ne imbrattassero i panni; né troppe altre
ugualmente strane inverisimiglianze. Ma il più strano e il più atroce si è che non
paressero tali neppure all'interrogante, e che non ne chiedesse spiegazione nessuna. O se
ne chiese, sarebbe peggio ancora il non averne fatto menzione nel processo. |
I vicini, a cui lo spavento fece scoprire chi sa quante
sudicerie che avevan probabilmente davanti agli occhi, chi sa da quanto tempo, senza
badarci, si misero in fretta e in furia a abbruciacchiarle con della paglia accesa. A
Giangiacomo Mora, barbiere, che stava sulla cantonata, parve, come agli altri, che fossero
stati unti i muri della sua casa. E non sapeva, l'infelice, qual altro pericolo gli
sovrastava, e da quel commissario medesimo, ben infelice anche lui. |
Il racconto delle donne fu subito arricchito di nuove
circostanze; o fors'anche quello che fecero subito ai vicini non fu in tutto uguale a
quello che fecero poi al capitano di giustizia. Il figlio di quel povero Mora, essendo
interrogato più tardi se sa o ha inteso dire in che modo il detto commissario ongesse
le dette muraglie et case, risponde: sentei che una donna di quelle che stanno
sopra il portico che trauersa la detta Vedra, quale non so come habbi nome, disse che
detto commissario ongeua con una penna, hauendo un vasetto in mano. Potrebb'esser
benissimo che quella Caterina avesse parlato d'una penna da lei vista davvero in mano
dello sconosciuto; e ognuno indovina troppo facilmente qual altra cosa poté esser da lei
battezzata per vasetto; ché, in una mente la qual non vedeva che unzioni, una penna
doveva avere una relazione più immediata e più stretta con un vasetto, che con un
calamaio. |
Ma pur troppo, in quel tumulto di chiacchiere, non
andò persa una circostanza vera, che l'uomo era un commissario della Sanità; e, con
quest'indizio, si trovò anche subito ch'era un Guglielmo Piazza, genero della comar
Paola, la quale doveva essere una levatrice molto nota in que' contorni. La notizia si
sparse via via negli altri quartieri, e ci fu anche portata da qualcheduno che s'era
abbattuto a passar di lì nel momento del sottosopra. Uno di questi discorsi fu riferito
al senato, che ordinò al capitano di giustizia, d'andar subito a prendere informazioni, e
di procedere secondo il caso. |
È stato significato al Senato che hieri mattina
furno onte con ontioni mortifere le mura et porte delle case della Vedra de' Cittadini,disse
il capitano di giustizia al notaio criminale che prese con sé in quella spedizione. E con
queste parole, già piene d'una deplorabile certezza, e passate senza correzione dalla
bocca del popolo in quella de' magistrati, s'apre il processo. |
Al veder questa ferma persuasione, questa pazza paura
d'un attentato chimerico, non si può far a meno di non rammentarsi ciò che accadde di
simile in varie parti d'Europa, pochi anni sono, nel tempo del colera. Se non che, questa
volta, le persone punto punto istruite, meno qualche eccezione, non parteciparono della
sciagurata credenza, anzi la più parte fecero quel che potevano per combatterla; e non si
sarebbe trovato nessun tribunale che stendesse la mano sopra imputati di quella sorte,
quando non fosse stato per sottrarli al furore della moltitudine. È, certo, un gran
miglioramento; ma se fosse anche più grande, se si potesse esser certi che, in
un'occasion dello stesso genere, non ci sarebbe più nessuno che sognasse attentati dello
stesso genere, non si dovrebbe perciò creder cessato il pericolo d'errori somiglianti nel
modo, se non nell'oggetto. Pur troppo, l'uomo può ingannarsi, e ingannarsi terribilmente,
con molto minore stravaganza. Quel sospetto e quella esasperazion medesima nascono
ugualmente all'occasion di mali che possono esser benissimo, e sono in effetto, qualche
volta, cagionati da malizia umana; e il sospetto e l'esasperazione, quando non sian
frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli
degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni. Per citarne un
esempio anch'esso non lontano, anteriore di poco al colera; quando gl'incendi eran
divenuti così frequenti nella Normandia, cosa ci voleva perché un uomo ne fosse subito
subito creduto autore da una moltitudine? L'essere il primo che trovavan lì, o nelle
vicinanze; l'essere sconosciuto, e non dar di sé un conto soddisfacente: cosa doppiamente
difficile quando chi risponde è spaventato, e furiosi quelli che interrogano; l'essere
indicato da una donna che poteva essere una Caterina Rosa, da un ragazzo che, preso in
sospetto esso medesimo per uno strumento della malvagità altrui, e messo alle strette di
dire chi l'avesse mandato a dar fuoco, diceva un nome a caso. Felici que' giurati davanti
a cui tali imputati comparvero (ché più d'una volta la moltitudine eseguì da sé la sua
propria sentenza); felici que' giurati, se entrarono nella loro sala ben persuasi che non
sapevano ancor nulla, se non rimase loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore di
fuori, se pensarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con un traslato di
quelli che fanno perder di vista il carattere proprio e essenziale della cosa, con un
traslato sinistro e crudele nei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senza
averne i mezzi; ma ch'eran uomini esclusivamente investiti della sacra, necessaria,
terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti. |
La persona ch'era stata indicata al capitano di
giustizia, per averne informazioni, non poteva dir altro che d'aver visto, il giorno
prima, passando per via della Vetra, abbruciacchiar le muraglie, e sentito dire ch'erano
state unte quella mattina da un genero della comar Paola.Il capitano di giustizia e
il notaio si portarono a quella strada; e videro infatti muri affumicati, e uno, quello
del barbiere Mora, imbiancato di fresco. E anche a loro fu detto da diversi che si sono
trouati ivi,che ciò era stato fatto per averli veduti unti; come anco dal detto
Signor Capitano, et da me notaro, scrive costui, si sono visti ne' luoghi
abbrugiati alcuni segni di materia ontuosa tirante al giallo, sparsaui come con le deta.Quale
riconoscimento d'un corpo di delitto! |
Fu esaminata una donna di quella casa de' Tradati, la
quale disse che avevan trovati i muri dell'andito imbrattati di una certa cosa gialla,
et in grande quantità.Furono esaminate le due donne, delle quali abbiam riferita la
deposizione; qualche altra persona, che non aggiunse nulla, per ciò che riguardava il
fatto; e, tra gli altri, l'uomo che aveva salutato il commissario. Interrogato di più, se
passando lui per la Vedra de' Cittadini, vidde le muraglie imbrattate,risponde: non
li feci fantasia, perché fin' all'hora non si era detto cosa alcuna. |
Era già stato dato l'ordine d'arrestare il Piazza, e
ci volle poco. Lo stesso giorno 22, referisce... fante della compagnia del Baricello di
Campagna al prefato Signor Capitano, il quale ancora era in carrozza, che andaua verso
casa sua, sicome passando dalla casa del Signor Senatore Monti Presidente della Sanità,
ha ritrouato auanti a quella porta, il suddetto Guglielmo Commissario, et hauerlo, in
esecuzione dell'ordine datogli, condotto in prigione. |
Per ispiegare come la sicurezza dello sventurato non
diminuisse punto la preoccupazione de' giudici, non basta certo l'ignoranza de' tempi.
Avevano per un indizio di reità la fuga dell'imputato; che di lì non fossero condotti a
intendere che il non fuggire, e un tal non fuggire, doveva essere indizio del contrario!
Ma sarebbe ridicolo il dimostrar che uomini potevano veder cose che l'uomo non può non
vedere: può bensì non volerci badare. |
Fu subito visitata la casa del Piazza, frugato per
tutto, in omnibus arcis, capsis, scriniis, cancellis, sublectis, per veder se
c'eran vasi d'unzioni, o danari, e non si trovò nulla: nihil penitus compertum fuit.
Né anche questo non gli giovò punto, come pur troppo si vede dal primo esame che gli fu
fatto, il giorno medesimo, dal capitano di giustizia, con l'assistenza d'un auditore,
probabilmente quello del tribunale della Sanità. |
È interrogato sulla sua professione, sulle sue
operazioni abituali, sul giro che fece il giorno prima, sul vestito che aveva; finalmente
gli si domanda: se sa che siano stati trouati alcuni imbrattamenti nelle muraglie delle
case di questa città, particolarmente in Porta Ticinese. Risponde: mi non lo so,
perché non mi fermo niente in Porta Ticinese.Gli si replica che questo non è
verisimile;si vuol dimostrargli che lo doveva sapere. A quattro ripetute domande,
risponde quattro volte il medesimo, in altri termini. Si passa ad altro, ma non con altro
fine: ché vedrem poi per qual crudele malizia s'insistesse su questa pretesa
inverisimiglianza, e s'andasse a caccia di qualche altra. |
Tra i fatti della giornata antecedente, de' quali aveva
parlato il Piazza, c'era d'essersi trovato coi deputati d'una parrocchia. (Eran
gentiluomini eletti in ciascheduna di queste dal tribunale della Sanità, per invigilare,
girando per la città, sull'esecuzion de' suoi ordini.) Gli fu domandato chi eran quelli
con cui s'era trovato; rispose: che li conosceva solamente di vista e non di nome.
E anche qui gli fu detto: non è verisimile.Terribile parola: per intender
l'importanza della quale, son necessarie alcune osservazioni generali, che pur troppo non
potranno esser brevissime, sulla pratica di que' tempi, ne' giudizi criminali. |