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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

 

Giovan Battista Guarini

IL PASTOR FIDO

 [PERSONAGGI] [PROLOGO]

 

PERSONAGGI

Alfeo, fiume d'Arcadia

Silvio, figlio di Montano

Linco, vecchio, servo di Montano

Mirtillo, amante di Amarilli

Ergasto, compagno di Mirtillo

Corisca, innamorata di Mirtillo

Montano, padre di Silvio, sacerdote

Titiro, padre di Amarilli

Dameta, vecchio, servo di Montano

Satiro, vecchio, amante già di Corisca

Dorinda, innamorata di Silvio

Lupino, capraio, servo di Dorinda

Amarilli, figlia di Titiro

Nicandro, ministro maggiore del sacerdote

Coridone, amante di Corisca

Carino, vecchio, padre putativo di Mirtillo

Uranio, vecchio, compagno di Carino

Messo

Tirenio, cieco, indovino

Coro di pastori

Coro di cacciatori

Coro di ninfe

Coro di sacerdoti

PROLOGO

ALFEO Se per antica, e forse

da voi negletta e non creduta fama,

avete mai d'innamorato fiume

le maraviglie udite,

che, per seguir l'onda fugace e schiva

de l'amata Aretusa,

corse (oh forza d'Amor!), le più profonde

viscere de la terra

e del mar penetrando,

là dove sotto alla gran mole etnea,

non so se fulminato o fulminante,

vibra il fiero gigante

contra 'l nemico ciel fiamme di sdegno,

quel son io: già l'udiste, or ne vedete

prova tal, ch'a voi stessi

fede negar non lice.

Ecco, lasciando il corso antico e noto,

per incognito mar l'onda incontrando

del re de' fiumi altèro,

qui sorgo, e lieto a riveder ne vegno

qual esser già solea libera e bella,

or desolata e serva,

quell'antica mia terra ond'io derivo.

O cara genitrice! o dal tuo figlio

riconosciuta Arcadia!

Riconosci il tuo caro

e già non men di te famoso Alfeo.

Queste son le contrade

sì chiare un tempo, e queste son le selve

ove 'l prisco valor visse e morìo.

In questo angolo sol del ferreo mondo

cred'io che ricovrasse il secol d'oro

quando fuggìa le scelerate genti.

Qui non veduta altrove

libertà moderata e senza invidia

fiorir si vede in dolce sicurezza

non custodita e 'n disarmata pace.

Cingea popolo inerme

un muro d'innocenza e di virtute,

assai più impenetrabile di quello

che d'animati sassi

canoro fabro a la gran Tebe eresse.

E, quando più di guerre e di tumulti

arse la Grecia e gli altri suoi guerrieri

popoli armò l'Arcadia,

a questa sola fortunata parte,

a questo sacro asilo

strepito mai non giunse né d'amica

né di nemica tromba.

E sperò tanto sol Tebe e Corinto

e Micene e Megara e Patra e Sparta

di trionfar del suo nemico, quanto

l'ebbe cara e guardolla

questa amica del ciel devota gente,

di cui fortunatissimo riparo

fûr esse in terra, ella di lor nel cielo,

pugnando altri con l'armi, ella co' prieghi.

E, benché qui ciascuno

abito e nome pastorale avesse,

non fu però ciascuno

né di pensier né di costumi rozzo,

però ch'altri fu vago

di spiar tra le stelle e gli elementi

di natura e del ciel gli alti segreti;

altri di seguir l'orme

di fuggitiva fèra;

altri con maggior gloria

d'atterrar orso o d'assalir cignale.

Questi rapido al corso,

e quegli al duro cesto

fiero mostrossi ed a la lotta invitto;

chi lanciò dardo e chi ferì di strale

il destinato segno;

chi d'altra cosa ebbe vaghezza, come

ciascun suo piacer segue.

La maggior parte amica

fu de le sacre muse, amore e studio

beato un tempo, or infelice e vile.

Ma chi mi fa veder dopo tant'anni

qui trasportata, dove

scende la Dora in Po, l'arcada terra?

Questa la chiostra è pur, questo quel antro

dell'antica Ericina;

e quel, che colà sorge, è pur il tempio

a la gran Cintia sacro. Or qual m'appare

miracolo stupendo?

Che insolito valor, che virtù nova

vegg'io di traspiantar popoli e terre?

O fanciulla reale,

d'età fanciulla e di saver già donna,

virtù del vostro aspetto,

valor del vostro sangue,

gran Caterina, or me n'avveggio, è questa

di quel sublime e glorioso sangue

a la cui monarchia nascono i mondi;

questi sì grandi effetti,

che sembran meraviglie,

opre son vostre usate, opre natie.

Come a quel sol, che d'oriente sorge,

tante cose leggiadre

produce il mondo, erbe, fior, frondi e tante

in cielo, in terra, in mare alme viventi,

così al vostro possente, altèro sole,

ch'uscì dal grande e per voi chiaro occaso,

si veggon d'ogni clima

nascer province e regni,

e crescer palme e pullular trofei.

A voi dunque m'inchino, altèra figlia

di quel monarca, a cui

né anco quando annotta il sol tramonta,

sposa di quel gran duce,

al cui senno, al cui petto, a la cui destra

commise il ciel la cura

de l'italiche mura.

Ma non bisogna più d'alpestre rupi

schermo o d'orride balze:

stia pur la bella Italia

per voi sicura, e suo riparo, in vece

de le grand'Alpi, una grand'alma or sia.

Quel suo tanto di guerra

propugnacolo invitto

è per voi fatto a le nemiche genti

quasi tempio di pace,

ove novella deità s'adori.

Vivete pur, vivete

lungamente concordi, anime grandi,

ché da sì glorioso e santo nodo

spera gran cose il mondo,

ed ha ben anco ove fondar sua speme,

se mira in Oriente

con tanti scettri il suo perduto impero,

campo sol di voi degno,

o magnanimo Carlo, e dai vestigi

dei grand'avoli vostri ancora impresso.

Augusta è questa terra,

augusti i vostri nomi, augusto il sangue;

i sembianti, i pensier, gli animi augusti:

saran ben anco augusti i parti e l'opre.

Ma voi, mentre v'annunzio

corone d'oro, e le prepara il Fato,

non isdegnate queste,

nelle piagge di Pindo

d'erbe e di fior conteste

per man di quelle vergini canore,

che, mal grado di Morte, altrui dàn vita,

picciole offerte sì, ma però tali,

che, se con puro affetto il cor le dona,

anco il ciel non le sdegna; e, se dal vostro

serenissimo ciel d'aura cortese

qualche spirto non manca,

la cetra, che per voi

vezzosamente or canta

teneri amori e placidi imenei,

sonerà, fatta tromba, arme e trofei.

 

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Ultimo Aggiornamento: 17/07/05 21.25.54