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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

ADELCHI

Alessandro Manzoni

TRAGEDIA

ATTO QUINTO

[SCENA PRIMA][SCENA SECONDA][SCENA TERZA]

[SCENA QUARTA][SCENA QUINTA] [SCENA SESTA]

[SCENA SETTIMA][SCENA OTTAVA] [SCENA NONA]

 [SCENA DECIMA][NOTE]

SCENA PRIMA

Palazzo reale in Verona

ADELCHI, GISELBERTO, duca di Verona

 

GISELBERTO

Costretto, o re, dell'oste intera io vengo

A nunziarti il voler: duchi e soldati

Chiedon la resa. A tutti è noto, e indarno

Celar si volle, che Pavia le porte

Al Franco aprì che il vincitor s'affretta

Sopra Verona; e che pur troppo ei tragge

Captivo il re. Co' figli suoi Gerberga

Già incontro a Carlo uscì, dell'aspro sire

Più ancor fidando nel perdon, che in una

Impotente amistà. Verona attrita

Dal lungo assedio, di guerrier, di scorte

Scema, non forte assai contra il nemico

Che già la stringe, non potrà la foga

Dei sorvegnenti sostener; né quelli

Che l'han difesa fino ad or, se pochi

Ne traggi, o re, vogliono al rischio starsi

Di pugna impari, e di spietato assalto.

Fin che del fare e del soffrir concesso

Era un frutto sperar, fenno e soffriro;

Quanto il dover, quanto l'onor chiedea,

Il diero: ai mali che non han più scopo

Chiedono il fine.

 

ADELCHI

Esci: la mia risposta

Tra poco avrai.

(Giselberto parte)

 

 

SCENA SECONDA

 

ADELCHI

Va, vivi, invecchia in pace;

Resta un de' primi di tua gente: il merti:

Va, non temer; sarai vassallo: il tempo

È pe' tuoi pari. - Anche il comando udirsi

Intimar de' codardi, e di chi trema

Prender la legge! è troppo. Han risoluto!

Voglion, perché son vili! e minacciosi

Li fa il terror; né soffriran che a questo

Furor di codardia s'opponga alcuno,

Che resti un uom tra loro! - Oh cielo! il padre

Negli artigli di Carlo! I giorni estremi

Uomo d'altrui vivrà, soggetto al cenno

Di quella man, che non avria voluto

Come amico serrar; mangiando il pane

Di chi l'offese, e l'ebbe a prezzo! E nulla

Via di cavarlo dalla fossa, ov'egli

Rugge tradito e solo, e chiama indarno

Chi salvarlo non può! nulla! - Caduta

Brescia, e il mio Baudo, il generoso, astretto

Anch'ei le porte a spalancar da quelli

Che non voglion morire. Oh più di tutti

Fortunata Ermengarda! Oh giorni! oh casa

Di Desiderio, ove d'invidia è degno

Chi d'affanno morì! - Di fuor costui,

Che arrogante s'avanza, e or or verrammi

Ad intimar che il suo trionfo io compia;

Qui la viltà che gli risponde, ed osa

Pressarmi; - è troppo in una volta! Almeno

Finor, perduta anche la speme, il loco

V'era all'opra; ogni giorno il suo domani,

Ed ogni stretta il suo partito avea.

Ed ora... ed or, se in sen de' vili un core

Io piantar non potei, potranno i vili

Togliere al forte, che da forte ei pera?

Tutti alfin non son vili: udrammi alcuno;

Più d'un compagno troverò, s'io grido:

Usciam costoro ad incontrar; mostriamo

Che non è ver che a tutto i Longobardi

Antepongon la vita; e... se non altro,

Morrem. - Che pensi? Nella tua rovina

Perché quei prodi strascinar? Se nulla

Ti resta a far quaggiù, non puoi tu solo

Morir? Nol puoi? Sento che l'alma in questo

Pensier riposa alfine: ei mi sorride,

Come l'amico che sul volto reca

Una lieta novella. Uscir di questa

Ignobil calca che mi preme; il riso

Non veder del nemico; e questo peso

D'ira, di dubbio e di pietà, gittarlo!...

Tu, brando mio, che del destino altrui

Tante volte hai deciso, e tu, secura

Mano avvezza a trattarlo... e in un momento

Tutto è finito. - Tutto? Ah sciagurato!

Perché menti a te stesso? Il mormorio

Di questi vermi ti stordisce; il solo

Pensier di starti a un vincitor dinanzi

Vince ogni tua virtù; l'ansia di questa

Ora t'affrange, e fa gridarti: è troppo!

E affrontar Dio potresti? e dirgli: io vengo

Senza aspettar che tu mi chiami; il posto

Che m'assegnasti, era difficil troppo;

E l'ho deserto! - Empio! fuggire? e intanto,

Per compagnia fino alla tomba, al padre

Lasciar questa memoria; il tuo supremo

Disperato sospir legargli! Al vento,

Empio pensier. - L'animo tuo ripiglia,

Adelchi; uom sii. Che cerchi? In questo istante

D'ogni travaglio il fin tu vuoi: non vedi,

Che in tuo poter non è? - T'offre un asilo

Il greco imperador. Sì; per sua bocca

Te l'offre Iddio: grato l'accetta: il solo

Saggio partito, il solo degno è questo.

Conserva al padre la sua speme: ei possa

Reduce almeno e vincitor sognarti,

Infrangitor de' ceppi suoi, non tinto

Del sangue sparso disperando. - E sogno

Forse non fia: da più profondo abisso

Altri già sorse: non fa patti eterni

Con alcun la fortuna: il tempo toglie

E dà: gli amici, il successor li crea.

- Teudi!

 

 

SCENA TERZA

ADELCHI, TEUDI

 

TEUDI

Mio re.

 

ADELCHI

Restano amici ancora

Al re che cade?

 

TEUDI

Sì: color che amici

Eran d'Adelchi.

 

ADELCHI

E che partito han preso?

 

TEUDI

L'aspettano da te.

 

ADELCHI

Dove son essi?

 

TEUDI

Qui nel palazzo tuo, lungi dai tristi

A cui sol tarda d'esser vinti appieno.

 

ADELCHI

Tristo, o Teudi, il valor disseminato

Tra la viltà! - Compagni alla mia fuga

Io questi prodi prenderò: null'altro

Far ne poss'io; nulla ei per me far ponno,

Che seguirmi a Bisanzio. Ah! se avvi alcuno

Cui venga in mente un più gentil consiglio,

Per pietà, me lo dia. - Da te, mio Teudi,

Un più coral servigio, un più fidato

Attendo ancor: resta per ora; al padre

Fa che di me questa novella arrivi:

Ch'io son fuggito, ma per lui; ch'io vivo,

Per liberarlo un dì; che non disperi.

Vieni, e m'abbraccia: a dì più lieti! - Al duca

Di Verona dirai che non attenda

Ordini più da me. - Sulla tua fede

Riposo, o Teudi.

 

TEUDI

Oh! la secondi il cielo.

(escono dalle parti opposte)

 

SCENA QUARTA

Tenda nel campo di Carlo sotto Verona

CARLO, un ARALDO, ARVINO, CONTI

CARLO

Vanne, araldo, in Verona; e al duca, a tutti

I suoi guerrier questa parola esponi:

Re Carlo è qui: le porte aprite; egli entra

Grazioso signor; se no, più tarda

L'entrata fia, ma non men certa; e i patti

Quali un solo li detta, e inacerbito.

 

(l'Araldo parte)

 

ARVINO

Il vinto re chiede di parlarti, o sire.

 

CARLO

Che vuol?

 

ARVINO

Nol disse; ma pietosa istanza

Egli ne fea.

 

CARLO

Venga.

(Arvino parte)

Vediam colui,

Che destinata a un'altra fronte avea

La corona di Carlo.

(ai Conti)

Ite: alle mura

La custodia addoppiate; ad ogni sbocco

Si vegli in arme: e che nessun mi sfugga.

 

 

SCENA QUINTA

CARLO, DESIDERIO

 

CARLO

A che vieni, infelice? E che parola

Correr puote tra noi? Decisa il cielo

Ha la nostra contesa; e più non resta

Di che garrir. Tristi querele e pianto

Sparger dinanzi al vincitor, disdice

A chi fu re; né a me con detti acerbi

L'odio antico appagar lice, né questo

Gaudio superbo che in mio cor s'eleva,

Ostentarti sul volto; onde sdegnato

Dio non si penta, e alla vittoria in mezzo

Non m'abbandoni ancor. Né, certo, un vano

Da me conforto di parole attendi.

Che ti direi? ciò che t'accora, è gioia

Per me; né lamentar posso un destino,

Ch'io non voglio mutar. Tal del mortale

È la sorte quaggiù: quando alle prese

Son due di lor, forza è che l'un piangendo

Esca dal campo. Tu vivrai; null'altro

Dono ha Carlo per te.

 

DESIDERIO

Re del mio regno,

Persecutor del sangue mio, qual dono

Ai re caduti sia la vita, il sai?

E pensi tu, ch'io vinto, io nella polve,

Di gioia anco una volta inebbriarmi

Non potrei? del velen che il cor m'affoga,

Il tuo trionfo amareggiar? parole

Dirti di cui ti sovverresti, e in parte

Vendicato morir? Ma in te del cielo

Io la vendetta adoro, e innanzi a cui

Dio m'inchinò, m'inchino: a supplicarti

Vengo; e m'udrai; ché degli afflitti il prego

È giudizio di sangue a chi lo sdegna.

 

CARLO

Parla.

 

DESIDERIO

In difesa d'Adrian, tu il brando

Contro di me traesti?

 

CARLO

A che domandi

Quello che sai?

 

DESIDERIO

Sappi tu ancor che solo

Io nemico gli fui, che Adelchi - e m'ode

Quel Dio che è presso ai travagliati - Adelchi

Al mio furor preghi, consigli, ed anche,

Quanto è concesso a pio figliuol, rampogne

Mai sempre oppose: indarno!

 

CARLO

Ebben?

 

DESIDERIO

Compiuta

È la tua impresa: non ha più nemici

Il tuo Romano: intera, e tal che basti

Al cor più fiacco ed iracondo, ei gode

La sicurezza e la vendetta. A questo

Tu scendevi, e l'hai detto: allor tu stesso

Segnasti il termin dell'offesa. Ell'era

Causa di Dio, dicevi. È vinta; e nulla

Più ti domanda Iddio.

 

CARLO

Tu legge imponi

Al vincitor?

 

DESIDERIO

Legge? Oh! ne' detti miei

Non ti fingere orgoglio, onde sdegnarli.

O Carlo, il ciel molto ti die': ti vedi

Il nemico ai ginocchi, e dal suo labbro

Odi il prego sommesso e la lusinga;

Nel suolo ov'ei ti combattea, tu regni.

Ah! non voler di più: pensa che abborre

Gli smisurati desideri il cielo.

 

CARLO

Cessa.

 

DESIDERIO

Ah! m'ascolta: un dì tu ancor potresti

Assaggiar la sventura, e d'un amico

Pensier che ti conforti, aver bisogno;

E allor gioconda ti verrebbe in mente

Di questo giorno la pietà. Rammenta

Che innanzi al trono dell'Eterno un giorno

aspetterai tremando una risposta,

O di mercede o di rigor, com'io

Dal tuo labbro or l'aspetto. Ahi! già venduto

Il mio figlio t'è forse! Oh! se quell'alto

Spirto indomito, ardente, consumarsi

Deve in catene!... Ah no! pensa che reo

Di nulla egli è; difese il padre: or questo

Gli è tolto ancor. Che puoi temer? Per noi

Non c'è brando che fera: a te vassalli

Son quei che il furo a noi: da lor tradito

Tu non sarai: tutto è leale al forte.

Italia è tua; reggila in pace; un rege

Prigion ti basti; a stranio suol consenti

Che il figliuol mio...

 

CARLO

Non più; cosa mi chiedi

Tu! che da me non otterria Bertrada.

 

DESIDERIO

- Io ti pregava! io, che per certo a prova

Conoscerti dovea! Nega; sul tuo

Capo il tesor della vendetta addensa.

Ti fe' l'inganno vincitor; superbo

La vittoria ti faccia e dispietato.

Calca i prostrati, e sali; a Dio rincresci...

 

CARLO

Taci, tu che sei vinto. E che? pur ieri

La mia morte sognavi, e grazie or chiedi,

Qual converria, se, nella facil ora

Di colloquio ospital, lieto io sorgessi

Dalla tua mensa! E perché amica e pari

Non sonò la risposta al tuo desio,

Anco mi vieni a imperversar d'intorno,

Come il mendico che un rifiuto ascolta!

Ma quel che a me tu preparavi - Adelchi

Era allor teco - non ne parli: or io

Ne parlerò. Da me fuggia Gerberga,

Da me cognato, e seco i figli, i figli

Del mio fratel traea, di strida empiendo

Il suo passaggio, come augel che i nati

Trafuga all'ugna di sparvier. Mentito

Era il terror: vero soltanto il cruccio

Di non regnar; ma obbrobriosa intanto

Me una fama pingea quasi un immane

Vorator di fanciulli, un parricida.

Io soffriva, e tacea. Voi premurosi

La sconsigliata raccettaste, ed eco

Feste a quel suo garrito. Ospiti voi

De' nipoti di Carlo! Difensori

Voi, del mio sangue, contro me! Tornata

Or finalmente è, se nol sai, Gerberga

A cui fuggir mai non doveva; a questo

Tutor tremendo i figli adduce, e fida

Le care vite a questa man. Ma voi,

Altro che vita, un più superbo dono

Destinavate a' miei nipoti. Al santo

Pastor chiedeste, e non fu inerme il prego,

Che sulle chiome de' fanciulli, al peso

Non pur dell'elmo avvezze, ei, da spergiuro,

L'olio versasse del Signor. Sceglieste

Un pugnal, l'affilaste, e al più diletto

Amico mio por lo voleste in pugno,

Perch'egli in cor me lo piantasse. E quando

Io, tra 'l Vèsero infido o la selvaggia

Elba, i nemici a debellar del cielo

Mi sarei travagliato, in Francia voi

Correre, insegna contro insegna, e crisma

Contro crisma levar, perfidi! e pormi

In un letto di spine, il più giocondo

De' vostri sogni era codesto. Al cielo

Parve altrimenti. Voi tempraste al mio

Labbro un calice amaro; ei v'è rimasto:

Votatelo. Di Dio tu mi favelli;

S'io nol temessi, il rio che tanto ardia

Pensi che in Francia il condurrei captivo?

Cogli ora il fior che hai coltivato, e taci.

Inesausta di ciance è la sventura;

Ma del par sofferente e infaticato

Non è d'offeso vincitor l'orecchio.

 

 

SCENA SESTA

CARLO, DESIDERIO, ARVINO

 

ARVINO

Viva re Carlo! Al cenno tuo, dai valli

Calan le insegne; strepitando a terra

Van le sbarre nemiche; ai claustri aperti

Ognun s'affolla, ed all'omaggio accorre.

 

DESIDERIO

Ahi dolente, che ascolto! e che mi resta

Ad ascoltar!

 

CARLO

Né si sottrasse alcuno?

 

ARVINO

Nessuno, o re: pochi il tentar, ma invano.

Sorpresi nella fuga, d'ogni parte

Cinti, pugnar fino all'estremo; e tutti

Restar sul campo, quale estinto, e quale

Ferito a morte.

 

CARLO

E son?

 

ARVINO

Tale è presente,

A cui troppo dorrà, se tutto io dico.

 

DESIDERIO

Nunzio di morte, tu l'hai detto.

 

CARLO

Adelchi

Dunque perì?

 

DESIDERIO

Parla, o crudele, al padre.

 

ARVINO

La luce ei vede, ma per poco, offeso

D'immedicabil colpo. Il padre ei chiede,

E te pur anche, o sire.

 

DESIDERIO

E questo ancora

Mi negherai?

 

CARLO

No, sventurato. - Arvino,

Fa ch'ei sia tratto a questa tenda; e digli

Che non ha più nemici.

 

 

SCENA SETTIMA

 

CARLO, DESIDERIO

 

DESIDERIO

Oh! come grave

Sei tu discesa sul mio capo antico,

Mano di Dio! Qual mi ritorni il figlio!

Figlio, mia sola gloria, io qui mi struggo,

E tremo di vederti. Io del tuo corpo

Mirerò la ferita! io che dovea

Esser pianto da te! Misero! io solo

Ti trassi a ciò: cieco amator, per farti

Più bello il soglio, io ti scavai la tomba!

Se ancor, tra il canto de' guerrier, caduto

Fossi in un giorno di vittoria! o chiusi,

Tra il singulto de' tuoi, tra il riverente

Dolor de' fidi, sul real tuo letto,

Gli occhi io t'avessi... ah! saria stato ancora

Ineffabil cordoglio! Ed or morrai

Non re, deserto, al tuo nemico in mano,

Senza lamenti che del padre, e sparsi

Innanzi ad uom che in ascoltarli esulta?

 

CARLO

Veglio, t'inganna il tuo dolor. Pensoso,

Non esultante, d'un gagliardo il fato

Io contemplo, e d'un re. Nemico io fui

D'Adelchi; egli era il mio, né tal, che in questo

Novello seggio io riposar potessi,

Lui vivo, e fuor delle mie mani. Or egli

Stassi in quelle di Dio: quivi non giunge

La nimistà d'un pio.

 

DESIDERIO

Dono funesto

La tua pietà, s'ella giammai non scende,

Che sui caduti senza speme in fondo;

Se allor soltanto il braccio tuo rattieni,

Che più loco non trovi alle ferite.

 

 

SCENA OTTAVA

CARLO, DESIDERIO, ADELCHI, ferito e portato

 

DESIDERIO

Ahi, figlio!

 

ADELCHI

O padre, io ti rivedo! Appressa;

Tocca la mano del tuo figlio.

 

DESIDERIO

Orrendo

M'è il vederti così.

 

ADELCHI

Molti sul campo

Cadder così per la mia mano.

 

DESIDERIO

Ahi, dunque

Insanabile, o caro, è questa piaga?

 

ADELCHI

Insanabile.

 

DESIDERIO

Ahi lasso! ahi guerra atroce!

Io crudel che la volli; io che t'uccido!

 

ADELCHI

Non tu, né questi, ma il Signor d'entrambi.

 

DESIDERIO

Oh desiato da quest'occhi, oh quanto

Lunge da te soffersi! Ed un pensiero

Fra tante ambasce mi reggea, la speme

Di narrartele un giorno, in una fida

Ora di pace.

 

ADELCHI

Ora per me di pace,

Credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto

Te dal dolor quaggiù non lasci.

 

DESIDERIO

Oh fronte

Balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio

Che spiravi il terror!

 

ADELCHI

Cessa i lamenti,

Cessa o padre, per Dio! Non era questo

Il tempo di morir? Ma tu, che preso

Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.

Gran segreto è la vita, e nol comprende

Che l'ora estrema. Ti fu tolto un regno:

Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa

Ora tu stesso appresserai, giocondi

Si schiereranno al tuo pensier dinanzi

Gli anni in cui re non sarai stato, in cui

Né una lagrima pur notata in cielo

Fia contro te, né il nome tuo saravvi

Con l'imprecar de' tribolati asceso.

Godi che re non sei; godi che chiusa

All'oprar t'è ogni via: loco a gentile,

Ad innocente opra non v'è: non resta

Che far torto, o patirlo. Una feroce

Forza il mondo possiede, e fa nomarsi

Dritto: la man degli avi insanguinata

Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno

Coltivata col sangue; e omai la terra

Altra messe non dà. Reggere iniqui

Dolce non è; tu l'hai provato: e fosse;

Non dee finir così? Questo felice,

Cui la mia morte fa più fermo il soglio,

Cui tutto arride, tutto plaude e serve,

Questo è un uom che morrà.

 

DESIDERIO

Ma ch'io ti perdo,

Figlio, di ciò chi mi consola?

 

ÀDELCHI

Il Dio

Che di tutto consola.

(si volge a Carlo)

E tu superbo

Nemico mio...

 

CARLO

Con questo nome, Adelchi,

Più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe

Empia e villana è nimistà; né tale,

Credilo, in cor cape di Carlo.

 

ADELCHI

E amico

Il mio parlar sarà, supplice, e schivo

D'ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo

Per cui ti prego, e la morente mano

Ripongo nella tua. Che tanta preda

Tu lasci in libertà... questo io non chiedo...

Ché vano, il veggo, il mio pregar saria,

Vano il pregar d'ogni mortale. Immoto

È il senno tuo; né a questo segno arriva

Il tuo perdon. Quel che negar non puoi

Senza esser crudo, io ti domando. Mite,

Quant'esser può, scevra d'insulto sia

La prigionia di questo antico, e quale

La imploreresti al padre tuo, se il cielo

Al dolor di lasciarlo in forza altrui

Ti destinava. Il venerabil capo

D'ogni oltraggio difendi: i forti contro

I caduti, son molti; e la crudele

Vista ei non deve sopportar d'alcuno

Che vassallo il tradì.

 

CARLO

Porta all'avello

Questa lieta certezza: Adelchi, il cielo

Testimonio mi sia; la tua preghiera

È parola di Carlo.

 

ADELCHI

Il tuo nemico

Prega per te, morendo.

 

 

SCENA NONA

ARVINO, CARLO, DESIDERIO, ADELCHI

 

ARVINO

Impazienti,

Invitto re, chiedon guerrieri e duchi

D'esser ammessi.

 

ADELCHI

Carlo!

 

CARLO

Alcun non osi

Avvicinarsi a questa tenda. Adelchi

È signor qui. Solo d'Adelchi il padre,

E il pio ministro del perdon divino

Han qui l'accesso.

 

(parte con Arvino)

 

 

SCENA DECIMA

DESIDERIO, ADELCHI

 

DESIDERIO

Ahi, mio diletto!

 

ADELCHI

O padre,

Fugge la luce da quest'occhi.

 

DESIDERIO

Adelchi,

No, non lasciarmi!

 

ADELCHI

O Re de' re tradito

Da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!...

Vengo alla pace tua: l'anima stanca

Accogli.

 

DESIDERIO

Ei t'ode: oh ciel! tu manchi! ed io...

In servitude a piangerti rimango.

 

 

FINE DELLA TRAGEDIA

 

 NOTE

(i) PAUL. DIAC. De gestis Langob., Lib. 2.

(ii) Una descrizione più circostanziata delle divisioni dell'Italia in quel tempo ci condurrebbe a questioni intricate e inopportune. V. MURAT., Antich. Ital., dissert. seconda.

(iii) Affirmans etiam sub juramento, quod per nullius hominis favorem sese certamini saepius dedisset, nisi pro amore beati Petri, et venia delictorum; asserens et hoc, quod nulla eum thesauri copia suadere valeret, ut quod semel Beato Petro obtulit, auferret. ANASTAS. Biblioth.; Rer. It., t. III, p. 171.

(iv) Cujus (Brixiae) ipse Desiderius nobilis erat. RIDOLF. Notar., Hist. Ap. BIEMMI, Ist. Di Brescia. (Del secolo XI). - SICARDI Episc.; Rer. It., t. VII, p. 577, e altri.

(v) Anast., p. 172.

(vi) Sub jurejurando pollicitus est restituendum B. Petro civitates reliquas, Faventiam, Imolam, Ferrariam, cum eorum finibus, etc. STEPH., Ep. Ad Pipin.; Cod. Car. 8.

(vii) Anselperga, sacrata Deo Abbatissa Monasterii Domini Salvatoris, quod fundatum est in civitate Brixia, quam dominus Desiderius excellentissimus rex, et Ansa percellentissima regina, genitores eius, a fundamentis edificaverunt... Dipl. an. 761; apud MURAT., Antiquit. Italic., dissert. 66, t. V, p. 499.

(viii) PAUL. Ep. Ad Pip.; Cod. Car., 15

(ix) Le cronache di que' tempi variano perfino ne' nomi, quando però li danno.

(x) Cod. Carol., Epist. 45

(xi) Berta duxit filiam Desiderii regis Langobardorum in Franciam. Annal. Nazar. Ad h. an.; Rer. Fr., t. V, p. 11

(xii) Cum, matris hortatu, filiam Desiderii regis Langobardorum duxisset uxorem, incertum qua de causa, post annum repudiavit, et Hildegardem, de gente Suavorum praecipuae nobilitatis feminam, in matrimonium accepit. Karol. M. Vita per EGINHARDUM, 18.(Scrittore contemporaneo).

(xiii) Ita ut nulla invicem sit exorta discordia, praeter in divortio filiae regis Desiderii, quam, illa suadente, acceperat. EGINH. in Vita Kar., ibid.

(xiv) Rex autem hanc eorum profectionem, quasi supervacuam, impatienter tulit. EGINH., Annal. ad h. annum.

(xv) ANAST., 180.

(xvi) HEGEVISCH, Hist. De Charlem., trad. de l' Allem., p. 116.

(xvii) ANAST., p. 181.

(xviii) Ibid., p. 182.

(xix) Ibid., p. 183.

(xx) Albinus, deliciosus ipsius regis. ANAST., p. 184. V. MUR., Ant. It., diss. 4.

(xxi) Asserens se minime quidquam redditurum. ANAST., Ibid.

(xxii) Annal. Tiliani, Loiseliani, Cronac. Moissiacense, ed altri, nel t. V Rer. Franc. In generale, gli annalisti di que' secoli che noi chiamiamo barbari, sanno, nelle cose di poca importanza, copiarsi l'uno coll'altro, al pari di qualunque letterato moderno: s'accordano poi a maraviglia nel passar sotto silenzio ciò che più si vorrebbe sapere.

(xxiii) Sed dum iniqua cupiditate Langobardi inter se consurgerent, quidam ex proceribus Langobardis talem legationem mittunt Carolo, Francorum regi, quatenus veniret cum valido exercitu, et regnum Italiae sub sua ditione obtineret, asserentes quia istum Desiderium tyrannum sub potestate ejus traderent vinctum, et opes multas, etc... Quod ille praedictus rex Carolus cognoscens, cum... ingenti multitudine Italiam properavit. ANONIM. SALERNIT., Chron., c. 9; Rer. It., t. II, part.II p. 180.- Scrisse nel secolo X.

(xxiv) Vedi gli annalisti citati sopra, e EGINH., Annal., ad an. 773.

(xxv) ANAST., p. 184. - Chron. Novaliciense, I. 3, c. 9; R. It., t. II, parte II, p. 717. - Il monaco, anonimo autore di questa cronaca, visse, secondo le congetture del Muratori, verso la metà del secolo XI.

(xxvi) Firmis qui (Desiderius) fabricis praecludens limina regni, arcebat Francos aditu. Ex FRODOARDO, de Pontif. Rom.: R. Fr., t. V, p. 463. - Frodoardo, canonico di Rheims, visse nel X secolo.

(xxvii) Erat enim Desiderio filius nomine Algisus, a juventute sua fortis viribus. Hic baculum ferreum equitando solitus erat ferre tempore hostili... Cum autem his juvenis dies et noctes observaret, et Francos quiescere cerneret, subito super ipsos irruens, percutiebat cum suis a dextris et a sinistris, et maxima caede eos prosternebat. Chron. Nov., p. 3, c. 10.

(xxviii) Claustrisque repulsi, In sua praecipitem meditantur regna regressum. Una moram reditus tantum nox forte ferebat. FRODOARD., ib. Dum vellent Franci alio die ad propria reverti. ANASTAS., pag. 184.

(xxix) Hic (Leo) primus Francis Italiae iter ostendit, per Martinum diaconum suum, qui post eum quartus Ecclesiae regimen tenuit, et ab eo Karolus rex invitatus Italiam venit. AGNEL., Raven. Pontif.; Rer. Ital., t. II, p. 177. - Scrisse Agnello nella prima metà del secolo IX, e conobbe Martino, di cui descrive l'alta statura e le forme atletiche. Ibid., p. 182.

(xxx) Misit autem (Karolus) per difficilem ascensum montis legionem ex probatissimis pugnatoribus, qui, transcenso monte, Langobardos cum Desiderio rege eorum... in fuga converterunt. Karolus vero rex, cum exercitu suo, per apertas Clusas intravit. Chron. Moissac.; Rer. Fr., t. V, p. 69. - Questa cronaca di incerto autore termina all' anno 818.

(xxxi) ANAST., 184.

(xxxii) RIDOLFI Notarii Histor., apud BIEMMI. Istoria di Brescia, t. II. Del secolo XI.

(xxxiii) ANAST., 185 e seg.

(xxxiv) Langobardi obsidione pertaesi civitate cum Desiderio rege egrediuntur ad regem. Annal. Lambech.; R. Fr., V, 64.

(xxxv) Desiderius a suis quippe, ut diximus, Fidelibus callide est ei traditus. Anon. Salern., 179.

(xxxvi) Rer. Fr., t. V, p. 385.

(xxxvii) Ibique venientes undique Langobardi de singulis civitatibus Italiae, subdiderunt se dominio et regimini gloriosi regis Karoli. Chron. Moissiac.; Rer. Fr., V, 70.

(xxxviii) HADRIANI, Epist. Ad Karolum, Cod. Carol. 90 e 88.

(xxxix) Ex SIGIBERTI Chron.; Rer. Fr., V, 377.

(xl) Cui (Hildeprando) dum contum, uti moris est, traderent. PAUL. DIAC., 1, 6, c. 55.

(xli) Si quis Langobardus, si vivente, suas filias nuptui tradiderit, et alias filias in capillo in casa reliquerit... LIUTPRANDI, Leg., I, 1, 2.

(xlii) Vedi la nota al passo citato, Rer. It.,t. I, parte II, p. 51.

(xliii) De omnibus Judicibus, quomodo in exercitu ambulandi causa necessitas fuerit, non mittant alios homines, nisi tantummodo qui unum caballum habeant, idest homines quinque, etc. LIUTPR. Leg., 1. 6, 29.

(xliv) Insignis nobilitas, aut magna patrum merita principis dignationem etiam adolescentulis assignant: coeteris robustioribus, ac jampridem probatis aggregantur: nec rubor inter comites aspici. TACIT., German., 13.

(xlv) HOMER., Il., libr. 23, v. 90.

(xlvi) Tassilo dux Bajoariorum... more francico, in manus regis, in vassaticum, manibus suis, semetipsum commendavit. EGINH., Annal., Rer. Fr., t. V, p. 198.

(xlvii) Juret ad arma sacrata. ROTHARIS Leg., 364. Vedi MURAT., Ant. It., dissert. 38.

(xlviii) Assidue exercebatur equitando ac venando, quod illi gentilium erat. EGINH., Vit. Kar., 22.

(xlix) Rer. Fr., t. V, p. 388.

(l) Delectabatur etiam vaporibus aquarum naturaliter calentium...Ob hoc etiam Aquisgrani Regiam extruxit. Eginh., Vit. Kar., 22.

(li) Treu, fedele.

   

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Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.33.44