snowflakeshome.jpg (2179 byte)

snowflakesbul1.jpg (924 byte)snowflakesbul2.jpg (921 byte)snowflakesbul3.jpg (894 byte)snowflakesbul4.jpg (902 byte)snowflakesbul5.jpg (931 byte)snowflakesbul6.jpg (906 byte)

snowflakesemail.jpg (2146 byte)

De Bibliotheca

La biblioteca di Babele

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Testi senza diritti d'autore

snowflakesnext.jpg (2131 byte)

snowflakesbul1.jpg (924 byte)snowflakesbul2.jpg (921 byte)snowflakesbul3.jpg (894 byte)snowflakesbul4.jpg (902 byte)snowflakesbul5.jpg (931 byte)snowflakesbul6.jpg (906 byte)

snowflakesback.jpg (2139 byte)

L'ORLANDO FURIOSO

Luodovico Ariosto

snowflakesbar.jpg (3926 byte)

snowflakesbar.jpg (3926 byte)

 

CANTO PRIMO


Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che il poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.

Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel che io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d'opera d'inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.

Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e' chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensieri cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.

Orlando, che gran tempo innamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,

per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d'aver condotto, l'un, d'Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l'altro, d'aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentì d'esservi giunto:

Che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperi ai liti eoi
avea difesa con sì lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, che estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.

Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n'era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

in premio promettendola a quel d'essi,
che in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
che in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu il duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.

Dove, poi che rimase la donzella
che esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier che a piè venìa.

Indosso la corazza, l'elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e più leggier correa per la foresta,
che al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, che a piè venìa, s'accorse.

Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l'angelico sembiante e quel bel volto
che all'amorose reti il tenea involto.

La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù di giù, ne l'alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.

Su la riviera Ferraù trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,
l'elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l'avea potuto anco riavere.

Quanto potea più forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito che arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien più dì che non n'udì novella,
che senza dubbio ell'è Angelica bella.

E perché era cortese, e n'avea forse
non men de' dui cugini il petto caldo,
l'aiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s'eran già non pur veduti,
m'al paragon de l'arme conosciuti.

Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovar, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gli incudi.
Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,
bisogna al palafren che il passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.

Poi che s'affaticar gran pezzo invano
i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,
quando non meno era con l'arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto;
fu primiero il signor di Montalbano,
che al cavallier di Spagna fece motto,
sì come quel che ha nel cuor tanto fuoco,
che tutto n'arde e non ritrova loco.

Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol t'abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia;
che, mentre noi tardiam, se ne va via.

Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che più lontana se ne vada!
Come l'avremo in potestate, allora
di chi esser de' si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno. -

Al pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
sì l'odio e l'ira va in oblivione,
che il pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:
con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
e per l'orme d'Angelica galoppa.

Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
ove una strada in due si dipartiva.

E come quei che non sapean se l'una
o l'altra via facesse la donzella
(però che senza differenza alcuna
apparia in amendue l'orma novella),
si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,
e ritrovossi al fine onde si tolse.

Pur si ritrova ancor su la rivera,
là dove l'elmo gli cascò ne l'onde.
Poi che la donna ritrovar non spera,
per aver l'elmo che il fiume gli asconde,
in quella parte onde caduto gli era
discende ne l'estreme umide sponde:
ma quello era sì fitto ne la sabbia,
che molto avrà da far prima che l'abbia.

Con un gran ramo d'albero rimondo,
di che avea fatto una pertica lunga,
tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
né loco lascia ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
tanto l'indugio suo quivi prolunga,
vede di mezzo il fiume un cavalliero
insino al petto uscir, d'aspetto fiero.

Era, fuor che la testa, tutto armato,
ed avea un elmo ne la destra mano:
avea il medesimo elmo che cercato
da Ferraù fu lungamente invano.
A Ferraù parlò come adirato,
e disse: - Ah mancator di fé, marano!
perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
che render già gran tempo mi dovevi?

Ricordati, pagan, quando uccidesti
d'Angelica il fratel (che son quell'io),
dietro all'altr'arme tu mi promettesti
gittar fra pochi dì l'elmo nel rio.
Or se Fortuna (quel che non volesti
far tu) pone ad effetto il voler mio,
non ti turbare; e se turbar ti déi,
turbati che di fé mancato sei.

Ma se desir pur hai d'un elmo fino,
trovane un altro, ed abbil con più onore;
un tal ne porta Orlando paladino,
un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:
acquista un di quei dui col tuo valore;
e questo, che hai già di lasciarmi detto,
farai bene a lasciarmi con effetto. -

All'apparir che fece all'improvviso
de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,
e scolorossi al Saracino il viso;
la voce, che era per uscir, fermossi.
Udendo poi da l'Argalia, che ucciso
quivi avea già (che l'Argalia nomossi)
la rotta fede così improverarse,
di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

Né tempo avendo a pensar altra scusa,
e conoscendo ben che il ver gli disse,
restò senza risposta a bocca chiusa;
ma la vergogna il cor sì gli trafisse,
che giurò per la vita di Lanfusa
non voler mai che altro elmo lo coprisse,
se non quel buono che già in Aspramonte
trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

E servò meglio questo giuramento,
che non avea quell'altro fatto prima.
Quindi si parte tanto malcontento,
che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il paladino intento
di qua di là, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
che da costui tenea diverse strade.

Non molto va Rinaldo, che si vede
saltare inanzi il suo destrier feroce:
- Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
che l'esser senza te troppo mi nuoce. -
Per questo il destrier sordo, a lui non riede
anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:
ma seguitiamo Angelica che fugge.

Fugge tra selve spaventose e scure,
per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
fatto le avea con subite paure
trovar di qua di là strani viaggi;
che ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le fronde del natio boschetto
alla madre veduta abbia la gola
stringer dal pardo, o aprirle il fianco o il petto,
di selva in selva dal crudel s'invola,
e di paura trema e di sospetto:
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all'empia fera in bocca.

Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno
s'andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.

Quivi parendo a lei d'esser sicura
e lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca e da l'estiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
tra' fiori smonta, e lascia alla pastura
andare il palafren senza la briglia;
e quel va errando intorno alle chiare onde,
che di fresca erba avean piene le sponde.

Ecco non lungi un bel cespuglio vede
di prun fioriti e di vermiglie rose,
che de le liquide onde al specchio siede,
chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;
così voto nel mezzo, che concede
fresca stanza fra l'ombre più nascose:
e la foglia coi rami in modo è mista,
che il sol non v'entra, non che minor vista.

Dentro letto vi fan tenere erbette,
che invitano a posar chi s'appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca ed ivi s'addormenta.
Ma non per lungo spazio così stette,
che un calpestio le par che venir senta:
cheta si leva e appresso alla riviera
vede che armato un cavallier giunt'era.

Se gli è amico o nemico non comprende:
tema e speranza il dubbio cor le scuote;
e di quella aventura il fine attende,
né pur d'un sol sospir l'aria percuote.
Il cavalliero in riva al fiume scende
sopra l'un braccio a riposar le gote;
e in un suo gran pensier tanto penètra,
che par cangiato in insensibil pietra.

Pensoso più d'un'ora a capo basso
stette, Signore, il cavallier dolente;
poi cominciò con suono afflitto e lasso
a lamentarsi sì soavemente,
che avrebbe di pietà spezzato un sasso,
una tigre crudel fatta clemente.
Sospirante piangea, tal che un ruscello
parean le guance, e il petto un Mongibello.

- Pensier (dicea) che il cor m'agghiacci ed ardi,
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbo far, poi che io son giunto tardi,
e che altri a corre il frutto è andato prima?
a pena avuto io n'ho parole e sguardi,
ed altri n'ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
perché affligger per lei mi vuo' più il core?

La verginella è simile alla rosa,
che in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avvicina;
l'aura soave e l'alba rugiadosa,
l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.

Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che il fior, di che più zelo
che de' begli occhi e de la vita aver de',
lascia altrui corre, il pregio che avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti.

Sia Vile agli altri, e da quel solo amata
a cui di sé fece sì larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
che io viva più, s'amar non debbo lei! -

Se mi domanda alcun chi costui sia,
che versa sopra il rio lacrime tante,
io dirò che egli è il re di Circassia,
quel d'amor travagliato Sacripante;
io dirò ancor, che di sua pena ria
sia prima e sola causa essere amante,
è pur un degli amanti di costei:
e ben riconosciuto fu da lei.

Appresso ove il sol cade, per suo amore
venuto era dal capo d'Oriente;
che seppe in India con suo gran dolore,
come ella Orlando sequitò in Ponente:
poi seppe in Francia che l'imperatore
sequestrata l'avea da l'altra gente,
per darla all'un de' duo che contra il Moro
più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.

Stato era in campo, e inteso avea di quella
rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cercò vestigio d'Angelica bella,
né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
che d'amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentare, e dir parole
che di pietà potrian fermare il sole.

Mentre costui così s'affligge e duole,
e fa degli occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole,
che non mi par bisogno esser racconte;
l'aventurosa sua fortuna vuole
che alle orecchie d'Angelica sian conte:
e così quel ne viene a un'ora, a un punto,
che in mille anni o mai più non è raggiunto.

Con molta attenzion la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui che in amarla non assonna;
né questo è il primo dì che ella l'intende:
ma dura e fredda più d'una colonna,
ad averne pietà non però scende,
come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par che alcun sia di lei degno.

Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tor costui per guida;
che chi ne l'acqua sta fin alla gola
ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l'invola,
non troverà mai più scorta sì fida;
che a lunga prova conosciuto inante
s'avea quel re fedel sopra ogni amante.

Ma non però disegna de l'affanno
che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
e ristorar d'ogni passato danno
con quel piacer che ogni amator più brama:
ma alcuna fizione, alcuno inganno
di tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto che a quel bisogno se ne serva,
poi torni all'uso suo dura e proterva.

E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé bella ed improvvisa mostra,
come di selva o fuor d'ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
e dice all'apparir: - Pace sia teco;
teco difenda Dio la fama nostra,
e non comporti, contra ogni ragione,
che abbi di me sì falsa opinione. -

Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
che avea per morto sospirato e pianto,
poi che senza esso udì tornar le squadre;
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor l'alta presenza e le leggiadre
maniere, e il vero angelico sembiante,
improviso apparir si vide inante.

Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
alla sua donna, alla sua diva corse,
che con le braccia al collo il tenne stretto,
quel che al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
seco avendo costui, l'animo torse:
subito in lei s'avviva la speranza
di tosto riveder sua ricca stanza.

Ella gli rende conto pienamente
dal giorno che mandato fu da lei
a domandar soccorso in Oriente
al re de' Sericani e Nabatei;
e come Orlando la guardò sovente
da morte, da disnor, da casi rei:
e che il fior virginal così avea salvo,
come se lo portò del materno alvo.

Forse era ver, ma non però credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
che era perduto in via più grave errore.
Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
e l'invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che il miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.

- Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se ne avrà; che da qui inante
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante):
ma io per imitarlo già non sono,
che lasci tanto ben che m'è concesso,
e che a doler poi m'abbia di me stesso.

Corrò la fresca e matutina rosa,
che, tardando, stagion perder potria.
So ben che a donna non si può far cosa
che più soave e più piacevol sia,
ancor che se ne mostri disdegnosa,
e talor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno,
che io non adombri e incarni il mio disegno. -

Così dice egli; e mentre s'apparecchia
al dolce assalto, un gran rumor che suona
dal vicin bosco gli intruona l'orecchia,
sì che mal grado l'impresa abbandona:
e si pon l'elmo (che avea usanza vecchia
di portar sempre armata la persona),
viene al destriero e gli ripon la briglia,
rimonta in sella e la sua lancia piglia.

Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:
candido come nieve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l'importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer che avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.

Come è più appresso, lo sfida a battaglia;
che crede ben fargli votar l'arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
l'orgogliose minacce a mezzo taglia,
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.

Non si vanno i leoni o i tori in salto
a dar di petto, ad accozzar sì crudi,
sì come i duo guerrieri al fiero assalto,
che parimente si passar li scudi.
Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto
l'erbose valli insino ai poggi ignudi;
e ben giovò che fur buoni e perfetti
gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

Già non fero i cavalli un correr torto,
anzi cozzaro a guisa di montoni:
quel del guerrier pagan morì di corto,
che era vivendo in numero de' buoni:
quell'altro cadde ancor, ma fu risorto
tosto che al fianco si sentì gli sproni.
Quel del re saracin restò disteso
adosso al suo signor con tutto il peso.

L'incognito campion che restò ritto,
e vide l'altro col cavallo in terra,
stimando avere assai di quel conflitto,
non si curò di rinovar la guerra;
ma dove per la selva è il camin dritto,
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il pagano,
un miglio o poco meno è già lontano.

Qual istordito e stupido aratore,
poi che è passato il fulmine, si leva
di là dove l'altissimo fragore
appresso ai morti buoi steso l'aveva;
che mira senza fronde e senza onore
il pin che di lontan veder soleva:
tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.

Sospira e geme, non perché l'annoi
che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,
ma per vergogna sola, onde a' dì suoi
né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
e più, che oltre il cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
Muto restava, mi cred'io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.

- Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!
che del cader non è la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo ed esca
meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca
che d'esser stato il perditor dimostra:
così, per quel che io me ne sappia, stimo,
quando a lasciare il campo è stato primo. -

Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir sopra un ronzino
un messagger che parea afflitto e stanco;
che come a Sacripante fu vicino,
gli domandò se con un scudo bianco
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.

Rispose Sacripante: - Come vedi,
m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e perche io sappia chi m'ha messo a piedi,
fa che per nome io lo conosca ancora. -
Ed egli a lui: - Di quel che tu mi chiedi
io ti satisfarò senza dimora:
tu dei saper che ti levò di sella
l'alto valor d'una gentil donzella.

Ella è gagliarda ed è più bella molto;
né il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante quella che t'ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. -
Poi che ebbe così detto, a freno sciolto
il Saracin lasciò poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto avvampato di vergogna in faccia.

Poi che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato invano, e finalmente
si trovò da una femina abbattuto,
che pensandovi più, più dolor sente;
montò l'altro destrier, tacito e muto:
e senza far parola, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a più lieto uso, a stanza più tranquilla.

Non furo iti due miglia, che sonare
odon la selva che li cinge intorno,
con tal rumore e strepito, che pare
che triemi la foresta d'ogn'intorno;
e poco dopo un gran destrier n'appare,
d'oro guernito e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, ed a fracasso
arbori mena e ciò che vieta il passo.

- Se l'intricati rami e l'aer fosco,
(disse la donna) agli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier che in mezzo il bosco
con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo, io il riconosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
che un sol ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene egli a satisfarci ratto. -

Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto al girar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giungea a pieno!
che nei calci tal possa avea il cavallo,
che avria spezzato un monte di metallo.

Indi va mansueto alla donzella,
con umile sembiante e gesto umano,
come intorno al padrone il can saltella,
che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d'ella,
che in Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

Con la sinistra man prende la briglia,
con l'altra tocca e palpa il collo e il petto:
quel destrier, che avea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lascia la groppa, e si ripone in sella.

Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando d'arme un gran pedone.
Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,
che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l'ama egli e desira;
l'odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fu che esso odiò lei più che la morte;
ella amò lui: or han cangiato sorte.

E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d'amoroso disio l'una empie il core;
chi bee de l'altra, senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;
Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.

Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio l'amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni occhi subito s'oscura;
e con voce tremante e viso tristo
supplica Sacripante e lo scongiura
che quel guerrier più appresso non attenda,
ma che insieme con lei la fuga prenda.

- Son dunque (disse il Saracino), sono
dunque in sì poco credito con vui,
che mi stimiate inutile e non buono
da potervi difender da costui?
Le battaglie d'Albracca già vi sono
di mente uscite, e la notte che io fui
per la salute vostra, solo e nudo,
contra Agricane e tutto il campo, scudo? -

Non risponde ella, e non sa che si faccia,
perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
che da lontan al Saracin minaccia,
come vide il cavallo e conobbe esso,
e riconohbe l'angelica faccia
che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguì tra questi duo superbi
vo' che per l'altro canto si riserbi.





CANTO SECONDO


Ingiustissimo Amor, perché sì raro
corrispondenti fai nostri desiri?
onde, perfido, avvien che t'è sì caro
il discorde voler che in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m'ha in odio vuoi che adori ed ami.

Fai che a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e l'amava ella,
egli odiò lei quanto si può più odiare.
Ora s'affligge indarno e si flagella;
così renduto ben gli è pare a pare:
ella l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,
che piu tosto che lui vorria la morte.

Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
gridò: - Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sì perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron non mi par che si convegna. -

- Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n'odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedrà, chi di noi sia
più degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non è cosa al mondo altra sì degna. -

Come soglion talor duo can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi digrignando i denti,
con occhi bieci e più che bracia rossi;
indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,
con aspri ringhi e ribuffati dossi:
così alle spade e dai gridi e da l'onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.

A piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale
credete che abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n'ha però alcun; che così vale
forse ancor men che uno inesperto paggio;
che il destrier per istinto naturale
non volea fare al suo signore oltraggio:
né con man né con spron potea il Circasso
farlo a voluntà sua muover mai passo.

Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin che a domar questa
bestia superba era mal tempo allotta,
ferma le man sul primo arcione e s'alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.

Sciolto che fu il pagan con leggier salto
da l'ostinata furia di Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d'un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l'un brando e l'altro, or basso or alto:
il martel di Vulcano era più tardo
ne la spelunca affumicata, dove
battea all'incude i folgori di Giove.

Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescer inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi e spesso lor dar loco,
girarsi intorno; e donde l'uno cede,
l'altro aver posto immantinente il piede.

Ecco Rinaldo con la spada adosso
a Sacripante tutto s'abbandona;
e quel porge lo scudo, che era d'osso,
con la piastra d'acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:
ne geme la foresta e ne risuona.
L'osso e l'acciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al Saracin stordito il braccio.

Quando vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangiò la faccia bella,
qual il reo che al supplicio s'avvicina;
né le par che vi sia da tardar, s'ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo che ella tanto odiava,
quanto esso lei miseramente amava.

Volta il cavallo, e ne la selva folta
lo caccia per un aspro e stretto calle:
e spesso il viso smorto a dietro volta;
che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta,
che scontrò un eremita in una valle,
che avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto e venerabile d'aspetto.

Dagli anni e dal digiuno attenuato,
sopra un lento asinel se ne veniva;
e parea, più che alcun fosse mai stato,
di coscienza scrupolosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
de la donzella che sopra gli arriva,
debil quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per carità se gli commosse.

La donna al fraticel chiede la via
che la conduca ad un porto di mare,
perché levar di Francia si vorria,
per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromanzia,
non cessa la donzella confortare
che presto la trarrà d'ogni periglio;
ed ad una sua tasca diè di piglio.

Trassene un libro, e mostrò grande effetto;
che legger non finì la prima faccia,
che uscir fa un spirto in forma di valletto,
e gli commanda quanto vuol che el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i dui cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.

- Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:
che merto avrete alle fatiche vostre,
finita che tra voi sia la battaglia,
se il conte Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur aver rotta una maglia,
verso Parigi mena la donzella
che v'ha condotti a questa pugna fella?

Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con Angelica a Parigi,
di voi ridendo insieme, e motteggiando
che senza frutto alcun siate in litigi.
Il meglio forse vi sarebbe, or quando
non son più lungi, a seguir lor vestigi;
che s'in Parigi Orlando la può avere,
non ve la lascia mai più rivedere. -

Veduto avreste i cavallier turbarsi
a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza occhi e senza mente nominarsi,
che gli avesse il rival così scherniti;
ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
con sospir che parean del fuoco usciti,
e giurar per isdegno e per furore,
se giungea Orlando, di cavargli il core.

E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
e sopra vi si lancia, e via galoppa,
né al cavallier, che a piè nel bosco lassa,
pur dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso cavallo urta e fracassa,
punto dal suo signor, ciò che egli 'ntoppa:
non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
far che dal corso il corridor decline.

Signor, non voglio che vi paia strano
se Rinaldo or sì tosto il destrier piglia,
che già più giorni ha seguitato invano,
né gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, che avea intelletto umano,
non per vizio seguirsi tante miglia,
ma per guidar dove la donna giva,
il suo signor, da chi bramar l'udiva.

Quando ella si fuggì dal padiglione,
la vide ed appostolla il buon destriero,
che si trovava aver voto l'arcione,
però che n'era sceso il cavalliero
per combatter di par con un barone,
che men di lui non era in arme fiero;
poi ne seguitò l'orme di lontano,
bramoso porla al suo signore in mano.

Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
per la gran selva inanzi se gli messe;
né lo volea lasciar montare in sella,
perché ad altro camin non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la donzella
una e due volte, e mai non gli successe;
che fu da Ferraù prima impedito,
poi dal Circasso, come avete udito.

Ora al demonio che mostrò a Rinaldo
de la donzella li falsi vestigi,
credette Baiardo anco, e stette saldo
e mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,
a tutta briglia, e sempre invêr Parigi;
e vola tanto col disio, che lento,
non che un destrier, ma gli parrebbe il vento.

La notte a pena di seguir rimane,
per affrontarsi col signor d'Anglante:
tanto ha creduto alle parole vane
del messagger del cauto negromante.
Non cessa cavalcar sera e dimane,
che si vede apparir la terra avante,
dove re Carlo, rotto e mal condutto,
con le reliquie sue s'era ridutto:

e perché dal re d'Africa battaglia
ed assedio s'aspetta, usa gran cura
a raccor buona gente e vettovaglia,
far cavamenti e riparar le mura.
Ciò che a difesa spera che gli vaglia,
senza gran diferir, tutto procura:
pensa mandare in Inghilterra, e trarne
gente onde possa un novo campo farne:

che vuole uscir di nuovo alla campagna,
e ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de l'andata il paladin si lagna:
non che abbia così in odio quella terra;
ma perché Carlo il manda allora allora,
né pur lo lascia un giorno far dimora.

Rinaldo mai di ciò non fece meno
volentier cosa; poi che fu distolto
di gir cercando il bel viso sereno
che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
ma, per ubidir Carlo, nondimeno
a quella via si fu subito volto,
ed a Calesse in poche ore trovossi;
e giunto, il dì medesimo imbarcossi.

Contra la voluntà d'ogni nocchiero,
pel gran desir che di tornare avea,
entrò nel mar che era turbato e fiero,
e gran procella minacciar parea.
Il Vento si sdegnò, che da l'altiero
sprezzar si vide; e con tempesta rea
sollevò il mar intorno, e con tal rabbia,
che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.

Calano tosto i marinari accorti
le maggior vele, e pensano dar volta,
e ritornar ne li medesmi porti
donde in mal punto avean la nave sciolta.
- Non convien (dice il Vento) che io comporti
tanta licenza che v'avete tolta; -
e soffia e grida e naufragio minaccia,
s'altrove van, che dove egli li caccia.

Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,
che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
essi di qua di là con umil vele
vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma perché varie fila a varie tele
uopo mi son, che tutte ordire intendo,
lascio Rinaldo e l'agitata prua,
e torno a dir di Bradamante sua.

Io parlo di quella inclita donzella,
per cui re Sacripante in terra giacque,
che di questo signor degna sorella,
del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
non meno a Carlo e a tutta Francia piacque
(che più d'un paragon ne vide saldo),
che il lodato valor del buon Rinaldo.

La donna amata fu da un cavalliero
che d'Africa passò col re Agramante,
che partorì del seme di Ruggiero
la disperata figlia di Agolante:
e costei, che né d'orso né di fiero
leone uscì, non sdegnò tal amante;
ben che concesso, fuor che vedersi una
volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.

Quindi cercando Bradamante gìa
l'amante suo, che avea nome dal padre,
così sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto che ebbe al re di Circassia
battere il volto dell'antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.

La fonte discorrea per mezzo un prato,
d'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,
Che i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno:
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d'un cavallier la giovane s'accorse;

d'un cavallier, che all'ombra d'un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l'elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
ed avea gli occhi molli e il viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.

Questo disir, che a tutti sta nel core,
de' fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, che al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

E cominciò: - Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venìa in campo
là dove Carlo Marsilio attendea,
perche al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destriero alato.

Tosto che il ladro, o sia mortale, o sia
una de l'infernali anime orrende,
vede la bella e cara donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in un atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m'era accorto de l'assalto,
che de la donna io sentio il grido in alto.

Così il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inavvertenza poi si duole,
e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne l'aspre vie de' faticosi sassi.

Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.

Sei giorni me n'andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunsi in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s'un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.

Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m'avicino ai muri illustri,
l'opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all'onda ed allo stigio foco.

Di sì forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
E poi là dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia torre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.

Ah lasso! che poss'io più che mirare
la rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?
come la volpe, che il figlio gridare
nel nido oda de l'aquila di giuso,
s'aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l'ali non ha da gir là suso.
Erto è quel sasso sì, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.

Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier che avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l'un, re sericano;
era l'altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l'africana corte.

- Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtù col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello. -
- Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate. -

E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.

Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca,
l'uno e l' altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe' Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.

Cominciò a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all'aria sparse,
velocissime mostra l'ale sue.
Sì ad alto il negromante batte l'ale,
che a tanta altezza a pena aquila sale.

Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l'anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
l'aria fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s'avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.

Sopra Gradasso il mago l'asta roppe;
ferì Gradasso il vento e l'aria vana:
per questo il volator non interroppe
il batter l'ale, e quindi s'allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la più bella
e la miglior che mai portasse sella.

Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e tornò in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s'accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e il suo destrier più rinculò d'un passo;
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.

Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vote,
perché è sì presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote,
e quando all'uno accenna, all'altro mena:
all'uno e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.

Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la battaglia durò sino a quella ora,
che spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel che io dico, e non v'aggiungo un pelo:
io il vidi, io il so: né m'assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso più che al ver si rassimiglia.

D'un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
che immantinente che lo mostra aperto,
forza è, che il mira, abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.

Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d'uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anche io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né più i guerrier né più vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

Pensai per questo che l'incantatore
avesse amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per virtù de lo splendore
la libertade a loro, e a me la speme.
Così a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate s'altra pena ria,
che causi Amor, può pareggiar la mia. -

Ritornò il cavallier nel primo duolo,
fatta che n'ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;
che tra sua gente scelerata, solo
leale esser non volse né cortese,
ma ne li vizi abominandi e brutti
non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

La bella donna con diverso aspetto
stette ascoltando il Maganzese cheta;
che come prima di Ruggier fu detto,
nel viso si mostrò più che mai lieta:
ma quando sentì poi che era in distretto,
turbossi tutta d'amorosa pieta;
né per una o due volte contentosse
che ritornato a replicar le fosse.

E poi che al fin le parve esserne chiara,
gli disse: - Cavallier, datti riposo,
che ben può la mia giunta esserti cara,
parerti questo giorno aventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara,
che sì ricco tesor ci tiene ascoso;
né spesa sarà invan questa fatica,
se fortuna non m'è troppo nemica. -

Rispose il cavallier: - Tu vòi che io passi
di nuovo i monti, e mostriti la via?
A me molto non è perdere i passi,
perduta avendo ogni altra cosa mia;
ma tu per balze e ruinosi sassi
cerchi entrar in pregione; e così sia.
Non hai di che dolerti di me, poi
che io tel predico, e tu pur gir vi vòi. -

Così dice egli, e torna al suo destriero,
e di quella animosa si fa guida,
che si mette a periglio per Ruggiero,
che la pigli quel mago o che la ancida.
In questo, ecco alle spalle il messaggero,
che : - Aspetta, aspetta! - a tutta voce grida,
il messagger da chi il Circasso intese
che costei fu che all'erba lo distese.

A Bradamante il messagger novella
di Mompolier e di Narbona porta,
che alzato gli stendardi di Castella
avean, con tutto il lito d'Acquamorta;
e che Marsilia, non v'essendo quella
che la dovea guardar, mal si conforta,
e consiglio e soccorso le domanda
per questo messo, e se le raccomanda.

Questa cittade, e intorno a molte miglia
ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea l'imperator dato alla figlia
del duca Amon, in che avea speme e fede;
però che il suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Or, com'io dico, a domandar aiuto
quel messo da Marsilia era venuto.

Tra sì e no la giovane suspesa,
di voler ritornar dubita un poco:
quinci l'onore e il debito le pesa,
quindi l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar l'impresa,
e trar Ruggier de l'incantato loco;
e quando sua virtù non possa tanto,
almen restargli prigioniera a canto.

E fece iscusa tal, che quel messaggio
parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo viaggio,
con Pinabel che non ne parve lieto;
che seppe esser costei di quel lignaggio
che tanto ha in odio in publico e in secreto:
e già s'avisa le future angosce,
se lui per maganzese ella conosce.

Tra casa di Maganza e di Chiarmonte
era odio antico e inimicizia intensa;
e più volte s'avean rotta la fronte,
e sparso di lor sangue copia immensa:
e però nel suo cor l'iniquo conte
tradir l'incauta giovane si pensa;
o, come prima commodo gli accada,
lasciarla sola, e trovar altra strada.

E tanto gli occupò la fantasia
il nativo odio, il dubbio e la paura,
che inavedutamente uscì di via:
e ritrovossi in una selva oscura,
che nel mezzo avea un monte che finia
la nuda cima in una pietra dura;
e la figlia del duca di Dordona
gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.

Come si vide il Maganzese al bosco,
pensò tôrsi la donna da le spalle.
Disse: - Prima che il ciel torni più fosco,
verso un albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel monte, s'io lo riconosco,
siede un ricco castel giù ne la valle.
Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
certificar con gli occhi me ne voglio. -

Così dicendo, alla cima superna
del solitario monte il destrier caccia,
mirando pur s'alcuna via discerna,
come lei possa tor da la sua traccia.
Ecco nel sasso truova una caverna,
che si profonda più di trenta braccia.
Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso
scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.

Nel fondo avea una porta ampla e capace,
che in maggior stanza largo adito dava;
e fuor n'uscìa splendor, come di face
che ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon suspeso tace,
la donna, che da lungi il seguitava
(perché perderne l'orme si temea),
alla spelonca gli sopragiungea.

Poi che si vide il traditore uscire,
quel che avea prima disegnato, invano,
o da sé torla, o di farla morire,
nuovo argumento imaginossi e strano.
Le si fe' incontra, e su la fe' salire
là dove il monte era forato e vano;
e le disse che avea visto nel fondo
una donzelIa di viso giocondo.

Che a' bei sembianti ed alla ricca vesta
esser parea di non ignobil grado;
ma quanto più potea turbata e mesta,
mostrava esservi chiusa suo mal grado:
e per saper la condizion di questa,
che avea già cominciato a entrar nel guado;
e che era uscito de l'interna grotta
un che dentro a furor l'avea ridotta.

Bradamante, che come era animosa,
così mal cauta, a Pinabel diè fede;
e d'aiutar la donna, disiosa,
si pensa come por colà giù il piede.
Ecco d'un olmo alla cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
e con la spada quel subito tronca,
e lo declina giù ne la spelonca.

Dove è tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s'apprende:
prima giù i piedi ne la tana manda,
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole: - Qui fosser teco insieme
tutti li tuoi, che io ne spegnessi il seme! -

Non come volse Pinabello avvenne
de l'innocente giovane la sorte;
perché, giù diroccando a ferir venne
prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò, ma tanto la sostenne,
che il suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto,
come io vi seguirò ne l'altro canto.

CANTO TERZO


Chi mi darà la voce e le parole
convenienti a sì nobil suggetto?
chi l'ale al verso presterà, che vole
tanto che arrivi all'alto mio concetto?
Molto maggior di quel furor che suole,
ben or convien che mi riscaldi il petto;
che questa parte al mio signor si debbe,
che canta gli avi onde l'origin ebbe:

Di cui fra tutti li signori illustri,
dal ciel sortiti a governar la terra,
non vedi, o Febo, che il gran mondo lustri,
più gloriosa stirpe o in pace o in guerra;
né che sua nobiltade abbia più lustri
servata, e servarà (s'in me non erra
quel profetico lume che m'ispiri)
fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

E volendone a pien dicer gli onori,
bisogna non la mia, ma quella cetra
con che tu dopo i gigantei furori
rendesti grazia al regnator dell'etra.
S'istrumenti avrò mai da te migliori,
atti a sculpire in così degna pietra,
in queste belle imagini disegno
porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

Levando intanto queste prime rudi
scaglie n'andrò con lo scarpello inetto:
forse che ancor con più solerti studi
poi ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniano a quello, a cui né scudi
potran né usberghi assicurare il petto:
parlo di Pinabello di Maganza,
che d'uccider la donna ebbe speranza.

Il traditor pensò che la donzella
fosse ne l'alto precipizio morta;
e con pallida faccia lasciò quella
trista e per lui contaminata porta,
e tornò presto a rimontar in sella:
e come quel che avea l'anima torta,
per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
di Bradamante ne menò il cavallo.

Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita
ordisce inganno, il suo morir procura;
e torniamo alla donna che, tradita,
quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi che ella si levò tutta stordita,
che avea percosso in su la pietra dura,
dentro la porta andò, che adito dava
ne la seconda assai più larga cava.

La stanza, quadra e spaziosa, pare
una devota e venerabil chiesa,
che su colonne alabastrine e rare
con bella architettura era suspesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
che avea dinanzi una lampada accesa;
e quella di splendente e chiaro foco
rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

Di devota umiltà la donna tocca,
come si vide in loco sacro e pio,
incominciò col core e con la bocca,
inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocca,
che era all'incontro, onde una donna uscìo
discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,
che la donzella salutò per nome.

E disse: - O generosa Bradamante,
non giunta qui senza voler divino,
di te più giorni m'ha predetto inante
il profetico spirto di Merlino,
che visitar le sue reliquie sante
dovevi per insolito camino:
e qui son stata acciò che io ti riveli
quel c'han di te già statuito i cieli.

Questa è l'antiqua e memorabil grotta
che edificò Merlino, il savio mago
che forse ricordare odi talotta,
dove ingannollo la Donna del Lago.
Il sepolcro è qui giù, dove corrotta
giace la carne sua; dove egli, vago
di sodisfare a lei, che glil suase,
vivo corcossi, e morto ci rimase.

Col corpo morto il vivo spirto alberga,
sin che oda il suon de l'angelica tromba
che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,
secondo che sarà corvo o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga,
udir potrai dalla marmorea tomba,
che le passate e le future cose
a chi gli domandò, sempre rispose.

Più giorni son che in questo cimiterio
venni di remotissimo paese,
perché circa il mio studio alto misterio
mi facesse Merlin meglio palese:
e perché ebbi vederti desiderio,
poi ci son stata oltre il disegno un mese;
che Merlin, che il ver sempre mi predisse,
termine al venir tuo questo dì fisse. -

Stassi d'Amon la sbigottita figlia
tacita e fissa al ragionar di questa;
ed ha sì pieno il cor di maraviglia,
che non sa s'ella dorme o s'ella è desta:
e con rimesse e vergognose ciglia
(come quella che tutta era modesta)
rispose: - Di che merito son io,
che antiveggian profeti il venir mio? -

E lieta de l'insolita avventura,
dietro alla Maga subito fu mossa,
che la condusse a quella sepoltura
che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.
Era quell'arca d'una pietra dura,
lucida e tersa, e come fiamma rossa;
tal che alla stanza, ben che di sol priva,
dava splendore il lume che n'usciva.

O che natura sia d'alcuni marmi
che muovin l'ombre a guisa di facelle,
o forza pur di suffumigi e carmi
e segni impressi all'osservate stelle
(come più questo verisimil parmi),
discopria lo splendor più cose belle
e di scoltura e di color, che intorno
il venerabil luogo aveano adorno.

A pena ha Bradamante da la soglia
levato il piè ne la secreta cella,
che il vivo spirto da la morta spoglia
con chiarissima voce le favella:
- Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
o casta e nobilissima donzella,
del cui ventre uscirà il seme fecondo
che onorar deve Italia e tutto il mondo.

L'antiquo sangue che venne da Troia,
per li duo miglior rivi in te commisto,
produrrà l'ornamento, il fior, la gioia
d'ogni lignaggio che abbia il sol mai visto
tra l'Indo e il Tago e il Nilo e la Danoia,
tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.
Ne la progenie tua con sommi onori
saran marchesi, duci e imperatori.

I capitani e i cavallier robusti
quindi usciran, che col ferro e col senno
ricuperar tutti gli onor vetusti
de l'arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i signor giusti,
che, come il savio Augusto e Numa fenno,
sotto il benigno e buon governo loro
ritorneran la prima età de l'oro.

Acciò dunque il voler del ciel si metta
in effetto per te, che di Ruggiero
t'ha per moglier fin da principio eletta,
segue animosamente il tuo sentiero;
che cosa non sarà che s'intrometta
da poterti turbar questo pensiero,
sì che non mandi al primo assalto in terra
quel rio ladron che ogni tuo ben ti serra. -

Tacque Merlino avendo così detto,
ed agio all'opre de la Maga diede,
che a Bradamante dimostrar l'aspetto
si preparava di ciascun suo erede.
Avea di spirti un gran numero eletto,
non so se da l'Inferno o da qual sede,
e tutti quelli in un luogo raccolti
sotto abiti diversi e vari volti.

Poi la donzella a sé richiama in chiesa,
là dove prima avea tirato un cerchio
che la potea capir tutta distesa,
ed avea un palmo ancora di superchio.
E perché da li spirti non sia offesa,
le fa d'un gran pentacolo coperchio;
e le dice che taccia e stia a mirarla:
poi scioglie il libro, e coi demoni parla.

Eccovi fuor de la prima spelonca,
che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma, come vuole entrar, la via l'è tronca,
come lo cinga intorno muro e fossa.
In quella stanza, ove la bella conca
in sé chiudea del gran profeta l'ossa,
entravan l'ombre, poi che avean tre volte
fatto d'intorno lor debite volte.

- Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti
(dicea l'incantatrice a Bradamante),
di questi che or per gli incantati spirti,
prima che nati sien, ci sono avante,
non so veder quando abbia da espedirti;
che non basta una notte a cose tante:
sì che io te ne verrò scegliendo alcuno,
secondo il tempo, e che sarà oportuno.

Vedi quel primo che ti rassimiglia
ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:
capo in Italia fia di tua famiglia,
del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Pontier vermiglia
per mano di costui la terra aspetto,
e vendicato il tradimento e il torto
contra quei che gli avranno il padre morto.

Per opra di costui sarà deserto
il re de' Longobardi Desiderio:
d'Este e di Calaon per questo merto
il bel dominio avrà dal sommo Imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,
onor de l'arme e del paese esperio:
per costui contra Barbari difesa
più d'una volta fia la santa Chiesa.

Vedi qui Alberto, invitto capitano
che ornerà di trofei tanti delubri:
Ugo il figlio è con lui, che di Milano
farà l'acquisto, e spiegherà i colubri.
Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano
dopo il fratello, il regno degli Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
torrà d'Italia Beringario e il figlio;

e sarà degno a cui Cesare Otone
Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro Ugo: oh bella successione,
che dal patrio valor non si dislunga!
Costui sarà, che per giusta cagione
ai superbi Roman l'orgoglio emunga,
che il terzo Otone e il pontefice tolga
de le man loro, e il grave assedio sciolga.

Vedi Folco, che par che al suo germano,
ciò che in Italia avea, tutto abbi dato,
e vada a possedere indi lontano
in mezzo agli Alamanni un gran ducato;
e dia alla casa di Sansogna mano,
che caduta sarà tutta da un lato;
e per la linea de la madre, erede,
con la progenie sua la terrà in piede.

Questo che or a nui viene è il secondo Azzo,
di cortesia più che di guerre amico,
tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto da l'un sarà il secondo Enrico,
e del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedrà per tutto il campo aprico:
de l'altro la contessa gloriosa,
saggia e casta Matilde, sarà sposa.

Virtù il farà di tal connubio degno;
che a quella età non poca laude estimo
quasi di mezza Italia in dote il regno,
e la nipote aver d'Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, che avrà l'onor opimo
d'aver la Chiesa de le man riscossa
de l'empio Federico Barbarossa.

Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona
avrà in poter col suo bel tenitorio;
e sarà detto marchese d'Ancona
dal quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sarà s'io mostro ogni persona
del sangue tuo, che avrà del consistorio
il confalone, e s'io narro ogni impresa
vinta da lor per la romana Chiesa.

Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,
e vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco che il sangue e le gran piaghe asciughi
d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:
di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.

Ezellino, immanissimo tiranno,
che fia creduto figlio del demonio,
farà, troncando i sudditi, tal danno,
e distruggendo il bel paese ausonio,
che pietosi apo lui stati saranno
Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio.
E Federico imperator secondo
fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.

Terrà costui con più felice scettro
la bella terra che siede sul fiume,
dove chiamò con lacrimoso plettro
Febo il figliuol che avea mal retto il lume,
quando fu pianto il fabuloso elettro,
e Cigno si vestì di bianche piume;
e questa di mille oblighi mercede
gli donerà l'Apostolica sede.

Dove lascio il fratel Aldrobandino?
che per dar al pontefice soccorso
contra Oton quarto e il campo ghibellino
che sarà presso al Campidoglio corso,
ed avrà preso ogni luogo vicino,
e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;
né potendo prestargli aiuto senza
molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;

e non avendo gioie o miglior pegni,
per sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà i suoi vittoriosi segni,
e romperà l'esercito germano;
in seggio riporrà la Chiesa, e degni
darà supplici ai conti di Celano;
ed al servizio del sommo Pastore
finirà gli anni suoi nel più bel fiore.

Ed Azzo, il suo fratel, lascierà erede
del dominio d'Ancona e di Pisauro,
d'ogni città che da Troento siede
tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,
e di grandezza d'animo e di fede,
e di virtù, miglior che gemme ed auro:
che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;
sol in virtù non ha possanza alcuna.

Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio
splenderà di valor, pur che non sia
a tanta esaltazion del bel lignaggio
Morte o Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,
dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien, che giovinetto
dopo l'avo sarà principe eletto.

Al bel dominio accrescerà costui
Reggio giocondo, e Modona feroce.
Tal sarà il suo valor, che signor lui
domanderanno i populi a una voce.
Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,
confalonier de la cristiana croce:
avrà il ducato d'Andria con la figlia
del secondo re Carlo di Siciglia.

Vedi in un bello ed amichevol groppo
de li principi illustri l'eccellenza:
Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo,
Alberto, d'amor pieno e di clemenza.
Io tacerò, per non tenerti troppo,
come al bel regno aggiungeran Favenza,
e con maggior fermezza Adria, che valse
da sé nomar l'indomite acque salse;

Come la terra, il cui produr di rose
le diè piacevol nome in greche voci,
e la città che in mezzo alle piscose
paludi, del Po teme ambe le foci,
dove abitan le genti disiose
che il mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille
altre castella e populose ville.

Ve' Nicolò, che tenero fanciullo
il popul crea signor de la sua terra,
e di Tideo fa il pensier vano e nullo,
che contra lui le civil arme afferra.
Sarà di questo il pueril trastullo
sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
e da lo studio del tempo primiero
il fior riuscirà d'ogni guerriero.

Farà de' suoi ribelli uscire a voto
ogni disegno, e lor tornare in danno;
ed ogni stratagema avrà sì noto,
che sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s'avedrà il terzo Oto,
e di Reggio e di Parma aspro tiranno,
che da costui spogliato a un tempo fia
e del dominio e de la vita ria.

Avrà il bel regno poi sempre augumento
senza torcer mai piè dal camin dritto;
né ad alcuno farà mai nocumento,
da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:
ed è per questo il gran Motor contento
che non gli sia alcun termine prescritto:
ma duri prosperando in meglio sempre,
fin che si volga il ciel ne le sue tempre.

Vedi Leonello, e vedi il primo duce,
fama de la sua età, l'inclito Borso,
che siede in pace, e più trionfo adduce
di quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà Marte ove non veggia luce,
e stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
sarà che il popul suo viva contento.

Ercole or vien, che al suo vicin rinfaccia,
col piè mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio col petto e con la faccia
il campo volto in fuga gli fermassi;
non perché in premio poi guerra gli faccia,
né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo è il signor, di cui non so esplicarme
se fia maggior la gloria o in pace o in arme.

Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
de' gesti di costui lunga memoria,
là dove avrà dal Re de' Catalani
di pugna singular la prima gloria;
e nome tra gli invitti capitani
s'acquisterà con più d'una vittoria:
avrà per sua virtù la signoria,
più di trenta anni a lui debita pria.

E quanto più aver obligo si possa
a principe, sua terra avrà a costui;
non perché fia de le paludi mossa
tra campi fertilissimi da lui;
non perché la farà con muro e fossa
meglio capace a' cittadini sui,
e l'ornarà di templi e di palagi,
di piazze, di teatri e di mille agi;

non perché dagli artigli de l'audace
aligero Leon terrà difesa;
non perché, quando la gallica face
per tutto avrà la bella Italia accesa,
si starà sola col suo stato in pace,
e dal timore e dai tributi illesa:
non sì per questi ed altri benefici
saran sue genti ad Ercol debitrici:

quanto che darà lor l'inclita prole,
il giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che saran quai l'antiqua fama suole
narrar de' figli del Tindareo cigno,
che alternamente si privan del sole
per trar l'un l'altro de l'aer maligno.
Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte
l'altro salvar con sua perpetua morte.

Il grande amor di questa bella coppia
renderà il popul suo via più sicuro,
che se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
sì la bontà, che al secolo futuro
la gente crederà che sia dal cielo
tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.

A grande uopo gli fia l'esser prudente,
e di valore assimigliarsi al padre;
che si ritroverà, con poca gente,
da un lato aver le veneziane squadre,
colei dall'altro, che più giustamente
non so se devrà dir matrigna o madre;
ma se per madre, a lui poco più pia,
che Medea ai figli o Progne stata sia.

E quante volte uscirà giorno o notte
col suo popul fedel fuor de la terra,
tante sconfitte e memorabil rotte
darà a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte,
contra i vicini e lor già amici, in guerra,
se n'avedranno, insanguinando il suolo
che serra il Po, Santerno e Zanniolo.

Nei medesmi confini anco saprallo
del gran Pastore il mercenario Ispano,
che gli avrà dopo con poco intervallo
la Bastìa tolta, e morto il castellano,
quando l'avrà già preso; e per tal fallo
non fia, dal minor fante al capitano,
che del racquisto e del presidio ucciso
a Roma riportar possa l'aviso.

Costui sarà, col senno e con la lancia,
che avrà l'onor, nei campi di Romagna,
d'aver dato all'esercito di Francia
la gran vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alla pancia
nel sangue uman per tutta la campagna;
che a sepelire il popul verrà manco
tedesco, ispano, greco, italo, e franco.

Quel che in pontificale abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
è il liberal, magnanimo, sublime,
gran cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito, che a prose, a versi, a rime
darà materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita età vuole il ciel iusto
che abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

Adornerà la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto più de la luna e d'ogni stella;
che ogn'altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra mill'altri legni alle sue rive.

Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.
Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama ostar, che di sé il mondo
non empia, i monti non potran né i mari:
gener del re di Francia, Ercol secondo
è l'un; quest'altro (acciò tutti gli impari)
Ippolito è, che non con minor raggio
che il zio, risplenderà nel suo lignaggio;

Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerà che si rischiari e abbui
più volte prima il ciel, che io te li esprima:
e sarà tempo ormai, quando ti piaccia,
che io dia licenza all'ombre e che io mi taccia. -

Così con voluntà de la donzella
la dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora ne la cella
spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse.
Qui Bradamante, poi che la favella
le fu concessa usar, la bocca schiuse,
e domandò: - Chi son li dua sì tristi,
che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?

Veniano sospirando, e gli occhi bassi
parean tener d'ogni baldanza privi;
e gir lontan da loro io vedea i passi
dei frati sì, che ne pareano schivi. -
Parve che a tal domanda si cangiassi
la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,
e gridò: - Ah sfortunati, a quanta pena
lungo istigar d'uomini rei vi mena!

O bona prole, o degna d'Ercol buono,
non vinca il lor fallir vostra bontade:
di vostro sangue i miseri pur sono;
qui ceda la iustizia alla pietade. -
Indi soggiunse con più basso suono:
- Di ciò dirti più inanzi non accade.
Statti col dolce in bocca; e non ti doglia
che amareggiare al fin non te la voglia.

Tosto che spunti in ciel la prima luce,
piglierai meco la più dritta via
che al lucente castel d'acciaio conduce,
dove Ruggier vive in altrui balìa.
Io tanto ti sarò compagna e duce,
che tu sia fuor de l'aspra selva ria:
t'insegnerò, poi che saren sul mare,
sì ben la via, che non potresti errare. -

Quivi l'audace giovane rimase
tutta la notte, e gran pezzo ne spese
a parlar con Merlin, che le suase
rendersi tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò di poi le sotterranee case,
che di nuovo splendor l'aria s'accese,
per un camin gran spazio oscuro e cieco,
avendo la spirtal femmina seco.

E riusciro in un burrone ascoso
tra monti inaccessibili alle genti;
e tutto il dì senza pigliar riposo
saliron balze e traversar torrenti.
E perché men l'andar fosse noioso,
di piacevoli e bei ragionamenti,
di quel che fu più conferir soave,
l'aspro camin facean parer men grave:

di quali era però la maggior parte,
che a Bradamante vien la dotta maga
mostrando con che astuzia e con qual arte
proceder de', se di Ruggiero è vaga.
- Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,
e conducessi gente alla tua paga
più che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non dureresti contra il negromante;

che oltre che d'acciar murata sia
la rocca inespugnabile, e tant'alta;
oltre che il suo destrier si faccia via
per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;
ha lo scudo mortal, che come pria
si scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta,
la vista tolle, e tanto occupa i sensi,
che come morto rimaner conviensi.

E se forse ti pensi che ti vaglia
combattendo tener serrati gli occhi,
come potrai saper ne la battaglia
quando ti schivi, o l'avversario tocchi?
Ma per fuggire il lume che abbarbaglia,
e gli altri incanti di colui far sciocchi,
ti mostrerò un rimedio, una via presta;
né altra in tutto il mondo è se non questa.

Il re Agramante d'Africa uno annello,
che fu rubato in India a una regina,
ha dato a un suo baron detto Brunello,
che poche miglia inanzi ne camina;
di tal virtù, che chi nel dito ha quello,
contra il mal degli incanti ha medicina.
Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto
colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.

Questo Brunel sì pratico e sì astuto,
come io ti dico, è dal suo re mandato
acciò che col suo ingegno e con l'aiuto
di questo annello, in tal cose provato,
di quella rocca dove è ritenuto,
traggia Ruggier, che così s'è vantato,
ed ha così promesso al suo signore,
a cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.

Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,
e non al re Agramante, ad obligarsi
che tratto sia de l'incantata gabbia,
t'insegnerò il rimedio che de' usarsi.
Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia
del mar, che è oramai presso a dimostrarsi;
il terzo giorno in un albergo teco
arriverà costui c'ha l'annel seco.

La sua statura, acciò tu lo conosca,
non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto;
le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;
pallido il viso, oltre il dover barbuto;
gli occhi gonfiati e guardatura losca;
schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:
l'abito, acciò che io lo dipinga intero,
è stretto e corto, e sembra di corriero.

Con esso lui t'accaderà soggetto
di ragionar di quell'incanti strani:
mostra d'aver, come tu avra' in effetto,
disio che il mago sia teco alle mani;
ma non mostrar che ti sia stato detto
di quel suo annel che fa gli incanti vani.
Egli t'offerirà mostrar la via
fin alla rocca e farti compagnia.

Tu gli va dietro: e come t'avicini
a quella rocca sì che ella si scopra,
dàgli la morte; né pietà t'inchini
che tu non metta il mio consiglio in opra.
Né far che egli il pensier tuo s'indovini,
e che abbia tempo che l'annel lo copra;
perché ti spariria dagli occhi, tosto
che in bocca il sacro annel s'avesse posto. -

Così parlando, giunsero sul mare,
dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi, non senza alquanto lagrimare,
si dipartì l'una da l'altra donna.
La figliuola d'Amon, che per slegare
di prigione il suo amante non assonna,
caminò tanto, che venne una sera
ad uno albergo, ove Brunel prim'era.

Conosce ella Brunel come lo vede,
di cui la forma avea sculpita in mente:
onde ne viene, ove ne va, gli chiede;
quel le risponde, e d'ogni cosa mente.
La donna, già prevista, non gli cede
in dir menzogne, e simula ugualmente
e patria e stirpe e setta e nome e sesso;
e gli volta alle man pur gli occhi spesso.

Gli va gli occhi alle man spesso voltando,
in dubbio sempre esser da lui rubata;
né lo lascia venir troppo accostando,
di sua condizion bene informata.
Stavano insieme in questa guisa, quando
l'orecchia da un rumor lor fu intruonata.
Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa,
che avrò fatto al cantar debita pausa.



CANTO QUARTO.


Quantunque il simular sia le più volte
ripreso, e dia di mala mente indici,
si trova pur in molte cose e molte
aver fatti evidenti benefici,
e danni e biasmi e morti aver già tolte;
che non conversiam sempre con gli amici
in questa assai più oscura che serena
vita mortal, tutta d'invidia piena.

Se, dopo lunga prova, a gran fatica
trovar si può chi ti sia amico vero,
ed a chi senza alcun sospetto dica
e discoperto mostri il tuo pensiero;
che de' far di Ruggier la bella amica
con quel Brunel non puro e non sincero,
ma tutto simulato e tutto finto,
come la maga le l'avea dipinto?

Simula anche ella; e così far conviene
con esso lui di finzioni padre;
e, come io dissi, spesso ella gli tiene
gli occhi alle man, che eran rapaci e ladre.
Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la donna: - O gloriosa Madre,
o Re del ciel, che cosa sarà questa? -
E dove era il rumor si trovò presta.

E vede l'oste e tutta la famiglia,
e chi a finestre e chi fuor ne la via,
tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
come l'ecclisse o la cometa sia.
Vede la donna un'alta maraviglia,
che di leggier creduta non saria:
vede passar un gran destriero alato,
che porta in aria un cavalliero armato.

Grandi eran l'ale e di color diverso,
e vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di ferro armato luminoso e terso;
e vêr ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu tra le montagne immerso:
e, come dicea l'oste (e dicea il vero),
quel era un negromante, e facea spesso
quel varco, or più da lungi, or più da presso.

Volando, talor s'alza ne le stelle,
e poi quasi talor la terra rade;
e ne porta con lui tutte le belle
donne che trova per quelle contrade:
talmente che le misere donzelle
che abbino o aver si credano beltade
(come affatto costui tutte le invole)
non escon fuor sì che le veggia il sole.

- Egli sul Pireneo tiene un castello
(narrava l'oste) fatto per incanto,
tutto d'acciaio, e sì lucente e bello,
che altro al mondo non è mirabil tanto.
Già molti cavallier sono iti a quello,
e nessun del ritorno si dà vanto:
sì che io penso, signore, e temo forte,
o che sian presi, o sian condotti a morte. -

La donna il tutto ascolta, e le ne giova,
credendo far, come farà per certo,
con l'annello mirabile tal prova,
che ne fia il mago e il suo castel deserto;
e dice a l'oste: - Or un de' tuoi mi trova,
che più di me sia del viaggio esperto;
che io non posso durar: tanto ho il cor vago
di far battaglia contro a questo mago. -

- Non ti mancherà guida (le rispose
Brunello allora), e ne verrò teco io:
meco ho la strada in scritto, ed altre cose
che ti faran piacere il venir mio. -
Volse dir de l'annel; ma non l'espose,
né chiarì più, per non pagarne il fio.
- Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; -
volendo dir che indi l'annel fia suo.

Quel che era utile a dir disse; e quel tacque,
che nuocer le potea col Saracino.
Avea l'oste un destrier che a costei piacque,
che era buon da battaglia e da camino:
comperollo e partissi come nacque
del bel giorno seguente il matutino.
Prese la via per una stretta valle,
con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.

Di monte in monte e d'uno in altro bosco
giunsero ove l'altezza di Pirene
può dimostrar, se non è l'aer fosco,
e Francia e Spagna e due diverse arene,
come Apennin scopre il mar schiavo e il tosco
del giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
si discendea ne la profonda valle.

Vi sorge in mezzo un sasso che la cima
d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;
e quella tanto inverso il ciel sublima,
che quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: - Ecco dove prigionieri
il mago tien le donne e i cavallieri. -

Da quattro canti era tagliato, e tale
che parea dritto a fil de la sinopia.
Da nessun lato né sentier né scale
v'eran, che di salir facesser copia:
e ben appar che d'animal che abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l'ora
di tor l'annello, e far che Brunel mora.

Ma le par atto vile a insaguinarsi
d'un uom senza arme e di sì ignobil sorte;
che ben potrà posseditrice farsi
del ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunel non avea mente a riguardarsi;
sì che ella il prese, e lo legò ben forte
ad uno abete che alta avea la cima:
ma di dito l'annel gli trasse prima.

Né per lacrime, gemiti o lamenti
che facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò de la montagna a passi lenti,
tanto che fu nel pian sotto la torre.
E perché alla battaglia s'appresenti
il negromante, al corno suo ricorre:
e dopo il suon, con minacciose grida
lo chiama al campo, ed alla pugna il sfida.

Non stette molto a uscir fuor de la porta
l'incantator, che udì il suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
che a forar l'abbia o romper la corazza.

Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l'alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a più d'un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.

Non è finto il destrier, ma naturale,
che una giumenta generò d'un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.

Quivi per forza lo tirò d'incanto;
e poi che l'ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
che a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così che in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.

Del mago ogn'altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo;
ma con la donna non fu di momento,
che per l'annel non può vedere in fallo.
Più colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte e si travaglia tutta,
come era, inanzi che venisse, istrutta.

E poi che esercitata si fu alquanto
sopra il destrier, smontar volse anco a piede,
per poter meglio al fin venir di quanto
la cauta maga istruzion le diede.
Il mago vien per far l'estremo incanto;
che del fatto ripar né sa né crede:
scuopre lo scudo, e certo si prosume
farla cader con l'incantato lume.

Potea così scoprirlo al primo tratto,
senza tenere i cavallieri a bada;
ma gli piacea veder qualche bel tratto
di correr l'asta o di girar la spada:
come si vede che all'astuto gatto
scherzar col topo alcuna volta aggrada;
e poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli di morso, e al fin voler che muoia.

Dico che il mago al gatto, e gli altri al topo
s'assimigliar ne le battaglie dianzi;
ma non s'assimigliar già così, dopo
che con l'annel si fe' la donna inanzi.
Attenta e fissa stava a quel che era uopo,
acciò che nulla seco il mago avanzi;
e come vide che lo scudo aperse,
chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.

Non che il fulgor del lucido metallo,
come soleva agli altri, a lei nocesse;
ma così fece acciò che dal cavallo
contra sé il vano incantator scendesse:
né parte andò del suo disegno in fallo;
che tosto che ella il capo in terra messe,
accelerando il volator le penne,
con larghe ruote in terra a por si venne.

Lascia all'arcion lo scudo, che già posto
avea ne la coperta, e a piè discende
verso la donna che, come reposto
lupo alla macchia il capriolo, attende.
Senza più indugio ella si leva tosto
che l'ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
il libro che facea tutta la guerra:

e con una catena ne correa,
che solea portar cinta a simil uso;
perché non men legar colei credea,
che per adietro altri legare era uso.
La donna in terra posto già l'avea:
se quel non si difese, io ben l'escuso;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.

Disegnando levargli ella la testa,
alza la man vittoriosa in fretta;
ma poi che il viso mira, il colpo arresta,
quasi sdegnando sì bassa vendetta:
un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel che ella ha giunto alla stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco,
età di settanta anni o poco manco.

- Tommi la vita, giovene, per Dio, -
dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto;
ma quella a torla avea sì il cor restio,
come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, ed a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.

- Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella rocca in cima al sasso,
né per avidità son rubatore;
ma per ritrar sol dall'estremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deve.

Non vede il sol tra questo e il polo austrino
un giovene sì bello e sì prestante:
Ruggiero ha nome, il qual da piccolino
da me nutrito fu, che io sono Atlante.
Disio d'onore e suo fiero destino
l'han tratto in Francia dietro al re Agramante;
ed io, che l'amai sempre più che figlio,
lo cerco trar di Francia e di periglio.

La bella rocca solo edificai
per tenervi Ruggier sicuramente,
che preso fu da me, come sperai
che fossi oggi tu preso similmente;
e donne e cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,
acciò che quando a voglia sua non esca,
avendo compagnia, men gli rincresca.

Pur che uscir di là su non si domande,
d'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca;
che quanto averne da tutte le bande
si può del mondo, è tutto in quella rocca:
suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.

Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (che io tel dono) e quello
destrier che va per l'aria così presto;
e non t'impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o tranne tutti gli altri, e più non chero,
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.

E se disposto sei volermel torre,
deh, prima almen che tu il rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza ormai pntrida e rancia! -
Rispose la donzella: - Lui vo' porre
in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir di dar lo scudo in dono,
o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:

né s'anco stesse a te di torre e darli,
mi parrebbe che il cambio convenisse.
Tu dio che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, ciò che il ciel di lui prescrisse:
ma se il mal tuo, c'hai sì vicin, non vedi,
peggio l'altrui c'ha da venir prevedi.

Non pregar che io t'uccida, che i tuoi preghi
sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l'alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte. -
Così dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.

Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che così ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se la mena,
che a piè del monte han ritrovato il fesso,
e li scaglioni onde si monta in giro,
fin che alla porta del castel saliro.

Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni isculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite ed inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.

Sbrigossi de la donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un'ora,
e lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi è Prasildo, il nobil cavalliero
che con Rinaldo venne di Levante,
e seco Iroldo, il par d'amici vero.
Al fin trovò la bella Bradamante
quivi il desiderato suo Ruggiero,
che, poi che n'ebbe certa conoscenza,
le fe' buona e gratissima accoglienza;

come a colei che più che gli occhi sui,
più che il suo cor, più che la propria vita
Ruggiero amò dal dì che essa per lui
si trasse l'elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
e quanto ne la selva aspra e romita
si cercar poi la notte e il giorno chiaro;
né, se non qui, mai più si ritrovaro.

Or che quivi la vede, e sa ben che ella
è stata sola la sua redentrice,
di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
sé fortunato ed unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
valle, ove fu la donna vincitrice,
e dove l'ippogrifo trovaro anco,
che avea lo scudo, ma coperto, al fianco.

La donna va per prenderlo nel freno:
e quel l'aspetta fin che se gli accosta;
poi spiega l'ale per l'aer sereno,
e si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue: e quel né più né meno
si leva in aria, e non troppo si scosta;
come fa la cornacchia in secca arena,
che dietro il cane or qua or là si mena.

Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
quei cavallier che scesi erano insieme,
chi di sù, chi di giù, si son ridutti
dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti
più volte e sopra le cime supreme
e negli umidi fondi tra quei sassi,
presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.

E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
di trar Rugier del gran periglio instante:
di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l'ippogrifo avante,
perché d'Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;
ma quel s'arretra, e non vuol seguitarlo.

Or di Frontin quel animoso smonta
(Frontino era nomato il suo destriero),
e sopra quel che va per l'aria monta,
e con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto, ed indi i piedi ponta,
e sale inverso il ciel, via più leggiero
che il girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a tempo, e fa veder l'augello.

La bella donna, che sì in alto vede
e con tanto periglio il suo Ruggiero,
resta attonita in modo, che non riede
per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò che già inteso avea di Ganimede
che al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita assai che non accada a quello,
non men gentil di Ganimede e bello.

Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
basta il veder; ma poi che si dilegua
sì, che la vista non può correr tanto,
lascia che sempre l'animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
non ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:

e si deliberò di non lasciarlo,
che fosse in preda a chi venisse prima;
ma di condurlo seco e di poi darlo
al suo signor, che anco veder pur stima.
Poggia l'augel, né può Ruggier frenarlo:
di sotto rimaner vede ogni cima
ed abbassarsi in guisa, che non scorge
dove è piano il terren né dove sorge.

Poi che sì ad alto vien, che un picciol punto
lo può stimar chi da la terra il mira,
prende la via verso ove cade a punto
il sol, quando col Granchio si raggira,
e per l'aria ne va come legno unto
a cui nel mar propizio vento spira.
Lasciamlo andar, che farà buon camino,
e torniamo a Rinaldo paladino.

Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse,
spinto dal vento, un gran spazio di mare,
quando a ponente e quando contra l'Orse,
che notte e dì non cessa mai soffiare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse,
dove la selva Calidonia appare,
che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
s'ode sonar di bellicosi ferri.

Vanno per quella i cavallieri erranti,
incliti in arme, di tutta Bretagna,
e de' prossimi luoghi e de' distanti,
di Francia, di Norvegia e de Lamagna.
Chi non ha gran valor, non vada inanti;
che dove cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in essa già fece Tristano,
Lancillotto, Galasso, Artù e Galvano,

ed altri cavallieri e de la nuova
e de la vecchia Tavola famosi:
restano ancor di più d'una lor pruova
li monumenti e li trofei pomposi.
L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,
e tosto si fa por nei liti ombrosi,
ed al nochier comanda che si spicche
e lo vada aspettar a Beroicche.

Senza scudiero e senza compagnia
va il cavallier per quella selva immensa,
facendo or una ed or un'altra via,
dove più aver strane aventure pensa.
Capitò il primo giorno a una badia,
che buona parte del suo aver dispensa
in onorar nel suo cenobio adorno
le donne i cavallier che vanno attorno.

Bella accoglienza i monachi e l'abbate
fero a Rinaldo, il qual domandò loro
(non prima già che con vivande grate
avesse avuto il ventre amplo ristoro)
come dai cavallier sien ritrovate
spesso aventure per quel tenitoro,
dove si possa in qualche fatto eggregio
l'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.

Risposongli che errando in quelli boschi,
trovar potria strane aventure e molte:
ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;
che non se n'ha notizia le più volte.
- Cerca (diceano) andar dove conoschi
che l'opre tue non restino sepolte,
acciò dietro al periglio e alla fatica
segua la fama, e il debito ne dica.

E se del tuo valor cerchi far prova,
t'è preparata la più degna impresa
che ne l'antiqua etade o ne la nova
giamai da cavallier sia stata presa.
La figlia del re nostro or si ritrova
bisognosa d'aiuto e di difesa
contra un baron che Lurcanio si chiama,
che tor le cerca e la vita e la fama.

Questo Lurcanio al padre l'ha accusata
(forse per odio più che per ragione)
averla a mezza notte ritrovata
trarr'un suo amante a sé sopra un verrone.
Per le leggi del regno condannata
al foco fia, se non truova campione
che fra un mese, oggimai presso a finire,
l'iniquo accusator faccia mentire.

L'aspra legge di Scozia, empia e severa,
vuol che ogni donna, e di ciascuna sorte,
che ad uomo si giunga, e non gli sia mogliera,
s'accusata ne viene, abbia la morte.
Né riparar si può che ella non pera,
quando per lei non venga un guerrier forte
che tolga la difesa, e che sostegna
che sia innocente e di morire indegna.

Il re, dolente per Ginevra bella
(che così nominata è la sua figlia),
ha publicato per città e castella,
che s'alcun la difesa di lei piglia,
e che l'estingua la calunnia fella
(pur che sia nato di nobil famiglia),
l'avrà per moglie, ed uno stato, quale
fia convenevol dote a donna tale.

Ma se fra un mese alcun per lei non viene,
o venendo non vince, sarà uccisa.
Simile impresa meglio ti conviene,
che andar pei boschi errando a questa guisa:
oltre che onor e fama te n'aviene
che in eterno da te non fia divisa,
guadagni il fior di quante belle donne
da l'Indo sono all'Atlantee colonne;

e una ricchezza appresso, ed uno stato
che sempre far ti può viver contento;
e la grazia del re, se suscitato
per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.
Poi per cavalleria tu se' ubligato
a vendicar di tanto tradimento
costei, che per commune opinione,
di vera pudicizia è un paragone. -

Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:
- Una donzella dunque dè' morire
perché lasciò sfogar ne l'amorose
sue braccia al suo amator tanto desire?
Sia maladetto chi tal legge pose,
e maladetto chi la può patire!
Debitamente muore una crudele,
non chi dà vita al suo amator fedele.

Sia vero o falso che Ginevra tolto
s'abbia il suo amante, io non riguardo a questo:
d'averlo fatto la loderei molto,
quando non fosse stato manifesto.
Ho in sua difesa ogni pensier rivolto:
datemi pur un che mi guidi presto,
e dove sia l'accusator mi mene;
che io spero in Dio Ginevra trar di pene.

Non vo' già dir che ella non l'abbia fatto;
che nol sappiendo, il falso dir potrei:
dirò ben che non de' per simil atto
punizion cadere alcuna in lei;
e dirò che fu ingiusto o che fu matto
chi fece prima gli statuti rei;
e come iniqui rivocar si denno,
e nuova legge far con miglior senno.

S'un medesimo ardor, s'un disir pare
inchina e sforza l'uno e l'altro sesso
a quel suave fin d'amor, che pare
all'ignorante vulgo un grave eccesso;
perché si de' punir donna o biasmare,
che con uno o più d'uno abbia commesso
quel che l'uom fa con quante n'ha appetito,
e lodato ne va, non che impunito?

Son fatti in questa legge disuguale
veramente alle donne espressi torti;
e spero in Dio mostrar che gli è gran male
che tanto lungamente si comporti. -
Rinaldo ebbe il consenso universale,
che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,
che consentiro a così iniqua legge,
e mal fa il re, che può, né la corregge.

Poi che la luce candida e vermiglia
de l'altro giorno aperse l'emispero,
Rinaldo l'arme e il suo Baiardo piglia,
e di quella badia tolle un scudiero,
che con lui viene a molte leghe e miglia,
sempre nel bosco orribilmente fiero,
verso la terra ove la lite nuova
de la donzella de' venir in pruova.

Avean, cercando abbreviar camino,
lasciato pel sentier la maggior via;
quando un gran pianto udir sonar vicino,
che la foresta d'ogn'intorno empìa.
Baiardo spinse l'un, l'altro il ronzino
verso una valle, onde quel grido uscìa:
e fra dui mascalzoni una donzella
vider, che di lontan parea assai bella;

ma lacrimosa e addolorata quanto
donna o donzella o mai persona fosse.
Le sono dui col ferro nudo a canto,
per farle far l'erbe di sangue rosse.
Ella con preghi differendo alquanto
giva il morir, sin che pietà si mosse.
Venne Rinaldo; e come se n'accorse,
con alti gridi e gran minacce accorse.

Voltaro i malandrin tosto le spalle,
che il soccorso lontan vider venire,
e se appiattar ne la profonda valle.
Il paladin non li curò seguire:
venne a la donna, e qual gran colpa dàlle
tanta punizion, cerca d'udire;
e per tempo avanzar, fa allo scudiero
levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

E cavalcando poi meglio la guata
molto esser bella e di maniere accorte,
ancor che fosse tutta spaventata
per la paura che ebbe de la morte.
Poi che ella fu di nuovo domandata
chi l'avea tratta a sì infelice sorte,
incominciò con umil voce a dire
quel che io vo' all'altro canto differire.



CANTO QUINTO



Tutti gli altri animai che sono in terra,
o che vivon quieti e stanno in pace,
o se vengono a rissa e si fan guerra,
alla femina il maschio non la face:
l'orsa con l'orso al bosco sicura erra,
la leonessa appresso il leon giace;
col lupo vive la lupa sicura,
né la iuvenca ha del torel paura.

Che abominevol peste, che Megera
è venuta a turbar gli umani petti?
che si sente il marito e la mogliera
sempre garrir d'ingiuriosi detti,
stracciar la faccia e far livida e nera,
bagnar di pianto i geniali letti;
e non di pianto sol, ma alcuna volta
di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.

Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia
contra natura e sia di Dio ribello,
che s'induce a percuotere la faccia
di bella donna, o romperle un capello:
ma chi le dà veneno, o chi le caccia
l'alma del corpo con laccio o coltello,
che uomo sia quel non crederò in eterno,
ma in vista umana uno spirto de l'inferno.

Cotali esser doveano i duo ladroni
che Rinaldo cacciò da la donzella,
da lor condotta in quei scuri valloni
perché non se n'udisse più novella.
Io lasciai che ella render le cagioni
s'apparechiava di sua sorte fella
al paladin, che le fu buono amico:
or, seguendo l'istoria, così dico.

La donna incominciò: - Tu intenderai
la maggior crudeltade e la più espressa,
che in Tebe e in Argo o che in Micene mai,
o in loco più crudel fosse commessa.
E se rotando il sole i chiari rai,
qui men che all'altre region s'appressa,
credo che a noi malvolentieri arrivi,
perché veder sì crudel gente schivi.

Che agli nemici gli uomini sien crudi,
in ogni età se n'è veduto esempio;
ma dar la morte a chi procuri e studi
il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.
E acciò che meglio il vero io ti denudi,
perché costor volessero far scempio
degli anni verdi miei contra ragione,
ti dirò da principio ogni cagione.

Voglio che sappi, signor mio, che essendo
tenera ancora, alli servigi venni
de la figlia del re, con cui crescendo,
buon luogo in corte ed onorato tenni.
Crudele Amore, al mio stato invidendo,
fe' che seguace, ahi lassa! gli divenni:
fe' d'ogni cavallier, d'ogni donzello
parermi il duca d'Albania più bello.

Perché egli mostrò amarmi più che molto,
io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.
Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,
ma dentro il petto mal giudicar possi.
Credendo, amando, non cessai che tolto
l'ebbi nel letto, e non guardai che io fossi
di tutte le real camere in quella
che più secreta avea Ginevra bella;

dove tenea le sue cose più care,
e dove le più volte ella dormia.
Si può di quella in s'un verrone entrare,
che fuor del muro al discoperto uscìa.
Io facea il mio amator quivi montare;
e la scala di corde onde salia
io stessa dal verron giù gli mandai
qual volta meco aver lo desiai:

che tante volte ve lo fei venire,
quante Ginevra me ne diede l'agio,
che solea mutar letto, or per fuggire
il tempo ardente, or il brumal malvagio.
Non fu veduto d'alcun mai salire;
però che quella parte del palagio
risponde verso alcune case rotte,
dove nessun mai passa o giorno o notte.

Continuò per molti giorni e mesi
tra noi secreto l'amoroso gioco:
sempre crebbe l'amore; e sì m'accesi,
che tutta dentro io mi sentia di foco:
e cieca ne fui sì, che io non compresi
che egli fingeva molto, e amava poco;
ancor che li suo' inganni discoperti
esser doveanmi a mille segni certi.

Dopo alcun dì si mostrò nuovo amante
de la bella Ginevra. Io non so appunto
s'allora cominciasse, o pur inante
de l'amor mio, n'avesse il cor già punto.
Vedi s'in me venuto era arrogante,
s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;
che mi scoperse, e non ebbe rossore
chiedermi aiuto in questo nuovo amore.

Ben mi dicea che uguale al mio non era,
né vero amor quel che egli avea a costei;
ma simulando esserne acceso, spera
celebrarne i legitimi imenei.
Dal re ottenerla fia cosa leggiera,
qualor vi sia la volontà di lei;
che di sangue e di stato in tutto il regno
non era, dopo il re, di lu' il più degno.

Mi persuade, se per opra mia
potesse al suo signor genero farsi
(che veder posso che se n'alzeria
a quanto presso al re possa uomo alzarsi),
che me n'avria buon merto, e non saria
mai tanto beneficio per scordarsi;
e che alla moglie e che ad ogni altro inante
mi porrebbe egli in sempre essermi amante.

Io, che era tutta a satisfargli intenta,
né seppi o volsi contradirgli mai,
e sol quei giorni io mi vidi contenta,
che averlo compiaciuto mi trovai;
piglio l'occasion che s'appresenta
di parlar d'esso e di lodarlo assai;
ed ogni industria adopro, ogni fatica,
per far del mio amator Ginevra amica.

Feci col core e con l'effetto tutto
quel che far si poteva, e sallo Idio;
né con Ginevra mai potei far frutto,
che io le ponessi in grazia il duca mio:
e questo, che ad amar ella avea indutto
tutto il pensiero e tutto il suo disio
un gentil cavallier, bello e cortese,
venuto in Scozia di lontan paese;

che con un suo fratel ben giovinetto
venne d'Italia a stare in questa corte;
si fe' ne l'arme poi tanto perfetto,
che la Bretagna non avea il più forte.
Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto;
che gli donò di non picciola sorte
castella e ville e iurisdizioni,
e lo fe' grande al par dei gran baroni.

Grato era al re, più grato era alla figlia
quel cavallier chiamato Ariodante,
per esser valoroso a maraviglia;
ma più, che ella sapea che l'era amante.
Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,
né Troia avampò mai di fiamme tante,
quanto ella conoscea che per suo amore
Ariodante ardea per tutto il core.

L'amar che dunque ella facea colui
con cor sincero e con perfetta fede,
fe' che pel duca male udita fui;
né mai risposta da sperar mi diede:
anzi quanto io pregava più per lui
e gli studiava d'impetrar mercede,
ella, biasmandol sempre e dispregiando,
se gli venìa più sempre inimicando.

Io confortai l'amator mio sovente,
che volesse lasciar la vana impresa;
né si sperasse mai volger la mente
di costei, troppo ad altro amore intesa:
e gli feci conoscer chiaramente,
come era sì d'Ariodante accesa,
che quanta acqua è nel mar, piccola dramma
non spegneria de la sua immensa fiamma.

Questo da me più volte Polinesso
(che così nome ha il duca) avendo udito,
e ben compreso e visto per se stesso
che molto male era il suo amor gradito;
non pur di tanto amor si fu rimesso,
ma di vedersi un altro preferito,
come superbo, così mal sofferse,
che tutto in ira e in odio si converse.

E tra Ginevra e l'amator suo pensa
tanta discordia e tanta lite porre,
e farvi inimicizia così intensa,
che mai più non si possino comporre;
e por Ginevra in ignominia immensa,
donde non s'abbia o viva o morta a torre:
né de l'iniquo suo disegno meco
volse o con altri ragionar, che seco.

Fatto il pensier: - Dalinda mia, - mi dice
(che così son nomata) - saper dèi,
che come suol tornar da la radice
arbor che tronchi e quattro volte e sei;
così la pertinacia mia infelice,
ben che sia tronca dai successi rei,
di germogliar non resta; che venire
pur vorria a fin di questo suo desire.

E non lo bramo tanto per diletto,
qnanto perché vorrei vincer la pruova;
e non possendo farlo con effetto,
s'io lo fo imaginando, anco mi giuova.
Voglio, qual volta tu mi dài ricetto,
quando allora Ginevra si ritruova
nuda nel letto, che pigli ogni vesta
che ella posta abbia, e tutta te ne vesta.

Come ella s'orna e come il crin dispone
studia imitarla, e cerca il più che sai
di parer dessa, e poi sopra il verrone
a mandar giù la scala ne verrai.
Io verrò a te con imaginazione
che quella sii, di cui tu i panni avrai:
e così spero, me stesso ingannando,
venir in breve il mio desir sciemando. -

Così disse egli. Io che divisa e sevra
e lungi era da me, non posi mente
che questo in che pregando egli persevra,
era una fraude pur troppo evidente;
e dal verron, coi panni di Ginevra,
mandai la scala onde salì sovente;
e non m'accorsi prima de l'inganno,
che n'era già tutto accaduto il danno.

Fatto in quel tempo con Ariodante
il duca avea queste parole o tali
(che grandi amici erano stati inante
che per Ginevra si fesson rivali):
- Mi maraviglio (incominciò il mio amante)
che avendoti io fra tutti li mie' uguali
sempre avuto in rispetto e sempre amato,
che io sia da te sì mal rimunerato.

Io son ben certo che comprendi e sai
di Ginevra e di me l'antiquo amore;
e per sposa legittima oggimai
per impetrarla son dal mio signore.
Perché mi turbi tu? perché pur vai
senza frutto in costei ponendo il core?
Io ben a te rispetto avrei, per Dio,
s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. -

- Ed io (rispose Ariodante a lui)
di te mi maraviglio maggiormente;
che di lei prima inamorato fui,
che tu l'avessi vista solamente:
e so che sai quanto è l'amor tra nui,
che esser non può di quel che sia, più ardente;
e sol d'essermi moglie intende e brama:
e so che certo sai che ella non t'ama.

Perché non hai tu dunque a me il rispetto
per l'amicizia nostra, che domande
che a te aver debba, e che io t'avre' in effetto,
se tu fossi con lei di me più grande?
Né men di te per moglie averla aspetto,
se ben tu sei più ricco in queste bande:
io non son meno al re, che tu sia, grato,
ma più di te da la sua figlia amato. -

- Oh (disse il duca a lui), grande è cotesto
errore a che t'ha il folle amor condutto!
Tu credi esser più amato; io credo questo
medesmo: ma si può veder al frutto.
Tu fammi ciò che hai seco, manifesto,
ed io il secreto mio t'aprirò tutto;
e quel di noi che manco aver si veggia,
ceda a chi vince, e d'altro si provveggia.

E sarò pronto, se tu vuoi che io giuri
di non dir cosa mai che mi riveli:
così voglio che ancor tu m'assicuri
che quel che io ti dirò, sempre mi celi. -
Venner dunque d'accordo alli scongiuri,
e poser le man sugli Evangeli:
e poi che di tacer fede si diero,
Ariodante incominciò primiero.

E disse per lo giusto e per lo dritto
come tra sé e Ginevra era la cosa;
che ella gli avea giurato e a bocca e in scritto,
che mai non saria ad altri, che a lui, sposa;
e se dal re le venìa contraditto,
gli promettea di sempre esser ritrosa
da tutti gli altri maritaggi poi,
e viver sola in tutti i giorni suoi:

e che esso era in speranza pel valore
che avea mostrato in arme a più d'un segno,
ed era per mostrare a laude, a onore,
a beneficio del re e del suo regno,
di crescer tanto in grazia al suo signore,
che sarebbe da lui stimato degno
che la figliuola sua per moglie avesse,
poi che piacer a lei così intendesse.

Poi disse: - A questo termine son io,
né credo già che alcun mi venga appresso:
né cerco più di questo, né desio
de l'amor d'essa aver segno più espresso;
né più vorrei, se non quanto da Dio
per connubio legitimo è concesso:
e saria invano il domandar più inanzi;
che di bontà so come ogn'altra avanzi. -

Poi che ebbe il vero Ariodante esposto
de la mercé che aspetta a sua fatica,
Polinesso, che già s'avea proposto
di far Ginevra al suo amator nemica,
cominciò: - Sei da me molto discosto,
e vo' che di tua bocca anco tu il dica;
e del mio ben veduta la radice,
che confessi me solo esser felice.

Finge ella teco, né t'ama né prezza;
che ti pasce di speme e di parole:
oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,
quando meco ragiona, imputar suole.
Io ben d'esserle caro altra certezza
veduta n'ho, che di promesse e fole;
e tel dirò sotto la fé in secreto,
ben che farei più il debito a star cheto.

Non passa mese, che tre, quattro e sei
e talor diece notti io non mi truovi
nudo abbracciato in quel piacer con lei,
che all'amoroso ardor par che sì giovi:
sì che tu puoi veder s'a' piacer miei
son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.
Cedimi dunque e d'altro ti provedi,
poi che sì inferior di me ti vedi. -

- Non ti vo' creder questo (gli rispose
Ariodante), e certo so che menti;
e composto fra te t'hai queste cose,
acciò che da l'impresa io mi spaventi:
ma perché a lei son troppo ingiuriose,
questo c'hai detto sostener convienti;
che non bugiardo sol, ma voglio ancora
che tu sei traditor mostrarti or ora. -

Soggiunse il duca: - Non sarebbe onesto
che noi volessen la battaglia torre
di quel che t'offerisco manifesto,
quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. -
Resta smarrito Ariodante a questo,
e per l'ossa un tremor freddo gli scorre;
e se creduto ben gli avesse a pieno,
venìa sua vita allora allora meno.

Con cor trafitto e con pallida faccia,
e con voce tremante e bocca amara
rispose: - Quando sia che tu mi faccia
veder quest'aventura tua sì rara,
prometto di costei lasciar la traccia,
a te sì liberale, a me sì avara:
ma che io tel voglia creder non far stima,
s'io non lo veggio con questi occhi prima. -

- Quando ne sarà il tempo, avisarotti, -
soggiunse Polinesso, e dipartisse.
Non credo che passar più di due notti,
che ordine fu che il duca a me venisse.
Per scoccar dunque i lacci che condotti
avea sì cheti, andò al rivale, e disse
che s'ascondesse la notte seguente
tra quelle case ove non sta mai gente:

e dimostrogli un luogo a dirimpetto
di quel verrone ove solea salire.
Ariodante avea preso sospetto
che lo cercasse far quivi venire,
come in un luogo dove avesse eletto
di por gli aguati, e farvelo morire,
sotto questa finzion, che vuol mostrargli
quel di Ginevra, che impossibil pargli.

Di volervi venir prese partito,
ma in guisa che di lui non sia men forte;
perché accadendo che fosse assalito,
si truovi sì, che non tema di morte.
Un suo fratello avea saggio ed ardito,
iI più famoso in arme de la corte,
detto Lurcanio; e avea più cor con esso,
che se dieci altri avesse avuto appresso.

Seco chiamollo, e volse che prendesse
l'arme; e la notte lo menò con lui:
non che il secreto suo già gli dicesse;
né l'avria detto ad esso, né ad altrui.
Da sé lontano un trar di pietra il messe:
- Se mi senti chiamar, vien (disse) a nui;
ma se non senti, prima che io ti chiami,
non ti partir di qui, frate, se m'ami. -

- Va pur, non dubitar, - disse il fratello:
e così venne Ariodanle cheto,
e si celò nel solitario ostello
che era d'incontro al mio verron secreto.
Vien d'altra parte il fraudolente e fello,
che d'infamar Ginevra era sì lieto;
e fa il segno, tra noi solito inante,
a me che de l'inganno era ignorante.

Ed io con veste candida, e fregiata
per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,
e con rete pur d'or, tutta adombrata
di bei fiocchi vermigli al capo intorno
(foggia che sol fu da Ginevra usata,
non d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra il verron, che in modo era locato,
che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.

Lurcanio in questo mezzo dubitando
che il fratello a pericolo non vada,
o come è pur commun disio, cercando
di spiar sempre ciò che ad altri accada;
l'era pian pian venuto seguitando,
tenendo l'ombre e la più oscura strada:
e a men di dieci passi a lui discosto,
nel medesimo ostel s'era riposto.

Non sappiendo io di questo cosa alcuna,
venni al verron ne l'abito c'ho detto,
sì come già venuta era più d'una
e più di due fiate a buono effetto.
Le veste si vedean chiare alla luna;
né dissimile essendo anche io d'aspetto
né di persona da Ginevra molto,
fece parere un per un altro il volto:

e tanto più, che era gran spazio in mezzo
fra dove io venni a quelle inculte case
ai dui fratelli, che stavano al rezzo,
il duca agevolmente persuase
quel che era falso. Or pensa in che ribrezzo
Ariodante, in che dolor rimase.
Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia
che giù manda'gli, e monta in su la loggia.

A prima giunta io gli getto le braccia
al collo, che io non penso esser veduta;
lo bacio in bocca e per tutta la faccia,
come far soglio ad ogni sua venuta.
Egli più de l'usato si procaccia
d'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.
Quell'altro al rio spettacolo condutto,
misero sta lontano, e vede il tutto.

Cade in tanto dolor, che si dispone
allora allora di voler morire:
e il pome de la spada in terra pone,
che su la punta si volea ferire.
Lurcanio che con grande ammirazione
avea veduto il duca a me salire,
ma non già conosciuto chi si fosse,
scorgendo l'atto del fratel, si mosse;

e gli vietò che con la propria mano
non si passasse in quel furore il petto.
S'era più tardo o poco più lontano,
non giugnea a tempo, e non faceva effetto.
- Ah misero fratel, fratello insano
(gridò), perc'hai perduto l'intelletto,
che una femina a morte trar ti debbia?
che ir possan tutte come al vento nebbia!

Cerca far morir lei, che morir merta,
e serva a più tuo onor tu la tua morte.
Fu d'amar lei, quando non t'era aperta
la fraude sua: or è da odiar ben forte,
poi che con gli occhi tuoi tu vedi certa,
quanto sia meretrice, e di che sorte.
Serbi quest'arme che volti in te stesso,
a far dinanzi al re tal fallo espresso. -

Quando si vede Ariodante giunto
sopra il fratel, la dura impresa lascia;
ma la sua intenzion da quel che assunto
avea già di morir, poco s'accascia.
Quindi si leva, e porta non che punto,
ma trapassato il cor d'estrema ambascia;
pur finge col fratel, che quel furore
non abbia più, che dianzi avea nel core.

Il seguente matin, senza far motto
al suo fratello o ad altri, in via si messe
da la mortal disperazion condotto;
né di lui per più dì fu chi sapesse.
Fuor che il duca e il fratello, ogn'altro indotto
era chi mosso al dipartir l'avesse.
Ne la casa del re di lui diversi
ragionamenti e in tutta Scozia fersi.

In capo d'otto o di più giorni in corte
venne inanzi a Ginevra un viandante,
e novelle arrecò di mala sorte:
che s'era in mar summerso Ariodante
di volontaria sua libera morte,
non per colpa di borea o di levante.
D'un sasso che sul mar sporgea molt'alto
avea col capo in giù preso un gran salto.

Colui dicea: - Pria che venisse a questo,
a me che a caso riscontrò per via,
disse: - Vien meco, acciò che manifesto
per te a Ginevra il mio successo sia;
e dille poi, che la cagion del resto
che tu vedrai di me, che or ora fia,
è stato sol perc'ho troppo veduto:
felice, se senza occhi io fussi suto! -

Eramo a caso sopra Capobasso,
che verso Irlanda alquanto sporge in mare.
Così dicendo, di cima d'un sasso
lo vidi a capo in giù sott'acqua andare.
Io lo lasciai nel mare, ed a gran passo
ti son venuto la nuova a portare. -
Ginevra, sbigottita e in viso smorta,
rimase a quello annunzio mezza morta.

Oh Dio, che disse e fece, poi che sola
si ritrovò nel suo fidato letto!
percosse il seno, e si stracciò la stola,
e fece all'aureo crin danno e dispetto;
ripetendo sovente la parola
che Ariodante avea in estremo detto:
che la cagion del suo caso empio e tristo
tutta venìa per aver troppo visto.

Il rumor scorse di costui per tutto,
che per dolor s'avea dato la morte.
Di questo il re non tenne il viso asciutto,
né cavallier né donna de la corte.
Di tutti il suo fratel mostrò più lutto;
e si sommerse nel dolor sì forte,
che ad esempio di lui, contra se stesso
voltò quasi la man per irgli appresso.

E molte volte ripetendo seco,
che fu Ginevra che il fratel gli estinse,
e che non fu se non quell'atto bieco
che di lei vide, che a morir lo spinse;
di voler vendicarsene sì cieco
venne, e sì l'ira e sì il dolor lo vinse,
che di perder la grazia vilipese,
ed aver l'odio del re e del paese.

E inanzi al re, quando era più di gente
la sala piena, se ne venne, e disse:
- Sappi, signor, che di levar la mente
al mio fratel, sì che a morir ne gisse,
stata è la figlia tua sola nocente;
che a lui tanto dolor l'alma trafisse
d'aver veduta lei poco pudica,
che più che vita ebbe la morte amica.

Erane amante, e perché le sue voglie
disoneste non fur, nol vo' coprire:
per virtù meritarla aver per moglie
da te sperava e per fedel servire;
ma mentre il lasso ad odorar le foglie
stava lontano, altrui vide salire,
salir su l'arbor riserbato, e tutto
essergli tolto il disiato frutto. -

E seguitò, come egli avea veduto
venir Ginevra sul verrone, e come
mandò la scala, onde era a lei venuto
un drudo suo, di chi egli non sa il nome,
che s'avea, per non esser conosciuto,
cambiati i panni e nascose le chiome.
Soggiunse che con l'arme egli volea
provar tutto esser ver ciò che dicea.

Tu puoi pensar se il padre addolorato
riman, quando accusar sente la figlia;
sì perché ode di lei quel che pensato
mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
sì perché sa che fia necessitato
(se la difesa alcun guerrier non piglia,
il qual Lurcanio possa far mentire)
di condannarla e di farla morire.

Io non credo, signor, che ti sia nuova
la legge nostra che condanna a morte
ogni donna e donzella, che si pruova
di sé far copia altrui che al suo consorte.
Morta ne vien, s'in un mese non truova
in sua difesa un cavallier sì forte,
che contra il falso accusator sostegna
che sia innocente e di morire indegna.

Ha fatto il re bandir, per liberarla
(che pur gli par che a torto sia accusata),
che vuol per moglie e con gran dote darla
a chi torrà l'infamia che l'è data.
Chi per lei comparisca non si parla
guerriero ancora, anzi l'un l'altro guata;
che quel Lurcanio in arme è così fiero,
che par che di lui tema ogni guerriero.

Atteso ha l'empia sorte, che Zerbino,
fratel di lei, nel regno non si truove;
che va già molti mesi peregrino,
mostrando di sé in arme inclite pruove:
che quando si trovasse più vicino
quel cavallier gagliardo, o in luogo dove
potesse avere a tempo la novella,
non mancheria d'aiuto alla sorella.

Il re, che intanto cerca di sapere
per altra pruova, che per arme, ancora,
se sono queste accuse o false o vere,
se dritto o torto è che sua figlia mora;
ha fatto prender certe cameriere
che lo dovrian saper, se vero fôra:
ond'io previdi, che se presa era io,
troppo periglio era del duca e mio.

E la notte medesima mi trassi
fuor de la corte, e al duca mi condussi;
e gli feci veder quanto importassi
al capo d'amendua, se presa io fussi.
Lodommi, e disse che io non dubitassi:
a' suoi conforti poi venir m'indussi
ad una sua fortezza che è qui presso,
in compagnia di dui che mi diede esso.

Hai sentito, signor, con quanti effetti
de l'amor mio fei Polinesso certo;
e s'era debitor per tai rispetti
d'avermi cara o no, tu il vedi aperto.
Or senti il guidardon che io ricevetti,
vedi la gran mercé del mio gran merto;
vedi se deve, per amare assai,
donna sperar d'essere amata mai:

che questo ingrato, perfido e crudele,
de la mia fede ha preso dubbio al fine:
venuto è in sospizion che io non rivele
a lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha finto, acciò che m'allontane e cele
fin che l'ira e il furor del re decline,
voler mandarmi ad un suo luogo forte;
e mi volea mandar dritto alla morte:

che di secreto ha commesso alla guida,
che come m'abbia in queste selve tratta,
per degno premio di mia fé m'uccida.
Così l'intenzion gli venìa fatta,
se tu non eri appresso alle mia grida.
Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta! -
Così narrò Dalinda al paladino
seguendo tuttavolta il lor camino.

A cui fu sopra ogn'aventura, grata
questa, d'aver trovata la donzella
che gli avea tutta l'istoria narrata
de l'innocenza di Ginevra bella.
E se sperato avea, quando accusata
ancor fosse a ragion, d'aiutar quella,
via con maggior baldanza or viene in prova,
poi che evidente la calunnia truova.

E verso la città di Santo Andrea,
dove era il re con tutta la famiglia,
e la battaglia singular dovea
esser de la querela de la figlia,
andò Rinaldo quanto andar potea,
fin che vicino giunse a poche miglia;
alla città vicino giunse, dove
trovò un scudier che avea più fresche nuove:

che un cavallier istrano era venuto,
che a difender Ginevra s'avea tolto,
con non usate insegne, e sconosciuto,
però che sempre ascoso andava molto;
e che dopo che v'era, ancor veduto
non gli avea alcuno al discoperto il volto;
e che il proprio scudier che gli servia,
dicea giurando: - Io non so dir chi sia. -

Non cavalcaro molto, che alle mura
si trovar de la terra e in su la porta.
Dalinda andar più inanzi avea paura;
pur va, poi che Rinaldo la conforta.
La porta è chiusa, ed a chi n'avea cura
Rinaldo domandò: - Questo che importa?
E fugli detto: perché il popol tutto
a veder la battaglia era ridutto,

che tra Lurcanio e un cavallier istrano
si fa ne l'altro capo de la terra,
ove era un prato spazioso e piano;
e che già cominciata hanno la guerra.
Aperto fu al signor di Montealbano,
e tosto il portinar dietro gli serra.
Per la vota città Rinaldo passa;
ma la donzella al primo albergo lassa:

e dice che sicura ivi si stia
fin che ritorni a lei, che sarà tosto;
e verso il campo poi ratto s'invia,
dove li dui guerrier dato e risposto
molto s'aveano, e davan tuttavia.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
contra Ginevra; e l'altro in sua difesa
ben sostenea la favorita impresa.

Sei cavallier con lor ne lo steccato
erano a piedi, armati di corazza,
col duca d'Albania, che era montato
s'un possente corsier di buona razza.
Come a gran contestabile, a lui dato
la guardia fu del campo e de la piazza:
e di veder Ginevra in gran periglio
avea il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio.

Rinaldo se ne va tra gente e gente;
fassi far largo il buon destrier Baiardo:
chi la tempesta del suo venir sente,
a dargli via non par zoppo né tardo.
Rinaldo vi compar sopra eminente,
e ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;
poi si ferma all'incontro ove il re siede:
ognun s'accosta per udir che chiede.

Rinaldo disse al re: - Magno signore,
non lasciar la battaglia più seguire;
perché di questi dua qualunche more,
sappi che a torto tu il lasci morire.
L'un crede aver ragione, ed è in errore,
e dice il falso, e non sa di mentire;
ma quel medesmo error che il suo germano
a morir trasse, a lui pon l'arme in mano.

L'altro non sa se s'abbia dritto o torto;
ma sol per gentilezza e per bontade
in pericol si è posto d'esser morto,
per non lasciar morir tanta beltade.
Io la salute all'innocenza porto;
porto il contrario a chi usa falsitade.
Ma, per Dio, questa pugna prima parti,
poi mi dà audienza a quel che io vo' narrarti. -

Fu da l'autorità d'un uom sì degno,
come Rinaldo gli parea al sembiante,
sì mosso il re, che disse e fece segno
che non andasse più la pugna inante;
al quale insieme ed ai baron del regno
e ai cavallieri e all'altre turbe tante
Rinaldo fe' l'inganno tutto espresso,
che avea ordito a Ginevra Polinesso.

Indi s'offerse di voler provare
coll'arme, che era ver quel che avea detto.
Chiamasi Polinesso; ed ei compare,
ma tutto conturbato ne l'aspetto:
pur con audacia cominciò a negare.
Disse Rinaldo: - Or noi vedrem l'effetto. -
L'uno e l'altro era armato, il campo fatto,
sì che senza indugiar vengono al fatto.

Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro
che Ginevra a provar s'abbi innocente!
tutti han speranza che Dio mostri chiaro
che impudica era detta ingiustamente.
Crudel superbo e riputato avaro
fu Polinesso, iniquo e fraudolente;
sì che ad alcun miracolo non fia
che l'inganno da lui tramato sia.

Sta Polinesso con la faccia mesta,
col cor tremante e con pallida guancia;
e al terzo suon mette la lancia in resta.
Così Rinaldo inverso lui si lancia,
che disioso di finir la festa,
mira a passargli il petto con la lancia:
né discorde al disir seguì l'effetto;
ché mezza l'asta gli cacciò nel petto.

Fisso nel tronco lo trasporta in terra,
lontan dal suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo smonta subito, e gli afferra
l'elmo, pria che si levi, e gli lo slaccia:
ma quel, che non può far più troppa guerra,
gli domanda mercé con umil faccia,
e gli confessa, udendo il re e la corte,
la fraude sua che l'ha condutto a morte.

Non finì il tutto, e in mezzo la parola
e la voce e la vita l'abandona.
Il re, che liberata la figliuola
vede da morte e da fama non buona,
più s'allegra, gioisce e raconsola,
che, s'avendo perduta la corona,
ripor se la vedesse allora allora;
sì che Rinaldo unicamente onora.

E poi che al trar dell'elmo conosciuto
l'ebbe, perche altre volte l'avea visto,
levò le mani a Dio, che d'un aiuto
come era quel, gli avea sì ben provisto.
Quell'altro cavallier che, sconosciuto,
soccorso avea Ginevra al caso tristo,
ed armato per lei s'era condutto,
stato da parte era a vedere il tutto.

Dal re pregato fu di dire il nome,
o di lasciarsi almen veder scoperto,
acciò da lui fosse premiato, come
di sua buona intenzion chiedeva il merto.
Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome
si levò l'elmo, e fe' palese e certo
quel che ne l'altro canto ho da seguire,
se grata vi sarà l'istoria udire.



CANTO SESTO


Miser chi mal oprando si confida
che ognor star debbia il maleficio occulto;
che quando ogn'altro taccia, intorno grida
l'aria e la terra istessa in che è sepulto:
e Dio fa spesso che il peccato guida
il peccator, poi che alcun dì gli ha indulto,
che sé medesmo, senza altrui richiesta,
innavedutamente manifesta.

Avea creduto il miser Polinesso
totalmente il delitto suo coprire,
Dalinda consapevole d'appresso
levandosi, che sola il potea dire:
e aggiungendo il secondo al primo eccesso,
affrettò il mal che potea differire,
e potea differire e schivar forse;
ma se stesso spronando, a morir corse:

e perdé amici a un tempo e vita e stato,
e onor, che fu molto più grave danno.
Dissi di sopra, che fu assai pregato
il cavallier, che ancor chi sia non sanno.
Al fin si trasse l'elmo, e il viso amato
scoperse, che più volte veduto hanno:
e dimostrò come era Ariodante,
per tutta Scozia lacrimato inante;

Ariodante, che Ginevra pianto
avea per morto, e il fratel pianto avea,
il re, la corte, il popul tutto quanto:
di tal bontà, di tal valor splendea.
Adunque il peregrin mentir di quanto
dianzi di lui narrò, quivi apparea;
e fu pur ver che dal sasso marino
gittarsi in mar lo vide a capo chino.

Ma (come aviene a un disperato spesso,
che da lontan brama e disia la morte,
e l'odia poi che se la vede appresso,
tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Ariodante, poi che in mar fu messo,
si pentì di morire: e come forte
e come destro e più d'ogn'altro ardito,
si messe a nuoto e ritornossi al lito;

e dispregiando e nominando folle
il desir che ebbe di lasciar la vita,
si messe a caminar bagnato e molle,
e capitò all'ostel d'un eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
tanto, che la novella avesse udita,
se del caso Ginevra s'allegrasse,
o pur mesta e pietosa ne restasse.

Intese prima, che per gran dolore
ella era stata a rischio di morire
(la fama andò di questo in modo fuore,
che ne fu in tutta l'isola che dire):
contrario effetto a quel che per errore
credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi, come Lurcanio avea
fatta Ginevra appresso il padre rea.

Contra il fratel d'ira minor non arse,
che per Ginevra già d'amor ardesse;
che troppo empio e crudele atto gli parse,
ancora che per lui fatto l'avesse.
Sentendo poi, che per lei non comparse
cavallier che difender la volesse
(che Lurcanio sì forte era e gagliardo,
che ognun d'andargli contra avea riguardo;

e chi n'avea notizia, il riputava
tanto discreto, e sì saggio ed accorto,
che se non fosse ver quel che narrava,
non si porrebbe a rischio d'esser morto;
per questo la più parte dubitava
di non pigliar questa difesa a torto);
Ariodante, dopo gran discorsi,
pensò all'accusa del fratello opporsi.

- Ah lasso! io non potrei (seco dicea)
sentir per mia cagion perir costei:
troppo mia morte fôra acerba e rea,
se inanzi a me morir vedessi lei.
Ella è pur la mia donna e la mia dea,
questa è la luce pur degli occhi miei:
convien che a dritto e a torto, per suo scampo
pigli l'impresa, e resti morto in campo.

So che io m'appiglio al torto; e al torto sia:
e ne morrò; né questo mi sconforta,
se non che io so che per la morte mia
sì bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia,
che, se il suo Polinesso amor le porta,
chiaramente veder avrà potuto,
che non s'è mosso ancor per darle aiuto;

e me, che tanto espressamente ha offeso,
vedrà, per lei salvare, a morir giunto.
Di mio fratello insieme, il quale acceso
tanto fuoco ha, vendicherommi a un punto;
che io lo farò doler, poi che compreso
il fine avrà del suo crudele assunto:
creduto vendicar avrà il germano,
e gli avrà dato morte di sua mano. -

Concluso che ebbe questo nel pensiero,
nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;
e sopraveste nere, e scudo nero
portò, fregiato a color verdegiallo.
Per aventura si trovò un scudiero
ignoto in quel paese, e menato hallo;
e sconosciuto (come ho già narrato)
s'appresentò contra il fratello armato.

Narrato v'ho come il fatto successe,
come fu conosciuto Ariodante.
Non minor gaudio n'ebbe il re, che avesse
de la figliuola liberata inante.
Seco pensò che mai non si potesse
trovar un più fedele e vero amante;
che dopo tanta ingiuria, la difesa
di lei, contra il fratel proprio, avea presa.

E per sua inclinazion (che assai l'amava)
e per li preghi di tutta la corte,
e di Rinaldo, che più d'altri instava,
de la bella figliuola il fa consorte.
La duchea d'Albania che al re tornava
dopo che Polinesso ebbe la morte,
in miglior tempo discader non puote,
poi che la dona alla sua figlia in dote.

Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,
che se n'andò di tanto errore esente;
la qual per voto, e perché molto sazia
era del mondo, a Dio volse la mente:
monaca s'andò a render fin in Dazia,
e si levò di Scozia immantinente.
Ma tempo è ormai di ritrovar Ruggiero,
che scorre il ciel su l'animal leggiero.

Ben che Ruggier sia d'animo costante,
né cangiato abbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante
non abbia dentro più che foglia il core.
Lasciato avea di gran spazio distante
tutta l'Europa, ed era uscito fuore
per molto spazio il segno che prescritto
avea già a' naviganti Ercole invitto.

Quello ippogrifo, grande e strano augello,
lo porta via con tal prestezza d'ale,
che lasceria di lungo tratto quello
celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l'aria altro animal sì snello,
che di velocità gli fosse uguale:
credo che a pena il tuono e la saetta
venga in terra dal ciel con maggior fretta.

Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio
per linea dritta e senza mai piegarsi,
con larghe ruote, omai de l'aria sazio,
cominciò sopra una isola a calarsi;
pari a quella ove, dopo lungo strazio
far del suo amante e lungo a lui celarsi,
la vergine Aretusa passò invano
di sotto il mar per camin cieco e strano.

Non vide né il più bel né il più giocondo
da tutta l'aria ove le penne stese;
né se tutto cercato avesse il mondo,
vedria di questo il più gentil paese,
ove, dopo un girarsi di gran tondo,
con Ruggier seco il grande augel discese:
culte pianure e delicati colli,
chiare acque, ombrose ripe e prati molli.

Vaghi boschetti di soavi allori,
di palme e d'amenissime mortelle,
cedri ed aranci che avean frutti e fiori
contesti in varie forme e tutte belle,
facean riparo ai fervidi calori
de' giorni estivi con lor spesse ombrelle;
e tra quei rami con sicuri voli
cantanto se ne gìano i rosignuoli.

Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
che tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri si vedean lepri e conigli,
e cervi con la fronte alta e superba,
senza temer che alcun gli uccida o pigli,
pascano o stiansi rominando l'erba;
saltano i daini e i capri isnelli e destri,
che sono in copia in quei luoghi campestri.

Come sì presso è l'ippogrifo a terra,
che esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,
e si ritruova in su l'erboso smalto;
tuttavia in man le redine si serra,
che non vuol che il destrier più vada in alto:
poi lo lega nel margine marino
a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.

E quivi appresso, ove surgea una fonte
cinta di cedri e di feconde palme,
pose lo scudo, e l'elmo da la fronte
si trasse, e disarmossi ambe le palme;
ed ora alla marina ed ora al monte
volgea la faccia all'aure fresche ed alme,
che l'alte cime con mormorii lieti
fan tremolar dei faggi e degli abeti.

Bagna talor ne la chiara onda e fresca
l'asciutte labra, e con le man diguazza,
acciò che de le vene il calor esca
che gli ha acceso il portar de la corazza.
Né maraviglia è già che ella gli incresca;
che non è stato un far vedersi in piazza:
ma senza mai posar, d'arme guernito,
tremila miglia ognor correndo era ito.

Quivi stando, il destrier che avea lasciato
tra le più dense frasche alla fresca ombra,
per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro al bosco adombra:
e fa crollar sì il mirto ove è legato,
che de le frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar fa il mirto, e fa cader la foglia;
né succede però che se ne scioglia.

Come ceppo talor, che le medolle
rare e vote abbia, e posto al fuoco sia,
poi che per gran calor quell'aria molle
resta consunta che in mezzo l'empìa,
dentro risuona e con strepito bolle
tanto che quel furor truovi la via;
così murmura e stride e si corruccia
quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.

Onde con mesta e flebil voce uscìo
espedita e chiarissima favella,
e disse: - Se tu sei cortese e pio,
come dimostri alla presenza bella,
lieva questo animal da l'arbor mio:
basti che il mio mal proprio mi flagella,
senza altra pena, senza altro dolore
che a tormentarmi ancor venga di fuore. -

Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, e subito levosse;
e poi che uscir da l'arbore s'accorse,
stupefatto restò più che mai fosse.
A levarne il destrier subito corse;
e con le guance di vergogna rosse:
- Qual che tu sii, perdonami (dicea),
o spirto umano, o boschereccia dea.

Il non aver saputo che s'asconda
sotto ruvida scorza umano spirto,
m'ha lasciato turbar la bella fronda
e far ingiuria al tuo vivace mirto:
ma non restar però, che non risponda
chi tu ti sia, che in corpo orrido ed irto,
con voce e razionale anima vivi;
se da grandine il ciel sempre ti schivi.

E s'ora o mai potrò questo dispetto
con alcun beneficio compensarte,
per quella bella donna ti prometto,
quella che di me tien la miglior parte,
che io farò con parole e con effetto,
che avrai giusta cagion di me lodarte. -
Come Ruggiero al suo parlar fin diede,
tremò quel mirto da la cima al piede.

Poi si vide sudar su per la scorza,
come legno dal bosco allora tratto,
che del fuoco venir sente la forza,
poscia che invano ogni ripar gli ha fatto;
e cominciò: - Tua cortesia mi sforza
a discoprirti in un medesmo tratto
che io fossi prima, e chi converso m'aggia
in questo mirto in su l'amena spiaggia.

Il nome mio fu Astolfo; e paladino
era di Francia, assai temuto in guerra:
d'Orlando e di Rinaldo era cugino,
la cui fama alcun termine non serra;
e si spettava a me tutto il domìno,
dopo il mio padre Oton, de l'Inghilterra.
Leggiadro e bel fui sì, che di me accesi
più d'una donna: e al fin me solo offesi.

Ritornando io da quelle isole estreme
che da Levante il mar Indico lava,
dopo Rinaldo ed alcun'altri insieme
meco fur chiusi in parte oscura e cava,
ed onde liberati le supreme
forze n'avean del cavallier di Brava;
vêr ponente io venìa lungo la sabbia
che del settentrion sente la rabbia.

E come la via nostra e il duro e fello
destin ci trasse, uscimmo una matina
sopra la bella spiaggia, ove un castello
siede sul mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei che uscita era di quello,
e stava sola in ripa alla marina;
e senza rete e senza amo traea
tutti li pesci al lito, che volea.

Veloci vi correvano i delfini,
vi venìa a bocca aperta il grosso tonno;
i capidogli coi vecchi marini
vengon turbati dal loro pigro sonno;
muli, salpe, salmoni e coracini
nuotano a schiere in più fretta che ponno;
pistrici, fisiteri, orche e balene
escon del mar con mostruose schiene.

Veggiamo una balena, la maggiore
che mai per tutto il mar veduta fosse:
undeci passi e più dimostra fuore
de l'onde salse le spallacce grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore,
perche era ferma e che mai non si scosse:
che ella sia una isoletta ci credemo,
così distante a l'un da l'altro estremo.

Alcina i pesci uscir facea de l' acque
con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
io non so dir s'a un parto o dopo o inanti.
Guardommi Alcina; e subito le piacque
l'aspetto mio, come mostrò ai sembianti:
e pensò con astuzia e con ingegno
tormi ai compagni; e riuscì il disegno.

Ci venne incontra con allegra faccia
con modi graziosi e riverenti,
e disse: - Cavallier, quando vi piaccia
far oggi meco i vostri alloggiamenti,
io vi farò veder, ne la mia caccia,
di tutti i pesci sorti differenti:
chi scaglioso, chi molle e chi col pelo;
e saran più che non ha stelle il cielo.

E volendo vedere una sirena
che col suo dolce canto acheta il mare,
passian di qui fin su quell'altra arena,
dove a quest'ora suol sempre tornare. -
E ci mostrò quella maggior balena,
che, come io dissi, una isoletta pare.
Io, che sempre fui troppo (e me n'incresce)
volonteroso, andai sopra quel pesce.

Rinaldo m'accennava, e similmente
Dudon, che io non v'andassi: e poco valse.
La fata Alcina con faccia ridente,
lasciando gli altri dua, dietro mi salse.
La balena, all'ufficio diligente,
nuotando se n'andò per l'onde salse.
Di mia sciocchezza tosto fui pentito;
ma troppo mi trovai lungi dal lito.

Rinaldo si cacciò ne l'acqua a nuoto
per aiutarmi, e quasi si sommerse,
perché levossi un furioso Noto
che d'ombra il cielo e il pelago coperse.
Qnel che di lui seguì poi, non m'è noto.
Alcina a confortarmi si converse;
e quel dì tutto e la notte che venne,
sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne.

Fin che venimmo a questa isola bella,
di cui gran parte Alcina ne possiede,
e l'ha usurpata ad una sua sorella
che il padre già lasciò del tutto erede,
perché sola legitima avea quella;
e (come alcun notizia me ne diede,
che pienamente istrutto era di questo)
sono quest'altre due nate d'incesto.

E come sono inique e scelerate
e piene d'ogni vizio infame e brutto
così quella, vivendo in castitate,
posto ha ne le virtuti il suo cor tutto.
Contra lei queste due son congiurate;
e già più d'uno esercito hanno istrutto
per cacciarla de l'isola, e in più volte
più di cento castella l'hanno tolte:

né ci terrebbe ormai spanna di terra
colei, che Logistilla è nominata,
se non che quinci un golfo il passo serra,
e quindi una montagna inabitata,
sì come tien la Scozia e l'Inghilterra
il monte e la riviera separata;
né però Alcina né Morgana resta
che non le voglia tor ciò che le resta.

Perché di vizi è questa coppia rea,
odia colei, perché è pudica e santa.
Ma, per tornare a quel che io ti dicea,
e seguir poi com'io divenni pianta,
Alcina in gran delizie mi tenea,
e del mio amore ardeva tutta quanta;
né minor fiamma nel mio core accese
il veder lei sì bella e sì cortese.

Io mi godea le delicate membra;
pareami aver qui tutto il ben raccolto
che fra i mortali in più parti si smembra,
a chi più ed a chi meno e a nessun molto;
né di Francia né d'altro mi rimembra:
stavami sempre a contemplar quel volto:
ogni pensiero, ogni mio bel disegno
in lei finia, né passava oltre il segno.

Io da lei altretanto era o più amato:
Alcina più non si curava d'altri;
ella ogn'altro suo amante avea lasciato,
che inanzi a me ben ce ne fur degli altri.
Me consiglier, me avea dì e notte a lato,
e me fe' quel che commandava agli altri:
a me credeva, a me si riportava;
né notte o dì con altri mai parlava.

Deh! perché vo le mie piaghe toccando,
senza speranza poi di medicina?
perché l'avuto ben vo rimembrando,
quando io patisco estrema disciplina?
Quando credea d'esser felice, e quando
credea che amar più mi dovesse Alcina,
il cor che m'avea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.

Conobbi tardi il suo mobil ingegno,
usato amare e disamare a un punto.
Non era stato oltre a duo mesi in regno,
che un novo amante al loco mio fu assunto.
Da sé cacciommi la fata con sdegno,
e da la grazia sua m'ebbe disgiunto:
e seppi poi, che tratti a simil porto
avea mill'altri amanti, e tutti a torto.

E perché essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi là, per lo terren fecondo
li muta, altri in abete, altri in oliva,
altri in palma, altri in cedro, altri secondo
che vedi me su questa verde riva;
altri in liquido fonte, alcuni in fiera,
come più agrada a quella fata altiera.

Or tu che sei per non usata via,
signor, venuto all'isola fatale,
acciò che alcuno amante per te sia
converso in pietra o in onda, o fatto tale;
avrai d'Alcina scettro e signoria,
e sarai lieto sopra ogni mortale:
ma certo sii di giunger tosto al passo
d'entrar o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.

Io te n'ho dato volentieri aviso;
non che io mi creda che debbia giovarte:
pur meglio fia che non vadi improviso,
e de' costumi suoi tu sappia parte;
che forse, come è differente il viso,
è differente ancor l'ingegno e l'arte.
Tu saprai forse riparare al danno,
quel che saputo mill'altri non hanno. -

Ruggier, che conosciuto avea per fama
che Astolfo alla sua donna cugin era,
si dolse assai che in steril pianta e grama
mutato avesse la sembianza vera;
e per amor di quella che tanto ama
(pur che saputo avesse in che maniera)
gli avria fatto servizio: ma aiutarlo
in altro non potea, che in confortarlo.

Lo fe' al meglio che seppe; e domandolli
poi se via c'era, che al regno guidassi
di Logistilla, o per piano o per colli,
sì che per quel d'Alcina non andassi.
Che ben ve n'era un'altra, ritornolli
l'arbore a dir, ma piena d'aspri sassi,
s'andando un poco inanzi alla man destra
salisse il poggio invêr la cima alpestra.

Ma che non pensi già che seguir possa
il suo camin per quella strada troppo:
incontro avrà di gente ardita, grossa
e fiera compagnia, con duro intoppo.
Alcina ve li tien per muro e fossa
a chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringraziò del tutto,
poi da lui si partì dotto ed istrutto.

Venne al cavallo, e lo disciolse e prese
per le redine, e dietro se lo trasse;
né, come fece prima, più l'ascese,
perché mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava come nel paese
di Logistilla a salvamento andasse.
Era disposto e fermo usar ogni opra,
che non gli avesse imperio Alcina sopra.

Pensò di rimontar sul suo cavallo,
e per l'aria spronarlo a nuovo corso:
ma dubitò di far poi maggior fallo;
che troppo mal quel gli ubidiva al morso.
- Io passerò per forza, s'io non fallo, -
dicea tra sé, ma vano era il discorso.
Non fu duo miglia lungi alla marina,
che la bella città vide d'Alcina.

Lontan si vide una muraglia lunga
che gira intorno, e gran paese serra;
e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga,
e d'oro sia da l'alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga,
e dice che ell'è alchimia: e forse che erra;
ed anco forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che sì risplende.

Come fu presso alle sì ricche mura,
che il mondo altre non ha de la lor sorte,
lasciò la strada che per la pianura
ampla e diritta andava alle gran porte;
ed a man destra, a quella più sicura,
che al monte già, piegossi il guerrier forte:
ma tosto ritrovò l'iniqua frotta,
dal cui furor gli fu turbata e rotta.

Non fu veduta mai più strana torma,
più monstruosi volti e peggio fatti:
alcun' dal collo in giù d'uomini han forma,
col viso altri di simie, altri di gatti;
stampano alcun con piè caprigni l'orma;
alcuni son centauri agili ed atti;
son gioveni impudenti e vecchi stolti,
chi nudi e chi di strane pelli involti.

Chi senza freno in s'un destrier galoppa,
chi lento va con l'asino o col bue,
altri salisce ad un centauro in groppa,
struzzoli molti han sotto, aquile e grue;
ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;
chi femina è, chi maschio, e chi amendue;
chi porta uncino e chi scala di corda,
chi pal di ferro e chi una lima sorda.

Di questi il capitano si vedea
aver gonfiato il ventre, e il viso grasso;
il qual su una testuggine sedea,
che con gran tardità mutava il passo.
Avea di qua e di là chi lo reggea,
perché egli era ebro, e tenea il ciglio basso:
altri la fronte gli asciugava e il mento,
altri i panni scuotea per fargli vento.

Un che avea umana forma i piedi e il ventre,
e collo avea di cane, orecchie e testa,
contra Ruggiero abaia, acciò che egli entre
ne la bella città che a dietro resta.
Rispose il cavallier: - Nol farò, mentre
avrà forza la man di regger questa! -
e gli mostra la spada, di cui volta
avea l'aguzza punta alla sua volta.

Quel mostro lui ferir vuol d'una lancia,
ma Ruggier presto se gli aventa addosso:
una stoccata gli trasse alla pancia,
e la fe' un palmo riuscir pel dosso.
Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia,
ma l'inimico stuolo è troppo grosso:
l'un quinci il punge, e l'altro quindi afferra:
egli s'arrosta, e fa lor aspra guerra.

L'un sin a' denti, e l'altro sin al petto
partendo va di quella iniqua razza;
che alla sua spada non s'oppone elmetto,
né scudo, né panziera, né corazza:
ma da tutte le parti è così astretto,
che bisogno saria, per trovar piazza
e tener da sé largo il popul reo,
d'aver più braccia e man che Briareo.

Se di scoprire avesse avuto aviso
lo scudo che già fu del negromante
(io dico quel che abbarbagliava il viso,
quel che all'arcione avea lasciato Atlante),
subito avria quel brutto stuol conquiso
e fattosel cader cieco davante;
e forse ben, che disprezzò quel modo,
perché virtude usar volse, e non frodo.

Sia quel che può, più tosto vuol morire,
che rendersi prigione a sì vil gente.
Eccoti intanto da la porta uscire
del muro, che io dicea d'oro lucente,
due giovani che ai gesti ed al vestire
non eran da stimar nate umilmente,
né da pastor nutrite con disagi,
ma fra delizie di real palagi.

L'una e l'altra sedea s'un liocorno,
candido più che candido armelino;
l'una e l'altra era bella, e di sì adorno
abito, e modo tanto pellegrino,
che a l'uom, guardando e contemplando intorno,
bisognerebbe aver occhio divino
per far di lor giudizio: e tal saria
Beltà, s'avesse corpo, e Leggiadria.

L'una e l'altra n'andò dove nel prato
Ruggiero è oppresso da lo stuol villano.
Tutta la turba si levò da lato;
e quelle al cavallier porser la mano,
che tinto in viso di color rosato,
le donne ringraziò de l'atto umano:
e fu contento, compiacendo loro,
di ritornarsi a quella porta d'oro.

L'adornamento che s'aggira sopra
la bella porta e sporge un poco avante,
parte non ha che tutta non si cuopra
de le più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
grosse colonne d'integro diamante.
O ver o falso che all'occhio risponda,
non è cosa più bella o più gioconda.

Su per la soglia e fuor per le colonne
corron scherzando lascive donzelle,
che, se i rispetti debiti alle donne
servasser più, sarian forse più belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne,
e coronate di frondi novelle.
Queste, con molte offerte e con buon viso,
Ruggier fecero entrar nel paradiso:

che si può ben così nomar quel loco,
ove mi credo che nascesse Amore.
Non vi si sta se non in danza e in giuoco,
e tutte in festa vi si spendon l'ore:
pensier canuto né molto né poco
si può quivi albergare in alcun core:
non entra quivi disagio né inopia,
ma vi sta ognor col corno pien la Copia.

Qui, dove con serena e lieta fronte
par che ognor rida il grazioso aprile,
gioveni e donne son: qual presso a fonte
canta con dolce e dilettoso stile;
qual d'un arbore all'ombra e qual d'un monte
o giuoca o danza o fa cosa non vile;
e qual, lungi dagli altri, a un suo fedele
discuopre l'amorose sue querele.

Per le cime dei pini e degli allori,
degli alti faggi e degli irsuti abeti,
volan scherzando i pargoletti Amori:
di lor vittorie altri godendo lieti,
altri pigliando a saettare i cori,
la mira quindi, altri tendendo reti;
chi tempra dardi ad un ruscel più basso,
e chi gli aguzza ad un volubil sasso.

Quivi a Ruggier un gran corsier fu dato,
forte, gagliardo, e tutto di pel sauro,
che avea il bel guernimento ricamato
di preziose gemme e di fin auro;
e fu lasciato in guardia quello alato,
quel che solea ubidire al vecchio Mauro,
a un giovene che dietro lo menassi
al buon Ruggier, con men frettosi passi.

Quelle due belle giovani amorose
che avean Ruggier da l'empio stuol difeso,
da l'empio stuol che dianzi se gli oppose
su quel camin che avea a man destra preso,
gli dissero: - Signor, le virtuose
opere vostre che già abbiamo inteso,
ne fan sì ardite, che l'aiuto vostro
vi chiederemo a beneficio nostro.

Noi troverem tra via tosto una lama,
che fa due parti di questa pianura.
Una crudel, che Erifilla si chiama,
difende il ponte, e sforza e inganna e fura
chiunque andar ne l'altra ripa brama;
ed ella è gigantessa di statura,
li denti ha lunghi e velenoso il morso,
acute l'ugne, e graffia come un orso.

Oltre che sempre ci turbi il camino,
che libero saria se non fosse ella,
spesso, correndo per tutto il giardino,
va disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate che del populo assassino
che vi assalì fuor de la porta bella,
molti suoi figli son, tutti seguaci,
empi, come ella, inospiti e rapaci. -

Ruggier rispose: - Non che una battaglia,
ma per voi sarò pronto a farne cento:
di mia persona, in tutto quel che vaglia,
fatene voi secondo il vostro intento;
che la cagion che io vesto piastra e maglia,
non è per guadagnar terre né argento,
ma sol per farne beneficio altrui,
tanto più a belle donne come vui. -

Le donne molte grazie riferiro
degne d'un cavallier, come quell'era:
e così ragionando ne veniro
dove videro il ponte e la riviera;
e di smeraldo ornata e di zaffiro
su l'arme d'or, vider la donna altiera.
Ma dir ne l'altro canto differisco,
come Ruggier con lei si pose a risco.





CANTO SETTIMO


Chi va lontan da la sua patria, vede
cose, da quel che già credea, lontane;
che narrandole poi, non se gli crede,
e stimato bugiardo ne rimane:
che il sciocco vulgo non gli vuol dar fede,
se non le vede e tocca chiare e piane.
Per questo io so che l'inesperienza
farà al mio canto dar poca credenza.

Poca o molta che io ci abbia, non bisogna
che io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro.
A voi so ben che non parrà menzogna,
che il lume del discorso avete chiaro;
ed a voi soli ogni mio intento agogna
che il frutto sia di mie fatiche caro.
Io vi lasciai che il ponte e la riviera
vider, che'n guardia avea Erifilla altiera.

Quell'era armata del più fin metallo,
che avean di piu color gemme distinto:
rubin vermiglio, crisolito giallo,
verde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo;
invece avea di quello un lupo spinto:
spinto avea un lupo ove si passa il fiume,
con ricca sella fuor d'ogni costume.

Non credo che un sì grande Apulia n'abbia:
egli era grosso ed alto più d'un bue.
Con fren spumar non gli facea le labbia,
né so come lo regga a voglie sue.
La sopravesta di color di sabbia
su l'arme avea la maledetta lue:
era, fuor che il color, di quella sorte
che i vescovi e i prelati usano in corte.

Ed avea ne lo scudo e sul cimiero
una gonfiata e velenosa botta.
Le donne la mostraro al cavalliero,
di qua dal ponte per giostrar ridotta,
e fargli scorno e rompergli il sentiero,
come ad alcuni usata era talotta.
Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida:
quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.

Non men la gigantessa ardita e presta
sprona il gran lupo e ne l'arcion si serra,
e pon la lancia a mezzo il corso in resta,
e fa tremar nel suo venir la terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta;
che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
e de l'arcion con tal furor la caccia,
che la riporta indietro oltra sei braccia.

E già, tratta la spada che avea cinta,
venìa a levarne la testa superba:
e ben lo potea far, che come estinta
Erifilla giacea tra' fiori e l'erba.
Ma le donne gridar: - Basti sia vinta,
senza pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon, cortese cavallier, la spada;
passiamo il ponte e seguitian la strada. -

Alquanto malagevole ed aspretta
per mezzo un bosco presero la via,
che oltra che sassosa fosse e stretta,
quasi su dritta alla collina gìa.
Ma poi che furo ascesi in su la vetta,
usciro in spaziosa prateria,
dove il più bel palazzo e il più giocondo
vider, che mai fosse veduto al mondo.

La bella Alcina venne un pezzo inante,
verso Ruggier fuor de le prime porte,
e lo raccolse in signoril sembiante,
in mezzo bella ed onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore e tante
riverenze fur fatte al guerrier forte,
che non potrian far più, se tra loro
fosse Dio sceso dal superno coro.

Non tanto il bel palazzo era eccellente,
perché vincesse ogn'altro di ricchezza,
quanto che avea la più piacevol gente
che fosse al mondo e di più gentilezza.
Poco era l'un da l'altro differente
e di fiorita etade e di bellezza:
sola di tutti Alcina era più bella,
sì come è bello il sol più d'ogni stella.

Di persona era tanto ben formata,
quanto me' finger san pittori industri;
con bionda chioma lunga ed annodata:
oro non è che più risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
misto color di rose e di ligustri;
di terso avorio era la fronte lieta,
che lo spazio finia con giusta meta.

Sotto duo negri e sottilissimi archi
son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
pietosi a riguardare, a mover parchi;
intorno cui par che Amor scherzi e voli,
e che indi tutta la faretra scarchi
e che visibilmente i cori involi:
quindi il naso per mezzo il viso scende,
che non truova l'invidia ove l'emende.

Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
la bocca sparsa di natio cinabro;
quivi due filze son di perle elette,
che chiude ed apre un bello e dolce labro:
quindi escon le cortesi parolette
da render molle ogni cor rozzo e scabro;
quivi si forma quel suave riso,
che apre a sua posta in terra il paradiso.

Bianca nieve è il bel collo, e il petto latte;
il collo è tondo, il petto colmo e largo:
due pome acerbe, e pur d'avorio fatte,
vengono e van come onda al primo margo,
quando piacevole aura il mar combatte.
Non potria l'altre parti veder Argo:
ben si può giudicar che corrisponde
a quel che appar di fuor quel che s'asconde.

Mostran le braccia sua misura giusta;
e la candida man spesso si vede
lunghetta alquanto e di larghezza angusta,
dove né nodo appar, né vena eccede.
Si vede al fin de la persona augusta
il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
non si ponno celar sotto alcun velo.

Avea in ogni sua parte un laccio teso,
o parli o rida o canti o passo muova:
né maraviglia è se Ruggier n'è preso,
poi che tanto benigna se la truova.
Quel che di lei già avea dal mirto inteso,
com'è perfida e ria, poco gli giova;
che inganno o tradimento non gli è aviso
che possa star con sì soave riso.

Anzi pur creder vuol che da costei
fosse converso Astolfo in su l'arena
per li suoi portamenti ingrati e rei,
e sia degno di questa e di più pena:
e tutto quel che udito avea di lei,
stima esser falso; e che vendetta mena,
e mena astio ed invidia quel dolente
a lei biasmare, e che del tutto mente.

La bella donna che cotanto amava,
novellamente gli è dal cor partita;
che per incanto Alcina gli lo lava
d'ogni antica amorosa sua ferita;
e di sé sola e del suo amor lo grava,
e in quello essa riman sola sculpita:
sì che scusar il buon Ruggier si deve,
se si mostrò quivi incostante e lieve.

A quella mensa citare, arpe e lire,
e diversi altri dilettevol suoni
faceano intorno l'aria tintinire
d'armonia dolce e di concenti buoni.
Non vi mancava chie, cantando, dire
d'amor sapesse gaudi e passioni,
o con invenzioni e poesie
rappresentasse grate fantasie.

Qual mensa trionfante e suntuosa
di qualsivoglia successor di Nino,
o qual mai tanto celebre e famosa
di Cleopatra al vincitor latino,
potria a questa esser par, che l'amorosa
fata avea posta inanzi al paladino?
Tal non cred'io che s'apparecchi dove
ministra Ganimede al sommo Giove.

Tolte che fur le mense e le vivande,
facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto:
che ne l'orecchio l'un l'altro domande,
come più piace lor, qualche secreto;
il che agli amanti fu commodo grande
di scoprir l'amor lor senza divieto:
e furon lor conclusioni estreme
di ritrovarsi quella notte insieme.

Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi
che non solea là dentro esser costume:
con torchi allora i paggi entrati inanzi,
le tenebre cacciar con molto lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi
andò Ruggiero a ritrovar le piume
in una adorna e fresca cameretta,
per la miglior di tutte l'altre eletta.

E poi che di confetti e di buon vini
di nuovo fatti fur debiti inviti,
e partir gli altri riverenti e chini,
ed alle stanze lor tutti sono iti;
Ruggiero entrò ne' profumati lini
che pareano di man d'Aracne usciti,
tenendo tuttavia l'orecchie attente,
s'ancora venir la bella donna sente.

Ad ogni piccol moto che egli udiva,
sperando che fosse ella, il capo alzava:
sentir credeasi, e spesso non sentiva;
poi del suo errore accorto sospirava.
Talvolta uscia del letto e l'uscio apriva,
guatava fuori, e nulla vi trovava:
e maledì ben mille volte l'ora
che facea al trapassar tanta dimora.

Tra sé dicea sovente: - Or si parte ella; -
e cominciava a noverare i passi
che esser potean da la sua stanza a quella
donde aspettando sta che Alcina passi;
e questi ed altri, prima che la bella
donna vi sia, vani disegni fassi.
Teme di qualche impedimento spesso,
che tra il frutto e la man non gli sia messo.

Alcina, poi che a' preziosi odori
dopo gran spazio pose alcuna meta,
venuto il tempo che più non dimori,
ormai che in casa era ogni cosa cheta,
de la camera sua sola uscì fuori;
e tacita n'andò per via secreta
dove a Ruggiero avean timore e speme
gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.

Come si vide il successor d'Astolfo
sopra apparir quelle ridenti stelle,
come abbia ne le vene acceso zolfo,
non par che capir possa ne la pelle.
Or sino agli occhi ben nuota nel golfo
de le delizie e de le cose belle:
salta del letto, e in braccio la raccoglie,
né può tanto aspettar che ella si spoglie;

ben che né gonna né faldiglia avesse;
che venne avolta in un leggier zendado
che sopra una camicia ella si messe,
bianca e suttil nel più eccellente grado.
Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse
il manto: e restò il vel suttile e rado,
che non copria dinanzi né di dietro,
più che le rose o i gigli un chiaro vetro.

Non così strettamente edera preme
pianta ove intorno abbarbicata s'abbia,
come si stringon li dui amanti insieme,
cogliendo de lo spirto in su le labbia
suave fior, qual non produce seme
indo o sabeo ne l'odorata sabbia.
Del gran piacer che avean, lor dicer tocca;
che spesso avean più d'una lingua in bocca.

Queste cose là dentro eran secrete,
o se pur non secrete, almen taciute;
che raro fu tener le labra chete
biasmo ad alcun, ma ben spesso virtute.
Tutte proferte ed accoglienze liete
fanno a Ruggier quelle persone astute:
ognun lo reverisce e se gli inchina;
che così vuol l'innamorata Alcina.

Non è diletto alcun che di fuor reste;
che tutti son ne l'amorosa stanza.
E due e tre volte il dì mutano veste,
fatte or ad una ora ad un'altra usanza.
Spesso in conviti, e sempre stanno in feste,
in giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza:
or presso ai fonti, all'ombre de' poggetti,
leggon d'antiqui gli amorosi detti;

or per l'ombrose valli e lieti colli
vanno cacciando le paurose lepri;
or con sagaci cani i fagian folli
con strepito uscir fan di stoppie e vepri;
or a' tordi lacciuoli, or veschi molli
tendon tra gli odoriferi ginepri;
or con ami inescati ed or con reti
turban a' pesci i grati lor secreti.

Stava Ruggiero in tanta gioia e festa,
mentre Carlo in travaglio ed Agramante,
di cui l'istoria io non vorrei per questa
porre in oblio, né lasciar Bradamante,
che con travaglio e con pena molesta
pianse più giorni il disiato amante,
che avea per strade disusate e nuove
veduto portar via, né sapea dove.

Di costei prima che degli altri dico,
che molti giorni andò cercando invano
pei boschi ombrosi e per lo campo aprico,
per ville, per città, per monte e piano;
né mai potè saper del caro amico,
che di tanto intervallo era lontano.
Ne l'oste saracin spesso venìa,
né mai del suo Ruggier ritrovò spia.

Ogni dì ne domanda a più di cento,
né alcun le ne sa mai render ragioni.
D'alloggiamento va in alloggiamento,
cercandone e trabacche e padiglioni:
e lo può far; che senza impedimento
passa tra cavallieri e tra pedoni,
mercè all'annel che fuor d'ogni uman uso
la fa sparir quando l'è in bocca chiuso.

Né può né creder vuol che morto sia;
perché di sì grande uom l'alta ruina
da l'onde idaspe udita si saria
fin dove il sole a riposar declina.
Non sa né dir né imaginar che via
far possa o in cielo o in terra; e pur meschina
lo va cercando, e per compagni mena
sospiri e pianti ed ogni acerba pena.

Pensò al fin di tornare alla spelonca
dove eran l'ossa di Merlin profeta,
e gridar tanto intorno a quella conca,
che il freddo marmo si movesse a pieta;
che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca
l'alta necessità la vita lieta,
si sapria quindi: e poi s'appiglierebbe
a quel miglior consiglio che n'avrebbe.

Con questa intenzion prese il camino
verso le selve prossime a Pontiero,
dove la vocal tomba di Merlino
era nascosa in loco alpestro e fiero.
Ma quella maga che sempre vicino
tenuto a Bradamante avea il pensiero,
quella, dico io, che ne la bella grotta
l'avea de la sua stirpe istrutta e dotta;

quella benigna e saggia incantatrice,
la quale ha sempre cura di costei,
sappiendo che esser de' progenitrice
d'uomini invitti, anzi di semidei;
ciascun dì vuol sapere che fa, che dice,
e getta ciascun dì sorte per lei.
Di Ruggier liberato e poi perduto,
e dove in India andò, tutto ha saputo.

Ben veduto l'avea su quel cavallo
che regger non potea, che era sfrenato,
scostarsi di lunghissimo intervallo
per sentier periglioso e non usato;
e ben sapea che stava in giuoco e in ballo
e in cibo e in ozio molle e delicato,
né più memoria avea del suo signore,
né de la donna sua, né del suo onore.

E così il fior de li begli anni suoi
in lunga inerzia aver potria consunto
sì gentil cavallier, per dover poi
perdere il corpo e l'anima in un punto;
e quel odor che sol riman di noi,
poscia che il resto fragile è defunto,
che tra' l'uom del sepulcro e in vita il serba,
gli saria stato o tronco o svelto in erba.

Ma quella gentil maga, che più cura
n'avea che egli medesmo di se stesso,
pensò di trarlo per via alpestre e dura
alla vera virtù, mal grado d'esso:
come eccellente medico, che cura
con ferro e fuoco e con veneno spesso,
che se ben molto da principio offende,
poi giova al fine, e grazia se gli rende.

Ella non gli era facile, e talmente
fattane cieca di superchio amore,
che, come facea Atlante, solamente
a darli vita avesse posto il core.
Quel piu tosto volea che lungamente
vivesse e senza fama e senza onore,
che, con tutta la laude che sia al mondo,
mancasse un anno al suo viver giocondo.

L'avea mandato all'isola d'Alcina,
perché obliasse l'arme in quella corte;
e come mago di somma dottrina,
che usar sapea gli incanti d'ogni sorte,
avea il cor stretto di quella regina
ne l'amor d'esso d'un laccio sì forte,
che non se ne era mai per poter sciorre,
s'invecchiasse Ruggier più di Nestorre.

Or tornando a colei, che era presaga
di quanto de' avvenir, dico che tenne
la dritta via dove l'errante e vaga
figlia d'Amon seco a incontrar si venne.
Bradamante vedendo la sua maga,
muta la pena che prima sostenne,
tutta in speranza; e quella l'apre il vero:
che ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.

La giovane riman presso che morta,
quando ode che il suo amante è così lunge;
e più, che nel suo amor periglio porta,
se gran rimedio e subito non giunge:
ma la benigna maga la conforta,
e presta pon l'impiastro ove il duol punge,
e le promette e giura, in pochi giorni
far che Ruggiero a riveder lei torni.

- Da che, donna (dicea), l'annello hai teco,
che val contra ogni magico fattura,
io non ho dubbio alcun, che s'io l'arreco
là dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
che io non le rompa il suo disegno, e meco
non ti rimeni la tua dolce cura.
Me n'andrò questa sera alla prim'ora,
e sarò in India al nascer de l'aurora.

E seguitando, del modo narrolle
che disegnato avea d'adoperarlo,
per trar del regno effeminato e molle
il caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante l'annel del dito tolle;
né solamente avria voluto darlo,
ma dato il core e dato avria la vita,
pur che n'avesse il suo Ruggiero aita.

Le dà l'annello e se le raccomanda;
e più le raccomanda il suo Ruggiero,
a cui per lei mille saluti manda:
poi prese vêr Provenza altro sentiero.
Andò l'incantatrice a un'altra banda;
e per porre in effetto il suo pensiero,
un palafren fece apparir la sera,
che avea un piè rosso, e ogn'altra parte nera.

Credo fosse un Alchino o un Farfarello,
che da l'Inferno in quella forma trasse;
e scinta e scalza montò sopra a quello,
a chiome sciolte e orribilmente passe:
ma ben di dito si levò l'annello,
perché gli incanti suoi non le vietasse.
Poi con tal fretta andò, che la matina
si ritrovò ne l'isola d'Alcina.

Quivi mirabilmente transmutosse:
s'accrebbe più d'un palmo di statura,
e fe' le membra a proporzion più grosse;
e restò a punto di quella misura
che si pensò che il negromante fosse,
quel che nutrì Ruggier con sì gran cura.
Vestì di lunga barba le mascelle,
e fe' crespa la fronte e l'altra pelle.

Di faccia, di parole e di sembiante
sì lo seppe imitar, che totalmente
potea parer l'incantator Atlante.
Poi si nascose, e tanto pose mente,
che da Ruggiero allontanar l'amante
Alcina vide un giorno finalmente:
e fu gran sorte; che di stare o d'ire
senza esso un'ora potea mal patire.

Soletto lo trovò, come lo volle,
che si godea il matin fresco e sereno
lungo un bel rio che discorrea d'un colle
verso un laghetto limpido ed ameno.
Il suo vestir delizioso e molle
tutto era d'ozio e di lascivia pieno,
che de sua man gli avea di seta e d'oro
tessuto Alcina con sottil lavoro.

Di ricche gemme un splendido monile
gli discendea dal collo in mezzo il petto;
e ne l'uno e ne l'altro già virile
braccio girava un lucido cerchietto.
Gli avea forato un fil d'oro sottile
ambe l'orecchie, in forma d'annelletto;
e due gran perle pendevano quindi,
qua' mai non ebbon gli Arabi né gli Indi.

Umide avea l'innanellate chiome
de' più suavi odor che sieno in prezzo:
tutto ne' gesti era amoroso, come
fosse in Valenza a servir donne avezzo:
non era in lui di sano altro che il nome;
corrotto tutto il resto, e più che mézzo.
Così Ruggier fu ritrovato, tanto
da l'esser suo mutato per incanto.

Ne la forma d'Atlante se gli affaccia
colei, che la sembianza ne tenea,
con quella grave e venerabil faccia
che Ruggier sempre riverir solea,
con quello occhio pien d'ira e di minaccia,
che sì temuto già fanciullo avea;
dicendo: - È questo dunque il frutto che io
lungamente atteso ho del sudor mio?

Di medolle già d'orsi e di leoni
ti porsi io dunque li primi alimenti;
t'ho per caverne ed orridi burroni
fanciullo avezzo a strangolar serpenti,
pantere e tigri disarmar d'ungioni
ed a vivi cingial trar spesso i denti,
acciò che, dopo tanta disciplina,
tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?

È questo, quel che l'osservate stelle,
le sacre fibre e gli accoppiati punti,
responsi, auguri, sogni e tutte quelle
sorti, ove ho troppo i miei studi consunti,
di te promesso sin da le mammelle
m'avean, come quest'anni fusser giunti:
che in arme l'opre tue così preclare
esser dovean, che sarian senza pare?

Questo è ben veramente alto principio
onde si può sperar che tu sia presto
a farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio!
Chi potea, ohimè! di te mai creder questo,
che ti facessi d'Alcina mancipio?
E perché ognun lo veggia manifesto,
al collo ed alle braccia hai la catena
con che ella a voglia sua preso ti mena.

Se non ti muovon le tue proprie laudi,
e l'opre e scelse a chi t'ha il cielo eletto,
la tua succession perché defraudi
del ben che mille volte io t'ho predetto?
deh, perché il ventre eternamente claudi,
dove il ciel vuol che sia per te concetto
la gloriosa e soprumana prole
che esser de' al mondo più chiara che il sole?

Deh non vietar che le più nobil alme,
che sian formate ne l'eterne idee,
di tempo in tempo abbian corporee salme
dal ceppo che radice in te aver dee!
Deh non vietar mille trionfi e palme,
con che, dopo aspri danni e piaghe ree,
tuoi figli, tuoi nipoti e successori
Italia torneran nei primi onori!

Non che a piegarti a questo tante e tante
anime belle aver dovesson pondo,
che chiare, illustri, inclite, invitte e sante
son per fiorir da l'arbor tuo fecondo;
ma ti dovria un coppia esser bastante:
Ippolito e il fratel; che pochi il mondo
ha tali avuti ancor fin al dì d'oggi,
per tutti i gradi onde a virtù si poggi.

Io solea più di questi dui narrarti,
che io non facea di tutti gli altri insieme;
sì perché essi terran le maggior parti,
che gli altri tuoi, ne le virtù supreme;
sì perché al dir di lor mi vedea darti
più attenzion, che d'altri del tuo seme:
vedea goderti che sì chiari eroi
esser dovessen dei nipoti tuoi.

Che ha costei che t'hai fatto regina,
che non abbian mill'altre meretrici?
costei che di tant'altri è concubina,
che al fin sai ben s'ella suol far felici.
Ma perché tu conosca chi sia Alcina,
levatone le fraudi e gli artifici,
tien questo annello in dito, e torna ad ella,
che aveder ti potrai come sia bella. -

Ruggier si stava vergognoso e muto
mirando in terra, e mal sapea che dire;
a cui la maga nel dito minuto
pose l'annello, e lo fe' risentire.
Come Ruggiero in sé fu rivenuto,
di tanto scorno si vide assalire,
che esser vorria sotterra mille braccia,
che alcun veder non lo potesse in faccia.

Ne la sua prima forma in uno istante,
così parlando, la maga rivenne;
né bisognava più quella d'Atlante,
seguitone l'effetto per che venne.
Per dirvi quel che io non vi dissi inante,
costei Melissa nominata venne,
che or diè a Ruggier di sé notizia vera,
e dissegli a che effetto venuta era;

mandata da colei, che d'amor piena
sempre il disia, né più può starne senza,
per liberarlo da quella catena
di che lo cinse magica violenza:
e preso avea d'Atlante di Carena
la forma, per trovar meglio credenza.
Ma poi che a sanità l'ha ormai ridutto,
gli vuole aprire e far che veggia il tutto.

- Quella donna gentil che t'ama tanto,
quella che del tuo amor degna sarebbe,
a cui, se non ti scorda, tu sai quanto
tua libertà, da lei servata, debbe;
questo annel che ripara ad ogni incanto,
ti manda: e così il cor mandato avrebbe,
s'avesse avuto il cor così virtute,
come l'annello, atta alla tua salute. -

E seguitò narrandogli l'amore
che Bradamante gli ha portato e porta;
di questa insieme comendò il valore,
in quanto il vero e l'affezion comporta;
ed usò modo e termine migliore
che si convenga a messaggera accorta:
ed in quel odio Alcina a Ruggier pose,
in che soglionsi aver l'orribil cose.

In odio gli la pose, ancor che tanto
l'amasse dianzi: e non vi paia strano,
quando il suo amor per forza era d'incanto,
che essendovi l'annel, rimase vano.
Fece l'annel palese ancor, che quanto
di beltà Alcina avea, tutto era estrano:
estrano avea, e non suo, dal piè alla treccia;
il bel ne sparve, e le restò la feccia.

Come fanciullo che maturo frutto
ripone, e poi si scorda ove è riposto,
e dopo molti giorni è ricondutto
là dove truova a caso il suo deposto,
si maraviglia di vederlo tutto
putrido e guasto, e non come fu posto;
e dove amarlo e caro aver solia,
l'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:

così Ruggier, poi che Melissa fece
che a riveder se ne tornò la fata
con quell'annello inanzi a cui non lece,
quando s'ha in dito, usare opra incantata,
ritruova, contra ogni sua stima, invece
de la bella, che dianzi avea lasciata,
donna sì laida, che la terra tutta
né la più vecchia avea né la più brutta.

Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il crin raro e canuto,
sua statura a sei palmi non giungea:
ogni dente di bocca era caduto;
che più d'Ecuba e più de la Cumea,
ed avea più d'ogn'altra mai vivuto.
Ma sì l'arti usa al nostro tempo ignote,
che bella e giovanetta parer puote.

Giovane e bella ella si fa con arte,
si che molti ingannò come Ruggiero;
ma l'annel venne a interpretar le carte
che già molti anni avean celato il vero.
Miracol non è dunque, se si parte
de l'animo a Ruggier ogni pensiero
che avea d'amare Alcina, or che la truova
in guisa, che sua fraude non le giova.

Ma come l'avisò Melissa, stette
senza mutare il solito sembiante,
fin che l'arme sue, più dì neglette,
si fu vestito dal capo alle piante;
e per non farle ad Alcina suspette,
finse provar s'in esse era aiutante,
finse provar se gli era fatto grosso,
dopo alcun dì che non l'ha avute indosso.

E Balisarda poi si messe al fianco
(che così nome la sua spada avea);
e lo scudo mirabile tolse anco,
che non pur gli occhi abbarbagliar solea,
ma l'anima facea sì venir manco,
che dal corpo esalata esser parea.
Lo tolse, e col zendado in che trovollo,
che tutto lo copria, sel messe al collo.

Venne alla stalla, e fece briglia e sella
porre a un destrier più che la pece nero:
così Melissa l'avea istrutto; che ella
sapea quanto nel corso era leggiero.
Chi lo conosce, Rabican l'appella;
ed è quel proprio che col cavalliero
del quale i venti or presso al mar fan gioco,
portò già la balena in questo loco.

Potea aver l'ippogrifo similmente,
che presso a Rabicano era legato;
ma gli avea detto la maga: - Abbi mente,
che egli è (come tu sai) troppo sfrenato. -
E gli diede intenzion che il dì seguente
gli lo trarrebbe fuor di quello stato,
là dove ad agio poi sarebbe istrutto
come frenarlo e farlo gir per tutto.

Né sospetto darà, se non lo tolle,
de la tacita fuga che apparecchia.
Fece Ruggier come Melissa volle,
che invisibile ognor gli era all'orecchia.
Così fingendo, del lascivo e molle
palazzo uscì de la puttana vecchia;
e si venne accostando ad una porta,
donde è la via che a Logistilla il porta.

Assaltò li guardiani all'improviso,
e si cacciò tra lor col ferro in mano,
e qual lasciò ferito, e quale ucciso;
e corse fuor del ponte a mano a mano:
e prima che n'avesse Alcina aviso,
di molto spazio fu Ruggier lontano.
Dirò ne l'altro canto che via tenne;
poi come a Logistilla se ne venne.





CANTO OTTAVO


Oh quante sono incantatrici, oh quanti
incantator tra noi, che non si sanno!
che con lor arti uomini e donne amanti
di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non con spirti costretti tali incanti,
né con osservazion di stelle fanno;
ma con simulazion, menzogne e frodi
legano i cor d'indissolubil nodi.

Chi l'annello d'Angelica, o piu tosto
chi avesse quel de la ragion, potria
veder a tutti il viso, che nascosto
da finzione e d'arte non saria.
Tal ci par bello e buono, che, deposto
il liscio, brutto e rio forse parria.
Fu gran ventura quella di Ruggiero,
che ebbe l'annel che gli scoperse il vero.

Ruggier (come io dicea) dissimulando,
su Rabican venne alla porta armato:
trovò le guardie sprovedute, e quando
giunse tra lor, non tenne il brando a lato.
Chi morto e chi a mal termine lasciando,
esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:
prende al bosco la via; ma poco corre,
che ad un de' servi de la fata occorre.

Il servo in pugno avea un augel grifagno
che volar con piacer facea ogni giorno,
ora a campagna, ora a un vicino stagno,
dove era sempre da far preda intorno:
avea da lato il can fido compagno:
cavalcava un ronzin non troppo adorno.
Ben pensò che Ruggier dovea fuggire,
quando lo vide in tal fretta venire.

Se gli fe' incontra, e con sembiante altiero
gli domandò perché in tal fretta gisse.
Risponder non gli volse il buon Ruggiero:
perciò colui, più certo che fuggisse,
di volerlo arrestar fece pensiero;
e distendendo il braccio manco, disse:
- Che dirai tu, se subito ti fermo?
se contra questo augel non avrai schermo? -

Spinge l'augello: e quel batte sì l'ale,
che non l'avanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giù sale,
e tutto a un tempo gli ha levato il morso.
Quel par da l'arco uno aventato strale,
di calci formidabile e di morso;
e il servo dietro sì veloce viene,
che par che il vento, anzi che il fuoco il mene.

Non vuol parere il can d'esser più tardo;
ma segue Rabican con quella fretta
con che le lepri suol seguire il pardo.
Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a quel che vien sì a piè gagliardo;
né gli vede arme, fuor che una bacchetta,
quella con che ubidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.

Quel se gli appressa, e forte lo percuote:
lo morde a un tempo il can nel piede manco.
Lo sfrenato destrier la groppa scuote
tre volte e più, né falla il destro fianco.
Gira l'augello e gli fa mille ruote,
e con l'ugna sovente il ferisce anco:
sì il destrier collo strido impaurisce,
che alla mano e allo spron poco ubidisce.

Ruggiero, al fin costretto, il ferro caccia:
e perché tal molestia se ne vada,
or gli animali, or quel villan minaccia
col taglio e con la punta de la spada.
Quella importuna turba più l'impaccia:
presa ha chi qua chi là tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno
che gli avverrà, se più tardar lo fanno.

Sa che ogni poco più che ivi rimane,
Alcina avrà col populo alle spalle:
di trombe, di tamburi e di campane
già s'ode alto rumore in ogni valle.
Contra un servo senza arme e contra un cane
gli par che a usar la spada troppo falle:
meglio e più breve è dunque che gli scopra
lo scudo che d'Atlante era stato opra.

Levò il drappo vermiglio in che coperto
già molti giorni lo scudo si tenne.
Fece l'effetto mille volte esperto
il lume, ove a ferir negli occhi venne:
resta dai sensi il cacciator deserto,
cade il cane e il ronzin, cadon le penne,
che in aria sostener l'augel non ponno.
Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.

Alcina, che avea intanto avuto aviso
di Ruggier, che sforzato avea la porta,
e de la guardia buon numero ucciso,
fu, vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi i panni e si percosse il viso,
e sciocca nominossi e malaccorta;
e fece dar all'arme immantinente,
e intorno a sé raccor tutta sua gente.

E poi ne fa due parti, e manda l'una
per quella strada ove Ruggier camina;
al porto l'altra subito raguna,
imbarca, ed uscir fa ne la marina:
sotto le vele aperte il mar s'imbruna.
Con questi va la disperata Alcina,
che il desiderio di Ruggier sì rode,
che lascia sua città senza custode.

Non lascia alcuno a guardia del palagio:
il che a Melissa che stava alla posta
per liberar di quel regno malvagio
la gente che in miseria v'era posta,
diede commodità, diede grande agio
di gir cercando ogni cosa a sua posta,
imagini abbruciar, suggelli torre,
e nodi e rombi e turbini disciorre.

Indi pei campi accelerando i passi,
gli antiqui amanti, che erano in gran torma
conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,
fe' ritornar ne la lor prima forma.
E quei, poi che allargati furo i passi,
tutti del buon Ruggier seguiron l'orma:
a Logistilla si salvaro; ed indi
tornaro a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.

Li rimandò Melissa in lor paesi,
con obligo di mai non esser sciolto.
Fu inanzi agli altri il duca degli Inglesi
ad esser ritornato in uman volto;
che il parentado in questo e li cortesi
prieghi del buon Ruggier gli giovar molto:
oltre i prieghi, Ruggier le diè l'annello,
acciò meglio potesse aiutar quello.

A' prieghi dunque di Ruggier, rifatto
fu il paladin ne la sua prima faccia.
Nulla pare a Melissa d'aver fatto,
quando ricovrar l'arme non gli faccia,
e quella lancia d'or, che al primo tratto
quanti ne tocca de la sella caccia:
de l'Argalia, poi fu d'Astolfo lancia,
e molto onor fe' all'uno e a l'altro in Francia.

Trovò Melissa questa lancia d'oro,
che Alcina avea reposta nel palagio,
e tutte l'arme che del duca foro,
e gli fur tolte ne l'ostel malvagio.
Montò il destrier del negromante moro,
e fe' montar Astolfo in groppa ad agio;
e quindi a Logistilla si condusse
d'un'ora prima che Ruggier vi fusse.

Tra duri sassi e folte spine gìa
Ruggiero intanto invêr la fata saggia,
di balzo in balzo, e d'una in altra via
aspra, solinga, inospita e selvaggia;
tanto che a gran fatica riuscia
su la fervida nona in una spiaggia
tra il mare e il monte, al mezzodì scoperta,
arsiccia, nuda, sterile e deserta.

Percuote il sole ardente il vicin colle;
e del calor che si riflette a dietro,
in modo l'aria e l'arena ne bolle,
che saria troppo a far liquido il vetro.
Stassi cheto ogni augello all'ombra molle:
sol la cicala col noioso metro
fra i densi rami del fronzuto stelo
le valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.

Quivi il caldo, la sete, e la fatica
che era di gir per quella via arenosa,
facean, lungo la spiaggia erma ed aprica,
a Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma perché non convien che sempre io dica,
né che io vi occupi sempre in una cosa,
io lascerò Ruggiero in questo caldo,
e girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.

Era Rinaldo molto ben veduto
dal re, da la figliuola e dal paese.
Poi la cagion che quivi era venuto,
più ad agio il paladin fece palese:
che in nome del suo re chiedeva aiuto
e dal regno di Scozia e da l'Inglese;
ed ai preghi soggiunse anco di Carlo,
giustissime cagion di dover farlo.

Dal re, senza indugiar, gli fu risposto,
che di quanto sua forza s'estendea,
per utile ed onor sempre disposto
di Carlo e de l'Imperio esser volea;
e che fra pochi dì gli avrebbe posto
più cavallieri in punto che potea;
e se non che esso era oggimai pur vecchio,
capitano verria del suo apparecchio.

Né tal rispetto ancor gli parria degno
di farlo rimaner, se non avesse
il figlio, che di forza, e più d'ingegno,
dignissimo era a chiil governo desse,
ben che non si trovasse allor nel regno;
ma che sperava che venir dovesse
mentre che insieme aduneria lo stuolo;
e che adunato il troveria il figliuolo.

Così mandò per tutta la sua terra
suoi tesorieri a far cavalli e gente;
navi apparecchia e munizion da guerra,
vettovaglia e danar maturamente.
Venne intanto Rinaldo in Inghilterra,
e il re nel suo partir cortesemente
insino a Beroicche accompagnollo;
e visto pianger fu quando lasciollo.

Spirando il vento prospero alla poppa,
monta Rinaldo, ed a Dio dice a tutti:
la fune indi al viaggio il nocchier sgroppa;
tanto che giunge ove nei salsi flutti
il bel Tamigi amareggiando intoppa.
Col gran flusso del mar quindi condutti
i naviganti per camin sicuro
a vela e remi insino a Londra furo.

Rinaldo avea da Carlo e dal re Otone,
che con Carlo in Parigi era assediato,
al principe di Vallia commissione
per contrasegni e lettere portato,
che ciò che potea far la regione
di fanti e di cavalli in ogni lato,
tutto debba a Calesio traghittarlo,
sì che aiutar si possa Francia e Carlo.

Il principe che io dico, che era, in vece
d'Oton, rimaso nel seggio reale,
a Rinaldo d'Amon tanto onor fece,
che non l'avrebbe al suo re fatto uguale:
indi alle sue domande satisfece;
perché a tutta la gente marziale
e di Bretagna e de l'isole intorno
di ritrovarsi al mar prefisse il giorno.

Signor, far mi convien come fa il buono
sonator sopra il suo istrumento arguto,
che spesso muta corda, e varia suono,
ricercando ora il grave, ora l'acuto.
Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
d'Angelica gentil m'è sovenuto,
di che lasciai che era da lui fuggita,
e che avea riscontrato uno eremita.

Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
Dissi che domandava con gran cura,
come potesse alla marina gire;
che di Rinaldo avea tanta paura,
che, non passando il mar, credea morire,
né in tutta Europa si tenea sicura:
ma l'eremita a bada la tenea,
perché di star con lei piacere avea.

Quella rara bellezza il cor gli accese,
e gli scaldò le frigide medolle:
ma poi che vide che poco gli attese,
e che oltra soggiornar seco non volle,
di cento punte l'asinello offese;
né di sua tardità però lo tolle:
e poco va di passo e men di trotto,
né stender gli si vuol la bestia sotto.

E perché molto dilungata s'era,
e poco più, n'avria perduta l'orma,
ricorse il frate alla spelonca nera,
e di demoni uscir fece una torma:
e ne sceglie uno di tutta la schiera,
e del bisogno suo prima l'informa;
poi lo fa entrare adosso al corridore,
che via gli porta con la donna il core.

E qual sagace can, nel monte usato
a volpi o lepri dar spesso la caccia,
che se la fera andar vede da un lato,
ne va da un altro, e par sprezzi la traccia;
al varco poi lo sentono arrivato,
che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:
tal l'eremita per diversa strada
aggiugnerà la donna ovunque vada.

Che sia il disegno suo, ben io comprendo:
e dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di ciò nulla temendo,
cavalcava a giornate, or molto or poco.
Nel cavallo il demon si gìa coprendo,
come si cuopre alcuna volta il fuoco,
che con sì grave incendio poscia avampa,
che non si estingue, e a pena se ne scampa.

Poi che la donna preso ebbe il sentiero
dietro il gran mar che li Guasconi lava,
tenendo appresso all'onde il suo destriero,
dove l'umor la via più ferma dava;
quel le fu tratto dal demonio fiero
ne l'acqua sì, che dentro vi nuotava.
Non sa che far la timida donzella,
se non tenersi ferma in su la sella.

Per tirar briglia, non gli può dar volta:
più e più sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la vesta in su raccolta
per non bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per le spalle la chioma iva disciolta,
e l'aura le facea lascivo assalto.
Stavano cheti tutti i maggior venti,
forse a tanta beltà, col mare, attenti.

Ella volgea i begli occhi a terra invano,
che bagnavan di pianto il viso e il seno,
e vedea il lito andar sempre lontano
e decrescer più sempre e venir meno.
Il destrier, che nuotava a destra mano,
dopo un gran giro la portò al terreno
tra scuri sassi e spaventose grotte,
già cominciando ad oscurar la notte.

Quando si vide sola in quel deserto,
che a riguardarlo sol, mettea paura,
ne l'ora che nel mar Febo coperto
l'aria e la terra avea lasciata oscura,
fermossi in atto che avria fatto incerto
chiunque avesse vista sua figura,
s'ella era donna sensitiva e vera,
o sasso colorito in tal maniera.

Stupida e fissa ne la incerta sabbia,
coi capelli disciolti e rabuffati,
con le man giunte e con l'immote labbia,
i languidi occhi al ciel tenea levati,
come accusando il gran Motor che l'abbia
tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come attonita stè alquanto;
poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.

Dicea: - Fortuna, che più a far ti resta
acciò di me ti sazi e ti disfami?
che dar ti posso omai più, se non questa
misera vita? ma tu non la brami;
che ora a trarla del mar sei stata presta,
quando potea finir suoi giorni grami:
perché ti parve di voler più ancora
vedermi tormentar prima che io muora.

Ma che mi possi nuocere non veggio,
più di quel che sin qui nociuto m'hai.
Per te cacciata son del real seggio,
dove più ritornar non spero mai:
ho perduto l'onor, che è stato peggio;
che, se ben con effetto io non peccai,
io do però materia che ognun dica,
che essendo vagabonda, io sia impudica.

Che aver può donna al mondo più di buono,
a cui la castità levata sia?
Mi nuoce, ahimè! che io son giovane, e sono
tenuta bella, o sia vero o bugia.
Già non ringrazio il ciel di questo dono;
che di qui nasce ogni ruina mia:
morto per questo fu Argalia mio frate,
che poco gli giovar l'arme incantate:

per questo il re di Tartaria Agricane
disfece il genitor mio Galafrone,
che in India, del Cataio era gran Cane;
onde io son giunta a tal condizione,
che muto albergo da sera a dimane.
Se l'aver, se l'onor, se le persone
m'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi,
a che più doglia anco serbar mi vuoi?

Se l'affogarmi in mar morte non era
a tuo senno crudel, pur che io ti sazi,
non recuso che mandi alcuna fera
che mi divori, e non mi tenga in strazi.
D'ogni martir che sia, pur che io ne pera,
esser non può che assai non ti ringrazi. -
Così dicea la donna con gran pianto,
quando le apparve l'eremita accanto.

Avea mirato da l'estrema cima
d'un rilevato sasso l'eremita
Angelica, che giunta alla parte ima
è dello scoglio, afflitta e sbigottita.
Era sei giorni egli venuto prima;
che un demonio il portò per via non trita:
e venne a lei fingendo divozione
quanta avesse mai Paulo o Ilarione.

Come la donna il cominciò a vedere,
prese, non conoscendolo, conforto;
e cessò a poco a poco il suo temere,
ben che ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso, disse: - Miserere,
padre, di me, che io son giunta a mal porto. -
E con voce interrotta dal singulto
gli disse quel che a lui non era occulto.

Comincia l'eremita a confortarla
con alquante ragion belle e divote;
e pon l'audaci man, mentre che parla,
or per lo seno, or per l'umide gote:
poi più sicuro va per abbracciarla;
ed ella sdegnosetta lo percuote
con una man nel petto, e lo rispinge,
e d'onesto rossor tutta si tinge.

Egli, che allato avea una tasca, aprilla,
e trassene una ampolla di liquore;
e negli occhi possenti, onde sfavilla
la più cocente face che abbia Amore,
spruzzò di quel leggiermente una stilla,
che di farla dormire ebbe valore.
Già resupina ne l'arena giace
a tutte voglie del vecchio rapace.

Egli l'abbraccia ed a piacer la tocca
ed ella dorme e non può fare ischermo.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
non è chi il veggia in quel loco aspro ed ermo.
Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;
che al disio non risponde il corpo infermo:
era mal atto, perché avea troppi anni;
e potrà peggio, quanto più l'affanni.

Tutte le vie, tutti li modi tenta,
ma quel pigro rozzon non però salta.
Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
e non può far che tenga la testa alta.
Al fin presso alla donna s'addormenta;
e nuova altra sciagura anco l'assalta:
non comincia Fortuna mai per poco,
quando un mortal si piglia a scherno e a gioco.

Bisogna, prima che io vi narri il caso,
che un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di tramontana invêr l'occaso,
oltre l'Irlanda una isola si corca,
Ebuda nominata; ove è rimaso
il popul raro, poi che la brutta orca
e l'altro marin gregge la distrusse,
che in sua vendetta Proteo vi condusse.

Narran l'antique istorie, o vere o false,
che tenne già quel luogo un re possente,
che ebbe una figlia, in cui bellezza valse
e grazia sì, che poté facilmente,
poi che mostrossi in su l'arene salse,
Proteo lasciare in mezzo l'acque ardente;
e quello, un dì che sola ritrovolla,
compresse, e di sé gravida lasciolla.

La cosa fu gravissima e molesta
al padre, più d'ogn'altro empio e severo:
né per iscusa o per pietà, la testa
le perdonò: sì può lo sdegno fiero.
Né per vederla gravida, si resta
di subito esequire il crudo impero:
e il nipotin che non avea peccato,
prima fece morir che fosse nato.

Proteo marin, che pasce il fiero armento
di Nettunno che l'onda tutta regge,
sente de la sua donna aspro tormento,
e per grand'ira, rompe ordine e legge;
sì che a mandare in terra non è lento
l'orche e le foche, e tutto il marin gregge,
che distruggon non sol pecore e buoi,
ma ville e borghi e li cultori suoi:

e spesso vanno alle città murate,
e d'ogn'intorno lor mettono assedio.
Notte e dì stanno le persone armate,
con gran timore e dispiacevol tedio:
tutte hanno le campagne abbandonate;
e per trovarvi al fin qualche rimedio,
andarsi a consigliar di queste cose
all'oracol, che lor così rispose:

che trovar bisognava una donzella
che fosse all'altra di bellezza pare,
ed a Proteo sdegnato offerir quella,
in cambio de la morta, in lito al mare.
S'a sua satisfazion gli parrà bella,
se la terrà, né li verrà a sturbare:
se per questo non sta, se gli appresenti
una ed un'altra, fin che si contenti.

E così cominciò la dura sorte
tra quelle che più grate eran di faccia,
che a Proteo ciascun giorno una si porte,
fin che trovino donna che gli piaccia.
La prima e tutte l'altre ebbero morte;
che tutte giù pel ventre se le caccia
un'orca, che restò presso alla foce,
poi che il resto partì del gregge atroce.

O vera o falsa che fosse la cosa
di Proteo (che io non so che me ne dica),
servosse in quella terra, con tal chiosa,
contra le donne un'empia lege antica:
che di lor carne l'orca mostruosa
che viene ogni dì al lito, si notrica.
Ben che esser donna sia in tutte le bande
danno e sciagura, quivi era pur grande.

Oh misere donzelle che trasporte
fortuna ingiuriosa al lito infausto!
dove le genti stan sul mare accorte
per far de le straniere empio olocausto;
che, come più di fuor ne sono morte,
il numer de le loro è meno esausto:
ma perché il vento ognor preda non mena,
ricercando ne van per ogni arena.

Van discorrendo tutta la marina
con fuste e grippi ed altri legni loro,
e da lontana parte e da vicina
portan sollevamento al lor martoro.
Molte donne han per forza e per rapina,
alcune per lusinghe, altre per oro;
e sempre da diverse regioni
n'hanno piene le torri e le prigioni.

Passando una lor fusta a terra a terra
inanzi a quella solitaria riva
dove fra sterpi in su l'erbosa terra
la sfortunata Angelica dormiva,
smontaro alquanti galeotti in terra
per riportarne e legna ed acqua viva;
e di quante mai fur belle e leggiadre
trovaro il fiore in braccio al santo padre.

Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
per sì barbare genti e sì villane!
Oh Fortuna crudel, chi fia che il creda,
che tanta forza hai ne le cose umane,
che per cibo d'un mostro tu conceda
la gran beltà, che in India il re Agricane
fece venir da le caucasee porte
con mezza Scizia a guadagnar la morte?

La gran beltà, che fu da Sacripante
posta inanzi al suo onore e al suo bel regno;
la gran beltà, che al gran signor d'Anglante
macchiò la chiara fama e l'alto ingegno;
la gran beltà che fe' tutto Levante
sottosopra voltarsi e stare al segno,
ora non ha (così è rimasa sola)
chi le dia aiuto pur d'una parola.

La bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
nel legno pien di turba afflitta e mesta.
La vela, in cima all'arbore rimessa,
rendé la nave all'isola funesta,
dove chiuser la donna in rocca forte,
fin a quel dì che a lei toccò la sorte.

Ma poté sì, per esser tanto bella,
la fiera gente muovere a pietade,
che molti dì le differiron quella
morte, e serbarla a gran necessitade;
e fin che ebber di fuore altra donzella,
perdonaro all'angelica beltade.
Al mostro fu condotta finalmente,
piangendo dietro a lei tutta la gente.

Chi narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,
l'alta querela che nel ciel penetra?
maraviglia ho che non s'apriro i lidi,
quando fu posta in su la fredda pietra,
dove in catena, priva di sussidi,
morte aspettava abominosa e tetra.
Io nol dirò; che sì il dolor mi muove,
che mi sforza voltar le rime altrove,

e trovar versi non tanto lugubri,
fin che il mio spirto stanco si riabbia;
che non potrian li squalidi colubri,
né l'orba tigre accesa in maggior rabbia,
né ciò che da l'Atlante ai liti rubri
venenoso erra per la calda sabbia,
né veder né pensar senza cordoglio,
Angelica legata al nudo scoglio.

Oh se l'avesse il suo Orlando saputo,
che era per ritrovarla ito a Parigi;
o li dui che ingannò quel vecchio astuto
col messo che venìa dai luoghi stigi!
fra mille morti, per donarle aiuto,
cercato avrian gli angelici vestigi:
ma che fariano, avendone anco spia,
poi che distanti son di tanta via?

Parigi intanto avea l'assedio intorno
dal famoso figliuol del re Troiano;
e venne a tanta estremitade un giorno,
che n'andò quasi al suo nimico in mano:
e se non che li voti il ciel placorno,
che dilagò di pioggia oscura il piano,
cadea quel dì per l'africana lancia
il santo Impero e il gran nome di Francia.

Il sommo Creator gli occhi rivolse
al giusto lamentar del vecchio Carlo;
e con subita pioggia il fuoco tolse:
né forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse;
che altri non poté mai meglio aiutarlo.
Ben dal devoto re fu conosciuto,
che si salvò per lo divino aiuto.

La notte Orlando alle noiose piume
del veloce pensier fa parte assai.
Or quinci or quindi il volta, or lo rassume
tutto in un loco, e non l'afferma mai:
qual d'acqua chiara il tremolante lume,
dal sol percossa o da' notturni rai,
per gli ampli tetti va con lungo salto
a destra ed a sinistra, e basso ed alto.

La donna sua, che gli ritorna a mente,
anzi che mai non era indi partita,
gli raccende nel core e fa più ardente
la fiamma che nel dì parea sopita.
Costei venuta seco era in Ponente
fin dal Cataio; e qui l'avea smarrita,
né ritrovato poi vestigio d'ella
che Carlo rotto fu presso a Bordella.

Di questo Orlando avea gran doglia, e seco
indarno a sua sciocchezza ripensava.
- Cor mio (dicea), come vilmente teco
mi son portato! ohimè, quanto mi grava
che potendoti aver notte e dì meco,
quando la tua bontà non mel negava,
t'abbia lasciato in man di Namo porre,
per non sapermi a tanta ingiuria opporre!

Non aveva ragione io di scusarme?
e Carlo non m'avria forse disdetto:
se pur disdetto, e chi potea sforzarme?
chi ti mi volea torre al mio dispetto?
non poteva io venir più tosto all'arme?
lasciar più tosto trarmi il cor del petto?
Ma né Carlo né tutta la sua gente
di tormiti per forza era possente.

Almen l'avesse posta in guardia buona
dentro a Parigi o in qualche rocca forte.
Che l'abbia data a Namo mi consona,
sol perché a perder l'abbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona
di me? che io dovea farlo fino a morte;
guardarla più che il cor, che gli occhi miei:
e dovea e potea farlo, e pur nol fei.

Deh, dove senza me, dolce mia vita,
rimasa sei sì giovane e sì bella?
come, poi che la luce è dipartita,
riman tra' boschi la smarrita agnella,
che dal pastor sperando esser udita,
si va lagnando in questa parte e in quella;
tanto che il lupo l'ode da lontano,
e il misero pastor ne piagne invano.

Dove, speranza mia, dove ora sei?
vai tu soletta forse ancor errando?
o pur t'hanno trovata i lupi rei
senza la guardia del tuo fido Orlando?
e il fior che in ciel potea pormi fra i dei,
il fior che intatto io mi venìa serbando
per non turbarti, ohimè! l'animo casto,
ohimè! per forza avranno colto e guasto.

Oh infelice! oh misero! che voglio
se non morir, se il mio bel fior colto hanno?
O sommo Dio, fammi sentir cordoglio
prima d'ogn'altro, che di questo danno.
Se questo è ver, con le mie man mi toglio
la vita, e l'alma disperata danno. -
Così, piangendo forte e sospirando,
seco dicea l'addolorato Orlando.

Già in ogni parte gli animanti lassi
davan riposo ai travagliati spirti,
chi su le piume, e chi sui duri sassi,
e chi su l'erbe, e chi su faggi o mirti:
tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi,
punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;
né quel sì breve e fuggitivo sonno
godere in pace anco lasciar ti ponno.

Parea ad Orlando, s'una verde riva
d'odoriferi fior tutta dipinta,
mirare il bello avorio, e la nativa
purpura che avea Amor di sua man tinta,
e le due chiare stelle onde nutriva
ne le reti d'Amor l'anima avinta:
io parlo de' begli occhi e del bel volto,
che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.

Sentia il maggior piacer, la maggior festa
che sentir possa alcun felice amante:
ma ecco intanto uscire una tempesta
che struggea i fior, ed abbattea le piante:
non se ne suol veder simile a questa,
quando giostra aquilone, austro e levante.
Parea che per trovar qualche coperto,
andasse errando invan per un deserto.

Intanto l'infelice (e non sa come)
perde la donna sua per l'aer fosco;
onde di qua e di là del suo bel nome
fa risonare ogni campagna e bosco.
E mentre dice indarno: - Misero me!
chi ha cangiata mia dolcezza in tosco? -
ode la donna sua che gli domanda,
piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.

Onde par che esca il grido, va veloce,
e quinci e quindi s'affatica assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro ed atroce,
che non può rivedere i dolci rai!
Ecco che altronde ode da un'altra voce:
- Non sperar più gioirne in terra mai. -
A questo orribil grido risvegliossi,
e tutto pien di lacrime trovossi.

Senza pensar che sian l'immagin false
quando per tema o per disio si sogna,
de la donzella per modo gli calse,
che stimò giunta a danno od a vergogna,
che fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e maglia, quanto gli bisogna,
tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse;
né di scudiero alcun servigio volse.

E per poter entrare ogni sentiero,
che la sua dignità macchia non pigli,
non l'onorata insegna del quartiero,
distinta di color bianchi e vermigli,
ma portar volse un ornamento nero;
e forse acciò che al suo dolor simigli:
e quello avea già tolto a uno amostante,
che uccise di sua man pochi anni inante.

Da mezza notte tacito si parte,
e non saluta e non fa motto al zio;
né al fido suo compagno Brandimarte,
che tanto amar solea, pur dice a Dio.
Ma poi che il Sol con l'auree chiome sparte
del ricco albergo di Titone uscìo
e fe' l'ombra fugire umida e nera,
s'avide il re che il paladin non v'era.

Con suo gran dispiacer s'avede Carlo
che partito la notte è il suo nipote,
quando esser dovea seco e più aiutarlo;
e ritener la colera non puote,
che a lamentarsi d'esso, ed a gravarlo
non incominci di biasmevol note:
e minacciar, se non ritorna, e dire
che lo faria di tanto error pentire.

Brandimarte, che Orlando amava a pare
di sé medesmo, non fece soggiorno;
o che sperasse farlo ritornare,
o sdegno avesse udirne biasmo e scorno;
e volse a pena tanto dimorare,
che uscisse fuor ne l'oscurar del giorno.
A Fiordiligi sua nulla ne disse,
perché il disegno suo non gli impedisse.

Era questa una donna che fu molto
da lui diletta, e ne fu raro senza;
di costumi, di grazia e di bel volto
dotata e d'accortezza e di prudenza:
e se licenza or non n'aveva tolto,
fu che sperò tornarle alla presenza
il dì medesmo; ma gli accadde poi,
che lo tardò più dei disegni suoi.

E poi che ella aspettato quasi un mese
indarno l'ebbe, e che tornar nol vide,
di desiderio sì di lui s'accese,
che si partì senza compagni o guide;
e cercandone andò molto paese,
come l'istoria al luogo suo dicide.
Di questi dua non vi dico or più inante;
che più m'importa il cavallier d'Anglante.

Il qual, poi che mutato ebbe d'Almonte
le gloriose insegne, andò alla porta,
e disse ne l'orecchio: - Io sono il conte -
a un capitan che vi facea la scorta;
e fattosi abassar subito il ponte,
per quella strada che più breve porta
agli inimici, se n'andò diritto.
Quel che seguì, ne l'altro canto è scritto.





CANTO NONO


Che non può far d'un cor che abbia suggetto
questo crudele e traditore Amore,
poi che ad Orlando può levar del petto
la tanta fe' che debbe al suo Signore?
Già savio e pieno fu d'ogni rispetto,
e de la santa Chiesa difensore;
or per un vano amor, poco del zio,
e di sé poco, e men cura di Dio.

Ma l'escuso io pur troppo, e mi rallegro
nel mio difetto aver compagno tale;
che anche io sono al mio ben languido ed egro,
sano e gagliardo a seguitare il male.
Quel se ne va tutto vestito a negro,
né tanti amici abandonar gli cale;
e passa dove d'Africa e di Spagna
la gente era attendata alla campagna:

anzi non attendata, perché sotto
alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia
a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi più distante e chi più presso alloggia.
Ognuno dorme travagliato e rotto:
chi steso in terra, e chi alla man s'appoggia.
Dormono; e il conte uccider ne può assai:
né però stringe Durindana mai.

Di tanto core è il generoso Orlando,
che non degna ferir gente che dorma.
Or questo, e quando quel luogo cercando
va, per trovar de la sua donna l'orma.
Se truova alcun che veggi, sospirando
gli ne dipinge l'abito e la forma;
e poi lo priega che per cortesia
gli insegni andar in parte ove ella sia.

E poi che venne il dì chiaro e lucente,
tutto cercò l'esercito moresco:
e ben lo potea far sicuramente,
avendo indosso l'abito arabesco;
ed aiutollo in questo parimente,
che sapeva altro idioma che francesco,
e l'africano tanto avea espedito,
che parea nato a Tripoli e nutrito.

Quivi il tutto cercò, dove dimora
fece tre giorni, e non per altro effetto;
poi dentro alle cittadi e a' borghi fuora
non spiò sol per Francia e suo distretto,
ma per Uvernia e per Guascogna ancora
rivide sin all'ultimo borghetto:
e cercò da Provenza alla Bretagna,
e dai Picardi ai termini di Spagna.

Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,
ne la stagion che la frondosa vesta
vede levarsi e discoprir le membre
trepida pianta, fin che nuda resta,
e van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando entrò ne l'amorosa inchiesta;
né tutto il verno appresso lasciò quella,
né la lasciò ne la stagion novella.

Passando un giorno, come avea costume,
d'un paese in un altro, arrivò dove
parte i Normandi dai Bretoni un fiume,
e verso il vicin mar cheto si muove;
che allora gonfio e bianco già di spume
per nieve sciolta e per montane piove:
e l'impeto de l'acqua avea disciolto
e tratto seco il ponte, e il passo tolto.

Con gli occhi cerca or questo lato or quello,
lungo le ripe il paladin, se vede
(quando né pesce egli non è, né augello)
come abbia a por ne l'altra ripa il piede:
ed ecco a sé venir vede un battello,
ne la cui poppa una donzella siede,
che di volere a lui venir fa segno;
né lascia poi che arrivi in terra il legno.

Prora in terra non pon; ché d'esser carca
contra sua volontà forse sospetta.
Orlando priega lei che ne la barca
seco lo tolga, ed oltre il fiume il metta.
Ed ella lui: - Qui cavallier non varca,
il qual su la sua fé non mi prometta
di fare una battaglia a mia richiesta,
la più giusta del mondo e la più onesta.

Sì che s'avete, cavallier, desire
di por per me ne l'altra ripa i passi,
promettetemi, prima che finire
quest'altro mese prossimo si lassi,
che al re d'Ibernia v'anderete a unire,
appresso al qual la bella armata fassi
per distrugger quell'isola d'Ebuda,
che, di quante il mar cinge, è la più cruda.

Voi dovete saper che oltre l'Irlanda,
fra molte che vi son, l'isola giace
nomata Ebuda, che per legge manda
rubando intorno il suo popul rapace;
e quante donne può pigliar, vivanda
tutte destina a un animal vorace,
che viene ogni dì al lito, e sempre nuova
donna o donzella, onde si pasca, truova;

che mercanti e corsar che vanno attorno,
ve ne fan copia, e più de le più belle.
Ben potete contare, una per giorno,
quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade in voi truova soggiorno,
se non sete d'Amor tutto ribelle,
siate contento esser tra questi eletto,
che van per far sì fruttuoso effetto. -

Orlando volse a pena udire il tutto,
che giurò d'esser primo a quella impresa,
come quel che alcun atto iniquo e brutto
non può sentire, e d'ascoltar gli pesa:
e fu a pensare, indi a temere indutto,
che quella gente Angelica abbia presa;
poi che cercata l'ha per tanta via,
né potutone ancor ritrovar spia.

Questa imaginazion sì gli confuse
e sì gli tolse ogni primier disegno,
che, quanto in fretta più potea, conchiuse
di navigare a quello iniquo regno.
Né prima l'altro sol nel mar si chiuse,
che presso a San Malò ritrovò un legno,
nel qual si pose; e fatto alzar le vele,
passò la notte il monte San Michele.

Breaco e Landriglier lascia a man manca,
e va radendo il gran lito britone;
e poi si drizza invêr l'arena bianca,
onde Ingleterra si nomò Albione;
ma il vento, che era da meriggie, manca,
e soffia tra il ponente e l'aquilone
con tanta forza, che fa al basso porre
tutte le vele, e sé per poppa torre.

Quanto il navilio inanzi era venuto
in quattro giorni, in un ritornò indietro,
ne l'alto mar dal buon nochier tenuto,
che non dia in terra e sembri un fragil vetro.
Il vento, poi che furioso suto
fu quattro giorni, il quinto cangiò metro:
lasciò senza contrasto il legno entrare
dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.

Tosto che ne la foce entrò lo stanco
nochier col legno afflitto, e il lito prese,
fuor d'una terra che sul destro fianco
di quel fiume sedeva, un vecchio scese,
di molta età, per quanto il crine bianco
ne dava indicio; il qual tutto cortese,
dopo i saluti, al conte rivoltosse,
che capo giudicò che di lor fosse.

E da parte il pregò d'una donzella,
che a lei venir non gli paresse grave,
la qual ritroverebbe, oltre che bella,
più che altra al mondo affabile e soave;
over fosse contento aspettar che ella
verrebbe a trovar lui fin alla nave:
né più restio volesse esser di quanti
quivi eran giunti cavallieri erranti;

che nessun altro cavallier, che arriva
o per terra o per mare a questa foce,
di ragionar con la donzella schiva,
per consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo, Orlando in su la riva
senza punto indugiarsi uscì veloce;
e come umano e pien di cortesia,
dove il vecchio il menò, prese la via.

Fu ne la terra il paladin condutto
dentro un palazzo, ove al salir le scale,
una donna trovò piena di lutto,
per quanto il viso ne facea segnale,
e i negri panni che coprian per tutto
e le logge e le camere e le sale;
la qual, dopo accoglienza grata e onesta
fattol seder, gli disse in voce mesta:

- Io voglio che sappiate che figliuola
fui del conte d'Olanda, a lui sì grata
(quantunque prole io non gli fossi sola,
che era da dui fratelli accompagnata),
che a quanto io gli chiedea, da lui parola
contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avenne
che ne la nostra terra un duca venne.

Duca era di Selandia, e se ne giva
verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La bellezza e l'età che in lui fioriva,
e li non più da me sentiti amori
con poca guerra me gli fer captiva;
tanto più che, per quel che apparea fuori,
io credea e credo, e creder credo il vero,
che amasse ed ami me con cor sincero.

Quei giorni che con noi contrario vento,
contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(che agli altri fur quaranta, a me un momento;
così al fuggire ebbon veloci penne),
fummo più volte insieme a parlamento,
dove, che il matrimonio con solenne
rito al ritorno suo saria tra nui
mi promise egli, ed io il promisi a lui.

Bireno a pena era da noi partito
(che così ha nome il mio fedele amante),
che il re di Frisa (la qual, quanto il lito
del mar divide il fiume, è a noi distante),
disegnando il figliuol farmi marito,
che unico al mondo avea, nomato Arbante,
per li più degni del suo stato manda
a domandarmi al mio padre in Olanda.

Io che all'amante mio di quella fede
mancar non posso, che gli aveva data,
e anco che io possa. Amor non mi conciede
che poter voglia, e che io sia tanto ingrata;
per ruinar la pratica che in piede
era gagliarda, e presso al fin guidata,
dico a mio padre, che prima che in Frisa
mi dia marito, io voglio essere uccisa.

Il mio buon padre, al qual sol piacea quanto
a me piacea, né mai turbar mi volse,
per consolarmi e far cessare il pianto
che io ne facea, la pratica disciolse:
di che il superbo re di Frisa tanto
isdegno prese e a tanto odio si volse,
che entrò in Olanda, e cominciò la guerra
che tutto il sangue mio cacciò sotterra.

Oltre che sia robusto, e sì possente,
che pochi pari a nostra età ritruova,
e sì astuto in mal far, che altrui niente
la possanza, l'ardir, l'ingegno giova;
porta alcun'arme che l'antica gente
non vide mai, né fuor che a lui, la nuova:
un ferro bugio, lungo da dua braccia,
dentro a cui polve ed una palla caccia.

Col fuoco dietro ove la canna è chiusa,
tocca un spiraglio che si vede a pena;
a guisa che toccare il medico usa
dove è bisogno d'allacciar la vena:
onde vien con tal suon la palla esclusa,
che si può dir che tuona e che balena;
né men che soglia il fulmine ove passa,
ciò che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.

Pose due volte il nostro campo in rotta
con questo inganno, e i miei fratelli uccise:
nel primo assalto il primo; che la botta,
rotto l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;
ne l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta
fuggìa, dal corpo l'anima divise;
e lo ferì lontan dietro la spalla,
e fuor del petto uscir fece la palla.

Difendendosi poi mio padre un giorno
dentro un castel che sol gli era rimaso,
che tutto il resto avea perduto intorno,
lo fe' con simil colpo ire all'occaso;
che mentre andava e che facea ritorno,
provedendo or a questo or a quel caso,
dal traditor fu in mezzo gli occhi colto,
che l'avea di lontan di mira tolto.

Morto i fratelli e il padre, e rimasa io
de l'isola d'Olanda unica erede,
il re di Frisa, perché avea disio
di ben fermare in quello stato il piede,
mi fa sapere, e così al popul mio,
che pace e che riposo mi conciede,
quando io vogli or, quel che non volsi inante,
tor per marito il suo figliuolo Arbante.

Io per l'odio non sì, che grave porto
a lui e a tutta la sua iniqua schiatta,
il qual m'ha dui fratelli e il padre morto,
saccheggiata la patria, arsa e disfatta;
come perché a colui non vo' far torto,
a cui già la promessa aveva fatta,
che altr'uomo non saria che mi sposasse,
fin che di Spagna a me non ritornasse:

- Per un mal che io patisco, ne vo' cento
patir (rispondo), e far di tutto il resto;
esser morta, arsa viva, e che sia al vento
la cener sparsa, inanzi che far questo. -
Studia la gente mia di questo intento
tormi: chi priega, e chi mi fa protesto
di dargli in mano me e la terra, prima
che la mia ostinazion tutti ci opprima.

Così, poi che i protesti e i prieghi invano
vider gittarsi, e che pur stava dura,
presero accordo col Frisone, e in mano,
come avean detto, gli dier me e le mura.
Quel, senza farmi alcuno atto villano,
de la vita e del regno m'assicura,
pur che io indolcisca l'indurate voglie,
e che d'Arbante suo mi faccia moglie.

Io che sforzar così mi veggio, voglio,
per uscirgli di man, perder la vita;
ma se pria non mi vendico, mi doglio
più che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio
che solo il simular può dare aita:
fingo che io brami, non che non mi piaccia,
che mi perdoni e sua nuora mi faccia.

Fra molti che al servizio erano stati
già di mio padre, io scelgo dui fratelli,
di grande ingegno e di gran cor dotati,
ma più di vera fede, come quelli
che cresciutici in corte ed allevati
si son con noi da teneri citelli;
e tanto miei, che poco lor parria
la vita por per la salute mia.

Communico con loro il mio disegno:
essi prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;
l'altro meco in Olanda ho ritenuto.
Or mentre i forestieri e quei del regno
s'invitano alle nozze, fu saputo
che Bireno in Biscaglia avea una armata,
per venire in Olanda, apparecchiata.

Però che, fatta la prima battaglia
dove fu rotto un mio fratello e ucciso,
spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,
che portassi a Bireno il tristo aviso;
il qual mentre che s'arma e si travaglia,
dal re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno, che di ciò nulla sapea,
per darci aiuto i legni sciolti avea.

Di questo avuto aviso il re frisone,
de le nozze al figliuol la cura lassa;
e con l'armata sua nel mar si pone:
truova il duca, lo rompe, arde e fracassa,
e, come vuol Fortuna, il fa prigione;
ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa intanto il giovene, e si vuole
meco corcar come si corchi il sole.

Io dietro alle cortine avea nascoso
quel mio fedele; il qual nulla si mosse
prima che a me venir vide lo sposo;
e non l'attese che corcato fosse,
che alzò un'accetta, e con sì valoroso
braccio dietro nel capo lo percosse,
che gli levò la vita e la parola:
io saltai presta, e gli segai la gola.

Come cadere il bue suole al macello,
cade il malnato giovene, in dispetto
del re Cimosco, il più d'ogn'altro fello;
che l'empio re di Frisa è così detto,
che morto l'uno e l'altro mio fratello
m'avea col padre, e per meglio suggetto
farsi il mio stato, mi volea per nuora;
e forse un giorno uccisa avria me ancora.

Prima che altro disturbo vi si metta,
tolto quel che più vale e meno pesa,
il mio compagno al mar mi cala in fretta
da la finestra a un canape sospesa,
là dove attento il suo fratello aspetta
sopra la barca che avea in Fiandra presa.
Demmo le vele ai venti e i remi all'acque,
e tutti ci salvian, come a Dio piacque.

Non so se il re di Frisa più dolente
del figliuol morto, o se più d'ira acceso
fosse contra di me, che il dì seguente
giunse là dove si trovò sì offeso.
Superbo ritornava egli e sua gente
de la vittoria e di Bireno preso;
e credendo venire a nozze e a festa,
ogni cosa trovò scura e funesta.

La pietà del figliuol, l'odio che aveva
a me, né dì né notte il lascia mai.
Ma perché il pianger morti non rileva,
e la vendetta sfoga l'odio assai,
la parte del pensier, che esser doveva
de la pietade in sospirare e in guai,
vuol che con l'odio a investigar s'unisca,
come egli m'abbia in mano e mi punisca.

Quei tutti che sapeva e gli era detto
che mi fossino amici, o di quei miei
che m'aveano aiutata a far l'effetto,
uccise, o lor beni arse, o li fe' rei.
Volse uccider Bireno in mio dispetto;
che d'altro sì doler non mi potrei:
gli parve poi, se vivo lo tenesse,
che per pigliarmi, in man la rete avesse.

Ma gli propone una crudele e dura
condizion: gli fa termine un anno,
al fin del qual gli darà morte oscura,
se prima egli per forza o per inganno,
con amici e parenti non procura,
con tutto ciò che ponno e ciò che sanno,
di darmigli in prigion: sì che la via
di lui salvare è sol la morte mia.

Ciò che si possa far per sua salute,
fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:
e il poco o il molto prezzo che io n'ho tratto,
parte, tentando per persone astute
i guardiani corrumpere, ho distratto;
e parte, per far muovere alli danni
di quell'empio or gli Inglesi, or gli Alamanni.

I mezzi, o che non abbiano potuto,
o che non abbian fatto il dover loro,
m'hanno dato parole e non aiuto;
e sprezzano or che n'han cavato l'oro:
e presso al fine il termine è venuto,
dopo il qual né la forza né il tesoro
potrà giunger più a tempo, sì che morte
e strazio schivi al mio caro consorte.

Mio padre e' miei fratelli mi son stati
morti per lui; per lui toltomi il regno;
per lui quei pochi beni che restati
m'eran, del viver mio soli sostegno,
per trarlo di prigione ho disipati:
né mi resta ora in che più far disegno,
se non d'andarmi io stessa in mano a porre
di sì crudel nimico, e lui disciorre.

Se dunque da far altro non mi resta,
né si truova al suo scampo altro riparo
che per lui por questa mia vita, questa
mia vita per lui por mi sarà caro.
Ma sola una paura mi molesta,
che non saprò far patto così chiaro,
che m'assicuri che non sia il tiranno,
poi che avuta m'avrà, per fare inganno.

Io dubito che poi che m'avrà in gabbia
e fatto avrà di me tutti li strazi,
né Bireno per questo a lasciare abbia,
sì che esser per me sciolto mi ringrazi;
come periuro, e pien di tanta rabbia,
che di me sola uccider non si sazi:
e quel che avrà di me, né più né meno
faccia di poi del misero Bireno.

Or la cagion che conferir con voi
mi fa i miei casi, e che io li dico a quanti
signori e cavallier vengono a noi,
è solo acciò, parlandone con tanti,
m'insegni alcun d'assicurar che, poi
che a quel crudel mi sia condotta avanti,
non abbia a ritener Bireno ancora,
né voglia, morta me, che esso poi mora.

Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
quando io mi darò in mano al re di Frisa;
ma mi prometta e la sua fe' mi dia,
che questo cambio sarà fatto in guisa,
che a un tempo io data, e liberato fia
Bireno: sì che quando io sarò uccisa,
morrò contenta, poi che la mia morte
avrà dato la vita al mio consorte.

Né fino a questo dì truovo chi toglia
sopra la fede sua d'assicurarmi,
che quando io sia condotta, e che mi voglia
aver quel re, senza Bireno darmi,
egli non lascierà contra mia voglia
che presa io sia: sì teme ognun quell'armi;
teme quell'armi, a cui par che non possa
star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.

Or, s'in voi la virtù non è diforme
dal fier sembiante e da l'erculeo aspetto,
e credete poter darmegli, e torme
anco da lui, quando non vada retto;
siate contento d'esser meco a porme
ne le man sue: che io non avrò sospetto,
quando voi siate meco, se ben io
poi ne morrò, che muora il signor mio. -

Qui la donzella il suo parlar conchiuse,
che con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando, poi che ella la bocca chiuse,
le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
in parole con lei non si diffuse;
che di natura non usava troppe:
ma le promise, e la sua fé le diede,
che farìa più di quel che ella gli chiede.

Non è sua intenzion che ella in man vada
del suo nimico per salvar Bireno:
ben salverà amendui, se la sua spada
e l'usato valor non gli vien meno.
Il medesimo dì piglian la strada,
poi c'hanno il vento prospero e sereno.
Il paladin s'affretta; che di gire
all'isola del mostro avea desire.

Or volta all'una, or volta all'altra banda
per gli alti stagni il buon nochier la vela:
scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;
scuopre una inanzi, e un'altra a dietro cela.
Orlando smonta il terzo dì in Olanda;
ma non smonta colei che si querela
del re di Frisa: Orlando vuol che intenda
la morte di quel rio, prima che scenda.

Nel lito armato il paladino varca
sopra un corsier di pel tra bigio e nero,
nutrito in Fiandra e nato in Danismarca,
grande e possente assai più che leggiero;
però che avea, quando si messe in barca,
in Bretagna lasciato il suo destriero,
quel Brigliador sì bello e sì gagliardo,
che non ha paragon, fuor che Baiardo.

Giunge Orlando a Dordreche, e quivi truova
di molta gente armata in su la porta;
sì perché sempre, ma più quando è nuova,
seco ogni signoria sospetto porta;
sì perché dianzi giunta era una nuova,
che di Selandia con armata scorta
di navili e di gente un cugin viene
di quel signor che qui prigion si tiene.

Orlando prega uno di lor, che vada
e dica al re, che un cavalliero errante
disia con lui provarsi a lancia e a spada;
ma che vuol che tra lor sia patto inante:
che se il re fa che, chi lo sfida, cada,
la donna abbia d'aver, che uccise Arbante;
che il cavallier l'ha in loco non lontano
da poter sempremai darglila in mano;

ed all'incontro vuol che il re prometta,
che ove egli vinto ne la pugna sia,
Bireno in libertà subito metta,
e che lo lasci andare alla sua via.
Il fante al re fa l'ambasciata in fretta:
ma quel, che né virtù né cortesia
conobbe mai, drizzò tutto il suo intento
alla fraude, all'inganno, al tradimento.

Gli par che avendo in mano il cavalliero,
avrà la donna ancor, che sì l'ha offeso,
s'in possanza di lui la donna è vero
che si ritruovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
diverso da la porta ov'era atteso,
che dopo occulto ed assai lungo giro,
dietro alle spalle al paladino usciro.

Il traditore intanto dar parole
fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti
vede esser giunti al loco ove gli vuole;
da la porta esce poi con altretanti.
Come le fere e il bosco cinger suole
perito cacciator da tutti i canti;
come appresso a Volana i pesci e l'onda
con lunga rete il pescator circonda:

così per ogni via dal re di Frisa,
che quel guerrier non fugga, si provede.
Vivo lo vuole, e non in altra guisa:
e questo far sì facilmente crede,
che il fulmine terrestre, con che uccisa
ha tanta e tanta gente, ora non chiede;
che quivi non gli par che si convegna,
dove pigliar, non far morir, disegna.

Qual cauto ucellator che serba vivi,
intento a maggior preda, i primi augelli,
acciò in più quantitade altri captivi
faccia col giuoco e col zimbel di quelli:
tal esser volse il re Cimosco quivi:
ma già non volse Orlando esser di quelli
che si lascin pigliar al primo tratto;
e tosto roppe il cerchio che avean fatto.

Il cavallier d'Anglante, ove più spesse
vide le genti e l'arme, abbassò l'asta;
ed uno in quella e poscia un altro messe,
e un altro e un altro, che sembrar di pasta;
e fin a sei ve n'infilzò, e li resse
tutti una lancia: e perche ella non basta
a più capir, lasciò il settimo fuore
ferito sì, che di quel colpo muore.

Non altrimente ne l'estrema arena
veggiàn le rane de canali e fosse
dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,
l'una vicina all'altra, esser percosse;
né da la freccia, fin che tutta piena
non sia da un capo all'altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
e con la spada entrò ne la battaglia.

Rotta la lancia, quella spada strinse,
quella che mai non fu menata in fallo;
e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse
quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
dove toccò, sempre in vermiglio tinse
l'azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco
seco or non ha, quando v'avrian più loco.

E con gran voce e con minacce chiede
che portati gli sian, ma poco è udito;
che chi ha ritratto a salvamento il piede
ne la città, non è d'uscir più ardito.
Il re frison, che fuggir gli altri vede,
d'esser salvo egli ancor piglia partito:
corre alla porta, e vuole alzare il ponte,
ma troppo è presto ad arrivare il conte.

Il re volta le spalle, e signor lassa
del ponte Orlando e d'amendue le porte;
e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,
mercé che il suo destrier corre più forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa:
vuole il fellon, non gli altri, porre a morte;
ma il suo destrier sì al corso poco vale,
che restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale.

D'una in un'altra via si leva ratto
di vista al paladin; ma indugia poco,
che torna con nuove armi; che s'ha fatto
portare intanto il cavo ferro e il fuoco:
e dietro un canto postosi di piatto,
l'attende, come il cacciatore al loco,
coi cani armati e con lo spiedo, attende
il fier cingial che ruinoso scende;

che spezza i rami e fa cadere i sassi,
e ovunque drizzi l'orgogliosa fronte,
sembra a tanto rumor che si fracassi
la selva intorno, e che si svella il monte.
Sta Cimosco alla posta, acciò non passi
senza pagargli il fio l'audace conte:
tosto che appare, allo spiraglio tocca
col fuoco il ferro, e quel subito scocca.

Dietro lampeggia a guisa di baleno,
dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.
Trieman le mura, e sotto i piè il terreno;
il ciel ribomba al paventoso suono.
L'ardente stral, che spezza e venir meno
fa ciò che incontra, e dà a nessun perdono,
sibila e stride; ma, come è il desire
di quel brutto assassin, non va a ferire.

O sia la fretta, o sia la troppa voglia
d'uccider quel baron, che errar lo faccia;
o sia che il cor, tremando come foglia,
faccia insieme tremare e mani e braccia;
o la bontà divina che non voglia
che il suo fedel campion sì tosto giaccia:
quel colpo al ventre del destrier si torse;
lo cacciò in terra, onde mai più non sorse.

Cade a terra il cavallo e il cavalliero:
la preme l'un, la tocca l'altro a pena;
che si leva sì destro e sì leggiero,
come cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il libico Anteo sempre più fiero
surger solea da la percossa arena,
tal surger parve, e che la forza, quando
toccò il terren, si radoppiasse a Orlando.

Chi vide mai dal ciel cadere il foco
che con sì orrendo suon Giove disserra,
e penetrare ove un richiuso loco
carbon con zolfo e con salnitro serra;
che a pena arriva, a pena tocca un poco,
che par che avampi il ciel, non che la terra;
spezza le mura, e i gravi marmi svelle,
e fa i sassi volar sin alle stelle;

s'imagini che tal, poi che cadendo
toccò la terra, il paladino fosse:
con sì fiero sembiante aspro ed orrendo,
da far tremar nel ciel Marte, si mosse.
Di che smarrito il re frison, torcendo
la briglia indietro, per fuggir voltosse;
ma gli fu dietro Orlando con più fretta,
che non esce da l'arco una saetta:

e quel che non avea potuto prima
fare a cavallo, or farà essendo a piede.
Lo seguita sì ratto, che ogni stima
di chi nol vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in poca strada; ed alla cima
de l'elmo alza la spada, e sì lo fiede,
che gli parte la testa fin al collo,
e in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

Ecco levar ne la città si sente
nuovo rumor, nuovo menar di spade;
che il cugin di Bireno con la gente
che avea condutta da le sue contrade,
poi che la porta ritrovò patente,
era venuto dentro alla cittade,
dal paladino in tal timor ridutta,
che senza intoppo la può scorrer tutta.

Fugge il populo in rotta, che non scorge
chi questa gente sia, né che domandi;
ma poi che uno ed un altro pur s'accorge
all'abito e al parlar, che son Selandi,
chiede lor pace, e il foglio bianco porge;
e dice al capitan che gli comandi,
e dar gli vuol contro i Frisoni aiuto,
che il suo duca in prigion gli han ritenuto.

Quel popul sempre stato era nimico
del re di Frisa e d'ogni suo seguace,
perché morto gli avea il signore antico,
ma più perche era ingiusto, empio e rapace.
Orlando s'interpose come amico
d'ambe le parti, e fece lor far pace;
le quali unite, non lasciar Frisone
che non morisse o non fosse prigione.

Le porte de le carceri gittate
a terra sono, e non si cerca chiave.
Bireno al conte con parole grate
mostra conoscer l'obligo che gli have.
Indi insieme e con molte altre brigate
se ne vanno ove attende Olimpia in nave:
così la donna, a cui di ragion spetta
il dominio de l'isola, era detta;

quella che quivi Orlando avea condutto
non con pensier che far dovesse tanto;
che la parea bastar, che posta in lutto
sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.
Lei riverisce e onora il popul tutto.
Lungo sarebbe a ricontarvi quanto
lei Bireno accarezzi, ed ella lui;
quai grazie al conte rendano ambidui.

Il popul la donzella nel paterno
seggio rimette, e fedeltà le giura.
Ella a Bireno, a cui con nodo eterno
la legò Amor d'una catena dura,
de lo stato e di sé dona il governo.
Ed egli tratto poi da un'altra cura,
de le fortezze e di tutto il domìno
de l'isola guardian lascia il cugino;

che tornare in Selandia avea disegno,
e menar seco la fedel consorte:
e dicea voler fare indi nel regno
di Frisa esperienza di sua sorte;
perché di ciò l'assicurava un pegno
che egli aveva in mano, e lo stimava forte:
la figliuola del re, che fra i captivi,
che vi fur molti, avea trovata quivi.

E dice che egli vuol che un suo germano,
che era minor d'età, l'abbia per moglie.
Quindi si parte il senator romano
il dì medesmo che Bireno scioglie.
Non volse porre ad altra cosa mano,
fra tante e tante guadagnate spoglie,
se non a quel tormento che abbiàn detto
che al fulmine assimiglia in ogni effetto.

L'intenzion non già, perché lo tolle,
fu per voglia d'usarlo in sua difesa;
che sempre atto stimò d'animo molle
gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma per gittarlo in parte, onde non volle
che mai potesse ad uomo più fare offesa:
e la polve e le palle e tutto il resto
seco portò, che apparteneva a questo.

E così, poi che fuor de la marea
nel più profondo mar si vide uscito,
sì che segno lontan non si vedea
del destro più né del sinistro lito;
lo tolse, e disse: - Acciò più non istea
mai cavallier per te d'esser ardito,
né quanto il buono val, mai più si vanti
il rio per te valer, qui giù rimanti.

O maladetto, o abominoso ordigno,
che fabricato nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebù maligno
che ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno, onde uscisti, ti rasigno. -
Così dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento intanto le gonfiate vele
spinge alla via de l'isola crudele.

Tanto desire il paladino preme
di saper se la donna ivi si truova,
che ama assai più che tutto il mondo insieme,
né un'ora senza lei viver gli giova;
che s'in Ibernia mette il piede, teme
di non dar tempo a qualche cosa nuova,
sì che abbia poi da dir invano: - Ahi lasso!
che al venir mio non affrettai più il passo. -

Né scala in Inghelterra né in Irlanda
mai lasciò far, né sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
il nudo arcier che l'ha nel cor ferito.
Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda
tornare, e voi meco a tornarvi invito;
che, come a me, so spiacerebbe a voi,
che quelle nozze fosson senza noi.

Le nozze belle e sontuose fanno;
ma non sì sontuose né sì belle,
come in Selandia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle;
perché nuovi accidenti a nascere hanno
per disturbarle, de' quai le novelle
all'altro canto vi farò sentire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.





CANTO DECIMO


Fra quanti amor, fra quante fede al mondo
mai si trovar, fra quanti cor constanti,
fra quante, o per dolente o per iocondo
stato, fer prove mai famosi amanti;
più tosto il primo loco che il secondo
darò ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior de l'amor suo non si ritruovi;

e che con tante e con sì chiare note
di questo ha fatto il suo Bireno certo,
che donna più far certo uomo non puote,
quando anco il petto e il cor mostrasse aperto.
E s'anime sì fide e sì devote
d'un reciproco amor denno aver merto,
dico che Olimpia è degna che non meno,
anzi più che sé ancor, l'ami Bireno:

e che non pur l'abandoni mai
per altra donna, se ben fosse quella
che Europa ed Asia messe in tanti guai,
o s'altra ha maggior titolo di bella;
ma più tosto che lei, lasci coi rai
del sol l'udita e il gusto e la favella
e la vita e la fama, e s'altra cosa
dire o pensar si può più preciosa.

Se Bireno amò lei come ella amato
Bireno avea, se fu sì a lei fedele
come ella a lui, se mai non ha voltato
ad altra via, che a seguir lei, le vele;
o pur s'a tanta servitù fu ingrato,
a tanta fede e a tanto amor crudele,
io vi vo' dire, e far di maraviglia
stringer le labra ed inarcar le ciglia.

E poi che nota l'impietà vi fia,
che di tanta bontà fu a lei mercede,
donne, alcuna di voi mai più non sia,
che a parole d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia,
senza guardar che Dio tutto ode e vede,
aviluppa promesse e giuramenti,
che tutti spargon poi per l'aria i venti.

I giuramenti e le promesse vanno
dai venti in aria disipate e sparse,
tosto che tratta questi amanti s'hanno
l'avida sete che gli accese ed arse.
Siate a' prieghi ed a' pianti che vi fanno,
per questo esempio, a credere più scarse.
Bene è felice quel, donne mie care,
che essere accorto all'altrui spese impare.

Guardatevi da questi che sul fiore
de' lor begli anni il viso han sì polito;
che presto nasce in loro e presto muore,
quasi un foco di paglia, ogni appetito.
Come segue la lepre il cacciatore
al freddo, al caldo, alla montagna, al lito,
né più l'estima poi che presa vede;
e sol dietro a chi fugge affretta il piede:

così fan questi gioveni, che tanto
che vi mostrate lor dure e proterve,
v'amano e riveriscono con quanto
studio de' far chi fedelmente serve;
ma non sì tosto si potran dar vanto
de la vittoria, che, di donne, serve
vi dorrete esser fatte; e da voi tolto
vedrete il falso amore, e altrove volto.

Non vi vieto per questo (che avrei torto)
che vi lasciate amar; che senza amante
sareste come inculta vite in orto,
che non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
tutta a fuggir, volubile e incostante,
e corre i frutti non acerbi e duri,
ma che non sien però troppo maturi.

Di sopra io vi dicea che una figliuola
del re di Frisa quivi hanno trovata,
che fia, per quanto n'han mosso parola,
da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola;
che vivanda era troppo delicata:
e riputato avria cortesia sciocca,
per darla altrui, levarsela di bocca.

La damigella non passava ancora
quattordici anni, ed era bella e fresca,
come rosa che spunti alora alora
fuor de la buccia e col sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s'innamora,
ma fuoco mai così non accese esca,
né se lo pongan l'invide e nimiche
mani talor ne le mature spiche;

come egli se n'accese immantinente,
come egli n'arse fin ne le medolle,
che sopra il padre morto lei dolente
vide di pianto il bel viso far molle.
E come suol, se l'acqua fredda sente,
quella restar che prima al fuoco bolle;
così l'ardor che accese Olimpia, vinto
dal nuovo successore, in lui fu estinto.

Non pur sazio di lei, ma fastidito
n'è già così, che può vederla a pena;
e sì de l'altra acceso ha l'appetito,
che ne morrà se troppo in lungo il mena:
pur fin che giunga il dì c'ha statuito
a dar fine al disio, tanto l'affrena,
che par che adori Olimpia, non che l'ami,
e quel che piace a lei, sol voglia e brami.

E se accarezza l'altra (che non puote
far che non l'accarezzi più del dritto),
non è chi questo in mala parte note;
anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto:
che rilevare un che Fortuna ruote
talora al fondo, e consolar l'afflitto,
mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
tanto più una fanciulla, una innocente.

Oh sommo Dio, come i giudìci umani
spesso offuscati son da un nembo oscuro!
i modi di Bireno empi e profani,
pietosi e santi riputati furo.
I marinari, già messo le mani
ai remi, e sciolti dal lito sicuro,
portavan lieti pei salati stagni
verso Selandia il duca e i suoi compagni.

Già dietro rimasi erano e perduti
tutti di vista i termini d'Olanda
(che per non toccar Frisa, più tenuti
s'eran vêr Scozia alla sinistra banda),
quando da un vento fur sopravenuti,
che errando in alto mar tre dì li manda.
Sursero il terzo, già presso alla sera,
dove inculta e deserta un'isola era.

Tratti che si fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne in terra; e con diletto
in compagnia de l'infedel Bireno
cenò contenta e fuor d'ogni sospetto:
indi con lui, là dove in loco ameno
teso era un padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro,
e sopra i legni lor si riposaro.

Il travaglio del mare e la paura
che tenuta alcun dì l'aveano desta,
il ritrovarsi al lito ora sicura,
lontana da rumor ne la foresta,
e che nessun pensier, nessuna cura,
poi che il suo amante ha seco, la molesta;
fur cagion che ebbe Olimpia sì gran sonno,
che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.

Il falso amante che i pensati inganni
veggiar facean, come dormir lei sente,
pian piano esce del letto, e de' suoi panni
fatto un fastel, non si veste altrimente;
e lascia il padiglione; e come i vanni
nati gli sian, rivola alla sua gente,
e li risveglia; e senza udirsi un grido,
fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.

Rimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormì senza destarse,
fin che l'Aurora la gelata brina
da le dorate ruote in terra sparse,
e s'udir le Alcione alla marina
de l'antico infortunio lamentarse.
Né desta né dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar stese, ma invano.

Nessuno truova: a sé la man ritira:
di nuovo tenta, e pur nessuno truova.
Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira,
or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.
Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
non vede alcuno. Or già non scalda e cova
più le vedove piume, ma si getta
del letto e fuor del padiglione in fretta:

e corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote,
e va guardando (che splendea la luna)
se veder cosa, fuor che il lito, puote;
né fuor che il lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama: e al nome di Bireno
rispondean gli Antri che pietà n'avieno.

Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
che aveano l'onde, col picchiar frequente,
cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi salì a gran passo
(così la facea l'animo possente),
e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signor crudele:

vide lontano, o le parve vedere;
che l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
più bianca e più che nieve fredda in volto;
ma poi che di levarsi ebbe potere,
al camin de le navi il grido volto,
chiamò, quanto potea chiamar più forte,
più volte il nome del crudel consorte:

e dove non potea la debil voce,
supliva il pianto e il batter' palma a palma.
- Dove fuggi, crudel, così veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce
che porti il corpo, poi che porta l'alma. -
E con le braccia e con le vesti segno
fa tuttavia, perché ritorni il legno.

Ma i venti che portavano le vele
per l'alto mar di quel giovene infido,
portavano anco i prieghi e le querele
de l'infelice Olimpia, e il pianto e il grido;
la qual tre volte, a se stessa crudele,
per affogarsi si spiccò dal lido:
pur al fin si levò da mirar l'acque,
e ritornò dove la notte giacque.

E con la faccia in giù stesa sul letto,
bagnandolo di pianto, dicea lui:
- Iersera desti insieme a dui ricetto;
perché insieme al levar non siamo dui?
O perfido Bireno, o maladetto
giorno che al mondo generata fui!
Che debbo far? che poss'io far qui sola?
chi mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?

Uomo non veggio qui, non ci veggio opra
donde io possa stimar che uomo qui sia;
nave non veggio, a cui salendo sopra,
speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò; né chi mi cuopra
gli occhi sarà, né chi sepolcro dia,
se forse in ventre lor non me lo dànno
i lupi, ohimè, che in queste selve stanno.

Io sto in sospetto, e già di veder parmi
di questi boschi orsi o leoni uscire,
o tigri o fiere tal, che natura armi
d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere crudel potriano farmi,
fera crudel, peggio di te morire?
darmi una morte, so, lor parrà assai;
e tu di mille, ohimè, morir mi fai.

Ma presupongo ancor che or ora arrivi
nochier che per pietà di qui mi porti;
e così lupi, orsi, leoni schivi,
strazi, disagi ed altre orribil morti:
mi porterà forse in Olanda, s'ivi
per te si guardan le fortezze e i porti?
mi porterà alla terra ove son nata,
se tu con fraude già me l'hai levata?

Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
di parentado e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto,
per avere il dominio a te rivolto.
Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto
di che io vivea, ben che non fossi molto,
per sovenirti e di prigione trarte.
Mischina! dove andrò? non so in qual parte.

Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
e per te non vi volsi esser regina?
il che del padre e dei fratelli miei
e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.
Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato, improverar, né disciplina
dartene; che non men di me lo sai:
or ecco il guiderdon che me ne dai.

Deh, pur che da color che vanno in corso
io non sia presa, e poi venduta schiava!
Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso
venga, e la tigre e ogn'altra fera brava,
di cui l'ugna mi stracci, e franga il morso;
e morta mi strascini alla sua cava. -
Così dicendo, le mani si caccia
ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.

Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,
e ruota il capo e sparge all'aria il crine;
e sembra forsennata, e che adosso abbia
non un demonio sol, ma le decine;
o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi morto Polidoro al fine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
né men d'un vero sasso, un sasso pare.

Ma lasciànla doler fin che io ritorno,
per voler di Ruggier dirvi pur anco,
che nel più intenso ardor del mezzo giorno
cavalca il lito, affaticato e stanco.
Percuote il sol nel colle e fa ritorno:
di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all'arme che avea indosso, poco
ad esser, come già, tutte di fuoco.

Mentre la sete, e de l'andar fatica
per l'alta sabbia e la solinga via
gli facean, lungo quella spiaggia aprica,
noiosa e dispiacevol compagnia;
trovò che all'ombra d'una torre antica
che fuor de l'onde appresso il lito uscia,
de la corte d'Alcina eran tre donne,
che le conobbe ai gesti ed alle gonne.

Corcate su tapeti allessandrini
godeansi il fresco rezzo in gran diletto,
fra molti vasi di diversi vini
e d'ogni buona sorte di confetto.
Presso alla spiaggia, coi flutti marini
scherzando, le aspettava un lor legnetto
fin che la vela empiesse agevol òra;
che un fiato pur non ne spirava allora.

Queste, che andar per la non ferma sabbia
vider Ruggier al suo viaggio dritto,
che sculta avea la sete in su le labbia,
tutto pien di sudore il viso afflitto,
gli cominciaro a dir che sì non abbia
il cor voluntaroso al camin fitto,
che alla fresca e dolce ombra non si pieghi,
e ristorar lo stanco corpo nieghi.

E di lor una s'accostò al cavallo
per la staffa tener, che ne scendesse;
l'altra con una coppa di cristallo
di vin spumante, più sete gli messe:
ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo;
perché d'ogni tardar che fatto avesse,
tempo di giunger dato avria ad Alcina,
che venìa dietro ed era omai vicina.

Non così fin salnitro e zolfo puro,
tocco dal fuoco, subito s'avampa;
né così freme il mar quando l'oscuro
turbo discende e in mezzo se gli accampa:
come, vedendo che Ruggier sicuro
al suo dritto camin l'arena stampa,
e che le sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira arse e di furor la terza d'elle.

- Tu non sei né gentil né cavalliero
(dice gridando quanto può più forte),
ed hai rubate l'arme; e quel destriero
non saria tuo per veruna altra sorte:
e così, come ben m'appongo al vero,
ti vedessi punir di degna morte;
che fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto ladron, villan, superbo, ingrato. -

Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose
parole che gli usò la donna altiera,
ancor che mai Ruggier non le rispose,
che di sì vil tenzon poco onor spera;
con le sorelle tosto ella si pose
sul legno in mar, che al lor servigio v'era:
ed affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol tuttavia dietro alla riva.

Minaccia sempre, maledice e incarca;
che l'onte sa trovar per ogni punto.
Intanto a quello stretto, onde si varca
alla fata più bella, è Ruggier giunto;
dove un vecchio nochiero una sua barca
scioglier da l'altra ripa vede, a punto
come, avisato e già provisto, quivi
si stia aspettando che Ruggiero arrivi.

Scioglie il nochier, come venir lo vede,
di trasportarlo a miglior ripa lieto;
che, se la faccia può del cor dar fede,
tutto benigno e tutto era discreto.
Pose Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio ringraziando; e per lo mar quieto
ragionando venìa col galeotto,
saggio e di lunga esperienza dotto.

Quel lodava Ruggier, che sì se avesse
saputo a tempo tor da Alcina, e inanti
che il calice incantato ella gli desse,
che avea al fin dato a tutti gli altri amanti;
e poi, che a Logistilla si traesse,
dove veder potria costumi santi,
bellezza eterna ed infinita grazia
che il cor notrisce e pasce, e mai non sazia.

- Costei (dicea) stupore e riverenza
induce all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla meglio poi l'alta presenza:
ogn'altro ben ti par di poca stima.
Il suo amore ha dagli altri differenza:
speme o timor negli altri il cor ti lima;
in questo il desiderio più non chiede,
e contento riman come la vede.

Ella t'insegnerà studi più grati,
che suoni, danze, odori, bagni e cibi:
ma come i pensier tuoi meglio formati
poggin più ad alto, che per l'aria i nibi,
e come de la gloria de' beati
nel mortal corpo parte si delibi. -
Così parlando il marinar veniva,
lontano ancora alla sicura riva;

quando vide scoprire alla marina
molti navili, e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;
e molta di sua gente have raccolta
per por lo stato a se stessa in ruina,
o racquistar la cara cosa tolta.
E bene è amor di ciò cagion non lieve,
ma l'ingiuria non men che ne riceve.

Ella non ebbe sdegno, da che nacque,
di questo il maggior mai, che ora la rode;
onde fa i remi sì affrettar per l'acque,
che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor né mar né ripa tacque,
ed Ecco risonar per tutto s'ode.
- Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se non, sei morto, o preso con vergogna. -

Così disse il nocchier di Logistilla:
ed oltre il detto, egli medesmo prese
la tasca e da lo scudo dipartilla,
e fe' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato splendor che ne sfavilla,
gli occhi degli aversari così offese,
che li fe' restar ciechi allora allora,
e cader chi da poppa e chi da prora.

Un che era alla veletta in su la rocca,
de l'armata d'Alcina si fu accorto;
e la campana martellando tocca,
onde il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria, come tempesta, fiocca
contra chi vuole al buon Ruggier far torto:
sì che gli venne d'ogni parte aita,
tal che salvò la libertà e la vita.

Giunte son quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha mandate Logistilla:
la valorosa Andronica e la saggia
Fronesia e l'onestissima Dicilla
e Sofrosina casta, che, come aggia
quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla.
L'esercito che al mondo è senza pare,
del castello esce, e si distende al mare.

Sotto il castel ne la tranquilla foce
di molti e grossi legni era una armata,
ad un botto di squilla, ad una voce
giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E così fu la pugna aspra ed atroce,
e per acqua e per terra, incominciata;
per cui fu il regno sottosopra volto,
che avea già Alcina alla sorella tolto.

Oh di quante battaglie il fin successe
diverso a quel che si credette inante!
Non sol che Alcina alor non riavesse,
come stimossi, il fugitivo amante;
ma dele navi che pur dianzi spesse
fur sì, che a pena il mar ne capia tante,
fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,
con un legnetto sol misera scampa.

Fuggesi Alcina, e sua misera gente
arsa e presa riman, rotta e sommersa.
D'aver Ruggier perduto, ella si sente
via più doler che d'altra cosa aversa:
notte e dì per lui geme amaramente,
e lacrime per lui dagli occhi versa;
e per dar fine a tanto aspro martire,
spesso si duol di non poter morire.

Morir non puote alcuna fata mai,
fin che il sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolore assai
per muover Cloto ad inasparle il filo;
o, qual Didon, finia col ferro i guai;
o la regina splendida del Nilo
avria imitata con mortifer sonno:
ma le fate morir sempre non ponno.

Torniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui, che poi che fuor del legno
si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
gli era successo, al mar voltò la schiena;
ed affrettando per l'asciutto il piede,
alla rocca ne va che quivi siede.

Né la più forte ancor né la più bella
mai vide occhio mortal prima né dopo.
Son di più prezzo le mura di quella,
che se diamante fossino o piropo.
Di tai gemme qua giù non si favella:
ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo
che vada quivi; che non credo altrove,
se non forse su in ciel, se ne ritruove.

Quel che più fa che lor si inchina e cede
ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,
l'uom sin in mezzo all'anima si vede;
vede suoi vizi e sue virtudi espresse,
sì che a lusinghe poi di sé non crede,
né a chi dar biasmo a torto gli volesse:
fassi, mirando allo specchio lucente
se stesso, conoscendosi, prudente.

Il chiaro lume lor, che imita il sole,
manda splendore in tanta copia intorno,
che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal grado tuo, si può far giorno.
Né mirabil vi son le pietre sole;
ma la materia e l'artificio adorno
contendon sì, che mal giudicar puossi
qual de le due eccellenze maggior fossi.

Sopra gli altissimi archi, che puntelli
parean che del ciel fossino a vederli,
eran giardin sì spaziosi e belli,
che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
si puon veder fra i luminosi merli,
che adorni son l'estate e il verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti.

Di così nobili arbori non suole
prodursi fuor di questi bei giardini,
né di tai rose o di simil viole,
di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole
e nasca e viva, e morto il capo inchini,
e come lasci vedovo il suo stelo
il fior suggetto al variar del cielo:

ma quivi era perpetua la verdura,
perpetua la beltà de' fiori eterni:
non che benignità de la Natura
sì temperatamente li governi;
ma LogistilIa con suo studio e cura,
senza bisogno de' moti superni
(quel che agli altri impossibile parea),
sua primavera ognor ferma tenea.

Logistilla mostrò molto aver grato
che a lei venisse un sì gentil signore;
e comandò che fosse accarezzato,
e che studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da Ruggier fu di buon core.
Fra pochi giorni venner gli altri tutti,
che a l'esser lor Melissa avea ridutti.

Poi che si fur posati un giorno e dui,
venne Ruggiero alla fata prudente
col duca Astolfo, che non men di lui
avea desir di riveder Ponente.
Melissa le parlò per amendui;
e supplica la fata umilemente,
che li consigli, favorisca e aiuti,
sì che ritornin donde eran venuti.

Disse la fata: - Io ci porrò il pensiero,
e fra dui dì te li darò espediti. -
Discorre poi tra sé, come Ruggiero,
e dopo lui, come quel duca aiti:
conchiude infin che il volator destriero
ritorni il primo agli aquitani liti;
ma prima vuol che se gli faccia un morso,
con che lo volga, e gli raffreni il corso.

Gli mostra come egli abbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorrà che in giro vole,
o vada ratto, o che si stia su l'ali:
e quali effetti il cavallier far suole
di buon destriero in piana terra, tali
facea Ruggier che mastro ne divenne,
per l'aria, del destrier che avea le penne.

Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da la fata gentil comiato prese,
alla qual restò poi sempre congiunto
di grande amore; e uscì di quel paese.
Prima di lui che se n'andò in buon punto,
e poi dirò come il guerriero inglese
tornasse con più tempo e più fatica
al magno Carlo ed alla corte amica.

Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe' già suo mal grado,
allor che sempre l'ippogrifo il tenne
sopra il mare, e terren vide di rado:
ma potendogli or far batter le penne
di qua di là, dove più gli era a grado,
volse al ritorno far nuovo sentiero,
come, schivando Erode, i Magi fero.

Al venir quivi, era, lasciando Spagna,
venuto India a trovar per dritta riga,
là dove il mare oriental la bagna;
dove una fata avea con l'altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
che quella dove i venti Eolo istiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo.

Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran Quinsaì vide passando:
volò sopra l'Imavo, e Sericana
lasciò a man destra; e sempre declinando
da l'iperborei Sciti a l'onda ircana,
giunse alle parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.

Ben che di Ruggier fosse ogni desire
di ritornare a Bradamante presto;
pur, gustato il piacer che avea di gire
cercando il mondo, non restò per questo,
che alli Pollacchi, agli Ungari venire
non volesse anco, alli Germani, e al resto
di quella boreale orrida terra:
e venne al fin ne l'ultima Inghilterra.

Non crediate, Signor, che però stia
per sì lungo camin sempre su l'ale:
ogni sera all'albergo se ne gìa,
schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
sì di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una matina,
sopra Tamigi il volator declina.

Dove ne' prati alla città vicini
vide adunati uomini d'arme e fanti,
che a suon di trombe e a suon di tamburini
venian, partiti a belle schiere, avanti
il buon Rinaldo, onor de' paladini;
del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
che mandato da Carlo, era venuto
in queste parti a ricercar aiuto.

Giunse a punto Ruggier, che si facea
la bella mostra fuor di quella terra;
e per sapere il tutto, ne chiedea
un cavallier, ma scese prima in terra:
e quel, che affabil era, gli dicea
che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
e de l'isole intorno eran le schiere
che quivi alzate avean tante bandiere:

e finita la mostra che faceano,
alla marina se distenderanno,
dove aspettati per solcar l'Oceano
son dai navili che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano,
sperando in questi che a salvar li vanno.
- Ma acciò tu te n'informi pienamente,
io ti distinguerò tutta la gente.

Tu vedi ben quella bandiera grande,
che insieme pon la fiordaligi e i pardi:
quella il gran capitano all'aria spande,
e quella han da seguir gli altri stendardi.
Il suo nome, famoso in queste bande,
è Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consiglio e d'ardire in guerra mastro,
del re nipote, e duca di Lincastro.

La prima, appresso il gonfalon reale,
che il vento tremolar fa verso il monte,
e tien nel campo verde tre bianche ale,
porta Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale,
c'ha duo corna di cervio e mezza fronte.
Del duca di Chiarenza è quella face;
quel arbore è del duca d'Eborace.

Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
gli è il gonfalon del duca di Nortfozia.
La fulgure è del buon conte di Cancia;
il grifone è del conte di Pembrozia.
Il duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
è del conte d'Esenia, e la ghirlanda
in campo azzurro ha quel di Norbelanda.

Il conte d'Arindelia è quel c'ha messo
in mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi il marchese di Barclei; e appresso
di Marchia il conte e il conte di Ritmonda:
il primo porta in bianco un monte fesso,
l'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda.
Quel di Dorsezia è conte, e quel d'Antona,
che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.

Il falcon che sul nido i vanni inchina,
porta Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorina;
il can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia.
La croce che là vedi cristallina,
è del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia:
è del duca Ariman di Sormosedia.

Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo
di quarantaduomila numer fanno.
Sono duo tanti, o di cento non fallo,
quelli che a piè ne la battaglia vanno.
Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo,
e di nero e d'azzur listato un panno:
Gofredo, Enrigo, Ermante ed Odoardo
guidan pedoni, ognun col suo stendardo.

Duca di Bocchingamia è quel dinante;
Enrigo ha la contea di Sarisberia;
signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;
quello Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso levante
sono gli Inglesi. Or volgeti all'Esperia,
dove si veggion trentamila Scotti,
da Zerbin, figlio del lor re, condotti.

Vedi tra duo unicorni il gran leone,
che la spada d'argento ha ne la zampa:
quell'è del re di Scozia il gonfalone;
il suo figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non è un sì bello in tante altre persone:
natura il fece, e poi roppe la stampa.
Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,
o tal possanza: ed è di Roscia duca.

Porta in azzurro una dorata sbarra
il conte d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra bandiera è del duca di Marra,
che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizzarra
mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che non è duca, conte, né marchese,
ma primo nel salvatico paese.

Del duca di Trasfordia è quella insegna,
dove è l'augel che al sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, che in Angoscia regna,
porta quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi là il duca d'Albania, che segna
il campo di colori azzurri e bianchi.
Quel avoltor, che un drago verde lania,
è l'insegna del conte di Boccania.

Signoreggia Forbesse il forte Armano,
che di bianco e di nero ha la bandiera;
ed ha il conte d'Erelia a destra mano,
che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gli Ibernesi appresso il piano:
sono duo squadre; e il conte di Childera
mena la prima, e il conte di Desmonda
da fieri monti ha tratta la seconda.

Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente;
l'altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
la terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
ma vien di Svezia e di Norvegia gente,
da Tile, e fin da la remota Islanda:
da ogni terra, insomma, che là giace,
nimica naturalmente di pace.

Sedicimila sono, o poco manco,
de le spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso il viso, il petto, il fianco,
e dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
par che quel pian di lor lance s'inselve:
così Moratto il porta, il capo loro,
per dipingerlo poi di sangue Moro. -

Mentre Ruggier di quella gente bella,
che per soccorrer Francia si prepara,
mira le varie insegne e ne favella,
e dei signor britanni i nomi impara;
uno ed un altro a lui, per mirar quella
bestia sopra cui siede, unica o rara,
maraviglioso corre e stupefatto;
e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.

Sì che per dare ancor più maraviglia,
e per pigliarne il buon Ruggier più gioco,
al volante corsier scuote la briglia,
e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il ciel per l'aria il camin piglia,
e lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poi che di banda in banda
vide gli Inglesi, andò verso l'Irlanda.

E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta mercé par che si truove,
che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier muove
là dove la minor Bretagna lava:
e nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso.

Al nudo sasso, all'Isola del pianto;
che l'Isola del pianto era nomata
quella che da crudele e fiera tanto
ed inumana gente era abitata,
che (come io vi dicea sopra nel canto)
per vari liti sparsa iva in armata
tutte le belle donne depredando,
per farne a un mostro poi cibo nefando.

Vi fu legata pur quella matina,
dove venìa per trangugiarla viva
quel smisurato mostro, orca marina,
che di aborrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
di quei che la trovaro in su la riva
dormire al vecchio incantatore a canto,
che ivi l'avea tirata per incanto.

La fiera gente inospitale e cruda
alla bestia crudel nel lito espose
la bellissima donna, così ignuda
come Natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che richiuda
i bianchi gigli e le vermiglie rose,
da non cader per luglio o per dicembre,
di che son sparse le polite membre.

Creduto avria che fosse statua finta
o d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio così avinta
per artificio di scultori industri;
se non vedea la lacrima distinta
tra fresche rose e candidi ligustri
far rugiadose le crudette pome,
e l'aura sventolar l'aurate chiome.

E come ne' begli occhi gli occhi affisse,
de la sua Bradamante gli sovvenne.
Pietade e amore a un tempo lo trafisse,
e di piangere a pena si ritenne;
e dolcemente alla donzella disse,
poi che del suo destrier frenò le penne:
- O donna, degna sol de la catena
con chi i suoi servi Amor legati mena,

e ben di questo e d'ogni male indegna,
chi è quel crudel che con voler perverso
d'importuno livor stringendo segna
di queste belle man l'avorio terso? -
Forza è che a quel parlare ella divegna
quale è di grana un bianco avorio asperso,
di sé vedendo quelle parti ignude,
che ancor che belle sian, vergogna chiude.

E coperto con man s'avrebbe il volto,
se non eran legate al duro sasso;
ma del pianto, che almen non l'era tolto,
lo sparse, e si sforzò di tener basso.
E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
incominciò con fioco suono e lasso:
ma non seguì; che dentro il fe' restare
il gran rumor che si sentì nel mare.

Ecco apparir lo smisurato mostro
mezzo ascoso ne l'onda e mezzo sorto.
Come sospinto suol da borea o d'ostro
venir lungo navilio a pigliar porto,
così ne viene al cibo che l'è mostro
la bestia orrenda; e l'intervallo è corto.
La donna è mezza morta di paura;
né per conforto altrui si rassicura.

Tenea Ruggier la lancia non in resta,
ma sopra mano, e percoteva l'orca.
Altro non so che s'assimigli a questa,
che una gran massa che s'aggiri e torca;
né forma ha d'animal, se non la testa,
c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi;
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.

Poi che la prima botta poco vale,
ritorna per far meglio la seconda.
L'orca, che vede sotto le grandi ale
l'ombra di qua e di là correr su l'onda,
lascia la preda certa litorale,
e quella vana segue furibonda:
dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.

Come d'alto venendo aquila suole,
che errar fra l'erbe visto abbia la biscia,
o che stia sopra un nudo sasso al sole,
dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
non assalir da quel lato la vuole
onde la velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo la adugna, e batte i vanni,
acciò non se le volga e non la azzanni:

così Ruggier con l'asta e con la spada,
non dove era de' denti armato il muso,
ma vuol che il colpo tra l'orecchie cada,
or su le schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada,
ed a tempo giù cala, e poggia in suso:
ma come sempre giunga in un diaspro,
non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.

Simil battaglia fa la mosca audace
contra il mastin nel polveroso agosto,
o nel mese dinanzi o nel seguace,
l'uno di spiche e l'altro pien di mosto:
negli occhi il punge e nel grifo mordace,
volagli intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar fa spesso il dente asciutto:
ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.

Sì forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;
tal che non sa se l'ale in aria snoda,
o pur se il suo destrier nuota nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo,
che brami invano avere o zucca o schifo.

Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
di vincer con altre arme il mostro crudo:
abbarbagliar lo vuol con lo splendore
che era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
alla donna legata al sasso nudo
lascia nel minor dito de la mano
l'annel, che potea far l'incanto vano:

dico l'annel che Bradamante avea,
per liberar Ruggier, tolto a Brunello,
poi per trarlo di man d'Alcina rea,
mandato in India per Melissa a quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
in ben di molti adoperò l'annello;
indi l'avea a Ruggier restituito,
dal qual poi sempre fu portato in dito.

Lo dà ad Angelica ora, perché teme
che del suo scudo il fulgurar non viete,
e perché a lei ne sien difesi insieme
gli occhi che già l'avean preso alla rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo;
e par che aggiunga un altro sole al cielo.

Ferì negli occhi l'incantato lume
di quella fera, e fece al modo usato.
Quale o trota o scaglion va giù pel fiume
c'ha con calcina il montanar turbato,
tal si vedea ne le marine schiume
il mostro orribilmente riversciato.
Di qua di là Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo via non truova mai.

La bella donna tuttavolta priega
che invan la dura squama oltre non pesti.
- Torna, per Dio, signor: prima mi slega
(dicea piangendo), che l'orca si desti:
portami teco e in mezzo il mar mi anniega:
non far che in ventre al brutto pesce io resti. -
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
slegò la donna, e la levò dal lido.

Il destrier punto, ponta i piè all'arena
e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
e porta il cavalliero in su la schena,
e la donzella dietro in su la groppa.
Così privò la fera de la cena
per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
figge nel petto e negli occhi vivaci.

Non più tenne la via, come propose
prima, di circundar tutta la Spagna;
ma nel propinquo lito il destrier pose,
dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
dove ognor par che Filomena piagna;
che in mezzo avea un pratel con una fonte,
e quinci e quindi un solitario monte.

Quivi il bramoso cavallier ritenne
l'audace corso, e nel pratel discese;
e fe' raccorre al suo destrier le penne,
ma non a tal che più le avea distese.
Del destrier sceso, a pena si ritenne
di salir altri; ma tennel l'arnese:
l'arnese il tenne, che bisognò trarre,
e contra il suo disir messe le sbarre.

Frettoloso, or da questo or da quel canto
confusamente l'arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto;
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto,
e forse che anco l'ascoltar vi grava:
sì che io differirò l'istoria mia
in altro tempo che più grata sia.

snowflakesbar.jpg (3926 byte)

snowflakesnext.jpg (2131 byte)

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.36.10

snowflakesback.jpg (2139 byte)

snowflakeshome.jpg (2179 byte)

snowflakesvgb.jpg (2118 byte)

snowflakesemail.jpg (2146 byte)

snowflakesbul1.jpg (924 byte)snowflakesbul2.jpg (921 byte)snowflakesbul3.jpg (894 byte)snowflakesbul4.jpg (902 byte)snowflakesbul5.jpg (931 byte)snowflakesbul6.jpg (906 byte)snowflakesbul1.jpg (924 byte)snowflakesbul2.jpg (921 byte)snowflakesbul3.jpg (894 byte)

snowflakeslogo.jpg (2285 byte)