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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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VITA

Di: Vittorio Alfieri

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EPOCA TERZA - GIOVINEZZA

ABBRACCIA CIRCA 10 ANNI DI VIAGGI, E DISSOLUTEZZE

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Secondo intoppo fierissimo in Londra.

Fin dal primo mio viaggio due anni innanzi erami in Londra sommamente piaciuta una gentile e bellissima Signora, e forse la sua imagine tacitamente in cuore mi facea trovar bello il paese più assai che non mi sarebbe riuscito senz'essa. Pure in quel primo viaggio, bench'ella mi accennasse benignità, la mia ritrosa e salvatica indole mi preservò da' suoi lacci. Ma a questo ritorno, ingentilito io alquanto di più, in età più capace di amore, e non abbastanza rinsavito dal primo accesso della passion dell'Haja, caddi in questa con un furore incredibile ora a me stesso, allorché ci penso nel primo gelo del nono lustro. Aveva occasione di spesso vederla in più luoghi, e massime in casa del Principe di Masserano; ma non mi era dato il vederla in casa sua; che le Inglesi allora poco riceveano in visita uomini, e massime stranieri; ed oltre ciò il marito erane geloso, per quanto essere il possa e sappia un oltramontano. Quell'ostacoletto vie più mi accendeva; onde io correva ogni mattina ora all'Hyde park, ora altrove per passeggiare con essa, e così la sera in quelle affollate veglie, o ai teatri, per almeno vederla. Si andò stringendo la cosa, e venne a tale, ch'io felicissimo del credermi amato, infelicissimo mi teneva pure del non veder modo assolutamente con cui si potesse gran pezza continuar nostra pratica. Si approssimava la primavera, e, a Giugno al più tardi, veniva la terribile villeggiatura, che mi escludeva per almeno sei mesi, dal poterla pur vedere; onde io seriamente risguardava quel prossimo Giugno come l'estremo della mia vita; e in quell'idea inferocito, non altrimenti procedeva, che come chi nulla ha che perdere; ne a ciò contribuiva leggiermente la donna, la quale pure nessun partito di mezzo proponea mai, nè intendeva. Essendo le cose in tal termine, e raddoppiandosi per l'una parte e l'altra le imprudenze, ed i rischi, il marito, da gran tempo già avvistosi, più volte avea fatto cenno di volermene dir qualche cosa, ed io null'altro al mondo bramava, poiché dal solo suo scandalo potea nascere per me, o via di salvamento col possedere la unica mia speranza, e conforto, ovvero la total perdizione. In tale orribile stato io vissi ben circa 5 mesi, quando la bomba finalmente scoppiò nel seguente modo. Più volte già in diverse ore a gran rischio d'entrambi io m'era introdotto in casa sua in Londra, venuto il Maggio; piacque al marito ch'ella facesse una breve villeggiatura di 10, o 15 giorni, in una lor villa vicina a 15 miglia di Londra. Questa fu per noi quasi sentenza di morte. Si pensò pure ai rimedi, e aggiustato il modo di vederci; dopo tre giorni perenni, ed orribili, ch'ella c'era, io mi ci avviai una sera solo a cavallo- ed avuta la topografia del luogo, lasciato il cavallo ad un miglio distante, soletto a piedi per la parte del parco pervenni a introdurmi, e la vidi. Ma questo era zolfo sul fuoco; e nulla giovavaci se non ci assicurava del sempre. Si pigliò allora misure fra noi, perché a quel modo stesso io ci tornassi fra tre altri giorni. Ritornato io la mattina in Londra, a null'altro pensava che al come potrei ripassare questi altri tre giorni mortiferi di assenza. Viveva in un continuo delirio inesprimibile quanto incredibile da chi provato non l'abbia; e pochi, son certo, l'avranno provato a quel segno. Non trovava mai pace, che andando, e senza saper dove; ma appena era quetato o per riposarmi, o per nutrirmi, o per dormire, con grida, ed urli orribili era ricostretto a balzare in piedi e dimenarmi almeno per camera, se non usciva. Aveva più cavalli, e tra gli altri il mio bellissimo di Spa, che avea trasportato in Londra; e su quello facea delle cose pazze, da atterrire i più arditi cacciatori di quel paese, massime per salti di slancio, alle più alte siepi, e barriere. L'amor forsennato mi avea quadruplicato il coraggio, e parea ch'io null'altro cercassi se non di rompermi il collo per uscire d'impiccio. Nel secondo di quei tre giorni del mio nuovo esilio dalla donna, cavalcando col Marchese Caraccioli, volli fargli vedere quanto bene saltava il mio destriero; e scelta una delle più alte barriere, ve lo cacciai su di corsa; ma essendo io mezzo alienato e poco badando al dare in tempo gli aiuti, toccatovi de' piedi davanti, andammo in un fascio di là il cavallo ed io; balzai subito, ed egli, e già era risalito, quando l'ottimo Caraccioli gridava dall'altra parte della strada di non far più. Io non sapeva quel che mi fossi fatto era stordito del colpo, ma pure più piccato ancora del fallo; onde da quella parte ulteriore del fosso dov'io mi trovava volli ritornar con onore al Caraccioli; e non ci fu mezzo; risaltai, e andò bene; ma tatti poi alcuni passi, e freddandomisi l'ira, cominciai a sentir gran dolore nel braccio manco, ed in fatti mi era slogata la spalla, e rotto un ossetto che lega la punta di essa col collo. Il dolore cresceva, arrivai pure a casa a cavallo, benchè ne fossi assai lontano. Venuto il chirurgo, e straziatomi alcun tempo, disse di aver riallogato, fasciò, e mi convenne star a letto. S'imagini chi sa d'amore, le mie smanie, e il furore di vedersi così inchiodato, approssimandosi quel terzo beato giorno, in cui solo io esisteva. Era il Sabato mattina la slogatura del braccio, pazientai il Sabato in letto, e parte della Domenica, e quel poco riposo mi rendè se non forza, speranza. Venuta la Domenica sera, ch'era il tempo assegnato, mi volli pur alzare, e che che ne dicesse il semi-aio Elia, partii; ma essendomi impossibile affatto il cavalcare, andai solo in carrozza di posta, determinato di lasciarla a una certa distanza, e proseguire poi a piedi. E' così fu; ma dopo 12 miglia di scossa del legno, mi riduoleva più di prima la spalla, che infatti poi non fu riallogata mai più. Arrivai pure, e senza l'aiuto di nessuno, che confidenti non v'era, potei pure con un sol braccio passar sopra gli stecconi del parco, come avea fatto la prima volta. E' per mia beata sorte trovai, che essendo partito il marito quella sera stessa per una rivista delle guardie in cui egli serviva, che dovea aver luogo il Lunedì mattina, potei entrare in casa, e vedervi rinascere l'alba. Al primo pungere d'essa, mi fu pur forza di partire, e questo era il mio solo dolore, che della spalla non mi ricordava altrimenti. Uscito nello stesso modo, e credendomi non visto da chi che sia, per la stessa via ritrovai il mio legno, e immediatamente ritornai in Londra. Fra i due dolori di cuore, e di spalla era bastantemente mal concio; pure sfuggendo sempre me stesso, e poco curando quanto potea accadere, e sempre dispostissimo al peggio, freneticamente viveva in una continua convulsione. Mi feci dal chirurgo ristringer al quanto la fasciatura al lentatasi, ma non volli disfarla, nè che si vedesse se altro c'era. Il Martedì riposato alquanto, non volli pure stare in casa, e fui a pranzo dal Masserano, e dopo con esso, e la moglie sua nel loro palco all'opera italiana.

Io me ne stava tranquillo in apparenza, (che sempre ho avuto un viso di marmo) a sentir quella musica, ma dentro bolliva a più non posso, e non vedeva pur via donde uscir mai di quell'orrido stato. Quando ad un tratto sento, o mi pare, il mio nome pronunziato da qualcuno nel corridoio esteriore del palco; io per moto machinale, apro il palco, e balzatone fuori vi trovo il marito, che stava aspettando, che gli si aprisse il palco di fuori, per veder s'io ci fossi. Più, e più volte io m'era aspettato a quest'incontro, e non potendolo pure onoratamente provocare, l'avea desiderato più che cosa del mondo. Le parole son brevi. Io cerco di lei; eccomi; ho qualche cosa da dirle; usciamo; sono a sentirla. Era le 23 e mezza nei lunghi giorni di Maggio. Dall'Haymarket dove allor era l'opera, poco tratto c'è andando per Pall-mall al Parco di S. Giacomo, dove in un ridotto appartato sguainammo. Nel fare insieme quel tratto di strada, egli mi andava interrogando, e rimproverando ch'io era stato in casa sua più volte di nascosto, ed io, con tutta la frenesia che mi dominava, sentendo pure in fondo del mio cuore una voce che mi diceva quanto era giusto il suo sdegno, non rispondeva altro, se non se, Non è vero: ma poiché lo credete, son qui a darvene buon conto. Ed egli a ricominciare l'enumerazione de' suoi danni, e così a puntino, e massime di quest'ultimo viaggio, a segno ch'io dicendo pur sempre, non è, strasecolava di vederlo si ben in chiaro di tutto. Fini egli col dirmi: neghi ella quanto vuole, tutto mi ha confessato, e narrato la moglie mia. Dissi allora, e forse feci male, e me ne pentii più volte dappoi; quand'ella il confessi, nol negherò io. Ma queste parole le dissi, stufo di aver si lungamente negato una cosa vera; parte che mi ripugnava assai in faccia ad un nemico offeso, e che minacciante parea dal mio negare potermi sospettare di volermi scolpare con esso; mentre io non negava, che per salvar la donna.

Giunti insomma al luogo nell'atto d'assalirci, ebbe egli la generosità, vedendomi il braccio sinistro al collo, e affatto impedito, di domandarmi se questo non m'impediva; risposi che sperava di no; e subito entrai primo in ballo. Sempre io sono stato pessimo schermidore; mi ci buttai come un disperato, e a dir vero altro non cercava che di farmi ammazzare. Bisogna pur che io vivamente assai l'incalzassi, poichè nel cominciare io mi trovava il Sole tramontante direttamente negli occhi, e in forse 5 minuti io avea talmente spinto innanzi, ed egli ritrattosi, e nel ritrarsi descritto una tal curva, che tosto mi ritrovai col Sole alle spalle interamente. Così martellando gran tempo, e ribattendo egli assai bene, giudico che non mi uccise perché non volle; ma allungatomi un colpo mi colse nel braccio destro, e me n'avvisò tosto: io nol sapeva; ed era lieve cosa. Allora sostato un istante, mi disse egli che era soddisfatto, e domandavami se io lo fossi. Dissi che io non avea nulla con lui; ch'egli era, o si stimava l'offeso da me, che stava a sua posta ogni cosa. Riguainò egli allora, ed io pure. Tosto ci separammo; ed io non mi giovando il braccio manco, aiutatomi coi denti, pervenni pure a cacciar fuori il braccio destro dalla manica dell'abito, e visto che era una scalfitura per lo lungo, che avea squarciato, e non piagato, fasciai riapuntandomi co' denti col fazzoletto, e rimesso l'abito; e in poco più di mezz'ora fui di nuovo al teatro nel palco dond'era uscito. Dove, domandato perché era balzato così fuori ad un tratto, che essi neppur mi avean sentiti nominare, non che sapessero chi mi avea ricercato, essendoci donne nulla volli dire; e fra poco me n'andai. Già stava vicino a casa mia, quando, non mi acquetando pure di quell'orribile incertezza su lo stato di lei, mi venne in capo di andare da una sua cognata, in casa di cui qualche volta c'eramo visti; e che ci secondava.

Opportunissimo fu il mio pensiere, poichè entrandovi, il primo oggetto che mi si appresentò agli occhi fu l'amatissima donna. Tosto ebbi da lei schiarimento del tutto, o almeno di gran parte; che il tutto mi riserbava il destino a saperlo per altro mezzo. Il marito, fin dal mio primo viaggio in villa, n'avea avuto il sospetto, e quasi la certezza, dalla persona in fuori, che qualcun c'era stato: avendo appurato che un cavallo era stato lasciato in tale albergo, tal giorno, da persona che vi era tornata a riprenderlo verso le due della notte. Appresentandosi perciò l'occasione della rivista, che altamente avea fatta suonare agli orecchi della moglie, egli avea segretamente incaricato alcuni de' suoi famigliari di vegliare, e dargli conto poi di quanto passerebbe. Partito egli la Domenica verso le 4 il giorno, per Londra, io era partito la stessa Domenica verso le 7 per la di lui villa; e giuntovi a due miglia, avea quivi come dissi lasciato il calesse, e proseguito a piedi: ma nel giungere agli stecconi del parco avea attraversato il cimitero, che era ancora quasi giorno, e dietro una tomba appiattatosi uno dei famigliari, mi avea visto; e notato entrare poi scavalcando gli stecconi; ed egli od altri mi aveano visto poi all'alba uscire per la stessa via. Nessuno s'era attentato dirmi nulla, perché vedendomi forse in aria risoluta, con la spada sotto il braccio, e non c'avendo essi interesse proprio; gli spassionati non si pareggiano mai cogli innamorati. Ma certo, se all'entrare, o all'uscir di quel parco a quel modo mi avessero voluto fermare in due, o in tre, la cosa si riduceva per me a un mal partito; perché parlando io poco e male la lingua, non mi volea lasciar pigliare che morto, e con questa risoluzione mi conveniva rispondere subito per stoccate potendo; e in quel paese di savie, e giuste leggi e ben eseguite, queste cose hanno un mal esito. Avea dunque in quel primo incontro sfuggito alla prima la forca, che è la peggior delle morti. Il marito, ritornando poi il Lunedì sera, non ebbe gran fatica a palpare con le proprie mani le sue troppo avverate piaghe. Già prima d'arrivare, dallo stesso mio postiglione ch'io avea fatto aspettar tutta notte lo seppe, non lo domandando, per caso. Giunto poi a casa, da ben due, o tre testimoni di vista lo seppe; e i segnali della persona furono si ben descritti, che non rimase luogo a dubbiezza.

Qui la gelosia d'un italiano ride, nel dover descrivere gli effetti di una gelosia inglese: e il diverso effetto nasce parte da diverso carattere, e parte da diverse leggi. Insomma, in vece di parlar di pugnali, di veleni, di atroci smanie, il marito, che pure amava moltissimo la moglie, le raffrontò subito i tre testimoni, che talmente individuarono, il tempo, il luogo, il come, il quando, ed il chi, che, a lei vinta, e convinta non rimase parola da porre all'incontro.

Venuto intanto il Martedì, egli non celò alla moglie, che non la guardava più come tale d'allora in poi, e che il divorzio era certo; ma che inoltre veniva in Londra, e che troverebbe me. Ella allora segretamente raggiratasi per farmi aver un avviso di ciò, pervenne con molti danari a potere spedire un uomo a cavallo, che venuto a briglia sciolta mi avrebbe trovato prima che mi trovasse il marito, se io fossi stato in casa: ma per fortuna io non c'era. Il marito frattanto partito più tardi era arrivato in quell'ora, in cui, sapendo ch'era giorno d'opera, ed essendo avvezzo a vedermici spesso nel palco del Masserano, dove la moglie sua, ed egli stesso venivano talvolta, là subito fece pensiero di ricercarmi, ed andato prima a smontare a casa per provvedersi di spada, che in villa non l'avea con sè, tutti questi ritardi attesa la distanza dei luoghi avean portato fin quasi alla fine del giorno. Ella allora, appena partito lui, avea lasciato quella casa di dolore tutta in iscompiglio, e sossopra, ed era venuta tosto a rifugiarsi in casa la cognata, aspettando di farmi sapere il tutto, e di sapere ella stesso l'esito di un tale sconquasso. Troppo era il tumulto, la rapidità, e il contrasto dei diversi affetti, che l'uno e l'altro ci agitavano, in quel disordinato ed interrotto vicendevol racconto. Il fine puro di tutto ciò, era per noi una felicità inaspettata, poichè pel vicino inevitabile divorzio, io mi trovava impegnato, e null'altro al mondo bramava, che di sottentrare ai lacci, ch'ella stava per rompere. Ebbro di tal pensiere, e tutto fuor di me stesso per così improvviso e felice scioglimento di tale affare, volli ancor quella notte, ch'era inoltrata già molto andar dall'amico Caraccioli, e di tutto informarlo. Rientrai per tal modo a casa mia circa all'alba; nè mai ho dormito d'un sonno più tenace e più dolce.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:08/02/2001 17.51

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