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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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VITA

Di: Vittorio Alfieri

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EPOCA SECONDA - ADOLESCENZA

ABBRACCIA CIRCA OTTO ANNI DI SOGGIORNO NELL'ACCADEMIA

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Partenza dalla casa materna; ingresso nell'Accademia di Torino.

Eccomi dunque per le poste correndo a quanto più si poteva, ch'io al pagar della prima posta avendo intercesso presso al fattore in favor del postiglion primo, avea di già guadagnatomi il secondo, che accennandomi dell'occhio mentre si andava correndo, ed io, dormendo il fattore ch'era vecchio e assai grasso, gli andava dicendo d'andare andare; e si volava veramente. Non avea mai da che viveva avuto un simil piacere; che nella carrozza della madre, dove di radissimo entrava, si andava di mezzo trotticello, ed essendovi chiuso, non si potea vedere i cavalli; ma nel calesse italiano, dove si sta quasi addosso ai cavalli, io godeva di un piacere infinito; e tanto era maggiore, quanto l'ultimo viaggietto che s'era fatto nel Maggio di quell'anno, nel ritornare da una villa in Asti, eramo venuti in uno sterzetto tirato da' buoi, per via de' grandissimi fanghi di quella provincia. Di posta in posta dunque, in una palpitazione di cuore continua pel gran piacere di correre, e la novità delle cose che vedeva, e la speranza ancor maggiore di quelle da vedersi, arrivai finalmente a Torino verso le 4 o cinque dopo mezzo giorno. Era una giornata stupenda, e l'entrata di quella città per la porta nuova, e la piazza di San Carlo fino all'Annunziata dove stava il mio zio, mi avea veramente rapito, ed era come fuor di me stesso. Non fu poi così lieta la sera, perché ritrovatomi in una casa nuova, fra visi sconosciuti, senza il maestro, senza la madre, con la faccia dello zio, che appena avea visto una volta, e che, come uomo, era assai meno tenero, e accarezzante della madre, ricaddi nel dolore, e nel desiderio di tutte le cose lasciate. In capo ad alcuni giorni avvezzatomi poi alla novità, ripigliai e l'allegria, e la vivacità assai più che non ne avessi avuta mai: e tanta e troppa: Poiché lo zio trovandomi un diavoletto che gli metteva a disturbo tutta la casa, e che per non aver maestro perdeva il mio tempo, in vece di tardare a mettermi in Accademia fino all'Ottobre, come era detto, mi vi mise fin dal primo di Agosto 1758. Eccomi dunque in età di nove anni e mezzo allontanato affatto da ogni parente, in mezzo a visi affatto sconosciuti, isolato, e lasciato a me stesso; perché quella specie d'educazione pubblica, (se educazione potea pure nomarsi) in nulla altro che gli studi, e anche dio sa come, influiva su l'animo dei giovinetti; nessuna massima mai di morale, nessun ammaestramento della vita ci veniva data: e da chi ci sarebbe ella stata data? Era quell'Accademia, sontuosissimo edificio, divisa in due gallerie l'una su l'altra, che occupando l'intero lato del quadro, era destinata la superiore sotto il nome di terzo apartamento ai più ragazzi, fino alle scuole di quarta; l'inferiore chiamata secondo appartamento era destinata ai più adulti, di cui metà studiavano all'Università, metà in casa attendevano agli studi militari. Il destro lato era di pari grandezza; i due terzi di cui erano destinati a forestieri, o paesani più ricchi, o in età assai più avanzata, sotto il nome di primo appartamento; il terzo che rimaneva il più discosto da noi era con una altra separazione destinato ai paggi del Re. In faccia a noi, occupava tutto il lato parallelo al nostro una sontuosa fabbrica, in cui erano gli Archivi del Re, e tutto quasi il sinistro lato, era occupato dal Regio Teatro. Noi dunque giovani studenti eramo assai mal collocati fra un teatro a cui non andavamo che 5 o 6 volte per carnovale, e fra i paggi, che ci pareano godere di una libertà tanto maggior della nostra, e fra que' del primo appartamento, che in fatti quasi intera la godeano; non avendo altra regola che da loro venisse osservata, fuorché di ritirarsi la sera prima dell'undici. E per più nostro supplicio di desideri inutili, volea il destino che per andare alla nostra cappella, ogni giorno si dovesse passare per le gallerie destre del primo appartamento, e quindi vederci su gli occhi continuamente la insultante libertà di quegli altri, duro paragone colla nostra abborrita servitù. Chi fece quella distribuzione, non conosceva il cuore dell'uomo; e non pensò di qual funesta influenza riuscisse nei giovini petti quella continua vista del meglio; o creduto tale.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:08/02/2001 17.38

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