V. Alla stazione di
Venezia
La stazione era pressoché
vuota. Al restaurant vi erano occupati tre tavoli e da gente che non pareva accingersi al
viaggio visto ch'erano privi di bagagli. Non una donna. Dietro il banco alla cassa ve
n'era una sola e vecchia.
Del resto il signor Aghios
era ansioso di sentire le confidenze di Bacis ed era tutt'intento ad un'attività
negativa: Impedire a se stesso di fare un cenno o dire una parola che potesse essere
interpretata come un incentivo al Bacis di fare tali confidenze. Non c'era più tempo di
guardarsi d'attorno. Il signor Aghios non si trovava in viaggio, ma in una casa. Se nel
frattempo il giovanotto avesse deciso altrimenti, egli non avrebbe cercato di farlo
desistere. Era un sacrificio, dopo di aver già sacrificato qualche cosa al Bacis e alla
sua tragedia. Ma non bisognava fare errori, perché gli errori che si commettono in
viaggio sono irreparabili. Le persone che si assistono non si rivedono più e non v'è
più riparazione possibile.
Un momento perdettero col
cameriere. Il signor Aghios ordinò della carne fredda e del vino. Avevano ancora molto
tempo perché, benché la gondola fosse stata contrattata fino alla mezzanotte, Bortolo
aveva fatto in modo di liberarsi dal suo fardello alle undici. Il Bacis accettò un pezzo
di pane e un pezzo di carne che il signor Aghios gli porse, ma non ne ingoiò che qualche
boccone sollecitatovi più volte. Invece vuotò quasi senza accorgersene molti bicchieri
di vino, proprio nel corso del discorso cui i bicchieri servivano quasi d'interpunzione.
Per imitazione e lui pure senza accorgersene, ne bevette molto anche l'Aghios.
Non c'era pericolo che
l'Aghios perdesse le confidenze. Fu un fiume di parole da cui fu investito. Da bel
principio irruenti parole, come se fossero giaciute contenute da troppo tempo in gola.
Io avrei già parlato
in gondola. Ma c'era quel gondoliere. Dio mio! Che uomo insopportabile! Certamente
disturbava così per rendersi gradevole e farsi aumentare la mancia. Io avrei voluto
levarmi in piedi senza ch'egli se ne accorgesse, avvicinarlo e spingerlo in acqua.
Il signor Aghios era
tutt'intento ad esaminare la faccia che gli era rivolta e ch'egli vedeva per la prima
volta con tanta esattezza. Era una faccia d'adolescente su cui stonava l'ira energica che
gli si manifestava e che faceva lampeggiare i suoi occhi azzurri, grandi, ben disegnati,
sani perché la cornea ne era nivea, senz'alcuna trasparenza di sangue o di fiele. I
capelli biondi, abbandonati, di cui un riccio ricadeva sulla fronte così che il Bacis
aveva il bisogno di allontanarveli con la mano, a volte in quella luce rosseggiavano. Una
lieve peluria copriva il labbro ed era strano che da una persona vestita di un abito
netto, accuratamente ripassato e una camicia di bucato, la barba non fosse fatta da varii
giorni, forse un segno della tragedia che gli veniva raccontata.
Il signor Aghios non poté
trattenersi dal difendere il povero Bortolo: Poverino! Fa quello che può!.
Il Bacis prima di
ammetterlo dovette pensarci un momento. Poi riconobbe che il signor Aghios aveva ragione e
mormorò: Certo ognuno a questo mondo fa quello che deve. Forse anch'io così e
certo allora sarei meno infelice.
Anch'io pensò
il signor Aghios e, per esserne sicuro, trangugiò un bicchiere di vino. Poi non fu facile
al signor Aghios di seguire parola per parola tutto il racconto del Bacis. Il Bacis era
costretto ad abbassare la voce per non essere sentito dagli altri. Poi, come il tempo
passò, la stanza si vuotò del tutto e di stranieri non vi rimase che la vecchia signora
dietro al banco e abbastanza lontana da loro. Allora il Bacis di tempo in tempo elevò di
troppo la voce e fu peggio. Un timpano vecchio come quello del signor Aghios, per ragioni
ovvie, non sa percepire il suono lieve. Ma non sa nemmeno analizzare e disarticolare il
grido forte se vi è impreparato. Però l'effetto dell'esposizione non fu danneggiato da
tale sua sordità. Il grido e il pianto possono perdere del loro effetto se la parola che
li accompagna non è adeguata.
L'insieme del racconto fu
da lui inteso. Non si trattava di una storia troppo complicata. Il Bacis era un milanese
di origine friulana che a 17 anni era stato chiamato da un cugino della madre a Torlano
nella Carnia per essergli d'aiuto nella direzione di un'azienda agricola. Ora questo
cugino aveva una sola figliuola, Berta, e da bel principio, per una tacita intesa di cui
anche il giovanotto sapeva, egli avrebbe dovuto sposarla e succedere nella proprietà
dell'azienda che amministrava. Il giovanotto non l'amava. Sentiva anche una certa
antipatia per il carattere imperioso e presuntuoso della giovinetta, ma spintovi
dall'interesse, ch'è tanto potente in tanti giovani cuori, amava l'azienda e la
giovinetta dello stesso amore.
Probabilmente il suo
fisico non le piaceva disse il signor Aghios che sapeva la vita. Quando una
donna non piace è sicuro che ha un carattere disgustoso.
Può essere!
disse il Bacis con una certa fretta di eliminare un'idea che gli toglieva il corso del suo
pensiero. Ma poi non seppe procedere senza aver proprio distrutta quell'obbiezione che gli
si attaccava ai piedi e gl'impediva il passo. Prima ch'io amassi Anna io amai
un'altra donna...
Chi è Anna?
interruppe il signor Aghios.
Anna è la nipote del
padre di Berta. Quella che m'impedì di tenere gli occhi chiusi e di sposare Berta
senz'accorgermi ch'io non sapevo amarla. Ma non sapevo amare Berta proprio per il suo
carattere. Prima di Anna io amai unaltra, non so quando, proprio nella mia prima
infanzia, ma so che anche quest'altra era debole, debole, dolce, dolce, bisognosa di
protezione e più disposta al pianto che alla lotta.
Insomma sottile,
sottile disse il signor Aghios che intendeva benissimo avendo avuto gli stessi
gusti. Non s'accorgeva il signor Aghios di restare ostinatamente fermo nella sua prima
idea e di correre perciò il pericolo di fermare il racconto del Bacis.
Sottile, sottile! Si,
anche sottile disse il Bacis arrendendosi. Il signor Aghios sospirò soddisfatto di
aver indovinato.
Il giovanotto aveva visto
spesso Anna accanto alla fidanzata, ma non se ne era subito innamorato. Era una bambina,
una vera bambina a quattordici anni. Di adulta c'era in lei la grande soggezione ai ricchi
parenti, un calcolo dunque da persona molto ragionevole. Ma a quindici anni anche tale
soggezione divenne ancora più da adulta, cioè s'ammantò di un po' di tristezza e
divenne dolorosa per certi lievi scoppii di ribellione subito repressi, ma non abbastanza
prontamente per sfuggire ai parenti che perciò la odiavano. Era vestita più dimessamente
di prima, ma ogni straccio sul suo corpicino diventava importante.
Il signor Aghios aveva già
bevuto abbastanza per sentirsi capace di conservare tutta la libertà di cui aveva goduto
quasi tutto il giorno anche di fronte ad un interlocutore tanto veemente.
Con l'esperienza di chi
molto amò e desiderò, ma nello stesso tempo con la parola pacata del vecchio ch'è
simile all'uomo oggettivo chiuso nel laboratorio con gli elementi che rubò alla vita,
osservò: Questi stracci appiccicati alla donna amata diventano una sua estensione.
È come porre su una fiamma un pezzettino informe di metallo. Quando s'arroventa emana la
stessa o anche una maggiore luce della fiamma stessa. C'è una differenza però. Tutti
vedono la luce. Non tutti la bellezza di quegli stracci. Grande differenza! .
Il Bacis tracannò un
bicchiere di vino per poter restare col pensiero al proprio discorso. Ma con l'Aghios un
bicchiere non bastava, perché era un uomo che in viaggio voleva vederci chiaro
Perciò io credo che
quegli stracci siano piuttosto simili a certi colori la cui bellezza è sentita dai soli
artisti o dagl'intenditori. Già! È evidente! Solo chi ama è un intenditore. E
anche il signor Aghios bevette per premiarsi di tanta acutezza.
Ma tutti dicevano che
Anna coi mezzi più semplici era vestita splendidamente.
Poi il Bacis fu anche più
irruente per non dar tempo al signor Aghios d'intervenire.
Ma ora parlò chiaramente e
sempre con la stessa bassa voce quasi vergognandosi di se stesso, così che il signor
Aghios percepì ogni sua sillaba.
Chi era Anna? Una
serva. Chi ero io? Non sapevo di essere uno schiavo disgraziato. Venivo già trattato
quale il figlio del padrone. Non si poteva ragionevolmente pretendere ch'io rinunziassi
all'alta posizione che mi veniva regalata. Perciò io decisi di godere Anna e sposare
Berta. Con lento proposito. Ogni mattina levandomi il mio problema era: Che cosa farò io
oggi per conquidere Anna? Senza che altri se ne accorgesse io la circuii delle mie
attenzioni. Fu facilissimo ottenerla! Non ci fu altra difficoltà che di trovarla sola,
scavalcare un davanzale. Ancora adesso non capisco! Tutti a Torlano l'ammiravano per la
sua modestia, la sua ritenutezza, la sua religione. Questa facilità forse m'attaccò
tanto a lei, fu la mia sventura e, se Dio m'aiuta, sarà la sua salvezza. Perché si
fidò, di me, così subito? Fu ingannata dalla sincerità della mia carne? Sa spiegarlo
lei ch'è un filosofo?
La mente intorpidita del
signor Aghios fu scossa da quelle parole del Bacis: Sincerità della carne. Un turbine
d'idee sorse da quelle parole. Era la sincerità delle bestie la sincerità della carne,
ma anche da esse questa sincerità non durava che un attimo e non rappresentava un
impegno. Il Bacis aveva però macchiato quella sincerità, perché in quel medesimo
istante egli aveva pensato di simulare. Anche quella sincerità da lui non aveva servito
che a tradire meglio.
A me lei dà del
filosofo nello stesso istante in cui ella fabbricò questa terribile idea della sincerità
della carne contraddetta dalla falsità di un'altra parte del corpo ch'è anch'essa carne,
carne evoluta!
Io non ho tempo di
pensare a tali cose disse il Bacis stringendosi nelle spalle. Io non penso
mai; io ricordo per soffrire. Avvenne proprio come le dico. Essa mi sentì sempre sincero
ed io sempre seppi di tradirla. Io non credo di aver saputo fingere. Il mio volere fermo
di sposare la fortuna, non me ne lasciava il tempo. Se avevo anche sempre pronte le parole
per avvisarla ch'essa doveva restare l'umile serva mia e di mia moglie. Pensavo proprio di
dirle che di giorno avrebbe potuto continuare a servire mia moglie e qualche notte avrebbe
dovuto accogliermi nel suo letto. Per qualche tempo solo, finché ne fossi stato ben
sazio. Non dissi tutto ciò solo perché tutto mi pareva sottinteso. Non c'era fretta. E
se non ci fosse stato questo mio sciocco cervello ch'è fatto altrimenti di quello che
dovrebbe, io avrei potuto fare la mia vita più lieta e più comoda per sempre. Non Anna
mi rese infelice, ma questo mio stupido cuore.
E il Bacis continuò
dicendo che in quel torno di tempo gli capitò la notizia che suo fratello, cassiere in
una banca, aveva commesso una cattiva azione che avrebbe potuto costare la vita alla loro
madre. La madre supplice si rivolse a lui pregandolo di procurare lui le diecimila lire
che occorrevano per salvare l'onore della famiglia. Egli senz'altro comunicò la cosa al
padre di Berta che già considerava suo padre. Costui diede subito le diecimila lire, ma
volle che Berta ne fosse informata e sapesse che tale importo andava in deduzione della
dote. Così egli si trovò d'essere ufficialmente fidanzato di Berta. Non ci furono
molte parole né con Anna per divenirne l'amante, né con Berta per divenirne il
fidanzato. L'anticipazione sulla dote era proprio da Berta la stessa cosa che Anna m'aveva
concesso permettendomi di godere del suo corpo. Così io passai tutti i miei giorni con
Berta e tutte le mie notti con Anna. Il grande casamento vastissimo e disadorno in cui
vivevamo era proprio fatto per organizzarvi la mia doppia vita. Ad un'ala c'era l'ufficio
e l'abitazione della famiglia di Berta. Al di fuori dell'ufficio dormivo io in una stanza
a pianoterra. All'altra ala, circondata da stanze in cui dormivano famigli e serve stanchi
del lavoro della giornata, c'era la stanza di Anna. Avevamo tre cani di guardia, che
m'accompagnavano festosamente ma muti nella mia corsa da una parte della casa all'altra. E
di giorno io ad Anna non pensavo. Quando l'intravedevo umile, intenta alle sue faccende,
pensavo: Aspetta! Godrò di questa tua umiltà questa notte. Adesso non c'è tempo
di pensarci. E con Berta poco o nulla si parlava d'amore. Ma ci trovavamo uniti
nello stesso pensiero di allargare il nostro possesso. Già! Quello che nelle vostre
città è l'avidità di denaro, da noi in campagna è l'avidità di terra. E quando si
parlava delle nostre conquiste future (volevamo far salire sui colli il nostro possesso
tutto in pianura) Berta diceva: Quando Ugo (mio fratello) ci restituirà le
quindicimila lire.... Essa non dimenticava le quindicimila lire!
Al signor Aghios parve che
dapprima si fosse parlato di sole diecimila lire. Volle rettificare, ma poi gli parve cosa
inconferente.
In tutte le loro
speculazioni di terra e di prodotti erano guidati da un vecchio contadino, Giovanni,
assurto per la sua astuzia e fedeltà al rango di consigliere. Riceveva la stessa paga
come quando irrorava del suo sudore i campi (e non più), ma era l'anima dell'azienda. Il
signor Aghios tese l'orecchio, perché il Bacis dedicava tante parole a quell'umile uomo
che si capiva doveva finire per giocare una parte importante nell'avventura che gli veniva
raccontata. Era avido come i padroni, ma solo per loro. Un vero cane fedele. Il padrone
era il padrone e quando s'abituò a considerare anche il Bacis quale padrone, più padrone
di tutti perché più giovine, doveva rimanere suo padrone per l'eternità della sua vita,
s'investì dei suoi interessi anche quando potevano collidere con quelli del suo legittimo
padrone, il padre di Berta, e Berta stessa che quale donna non poteva essere la prima nel
comando.
Presto Anna si sentì
madre. Lo disse al Bacis senza domandare nulla ed anzi giocondamente, nella certezza che
ciò fosse un nuovo anello della catena che li univa. Non le era stata detta una parola in
contrario e innocentemente essa pensava che tutto dovesse svolgersi nel modo più
naturale. Il Bacis non ne fu molto turbato. Il suo primo pensiero fu anzi che ormai si
dovessero accelerare le pratiche per il suo matrimonio con Berta. Dopo, quale padrone,
avrebbe potuto facilmente far crescere quel bastardo all'ombra del casone senza
riconoscerlo e senza curarsene. Un bambino che non si ama costa in campagna pochissimo.
Poi cresce e produce. L'unica seccatura fu che la giovine madre fu meno amorosa. Si
sottometteva per vero, grande amore. Ma se poteva si sottraeva e, se lasciata libera,
domandava di essere risparmiata.
Già!
interruppe il signor Aghios. Madre natura creò il Piacere per garantire la
riproduzione. Una volta garantita questa, se il piacere tuttavia persiste è per
dimenticanza come dagli insetti certi colori che persistono talvolta anche quando la
stagione dell'amore è passata. Non si può mica essere tanto precisi in un'azienda tanto
vasta.
Può essere sia
così disse seccamente il Bacis. Ma anche qui ci fu una dimenticanza. Perché
madre natura dimenticò di spegnere l'incendio anche da me?
Oh! bella!
disse l'Aghios e furono parole dettate dal vino. A madre natura non sarebbe mica
spiaciuto che voi aveste, procurato un bimbo anche alla Berta. Essa ha sempre a fare.
Siamo in tanti! Non elimina che chi non serve più.
Mai! Mai!
gridò il giovine con veemenza. Berta, la nemica, la sprezzatrice di Anna!
Il signor Aghios rimase
scosso. Egli ora sapeva come la storia sarebbe finita. Il Bacis stava dinanzi a lui,
acceso, innamorato, disperato, il vero ultimo capitolo del romanzo. Non avrebbe più
bisogno di sentire altro.
Il Bacis continuò il suo
racconto con una certa fretta di finire. Anna dopo averlo respinto quale amante, in un
certo modo, lo privò anche del suo amore, del suo grande amore che s'era manifestato
prima di tutto nella sua assoluta discrezione e nella sua rassegnazione alla parte ch'egli
le aveva attribuita. Poi lo tradì confidandosi a Giovanni. Giovanni, da cane fedele,
parlò col Bacis e gli propose di far sposare la fanciulla da un giovanotto loro
contadino, ma zotico, nato apposta per quella parte.
Ciò avvenne
disse il Bacis nove giorni or sono. Contò sulle dita: Sì! proprio,
lunedì facevano gli otto giorni. Pare impossibile! Io allora ero ben altro uomo, perché
ringraziai Giovanni e consentii al suo piano. La mia metamorfosi cominciò la sera stessa
quando bussai alla porta della giovinetta e non mi fu aperto. La chiamai ed essa venne
fino alla porta per dirmi a bassa voce due volte: No! No!. Dovetti retrocedere
ed i cani ringhiarono perché, non aspettando di vedermi tanto presto, credettero non
fossi io. Mi coricai, ma non seppi dormire e alla mattina mi domandai: Perché non
la truffai ancora? Perché non le promisi di sposarla purché mi aprisse quella
porta?. Così m'avviai alla decisione nuova senza saperlo.
Alla mattina Giovanni mi
raccontò di essere già d'accordo con Anna. Adesso bisognava affrettarsi di togliere Anna
dal lavori di casa e di porla al lavoro sui campi, alla destra del fiume, per metterla a
lavorare accanto a Luigi. Fra contadini si fa presto. L'erba è soffice e si arriva ancora
in tempo per dare un nuovo padre al nascituro. Al sole io non ricordavo più le angoscie
della notte e fui anche d'accordo. Era facile di ottenere un ordine simile dalla Berta,
anche perché durante la vendemmia c'era bisogno del lavoro femminile ai campi. Ma per
fortuna, non ricordo per quale ragione, la Berta domandò di poter tenere la cugina in
casa per soli due giorni ancora. Io invece non ebbi bisogno che di una notte sola per
sapere quale fosse il mio dovere. Mi coricai zufolando e pensando: Mattenderai
invano questa notte e quando sarai dell'altro io non ci penserò più e andrò la mia via
alla ricchezza e all'indipendenza.
Fu invece una notte
terribile. Egli rivide nell'oscurità Anna come l'aveva vista durante la giornata, più
dimessa che mai, priva anche di quegli straccetti ch'egli su di lei tanto ammirava. E
nell'oscurità egli intese quella povera animuccia tutta come mai prima. Con lui l'intese
e forse più profondamente l'Aghios, che stava a sentire e temeva di aver gli occhi
offuscati da lacrime. Essa non era altro che madre, madre del suo bambino e non aveva
altro pensiero a questo mondo. Stava per abbandonarsi a Luigi sperando di preparare un
posto qualunque a quel bambino a questo mondo. Non era lei che a quell'abbraccio
s'abbandonava, era lui che a quell'abbraccio la spingeva. Poi essa avrebbe partorito,
sarebbe ridivenuta bella e amante. E il Bacis subito comprese che, nella sua posizione di
padrone, gli sarebbe stato facile di riaverla. Ma non gli importava, non era quello che
gl'importava. Digrignava i denti all'idea che quel bifolco di Luigi avrebbe potuto
prendergliela. E non per gelosia (egli assicurava al signor Aghios), ma perché non
ammetteva che un bifolco tale potesse divenire l'arbitro della vita di Anna. Che cosa
sarebbe divenuta la dolce Anna nelle mani di un simile individuo? E egli, ora, voleva lui
prenderla fra le braccia e portarla dolcemente traverso la vita. Egli non più la
desiderava. Egli oramai l'amava.
Quando il desiderio
s'accumula perde il suo aspetto e diventa amore. Tante cose a questo mondo accumulandosi
mutano d'aspetto disse sentenziosamente il signor Aghios. Non trovò subito il
paragone e non fu contento di quello che trovò. Guardi, la lietezza che produce il
vino diventa ubbriacatura. Poi, riflessivo: È vero che pare che il desiderio
sia più furioso dell'amore che viene dalla sua accumulazione.
Io non so disse
il Bacis stringendosi nelle spalle. Per il momento e finché non potei parlare con
Anna, io fui più furioso in amore che nel desiderio. Adesso non so nemmeno io come io mi
sia. Saltai dal letto perché in quello stato di abbiezione non potevo vivere per un solo
istante. Dovevo nettarmi verso Anna. Mi vestii e saltai dalla finestra. I cani ringhiarono
perché non erano usi a vedermi uscire tanto tardi. Ma a me non importava d'essere
scoperto e camminai per la campagna col mio solito passo pesante. Arrivato dinanzi alla
porta di Anna bussai. Essa dall'altra parte sussurrò: Perché vieni? Sai bene che
non posso. Cercai di spiegarle il motivo della mia visita. Volevo solo parlarle. Ma
essa non mi credette e sussurrò che parlare si poteva anche di giorno. Aperse quando ad
alta voce dichiarai che se tuttavia avesse rifiutato di aprire, io avrei abbattuta la
porta con un colpo di spalla. Allora aperse, ma per lungo tempo il nostro colloquio rimase
violento, più simile ad una lotta che ad un abbraccio. Io profondevo su lei tutte le
parole più dolci che mi si erano accumulate nell'anima, ma essa non mi credeva, perché
pare che - senza neppur accorgermene - io ne avessi usate di simili anche nel desiderio,
usando di tutti i mezzi per sottometterla più presto. Poi seppi anche di un'altra causa
che le impediva di credermi. Giovanni aveva parlato con lei e l'aveva convinta che non era
pensabile che un padrone come me rinunziasse ad ogni sua fortuna per una servetta come era
lei. Mi credette solo quando vide che m'accingevo ad andarmene senza domandarle niente.
Ero dunque venuto solo per convincerla dell'amore mio. Credette perciò nel mio amore
quando s'accorse che da me non c'era desiderio. Strano, nevvero? E il Bacis bevette
e tacque. L'Aghios, ostinato nel vino, avrebbe voluto sostenere il suo punto e asserire
che l'Anna s'era accorta d'essere amata solo quando aveva sentito che il desiderio da lui
s'era tanto accumulato ch'egli non poteva più sperare di saziarlo in un abbraccio. Ma non
trovò le parole. Il Bacis aveva anche lui bevuto molto. Le sue guance erano accese e i
suoi bei capelli biondi, lisci, avevano invaso la fronte a furia d'essere scossi dalla
testa che accompagnava coi movimenti la parola come se avesse voluto costringerla in un
ritmo. Gli fece compassione e non aperse bocca finché il Bacis non gli disse con voce che
si sforzava di rendere pacata: Mi pare che ora potremmo uscire e metterci sul nostro
treno.
Non c'è furia
disse l'Aghios dopo di aver guardato l'orologio. Attese ancora per un istante, ma poi
ansioso domandò: Ma poi? Come finì?.
Ancora non
finì disse il Bacis. Se nella notte io avessi incontrato la Berta o suo
padre, per aumentare la tranquillità che già avevo conquistata con le mie dichiarazioni
ad Anna, avrei subito dichiarato loro la mia risoluzione di sposare questa e non altri.
Non mi bastava mai la tranquillità che adoravo. Ma non li incontrai. Li rividi alla luce
del sole e fui prudente. Forse tale differenza di contegno si può spiegare col fatto che
da tanto tempo io dedicavo la notte all'amore per ritornare ai miei interessi di giorno.
Io non dissi loro altro che desideravo di fare una corsa a Udine per salutare mia madre e
subito partii, per Milano.
Perché a
Milano? domandò l'Aghios trasognato.
Per riavere quelle
quindicimila lire che m'erano state prestate dal padre della Berta in acconto della
dote disse i Bacis stupito che l'altro non ricordasse. Come potevo io ora non
sposare la Berta se prima non saldavo quel debito?
L'Aghios pronto causa il
vino a tradire ogni movimento del suo animo, si mise a ridere di cuore. Ricordava che nel
pomeriggio s'erano trovati in tre in una vettura e tutt'e tre avevano avuto delle somme di
denaro in tasca: L'ispettore centocinquantamila (forse meno, perché era un uomo disposto
alla vanteria), lui non cinquanta, ma trentamila e i Bacis quindicimila (a meno che non
fossero solo diecimila). In banconote? domandò quando il riso gli permise di
parlare.
Io non ebbi quel
denaro disse il Bacis con tristezza, e Dio sa quando l'avrò. Mio fratello Ugo
che me le deve non può restituirmele e s'accinge invece a sposarsi. Anche lui ebbe nel
frattempo un'avventura molto simile alla mia.
Con due donne?
domandò l'Aghios, che oramai di ogni avventura vedeva in piena luce solo i dettagli meno
importanti. E subito pensò: Dev'essere una malattia di famiglia.
I suoi ricordi, come la sua
percezione, rimasero chiari e non dimenticò che il Bacis rispose che si trattava di una
sola donna bastevole ad impedire al fratello di pagare il suo debito. Già
pensò l'Aghios che non dimenticava neppure la propria esperienza Una sola donna
basta per impedire tante cose.
Poi l'Aghios finì col
pagare il conto. Con la mancia cinquanta lire per un po' di carne fredda e due pezzi di
pane. Salirono nell'ultima vettura di un lunghissimo treno, la sola vettura adibita al
servizio di persone. L'Aghios si sentiva tanto sicuro nelle gambe da ridiscendere
dall'altissimo vagone per andare a prendere a nolo un cuscino. Lo pagò ed era già in
procinto di allontanarsi quando gli venne la buona idea di prendere uno di quei cuscini
anche per il suo compagno dì viaggio.
Glorioso risalì; scelse
fra due compartimenti quello che meglio gli piacque e offerse l'ultimo suo dono al Bacis.
Costui non avrebbe dimenticato mai più quella gondola, quella cena e quel cuscino, tutti
doni di una persona ch'egli vedeva per la prima volta. Ma neppure lui avrebbe mai più
dimenticato il Bacis, la Berta grassa e l'Anna sottile. Ma neppure Giovanni, quella pianta
uomo che cresce dappertutto con un bell'istinto di servitore utile. Anzi, il signor Aghios
si coricò pensando solo a Giovanni e a tutti i Giovanni ch'egli in sua vita aveva
conosciuti. Avevano rinunziato a tutte le altre fortune che ci potevano essere a questo
mondo e s'associavano indissolubilmente partecipandovi nel modo più modesto. Per essi non
esistevano speranze in evoluzioni pazzesche che li avrebbero resi padroni e non esempi di
fortune fatte per iniziative coraggiose indipendenti. Essi restavano attaccati al padrone
come la pianta arrampicante all'albero. Nella sua mente fosca, prossima a chiudersi nel
sonno, il signor Aghios pensò che Darwin non aveva inteso tutto. Non un animale aveva
prodotto l'umanità, ma da ogni singolo animale era discesa una data specie di uomo. Tutti
i Giovanni di questo mondo erano risultati per lenta evoluzione da quegli uccelli che
sulle rive del Nilo nettavano i denti ai coccodrilli. Forse i coccodrilli soffrivano di
carie e il pasto di quegli uccelli era, in proporzione di quello del coccodrillo, più
abbondante di quello che i padroni lasciavano ai Giovanni.
Stava per prendere sonno
quando un pensiero addirittura imperioso di benevolenza gli fece riaprire gli occhi.
Guardò il suo compagno di viaggio. Alla fioca luce che c'era nella vettura lo vide
giacere sull'altro banco, parallelo al suo, i biondi capelli lucenti giacere come lui,
abbandonato sul cuscino. Con la differenza però che si teneva gli occhi coperti con una
mano. Forse sotto a quella mano piangeva. Ed il signor Aghios pensò: Guarda questi
due uomini. Io ho in tasca il doppio (e forse il triplo) di quello che occorre per salvare
da tanta angoscia quest'uomo. Non posso però darglieli, perché altrimenti, almeno per,
altri tre mesi, dovrei continuare a pagare degl'interessi esosi. Insomma io non voglio
pagare degl'interessi e voglio invece ch'egli soffra sposando Berta e faccia soffrire
questa e specialmente quella povera Anna, che sta per cadere in mano di quella bestia di
Luigi, ch'è appoggiato da quel mostro in natura ch'è Giovanni, l'ideale dei
servitori.
Senta, Bacis!
chiamò e l'altro lasciò cadere la mano dagli occhi e lo guardò. Io, certo, non
c'entro coi suoi affari, visto che non ho i mezzi per aiutarla. Ma per il momento non c'è
che una premura: Impedire che Anna faccia un passo precipitoso. Non c'è urgenza. Il
bamboccio è ancora lontano. Perché non si confida con suo zio? Quando non si può
pagare, non si può pagare e non si paga. È ridicolo credere di essersi venduto per aver
preso a prestito dieci o (sia pure) quindicimila lire. Si resta debitori e amici come
prima. L'altro conteggia gl'interessi e può farlo. Poi nella vita, prima o poi, capita il
colpo di fortuna. Si paga e si è più liberi di prima, quando pure si era liberi per
propria risoluzione. Il colpo di fortuna può capitare a lei o può capitare a me. Sarebbe
una gran bella cosa per lei che capitasse a me. Le giuro che verrei subito a Torlano a
liberarla del suo impegno. Io avrei ora trentamila lire in contanti, a Trieste,
naturalmente (e si toccò la tasca di petto), ma non posso dargliene neppure una parte
perché mi occorrono tutte subito domani. Anzi, è per consegnare dinanzi ad un notaio
quei denari ch'io ora faccio questo viaggio, che sarebbe stato ben noioso se io non avessi
incontrato lei.
L'altro ringraziò a mezza
voce e ricoprì gli occhi con la mano quasi a difenderli dalla luce. Il signor Aghios si
sentì profondamente amareggiato. Era certo ch'egli non poteva dare quello che gli veniva
chiesto, ma era ben doloroso che il suo viaggio, intrapreso per cospargere la Lombardia,
il Veneto e il Friuli della sua benevolenza finiva (la notte era il riposo e non contava
per il viaggio) con un atto degoismo come in qualche breve favola di religiosi. Lui
era l'uomo ricco, l'altro il povero, lui la bestia, l'altro (visto ch'era il povero)
l'intelligente, quello che vedeva il mondo com'è nella vera luce, dove c'erano da
difendere tutt'altri beni che la vile moneta.
Eppoi un'altra cosa
l'amareggiava. Se egli avesse presa con sé la moglie, forse tutto avrebbe potuto
accomodarsi. Lui era l'avaro che non dava che le mance piccole, ma la moglie dava proprio
quello che occorreva... se consentiva. Raccontandole tutta la storia come stava, essa.
forse, si sarebbe commossa. Si avrebbe potuto offrire al poverino diecimila lire
(quindicimila in nessun caso).
Scoppiò. Si rizzò, trasse
di tasca il proprio biglietto da visita e lo porse al Bacis. Se non trova di meglio
venga me a Trieste o mi scriva. Non perda ogni speranza ed intanto impedisca alla povera
Anna di commettere delle bestialità.
Anche l'altro si rizzò. Ma
fu come un atto di cortesia senza convinzione. Mormorò: Grazie. Verrò a
Trieste. Si ricoricò e riportò la mano agli occhi non appena il signor Aghios
accennò a sdraiarsi di nuovo.
VI. Venezia-Pianeta
Marte
Il signor Aghios era oramai
più tranquillo. Solo gli bruciava lo stomaco per il tanto vino bevuto. La sua coscienza
era oramai tranquilla come se egli già avesse dato il denaro. In sostanza egli l'aveva
dato, perché avrebbe patrocinato con la moglie la parte del Bacis. Ora toccava alla
moglie di comportarsi bene anche lei.
Ma non subito
s'addormentò. È una cosa impossibile per un essere previdente di addormentarsi in un
treno che s'accinge a correre. Per essere più sicuro il signor Aghios saggrappò al
suo giaciglio, ma ciò implicò uno sforzo e non è una cosa facile di addormentarsi
nell'atto di fare uno sforzo. Poi finalmente il treno si mosse. Assunse un passo piuttosto
lento e pesante. Il rumore maggiore fu dato dapprima dalla propagazione del moto dalla
cima alla coda del grande convoglio, perché fra i singoli vagoni fu uno sbattersi
inquietante, tanto che il signor Aghios si rizzò per star a sentire. Per quietarlo il
Bacis, senza levare la mano dal volto, mormorò: Ciò avviene perché questo treno
manca del freno Westinghouse.
Non occorreva la parola
rassicuratrice, perché oramai il treno s'era avviato ed aveva assunto un passo
tranquillo. Molto tranquillo. Il signor Aghios poté abbandonare ogni sforzo e
abbandonarsi sul suo giaciglio. In un treno che procedeva con quel passo si avrebbe
certamente dormito tranquilli. La musica che proveniva da quel movimento era fortemente
ritmica e non violenta come da un treno celere: Una vera ninna-nanna. E lungamente il
signor Aghios seguì quel suono o meglio da quel suono fu inseguito nella pace che precede
il sonno. Esistono dei sonni di tutte le gradazioni e il suo grado più basso è quando i
sensi non si sono ancora staccati dalla realtà. Il signor Aghios traverso le ciglia
sentiva l'esistenza di quella fioca luce nella vettura e anche quel corpo del Bacis dagli
occhi coperti dalla mano, giacente a meno di un metro di distanza dal proprio. E il sonno
da lui cominciò quando quella musica là fuori cominciò a significare qualche cosa.
Diceva: Tutto va bene, tutto va bene. E il signor Aghios non si sentiva
d'intervenire per far terminare la monotona ripetizione. Era tanto bello di addormentarsi
al suono di una missiva tanto bella e tanto vera. Tutto andava bene infatti. Il Bacis gli
voleva bene, avendo subito voluto rassicurarlo su quei suoni scomposti provenuti dal primo
sobbalzo del treno. Tutto andava bene e si poteva finire.
Ma ancora una volta il suo
sonno fu interrotto. L'arrivo a Mestre somigliò alla fine del mondo. Pareva come se una
macchina potente si fosse messa a movere della ferramenta accatastata. L'Aghios spaventato
si rizzò. Arrivò a vedere il Bacis tranquillo e immoto, la mano sempre sulla faccia,
eppoi, tranquillizzato, lasciò ricadere la testa pesante sul guanciale mormorando:
Manca il freno Westinghouse.
Quando sognò il signor
Aghios? Certo non subito dopo abbandonato Mestre. Presso Gorizia, quando alle quattro
della mattina, il signor Aghios si destò, la distanza è lunga e il sogno sarebbe stato
dimenticato come ogni altro sogno che certamente allieta anche il sonno più profondo. È
piuttosto da supporsi che il sogno si sia prodotto in qualche stazione poco prima di
Gorizia, quando il sonno fu meno profondo e qualche cellula desta poté sorvegliare e
ritenere, il sogno.
Chissà poi se il sogno fu
proprio quello che il signor Aghios ricordò. Quando ci si desta da un sogno, subito
interviene la mente analizzatrice per connetterlo e completarlo. È come se volesse fare
una lettera da un dispaccio. Il sogno è come una sequela di lampi e per farne
un'avventura bisogna che il lampo divenga luce permanente e sia ricostituito anche quando
non si vide, perché non illuminato. Insomma il ricordo del sogno non è mai il sogno
stesso. È come una polvere che si scioglie.
Insomma il signor Aghios
era avviato verso il pianeta Marte, sdraiato su un carrello che si moveva traverso lo
spazio come sulle rotaie. Egli vi era sdraiato bocconi e invece di pavimento il carrello
aveva delle assi su cui, dolorante, poggiava il suo corpo. Una delle assi passava sul suo
petto e rendeva più pesante la tasca che vi era. Sotto a lui c'era lo spazio infinito e
al di sopra anche. La terra non si vedeva più e Marte non ancora, né si vide mai.
Il signor Aghios si sentiva
molto libero, molto più che in piazza S. Marco e anche troppo. Si guardava d'intorno e
non vedeva altro che spazio luminoso. Dove esercitare la sua libertà se non v'era nulla
che fosse schiavo? E a chi dire la propria libertà? Per sentirla bisognava pur poter
vantarsene. Anche nel sogno il signor Aghios era riflessivo. Pensò: Io non sono
solo, perché c'è la mia libertà con me. La mia sola noia è quella tasca di petto che
duole.
Ma più che si procedeva
nello spazio, più solo il signor Aghios si sentiva. Giacché andava al pianeta Marte egli
pensò, per il sentimento d'onnipotenza che il sognatore sente, ch'egli avrebbe potuto
foggiare quel pianeta a sua volontà. Previde quel pianeta. Ebbene, egli lo avrebbe
popolato di gente che avrebbe intesa la sua lingua, mentre egli non avrebbe intesa la
loro. Così egli avrebbe comunicata loro la propria libertà e indipendenza, mentre loro
non avrebbero potuto incatenarlo con le proprie storie, che certo non mancavano loro.
Una voce proveniente dalla
stazione di partenza già tanto lontana domandò: Mi vuoi con te?. Doveva
essere la moglie. Ma il signor Aghios voleva la libertà; finse di non aver sentito e anzi
aderì ancora meglio al suo carrello per celarsi. Così proseguì a grande velocità, che
non si percepiva causa la mancanza di cose e di aria e, correndo, pensò: Voglio che
mio figlio non rimanga solo.
Poi la voce fioca, lontana
di Bacis gli domandò: Mi vuole con lei?.
Aghios pensò che
l'intervento di Bacis l'avrebbe privato di ogni libertà. Appassionato com'era, con lui
non si poteva parlare d'altro che dei fatti suoi. Gli aveva già pagato la gita in gondola
ed era ridicolo volesse ora fare un simile viaggio a spese sue. Andare al pianeta Marte
per parlare di Torlano? Non ne valeva la pena. Il signor Aghios si strinse meglio al
carrello per continuare a celarsi.
Una voce dolce, musicale,
ma vicinissima domandò: Io sono pronta alla partenza, se mi vuoi.
In sogno una parola e il
suo suono dipinge intera la persona che la emette. Era Anna, la fanciulla bionda, alta,
dalle linee dolci, salvo le mani abituate al grande lavoro. Quell'Anna che s'era lasciata
ingannare dalla sincerità della carne.
Il cuore paterno
dell'Aghios si commosse fino alle sue più intime fibre. Egli la voleva con sé per
allontanarla da Berta e da Giovanni che la umiliavano e anche dal Bacis del quale non
c'era da fidarsi, il traditore che l'aveva ingannata con la sincerità della carne.
E subito essa fu con lui
sul carrello, sotto a lui, coperta da quegli stracci che l'adornavano, ma che ricavavano
ogni loro bellezza dal suo corpo morbido, giovanile, non ancora sformato dall'incipiente
maternità. I capelli biondi svolazzavano nell'aria, che per essi c'era, sotto a loro. Ora
non avrebbe più dovuto esserci del dolore alla tasca del petto. Ma un greve peso v'era
tuttavia. Anna probabilmente vi si era afferrata per sentirsi sicura.
E si procedette così,
senza parole, mentre il signor Aghios pensò: È la mia figliuola. Le insegnerò a
non fidarsi più di alcuna
sincerità.
Ora il motore del carrello
doveva fare un chiasso indiavolato. Tutto lo spazio ne era pieno. E l'Aghios si domandò:
Ma perché la mia figliuola ha da giacere così sotto a me? È il sesso? Io non la
voglio. E urlò: Io sono il padre, il buon padre virtuoso.
Subito Anna fu seduta
lontano da lui, ad un angolo del carrello, in grande pericolo di scivolarne nell'orrendo
spazio e l'Aghios gridò: Ritorna, ritorna, si vede che su quest'ordigno non si può
stare altrimenti. E Anna obbediente ritornò a lui come prima, meglio di prima. E lo
spazio era infinito e perciò quella posizione doveva durare eterna.
Uno schianto! Si era
arrivati al pianeta?
Infatti il treno,
fermandosi, sembrava volesse distruggere se stesso. Il signor Aghios saltò in piedi.
Soffocava, ma arrivava a ravvisarsi. Fra quel carrello e questo treno c'era una confusione
da cui era impossibile estricarsi. E la stessa confusione c'era fra la gioia che aveva
provato poco prima e la vergogna che ora lo pervadeva. Ma la bontà del signor Aghios era
infinita anche verso se stesso. Pensò: Io non ci ho colpa. E subito sorrise.
Egli aperse una finestra e
l'aria si fece respirabile. Vide la campagna vuota: Una luce immota brillava dalla casa di
un contadino. Tuttavia abbattuto dal grande sonno, la stanchezza del doppio viaggio, il
signor Aghios ebbe ancora il tempo di guardare il giaciglio vuoto del Bacis, eppoi anche
il posto ove era giaciuta la sua valigetta. Il Bacis se ne era andato discretamente, senza
destarlo. Dovevano aver già passato Gorizia.
Senza convinzione, con la
testa sul cuscino, l'Aghios pensò: Peccato! Se ci fosse stato gli avrei dato subito
le diecimila lire (non quindici). Sorrise! Era bello di non poter pagare. Rimorsi
non ebbe. La sua avventura, la più forte che avesse avuta durante la vita, non usciva
dalla vita del suo pensiero solitario e perciò non aveva importanza. Tuttavia se il Bacis
fosse venuto da lui a Trieste, egli, d'accordo con la moglie, avrebbe tentato di aiutarlo
in piena virtù.
E s'addormentò
profondamente dopo di aver tratto sotto la propria testa anche il cuscino del Bacis. Si
sentiva perfettamente bene. Il vino era stato smaltito nella corsa traverso gli spazi
siderei e non lo turbava più.
VII. Gorizia-Trieste
Si destò che albeggiava,
squassato da un'altra fermata del treno. Saltò in piedi. Era una stazione abbastanza
considerevole. Gorizia!
Ma dove era dunque disceso
il Bacis? E l'Aghios fece con facilità la sua teoria su quell'abbandono. Certo il Bacis
aveva rinunziato alla speranza di trovare quel denaro da quel suo parente a Gorizia e
doveva essere disceso a Udine. Chissà quello che avrebbe fatto! Forse avrebbe finito col
decidersi di sposare Berta per poter, da padrone, proteggere meglio Anna. Vedeva oramai
quella storia tanto da lontano che ogni accomodamento gli pareva possibile. In fondo Anna
era l'oggetto dell'amore e tale doveva rimanere. Cara! Cara! Quegli straccini, che la
vestivano tanto bene, non doveva abbandonarli.
Verso le sette, quando il
treno, con quel suo passo stanco di nottambulo che rincasa, cominciò ad arrampicarsi sul
Carso, in un istante di noia, non sapendo che farsi nella sua solitudine, il signor Aghios
trasse di tasca il portafogli e palpò le banconote. Sorrise ai propri sensi ingenui che
sentivano un dimagrimento del pacchetto. Cosa vuol dire curarsi troppo di una cosa! Per
rassicurarsi si chiuse nella vettura, calò le tendine e si mise a contare accuratamente
le banconote. Non ve ne erano che quindici! Il Bacis ne aveva trafugate proprio quindici.
Oh! Quale canaglia!
Il primo movimento
dell'Aghios fu di correre al campanello di allarme. Vi pose persino la mano, ma dopo, da
persona timida, esitò davanti a quella minaccia di persecuzione penale. E così ebbe il
tempo di ragionare. Che scopo c'era di arrestare quel treno lento, che si batteva al di
sopra Barcola, sobborgo di Trieste, per raggiungere il ladro ch'era disceso in una
stazione non precisabile prima di Gorizia e da li s'era avviato col suo bottino verso
Torlano ove non cera ferrovia? Nessunissimo, perché il conduttore del treno non
avrebbe mai acconsentito di cambiar rotta e portare lui e tutti i vagoni sgangherati verso
la Carnia.
Il signor Aghios si morse
le dita. Era tutto ira e vergogna. Vergogna di essersi lasciato turlupinare a quel modo.
Addio sentimento della libertà del viaggio, addio benevolenza. Somigliava ad una di
quelle figure sintetizzate tanto bene nelle nubi nere e minacciose, ma egli non ricordava
né le nubi, né i cani e neppure le belle donne, i suoi aggradevoli monti compagni di
viaggio. Alla stazione di Tries*
Nota: "Corto viaggio sentimentale" risulta
incompleto per la morte dell'autore (Italo Svevo morì in seguito ad un incidente
automobilistico nel 1928). |