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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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di: Giovanni Verga

Flower Bar

ATTO TERZO
Giardino invernale pieno di luci e di colori.
SCENA I
Alberto dalla destra, Adele dalla sinistra.
ALBERTO. M'avete fatto chiamare?
ADELE. Sì. Ho visto aprire le vostre finestre che ancora non era giorno, e desideravo vedervi prima che foste uscito.
ALBERTO. Che! Levata a quell'ora!... Ma voi ammalerete, Adele!... Quale pazzia?
ADELE (con grazia un po' amara). Non me la rimproverate, Alberto!... Perché c'è stato un tempo quando di tali pazzie ne abbiamo fatto insieme!... (cambiando discorso con uno sforzo penoso, ma con grazia). Ma voi non mi avete dato il buongiorno, signore!
ALBERTO (badandola in fronte ma con freddezza). Ecco!
ADELE. Non sedete un momento? Avete fretta?
ALBERTO (freddo e pensieroso). Oh... no...
ADELE. Abuso del vostro tempo?
ALBERTO (c.s.). Oh... tutt'altro!... Voi lo sapete.
ADELE (con grazia e passione). Sono forse esigente!... Bisogna perdonarmi... Che volete... mi avete avvezzata così male!... (ravviandogli i capelli). Come siete diventato, Alberto!... Voi trascurate orribilmente i vostri capelli... i vostri vestiti...
ALBERTO (c.s.). Davvero?...
ADELE. Sì, proprio!... Non vi si riconosce più!... Non pensate che alla caccia... e andar fuori... a divertirvi...
ALBERTO (come uomo mortalmente annoiato) Se sapeste come mi diverto, Adele!
ADELE (con segreta amarezza). Vi annoiate?
ALBERTO (c.s.). Oh!... assai!... (riprendendosi). All'infuori di quando sono presso di voi.
ADELE (vivamente e con grazia). Chi vi manda via signore?
ALBERTO (imbarazzato). Ah, temo di annoiare anche voi.
ADELE (con amarezza mal repressa). Oh! quanti timori!... (rimettendosi, con grazia). Ma sapete, signore, che io son gelosa dei divertimenti che vi procurate senza di me!... Oh, dico per ischerzo, sai!... Che hai fatto ieri? (prendendogli le mani).
ALBERTO (freddo). Una visita al podere di uno dei nostri amici.
ADELE. Tornasti assai tardi.
ALBERTO. È vero.
ADELE. Dopo le due.
ALBERTO. Come lo sai?
ADELE (con grazia). Ero lì ad aspettare.
ALBERTO (con mal dissimulato dispetto). Un'altra bambinata!
ADELE (con amarezza). Ah!... bambinata!
ALBERTO (c.s.). Perché darvi la noia di aspettarmi?
ADELE (c.s.). Ma io non mi annoio aspettandovi, signore!
ALBERTO (c.s.). Questo è un modo indiretto di rimproverarmi la mia tardanza... e un uomo di cuore...
ADELE (con amarezza). Ah!... giacché voi avete cuore!... vi ricorderete che io non vi ho mai detto una sola parola... (riprendendosi e con affetto). Ho avuto torto... ma non sai... Non è mia colpa... La notte, prima che oda rinchiudere il cancello... prima che oda il tuo passo nel viale... mi sembra che mi manchi qualche cosa... e non posso dormire... (con grazia affettuosa).
ALBERTO. Permettetemi di dirvelo, mia cara, questa è un'affezione che somiglia alla tirannia...
ADELE. Oh!!!
ALBERTO (rimettendosi e stringendole la mano). Perdonatemi, Adele!... Sapete che qualche volta sono così fuori di me!... Ho tanti pensieri, tanti fastidi pel capo!...
ADELE. Perché non confidarmeli?
ALBERTO. Che potreste farci?
ADELE. Un tempo vi era di conforto soltanto il confidarmeli!
ALBERTO. Ma lo so io stesso?... tante esigenze della vita!... Bisogna pure ricordarsi che al di fuori di questa casa c'è un mondo con altre leggi ed altre esigenze!...
ADELE. Io son più fortunata di voi, giacché il mio mondo finisce al cancello del giardino; è tutto qui!
ALBERTO. Però converrete, amica mia... che anche un paradiso a lungo andare... e lo star sempre in campagna... stanca orribilmente!...
ADELE. Siete stanco?
ALBERTO (imbarazzato)... Di star in villa... sì.
ADELE. Dicevate di volerci passare la vita!
ALBERTO. Pazzie!
ADELE. Ah!...
ALBERTO. Che avete?...
ADELE. Nulla!... E quando volete partire?
ALBERTO. Ma quando vorrete. Sapete bene che non ho altra volontà che la vostra.
ADELE. Che faremo? Dove andremo?
ALBERTO. Non lo so... Dove vanno tutti... Faremo quello che fanno gli altri... Purché si cambi!
ADELE. Ah!
ALBERTO. Mio Dio! perdonatemi, Adele! Sono orribilmente noioso oggi!... Perdonatemi! è perché sono orribilmente annoiato!
ADELE. Di me?...
ALBERTO. Oh, no!
ADELE. Ebbene! Facciamo i nostri castelli in aria per quest'inverno onde distrarvi (prendendogli le mani con grazia ed affetto; vedendolo che osserva l'orologio, con amarezza). Che ore sono?
ALBERTO. Le otto.
ADELE. Il vostro appuntamento è per le otto?
ALBERTO. Sì.
ADELE. Andate a caccia?
ALBERTO. Sì.
ADELE. Sarete in molti?
ALBERTO. Non molti; i nostri vicini di villeggiatura soltanto: Paolo, il commendatore Gaudenti, e il cavalier Falconi.
ADELE. Ah!... anche il cavaliere?
ALBERTO. Che volete, il cavaliere è fatto di quella gomma elastica di uomo di buona società che si adatta a tutte le situazioni più scabrose ed è impenetrabile a tutte le ingiurie. La prima volta che ci siamo incontrati il cavaliere mi ha steso la mano come se nulla fosse stato. Non c'è verso di schiaffeggiare un uomo che vi disarma col sorriso.
ADELE. E le loro signore?
ALBERTO. Verranno anch'esse a raggiungerci laggiù, presso la crocevia che è il nostro ritrovo di caccia... (imbarazzato). Non vi ho pregato di venirci anche voi perché so che sarebbe stato inutile... Vivete così ritirata!...
ADELE (reprimendo un sospiro). Infatti...
ALBERTO (dopo una pausa imbarazzante, esitante e commosso). Se ho avuto torto perdonatemi!
ADELE. No, no mio buon Alberto!... Voi non avete torto... anzi vi son grata della delicatezza con cui cercate di risparmiarmi tutte le umiliazioni che colpiscono la mia posizione... Questa posizione io la conosco; l'ho accettata con tutte le prove e le amarezze che l'accompagnano... (stendendogli le mani) e non me ne pento!
ALBERTO (baciandole la mano). Grazie, Adele!
ADELE (vivamente, mettendogli le mani sulla bocca). Oh, no!... Non mi dire questo, per carità!... Tu non sai quanto male mi faccia!
ALBERTO. Che?...
ADELE (come lasciandosi trasportare). Oh, lasciami rammentare il tempo quando tu non mi ringraziavi dei sacrifici che ti facevo!... quando il tuo amore era sì ardente che era egoista, e mi chiedeva inesorabilmente il mio onore, la mia riputazione, la mia vergogna!... ed io ero felice di darti tutto perché così non mi rimaneva più che il tuo amore!... Oh, perdonami, Alberto!... Ti sei fatto triste!... Non badare a me, sai!... Son fanciullaggini!... Divertiti alla caccia... non pensare che ho pianto... Oh! ti giuro che sono allegra... Vedi? sorrido!... Divertiti... Poi, quando sarai tornato, lì, accanto al fuoco, mi narrerai com'è andata la caccia. (con sforzo penoso e sorridendo fra le lagrime) Ben inteso che mi tacerete se avete fatto il galante con quelle signore!
ALBERTO (crucciato internamente come da un rimorso). Oh, Adele!...
ADELE. È così!... fanciullo che siete! Un cattivo scherzo di nervi di donnicciuola vi rende melanconico!... E sì che dovreste rimproverarmi perché non sono ragionevole!... Via, ecco, vi prometto di esser buona. Che mi porterete voi in premio? Non vi chiedo molto, sapete... Un fiore, un filo d'erba che avrete portato all'occhiello del vostro vestito tutta la giornata per mia memoria...
ALBERTO. Così poco!...
ADELE. Oh, mio Dio! E vi par poco!... (con dolore). Come siete diventato, Alberto!...
ALBERTO. Perché mi dite questo, Adele?
ADELE. Perché il cuore non vi ha detto che io indovinerò dove andrete a raccogliere quel fiore per me.
ALBERTO. Ma dapertutto dove ne troverò dei più belli!
ADELE (con tristezza). Speravo che aveste pensato semplicemente a quella siepe fiorita, laggiù, presso il mulino, che ci riparò colla sua ombra tante volte e dalla quale voi coglievate quei gentili fiorellini che mettevate colle vostre mani fra i miei capelli.
ALBERTO. Ebbene, se ciò vi fa piacere io ci anderò.
ADELE (con amarezza). È inutile giacché il cuore non ve l'ha suggerito!
ALBERTO. Ma che!... Voi piangete, Adele!... Per un capriccio!
ADELE. Un capriccio!... Oh, perdonatemi! Come son cattiva oggi!
SCENA II
Giulietta e detti.
GIULIETTA. La signora Avellini domanda se madama può riceverla.
ALBERTO (con moto involontario di sorpresa). Come!...
ADELE. La signora Avellini!... Una visita a me.!... Che ne dite, Alberto?
ALBERTO (imbarazzato). Ma... veramente... non saprei...
ADELE (a Giulietta). Ha chiesto proprio di me?
GIULIETTA. Sì, madama.
ADELE. Sa che sono in casa?
GIULIETTA. Gliel'ha detto il giardiniere,
ADELE (consultando Alberto). Come si fa a non?...
ALBERTO (c.s. e guardando l'orologio)... Ma... io...
ADELE (dissimulando una tinta di amarezza). Forse si fa tardi per voi... Riceverò io quella signora. Non vi fate aspettare.
ALBERTO. Grazie... Anzi... per far più presto, anderò via da quella parte (accennando la terrazza). Addio.
ADELE (con tristezza). Addio. (a Giulietta). Fate entrare. (Giulietta via). Ah! Dio mio!
SCENA III
Lucrezia e Adele.
LUCREZIA. Madama, io vengo a farle le mie lagnanze! Come! Siamo vicini di campagna da tanto tempo e non ci siamo viste una sola volta!... e senza una fortunata combinazione non avrei saputo che a due passi della nostra brigata d'amici ce n'era un'altra delle amiche che non si curava di cercare di noi, e di farci sapere che esisteva!... Sarebbe in collera con noi? Perché? Non saprei; ma se abbiamo dei torti vengo a scusarmene, e se no vengo a perdonare il suo e ad esigerne riparazioni!... Mentre tutti gli altri corrono alla caccia, io che non mi ci diverto gran che son passata dal suo villino, il suo giardiniere mi ha detto di averla vista su quella terrazza fin dall'alba, quindi non corro rischio di essere importuna che a metà... e tant'è l'occasione di vederla non ho voluto lasciarmela scappare.
ADELE (tentando dissimulare la sua aria melanconica). Madama, ella è stata troppo buona a rammentarsi di me, e questo solo mi dà torto... Ma vivo così ritirata!...
LUCREZIA. Io ho però la pretensione di rompere il suo ritiro. Che vuole? Ho l'ambizione di essere sua amica un po' più delle altre (offrendole la mano). Non vuole?
ADELE Grazie! e di tutto cuore!
LUCREZIA. Veramente nella mia amicizia c'è un po' d'egoismo. Vede bene che non mi faccio migliore di quel che sono. Tutti quelli che mi stanno d'attorno sono talmente occupati di sé stessi o degli altri che quando non sono con mio marito mi sento più sola che mai... e la mia felicità si annoia a star sola! (con grazia).
ADELE (con triste sorriso). Oh, ella le procura una ben triste compagnia!
LUCREZIA. Come? Non è felice anche lei? Che le manca? (prendendole la mano). Così bella!... Tutto deve sorriderle!...
ADELE (dissimulando la sua tristezza con un sorriso). Mi manca un poco della sua felicità, madama!
LUCREZIA (con grazia). Oh! Io non gliene do davvero! Ne sono avara!... Mi dicono ch'è così capricciosa la felicità!... È vero?
ADELE (con un sospiro). È vero!
LUCREZIA (c.s.). Ma io la tengo pei capelli... Paolo mi aiuta del suo meglio... e un angioletto di sei mesi stende dalla culla le sue manine per aiutarmi anche lui.
ADELE. Ella ha ragione di esserne gelosa della sua felicità... Perché è assai rara.
LUCREZIA. Non è vero che la mia è migliore di quella che tentano di darsi gli altri?... Perché certi legami quando non sono di rose son catene da galera.
ADELE (come colpita dolorosamente). Ah!
LUCREZIA. Eh! La contessa e il cavalier Falconi lo sanno! Poverini! Si son messi la catena al collo senza avere la menoma stima l'uno per l'altro... prendendosi dal lato peggiore, quello del capriccio e della vanità... e ora si ingegnano di svincolarsene senza darvi uno strappo, senza fare una graffiatura all'epidermide del loro amor proprio, ch'è assai suscettibile... ciò ch'è difficile... è un vero inferno! Un inferno però mascherato di sorrisi e di parole gentili.
ADELE. Una tortura!
LUCREZIA. Non è vero? Inferno per inferno preferisco quello che regna tutti i giorni in casa di mia madre dacché ha sposato il commendator Gaudenti. Quelli lì almeno si sfogano in gridori ma non ci sono ipocrisie!
ADELE. Ah! il commendatore che sembrava così buono!...
LUCREZIA. Non lo è che a tavola. Del resto dacché è diventato il padrone dispotizza in casa, ma, poverino, la paga anche cara: giacché la mamma s'è fitta in capo di esser gelosa di lui!... Sì, sì proprio gelosa!... gelosa come potrei esserla io... come potrebbe esserla lei.
ADELE (con dignità). Madama, io non ho il diritto di essere gelosa... poiché non ne ho l'occasione...
LUCREZIA. Oh!... Mi perdoni!... Non ho inteso...
ADELE (reprimendo un sospiro). Ne son persuasa.
LUCREZIA (sorridendo e porgendole la guancia). La prova.
ADELE (baciandola). Ecco!
LUCREZIA. Alla buon'ora!... Ma che ha? Mio Dio!... Avrei avuto la disgrazia di rattristarla coi miei discorsi?...
ADELE (sorridendo tristamente). Ohimè, signora! Si dice che nella vita non ci sia di vero e di duraturo che il dolore... ma, ad ogni modo la felicità dev'essere ben rara e ben fugace se tutti lo dicono!... Ella non ha raccontato che la storia di tutti i giorni, e di tutti... eccetto le rare eccezioni che, come lei, provano non essere un nome vano codesta felicità... ma bisogna saperla cercare...
LUCREZIA. Veramente io non ci ho avuto un gran merito. Me la son trovata fra i piedi... Ma adesso che l'ho trovata non me la faccio sfuggire.
ADELE (con interesse). Come farà?
LUCREZIA. Amerò sempre mio marito.
ADELE. Non basta.
LUCREZIA. Egli mi amerà sempre.
ADELE. Sempre?
LUCREZIA. Sì, sempre! In un altro modo, ma sempre. Non sono la madre di suo figlia, la donna che porta il suo nome, l'altra metà della sua famiglia, la sua confidente, la sua amica?
ADELE (tristamente e sopra pensiero). È vero!
LUCREZIA. Non saremo due amanti ma saremo la stessa persona. In confidenza, poi, io credo che amarli troppo si guastino codesti signori uomini. Bisogna tenerli a stecchetto, poiché sotto il pretesto di aver più testa di noi donne hanno meno cuore... non ne hanno che un briciolino così... e per giunta hanno il coraggio di fare i prodighi! i generosi... Diventano cattivi, egoisti, ingiusti, stupidi...
ADELE (c.s.). Oh!, mio Dio! come tutto ciò è triste!
LUCREZIA. Ma è vero.
ADELE (c.s.). Forse...
LUCREZIA. Sì, egoisti, ingiusti e cattivi!... Arriverebbero ad odiarci perché noi li amiamo ancora quando essi non ci amano più!
ADELE (vivamente e quasi con le lagrime agli occhi). Oh! no!... non può essere!... È orribile! Sarebbe un'infamia!
LUCREZIA. Non abbiamo il diritto di chiamarla anche così perché essi hanno il privilegio dei grandi paroloni... Però quando si sa prenderli... codesti animali feroci che ci spezzerebbero il cuore senza un rimorso... non romperebbero un riccio di capelli con cui si saprebbe legarli mani e piedi... (con un sorriso maligno) Tutto sta a saperli legare!
ADELE (amaramente e come rispondendo ad un intimo pensiero). A che legarli... legare un cadavere!...
LUCREZIA (c.s.). Non un cadavere, ma un ladro!
ADELE (vivamente e come colpita da quella parola). Non è vero che è un furto, un'infamia, toglierci la pace del cuore, la riputazione, il sorriso, la fede, tutto quello che abbiamo di buono, tutto quello che abbiamo di santo?... Non è furto quando si sa che quell'amore in cambio di che ci lasciamo togliere tutto, non durerà sempre, non potrà darcelo che un giorno... dei mesi, degli anni... ma che non sarà per sempre?... Ma si sa questo?... Quando si dà il cuore si è così felice che si crede quella felicità debba essere eterna! (con scoppio di amarezza) Ah! gli amori eterni! Ci si crede ancora quando l'anima è sazia, stanca... Si ha bisogno di crederci per debito di lealtà e di coscienza!... Ahimè! quando l'amore è morto!... E allora accade qualche cosa di più straziante ancora... le ipocrisie dell'affetto, la menzogna del sorriso, i tentativi, le invocazioni di quell'amore che si cerca con baci disperati da labbra di ghiaccio!... Oh! Dio! Ma morire mille volte!... Ma fuggire, strapparsi dal petto il cuore, l'angoscia, anziché assistere a questo spettacolo!...
LUCREZIA. Oh! mio Dio! com'è commossa!... ma che razza di discorsi andiamo facendo!...
ADELE. È vero, sarà questo tempo orribile che mi dà sui nervi... (suona), che cattiva giornata... per i cacciatori!
SCENA IV
Giulietta e detti.
GIULIETTA. Signora?
ADELE. Fate entrare un po' d'aria. Si soffoca qui!... (a Lucrezia sorridendo). E questi benedetti nervi ci fanno dei brutti scherzi!... Come siamo matti e come siamo deboli!... che c'importa di tutti questi discorsi a lei ch'è così felice... e a me... che non ho di che lagnarmi?... (a Giulietta) Piove?
GIULIETTA (dopo aver aperta l'invetriata della terrazza). A momenti sarà un diluvio! Ecco una carrozza con delle signore che scappa a tutta corsa per i primi goccioloni. Viene qui, ha passato il cancello.
ADELE. Delle signore!...
GIULIETTA. Mi sembra anche di averle riconosciute.
LUCREZIA. Saranno le nostre cacciatrici che son cacciate a lor volta dalla pioggia. Mia madre e la Contessa Baglini.
ADELE (imbarazzata). Ah!... da me!... Veramente... sono lietissima... (a Giulietta). Andate a ricevere quelle signore. (Giulietta via).
LUCREZIA (affacciandosi inquieta alla terrazza). Ma i signori cacciatori dove saranno con questo bel tempo?... È un vero finimondo! Glielo avevo pur detto a Paolo di rimandare codesta maledetta caccia ad un altro giorno... Ma nossignore! s'ha a fare il gradasso... anche a rischio di buscarsi una infreddatura e peggio!... Lui! un avvocato!... Mi vuol sentire il signor avvocato!
SCENA V
Giulietta, quindi la contessa Baglini e la signora Merelli.
GIULIETTA. La signora Merelli e la contessa Baglini.
CONTESSA. Cattiva! cattiva! signora cattiva! (ad Adele) È proprio il caso di dire: Ci volle un temporale!
SIG.RA MERELLI (con ironia e doppio senso ipocrita). Madama, le domandiamo perdono se costretti dalla pioggia... E la prego di credere che senza questa ragione non avremmo osato... essere indiscreti...
ADELE (con dignità). Nessuna indiscrezione, madama!
SIG.RA MERELLI (c.s.) Chiamiamola importunità!... Sappiamo che non riceve nessuno... e...
ADELE (c.s.). Gli amici sì! E son lieta di riceverla in casa mia.
SIG.RA MERELLI (a Lucrezia con significazione). Ah! tu qui?
LUCREZIA. Fra il vostro antipatico divertimento e il piacere di rivedere un'amica... che non si degnava di farsi viva, non ho esitato.
CONTESSA. Come va? Sempre bella! Sempre adorabile!... Non la si vede più... è un vero ritiro... Ma però non si ha il diritto di essere egoisti a questo segno! Non è vero, signora Merelli?
SIG.RA MERELLI (con ipocrita reticenza). Ma... secondo le circostanze!...
ADELE. Il mio egoismo è così innocuo...
CONTESSA. I suoi amici non la pensano così! Egoismo di felicità presente o egoismo di dolci memorie; qualche cosa ci deve essere per vivere così ritirata... Noi ce ne intendiamo!... noi che abbiamo avuto la nostra luna di miele... Ch'è passata.
SIG.RA MERELLI. Pur troppo!
ADELE (sforzandosi a sembrare gaia). Ma non si direbbe nemmeno... alla sua aria... O c'è un crepuscolo di luna tramontata che somigli molto ad un'aurora.
CONTESSA. Crepuscoli! crepuscoli!... Eh! bisogna contentarsi di questi, tanto per non dare il gusto di vederci afflitte a quei nostri che hanno messo lo spegnitoio su quello straccio di luna. Oh! gli uomini!
SIG.RA MERELLI. Birboni! birboni e poi birboni! Non c'è da fidarsi nemmeno di... A momenti la dicevo proprio grossa!
LUCREZIA. Via! Via non li maltrattiamo tanto!... o almeno facciamo delle eccezioni.
SIG.RA MERELLI. A tuo beneficio?
LUCREZIA. Ebbene! sì! a mio beneficio!... Io so di chi fidarmi.
SIG.RA MERELLI. Se non è, te l'auguro... Ma sarà un miracolo.
CONTESSA. Non è un miracolo ma è una rarità: specie marito-filosofo, e per giunta avvocato; la legalità a braccetto dell'amore e della flemma, stavo per dire indifferenza, filosofica. Ma, mia cara, le rarità hanno il difetto di essere rare... e noi non siamo state fortunate.
ADELE. La fortuna è cieca: ecco perché s'è sbagliata (con grazia alla contessa).
CONTESSA. Ahimè! non ho neanche questa scusa... Non avrei avuto lo spirito di ravvisarla; mi fosse anche passata sotto gli occhi... (con doppio senso ironico) e non mi sono curata di lei! Colpa della società in cui viviamo. Siamo così capricciose, così leggere, così vane noi donne del nostro mondo! Non ci seduce che ciò che brilla... senza pensare che può anche essere orpello; e allorché ci diamo vinte bisogna che la reputazione d'irresistibile del vittorioso don Giovanni ci salvi dall'onta della sconfitta. Noi giochiamo ad un giuoco pericoloso; ecco perché ci tagliamo le mani con le stesse nostre armi. Don Giovanni si renderebbe ridicolo se divenisse un marito modello, e la prima ballerina ha il diritto di distrarlo.
SIG.RA MERELLI (vivamente). Come! Come! Ah! vorrei vedere! Il diritto!... il diritto di distrarlo!... Ma io vorrei che il mio signor marito si provasse a metterlo avanti cotesto diritto!
CONTESSA. Oh, madonna... io non ho parlato del commendatore... quello lì è un uomo serio... un futuro senatore... e barone.
SIG.RA MERELLI. Eh! so io!... so io di che è capace il signor senatore in erba... adesso che ne ha molti da spendere... e certe sguaiate corrono dietro i portafogli vigenti... E dovrei con i miei denari!... Ma io... sarei capace di fare un eccesso!...
CONTESSA. Ma, cara mia, sarebbe fare troppo onore a certa classe di donne!... Noi non abbiamo il diritto di essere gelose che delle baronesse in un... (come riprendendosi ad Adele) Ah! perdono... madama!
ADELE (con dignità, sorridendo). Fortunatamente, signora, se non ho l'onore di essere una baronessa non ho neanche l'occasione di essere gelosa.
CONTESSA. Oh! Fortunata lei!... Ma se le somigliassi non lo sarei nemmeno io!
SIG.RA MERELLI. Grazioso quel diritto! Io non sono di manica così larga, io! Il meglio mi sembra né baronesse né ballerine.
CONTESSA. Chi dice di no? Ma il meglio è nemico del bene. Che farci?
SIG.RA MERELLI. Eh! so ben io! Sono un agnellino, sono una colomba, ma su questo particolare divento una tigre!
CONTESSA. Peggio! Una donna in collera è così brutta!... E noi abbiamo bisogno di piacere!
LUCREZIA. Il meglio si è di lasciare stare i Don Giovanni nei romanzi.
CONTESSA. Ma come? Dacché i signori hanno messo i romanzi in pratica!... e ci rappresentano anche la loro parte, la parte peggiore, in fede mia! Giacché, bisogna convenirne, signore mie, i nostri Don Giovanni della buona società saranno fatui, saranno volubili, ci faranno arrabbiare di gelosia, ma noi li paghiamo di rimando colla stessa moneta... li castighiamo colle stesse debolezze... li rendiamo innamorati, gelosi, disperati... Essi ci adulano, ci corteggiano, strisciano ai nostri piedi, son capaci di un'infedeltà ma non di un abbandono. Ma quei signori poeti! (marcatamente) cuori di bolle di sapone, immaginazioni epilettiche, noiosi e annoiati!... che ci amano dall'alto, ci stimano meno dei loro versi, ci accarezzano per fare il solletico alla loro musa, ci parlano senza ascoltarci e ci chiudono la bocca con un bacio quando vogliamo mischiare qualche parola ai loro vaneggiamenti!... Oh, io non vorrei saperne!... Me li vedessi ai piedi esalarmi lo spirito in versi endecasillabi... Poiché essi sono pericolosi, quei signori!... Hanno le attrattive di ciò ch'è strano... e noi siamo così leggiere! Il loro fascino sta appunto nell'esaltare la nostra immaginazione... Noi arriviamo a crederli semidei... e questi semidei cristophle ci voltano le spalle e si avvolgono maestosamente, nelle loro nuvole di fisime!... Non è vero tutto ciò signora? (alla Landi).
ADELE (con dignità). Contessa, mi permetterà di trovare la sua domanda alquanto strana.
CONTESSA (affettando ingenuità). Mio Dio! Me ne appello a lei perché è artista, e deve conoscere i poeti e avere in petto un po' del loro cuore... Ma sarà sempre cuore di donna e farà la nostra causa.
ADELE (con dignità e sorridendo con lieve ironia). Ella ne ha parlato con tanta conoscenza che deve averli studiati assai meglio di me!
CONTESSA (ironica), Sì, un poco. Ma da lontano e per curiosità.
ADELE (c.s.). Sarà dunque quistione d'ottica. I semidei stanno così in alto!
CONTESSA (piano alla Merelli). Insolente!
LUCREZIA. Avvocati vogliono essere, avvocati! e non don Giovanni, né poeti!
CONTESSA. Oh, se i don Giovanni a lungo andare non divenissero uggiosi!
SIG.RA MERELLI. Oppure se certi altri di mia conoscenza fossero meno scapestrati!
CONTESSA. Del resto, mie care, in confidenza possiamo dirlo: noi non abbiamo il diritto di sparlarne tanto di cotesti signori uomini... dacché non ci curiamo più di loro.
LUCREZIA. Oh! signora!...
CONTESSA. Mia cara Lucrezia non parlo per le spose la cui luna di miele dura degli anni. Quanto a me ne ho abbastanza della mia!... e per farla risorgere non muoverei un dito.
SCENA VI
Giulietta e detti.
GIULIETTA. I signori cacciatori!
CONTESSA. Oh! bravi! È il maltempo che ce li manda. Saranno bagnati fradici! Ci ho gusto!
LUCREZIA. Io no, davvero!
SIG.RA MERELLI. Che razza di gusti! Non ci mancherebbe altro che una buona malattia del mio signor marito adesso! Ne ho abbastanza di decotti, in fede mia!
LUCREZIA (al balcone). Non piove più!
CONTESSA. Temporale d'estate! Ah, se le tempeste del cuore durassero così poco!
SCENA VII
Alberto, Paolo, il commendatore Gaudenti, il cavalier Falconi e detti.
CONTESSA. Oh! Oh! Signori!... eccovi qui!... come è andata? Che cera scontenta... sant'Uberto non è stato propizio.
FALCONI. Al contrario! Ci procura una sì bella fortuna!... (inchinandosi ad Adele con galanteria), che saremmo assai ingrati se ci lamentassimo.
ADELE (alla contessa). Il cavaliere è più galante che mai! Gliene faccio i miei complimenti...
CONTESSA. Non li merito davvero... e non vorrei assumerne la responsabilità.
FALCONI (alla contessa). Ah! mia cara! Come il matrimonio vi ha reso caustica! (volgendosi ad Adele) Spero almeno che madama sia più indulgente di voi... son davvero felice... ringrazio la fortuna che mi ha procurato il piacere... l'onore... di presentarle i miei umili omaggi.
ADELE (ironica). Signore!...
CONTESSA. Oh! Signor Giliotti!.... che viso scuro!... dev'essere assai contrariato della cattiva riuscita della caccia!... (con malizia).
ALBERTO. No, contessa... Non sono più cacciatore degli altri.
PAOLO. Eppure vai a caccia più spesso degli altri!
LUCREZIA. Tutti i giorni! E il mio signor marito s'ingegna d'imitarlo!
CONTESSA (con ironia e doppio senso). Eh! peggio! Ardore di novizio... o uomo annoiato che ha bisogno di distrarsi (sogguardando Adele con malizia).
ADELE (reprimendo un sospiro). Ah!
ALBERTO (sforzandosi di sembrare allegro, con galanteria, ma imbarazzato). Ma, contessa, io avrei torto a cercare altre distrazioni, quando sono in così bella compagnia!
CONTESSA (c.s.). Grazie!... e per tutti! (prendendo Adele per la mano e Lucrezia per l'altra) Adesso siamo sicuri che quei gentili cavalieri non ci lasceranno più sole!... e anche lei, signor poeta, ci farà il sacrificio di Sant'Uberto, tanto più che gli ha procurato l'occasione di rivedere la nostra eccellente amica che si nascondeva... cattiva!
ALBERTO (imbarazzatissimo). Oh!... contessa.
CONTESSA (passando accanto alla Merelli, sottovoce). L'ha visto com'è imbarazzato! Non sa che dire!
SIG.RA MERELLI (c.s.) Eh! via, fingiamo di non saper nulla! Come me la godo a metterli in imbarazzo tutt'e due!... Quella superba che crede tutti gli uomini debbano andare pazzi per lei!
GAUDENTI. Però Sant'Uberto non mi coglie più! Bel divertimento, in fede mia! Un diavolo d'acquazzone! Romperci il collo correndo di su e di giù inutilmente! una magnifica colazione perduta e doverci contentare in cambio di una frittata di uova, in una cattiva osteria ove ci affumicarono come salami sotto il pretesto di far asciugare i nostri vestiti!... Ne ho abbastanza di Sant'Uherto, in parola d'onore!
SIG.RA MERELLI. Ci ho gusto! Ci ho proprio gusto! Se mi aveste dato retta avreste avuto la vostra buona colazione, le vostre brave pantofole accanto al fuoco...
GAUDENTI. Al diavolo le vostre pantofole! Se vi dessi retta dovrei passarci la vita in quelle maledette pantofole!
SIG.RA MERELLI. Eh! sappiamo come vorreste passarla la vostra vita! (piano)... a fare il rompicollo, a fare lo scapestrato, il donnaiuolo!... E queste cacce non sono altro che un pretesto per correr dietro alle contadine... Vergognatevi.
GAUDENTI (piano). Ma cara, vi avverto che quando ho fatto una cattiva colazione di uova... non sono molto paziente!...
SIG.RA MERELLI (c.s.). Ah! Signore!... e perché vi mostrate così paziente... allora!... Se avessi potuto prevedere!...
GAUDENTI (c.s.).Ah! Se avessi previsto anch'io!...
ADELE. Commendatore, la sua sposa era così inquieta per lei che bisogna esserle grato della premura...
GAUDENTI. Eh! Le conosco codeste premure!... purtroppo!
SIG.RA MERELLI (piano a Lucrezia). Se non fossimo qui vorrei fare una scena!
LUCREZIA (indicando Paolo). Ecco invece un signore che di tali premure non ne ha per la sua signora moglie!... Non mi ha neppure domandato dove mi cogliesse il temporale!
PAOLO. Perdonami, mia cara. Ti avevo lasciato in compagnia di madama e della contessa e vedi bene non avrei potuto essere inquieto.
LUCREZIA. Ma io avevo cambiato idea e non ero andata con quelle signore.
PAOLO (sorridendo). In tal caso non avrei potuto essere inquieto per quel che ignoravo.
LUCREZIA. Già! Non si è avvocati per nulla! Trova risposta a tutto, lei!
CONTESSA. La signora Lucrezia è stata assai meglio di noi, ed ha fatto miglior caccia... (ad Adele con adulazione ironica). La migliore e la più bella delle amiche! E pensare che siamo passate cento volte dinanzi a questo villino che ce la nascondeva senza sospettare altra cosa se non che fosse un nido d'amore!... (con doppio senso). Eppure se avessimo avuto un po' più di immaginativa avremmo dovuto sospettarlo... ché il nido era degno di lei! (ad Adele con accento lusinghiero ma con malizia) La colpa è tutta sua, signor Giliotti!
ALBERTO. Mia?
CONTESSA. Sì; ella poeta avrebbe dovuto indovinarlo prima di noi!
ALBERTO (imbarazzatissimo). Ma io, contessa...
ADELE (reprimendo un sospiro pel contegno di Alberto). Ah!... (alla contessa con un sorriso forzato) Il signor Giliotti avrà voluto rispettare il mistero dell'incognito.
CONTESSA (con malizia). Ah! Signor Poeta!... Non ci sono che le donne per togliere d'imbarazzo, così alla lesta, gli uomini di spirito!
ALBERTO (ad Adele imbarazzatissimo). Grazie, madama...
CONTESSA (piano alla Merelli). Come mi diverto!
SIG.RA MERELLI (c.s.). È un'immoralità!
PAOLO. Vuol dire che quel cervellino di mia moglie ha avuto il torto di non badarci a questo mistero! E tocca a me fargliene le scuse.
CONTESSA. E ha fatto bene!
ADELE (con forzata allegria). E ha fatto bene, perché il mistero non esisteva... che come immagine poetica.
CONTESSA (ad Alberto, scherzando ma con malizia). Questo è un modo di farle la corte; signor poeta!
LUCREZIA. Ed ho fatto bene, perché così eccoci riuniti tutti amici e amiche!
FALCONI. Si torna ai bei tempi di Livorno!
LUCREZIA. Oh! i tempi felici! Quando il cavaliere scriveva dei proverbi!
CONTESSA. E non ne faceva!
FALCONI. Oh, quanto a farne domando perdono che ne facciamo un po' tutti... almeno di quelli colle spine!
SIG.RA MERELLI. Certi proverbi sembrano una predizione: «Le rose cascano e le spine rimangono»... e che spine!
GAUDENTI. Rovi addirittura!
LUCREZIA. Cioè ne facciamo tutti?... Tutti poi no!
FALCONI. Intendo dire tutti quelli cui, cadute le rose non sono rimaste che le spine.
CONTESSA (ad Adele). Ecco la galanteria del cavaliere mio marito... Non avevo dunque torto a lasciargliene tutto il merito!
FALCONI. Ma s'intende benissimo che parlando di spine io non alludo a quelle del nostro matrimonio... non voglio parlare delle vostre... insomma è chiaro come la luce del sole che voi, mia bella, mi avete provato il rovescio del proverbio, cioè che le rose rimangono, e quelle che se ne vanno sono le spine... se mai ce ne furono.
CONTESSA (salutandolo con caricatura), Tutto merito suo cavaliere! Ecco una galanteria pungente.
ADELE. Com'è severa, contessa!
CONTESSA Chiamiamola dunque senza sale. Via via, perdonatemi, amico mio. Voi sapete che non ci sono grandi uomini pel cameriere, né uomini di spirito per la moglie... Del resto bisogna ammettere che il verme sia proprio nelle rose... se ne vediamo tante avvizzite, e quelle che sembravano più belle!... Di chi la colpa? Certe illusioni bisogna guardarle ad una certa distanza (piano al cavaliere come facendosi vento col ventaglio). Ecco perché quando ci siamo visti davvicino ci abbiamo perduto tutt'e due.
FALCONI (piano con affettata galanteria). Io! Io solo!... Ve lo giuro!
CONTESSA (c.s.). Quanto a me non posso disdirvi. Ma rassegnatevi... Il nostro capriccio non fu mai una tempesta del cuore. (forte) E anche gli uragani voi avete visto come finiscono! (additando il tempo che si è rasserenato, ma con malizia alludendo ad Adele e Alberto e accennandoli anche).
PAOLO. Col far più bello il sereno.
LUCREZIA. Io preferisco il sereno senza l'uragano.
SIG.RA MERELLI. Ed io preferisco l'uragano a certe acque chete!...
GAUDENTI. Ed io preferisco la frittata di stamattina tutti i giorni anzicché certi temporali che mandano i bocconi per traverso!
ADELE. Oh, signori, preferiamo il sereno ch'è bello!
CONTESSA. Ma suol durare tanto poco!
LUCREZIA. Oh! no!
SIG.RA MERELLI. È vero!
GAUDENTI. Pur troppo!
ADELE (con un sospiro). Forse!...
CONTESSA. Felice lei che ne dubita! Ma noi!... Non ha sentito che si parlava di spine?... Sarà una fatalità; rassegniamoci! Perché dura così poco? Chi lo sa?... Stanchezza forse, caducità, impoverimento di cuore... Quanto dura?... Delle volte la durata di un sogno! Quando tramonta? Chi può conoscerlo?... Un sorriso freddo, una parola distratta, un gesto stentato... una mancanza di delicatezza... È sogno e sfuma del pari. Ah! Le grandi riflessioni morali che potrebbero farsi sulla durata di certe felicità!... Non andate in collera, Lucrezia, la vostra è eccezionale...
PAOLO. Perché è la vera legittima.
CONTESSA (ironica). Oh! il codice!
PAOLO. Eppure bisogna crederci... a quello della famiglia almeno!
CONTESSA (comicamente ma con significazione). Ma lei ci vuol mettere fuori della legge?...
PAOLO (ironico ma con malizia). Ma non ho parlato del codice che condanna alla galera!
ADELE (con gaiezza forzata ma profonda amarezza). Oh, non ci crediamo, signore mie! Non crediamo a quel che ha detto la contessa! È uno spiritoso pessimismo, ma fa male al cuore! Meglio ingenui che scettici!... credere al cuore, a qualche cosa di vero, di profondo, di santo, che non si consuma, che non avvizzisce, che non muore!
CONTESSA. Pure è nato! Le rose cascano! La caducità è una legge!
ADELE. No, non può essere! (con entusiasmo). Quando si guardano le stelle, quando si respira l'aria del mattino, quando si è felici si deve sentire la presenza di qualche cosa che non può essere caduca, che non può morire!... Ebbene, c'è anche qualche cosa di più ineffabile di un'alba, di più sublime di una notte stellata, di più inebriante della felicità, qualche cosa che non può avere la durata di un delirio... o di una rosa!...
CONTESSA. Poesia! Sublime poesia!... (volgendosi ad Alberto) Eppure un poeta innamorato... delle stelle, dell'alba e della campagna potrebbe dirci quanto durerà la sua nuova passione... per la caccia!... Ah! Il mio scetticismo è inguaribile, madama! Io non credo alla durata del sereno!
ADELE (con tinta d'amarezza e d'ironia). Procuriamo piuttosto che il mondo non ce l'invidi!
LUCREZIA. Non me ne curo!
SIG.RA MERELLI. Io sì! È quasi una iettatura!
CONTESSA (con sarcasmo). È invidia e qualche volta un omaggio... forse un'adulazione!...
ADELE (con sarcasmo). Mi congratulo con lei che non l'ha visto nella sua più turpe manifestazione: quando avvelena, perseguita, calunnia ed accarezza!... quando morde sorridendo e soffoca in un abbraccio!
CONTESSA (con sarcasmo). Oh, la calunnia poi!... Anzitutto io non credo alla calunnia che nel «Barbiere di Siviglia»... e son certa che nulla s'inventi nell'assolutamente falso. Ci potrà essere esagerazione, ma non si dica calunnia! Non si dia appicco all'esagerazione... ecco tutto! (con raddoppiamento di sarcasmo). Si faccia un po' quello che fanno gli altri e soprattutto si rispettino le apparenze... Ecco il segreto!
ADELE (quasi fuori di sé dall'amarezza e dal dispetto, vivamente). Segreto da gesuiti! No! No! Mille volte! Calunniati sì, ma ipocriti no! (suona). Vogliamo prendere il caffè sulla terrazza? Di lì possiamo scendere in giardino. Il tempo si è fatto bello! (a Giulietta) Fateci servire il caffè sulla terrazza. (Giulietta apre le invetriate e via).
LUCREZIA (correndo al balcone). Che bella giornata!
CONTESSA (piano alla Merelli avviandosi). L'ho punta sul più vivo e il veleno le schizza dagli occhi.
SIG.RA MERELLI (piano). Oh! Che scandalo! Che immoralità! (forte al commendatore) Caro lei! Ha sentito che si va in giardino?
GAUDENTI. Ho sentito. Si accomodi.
LUCREZIA (dalla terrazza a Paolo). E così? Ci lasciano andar sole! Che cavalieri!
PAOLO (prendendo il braccio del Gaudenti). Andiamo, via Commendatore. Bisogna compatirla quella povera donna!
GAUDENTI (seguendolo). Nessuno però ha compassione di me!... Ma un giorno o l'altro faccio uno sproposito! Parola d'onore che faccio uno sproposito! (via).
(Le invetriate della terrazza si rinchiudono).
SCENA VIII
Alberto e Adele.
ADELE (commossa e vivamente). Restate, Alberto!
ALBERTO. Che avete, Adele?...
ADELE (quasi smarrita). Nulla... non lo so... Ho bisogno di parlarti... Ho bisogno di vederti...
ALBERTO. Ma che avete, Dio mio?!
ADELE (desolata). Oh! Non lo so!... (riprendendosi). Non lo vedi?... Questo cattivo tempo, questa pioggia, queste nuvole... mi danno ai nervi... mi irritano... mi fanno male... Dimmi... (vivamente). Quando partiremo?
ALBERTO. Perché questa domanda?
ADELE. Non me lo domandare... Non saprei dirlo... Ho bisogno di muovermi, ho bisogno di fare qualche cosa, ho bisogno di non pensare... ho bisogno di parlare con te... dell'avvenire... del nostro avvenire! Dimmi. Vuoi che andiamo a Firenze?... Vuoi che andiamo a Milano?... (con impeto scuotendogli le mani). Ma dilla qualche cosa!
ALBERTO. Vi giuro che non vi comprendo...
ADELE. Ah!
ALBERTO. Voi che amate tanto la campagna!... Questo desiderio così improvviso e così forte...
ADELE. Ma non vedi?... (riprendendosi). Non vedi com'è triste... come piange... com'è orrida cotesta campagna!... E poi... Non puoi mica vivere sempre a questo modo tu... Non sono egoista, ti giuro! Bisogna che tu ti diverta...
ALBERTO (pensieroso). E che io pensi al mio avvenire...
ADELE (amaramente). Lo vedi. Non puoi seppellirti vivo in fondo ad una campagna, accanto ad una povera donna che non può darti altro che tutto il suo amore... Ma lo so... la tua gioventù... la tua vita... ha altre esigenze... altri bisogni... Non ci hai pensato tu?
ALBERTO. ... Ma... sì... da qualche tempo...
ADELE. E non me ne hai detto nulla?...
ALBERTO. Temevo di rattristarvi!
ADELE. Ah! Temevi d'attristarmi!... Dunque c'è qualche cosa di doloroso?...
ALBERTO. Mio Dio... Nulla di doloroso... Ma vi sapevo talmente assorbita dal nostro amore... che non avrei osato distorgliervene per farvi riflettere alle volgari ma imperiose esigenze della vita.
ADELE. Un tempo non ci pensavi neanche tu!...
ALBERTO (imbarazzato). È vero... Ma...
ADELE (vivamente come se temesse la risposta di lui). Oh, io avrò torto!... Vivo nelle nuvole!... Voi siete più ragionevole di me; ma vi prometto di essere ragionevole anch'io... (con un triste sorriso) per quanto lo potrò!... Oh, lo so bene... Non si può pretendere... bisogna che viviate anche voi come tutti gli altri... Andrete in società... ai teatri... ai balli...
ALBERTO. E voi?
ADELE (sorridendo fra le lagrime). Mi basterà sapervi felice!
ALBERTO. Come siete buona, Adele!
ADELE (con confidente abbandono). Tu sei bello, sei giovane, hai ingegno... tutte le donne ti adoreranno... e se t'innamorassi di qualche altra donna?...
ALBERTO (con aria di stanchezza quasi amara). Io!... Oh!...
ADELE. Ipocrita!
ALBERTO (c.s.). Non è un complimento che voglio farvi... (con abbattimento) Ma vi giuro ch'è impossibile!...
ADELE (con amarissimo scherzo). La contessa la chiamerebbe stanchezza di cuore!...
ALBERTO (c.s. e freddamente). Oh... non per voi.
ADELE (reprimendo un sospiro). Ah!... (con civetteria prendendogli le mani). Mi ami?
ALBERTO. Sì
ADELE. Molto?
ALBERTO. Molto.
ADELE. Son bella?
ALBERTO. Bellissima.
ADELE. E se m'innamorassi di un altro?
ALBERTO. Voi!...
ADELE. Sì... se ti lasciassi?... (con impeto). Ma, guardami in viso e dimmi che faresti se io ti lasciassi?
ALBERTO. Ma... cara mia... certe domande...
ADELE (vivamente e con improvvisa ispirazione scuotendogli le mani). Dimmi, Alberto!... Ci credi tu a quello che ha detto la contessa?... Ci credi tu che l'amore si spenga, che il cuore si stanchi, che la febbre si estingua?... Ci credi?
ALBERTO. No!... Non voglio crederci!...
ADELE. Ah! Non vuoi!... Dunque ci credi! Non negare! Ci credi! Il dubbio è nella mente, ma la morte nel cuore!... Ah!
ALBERTO. Calmatevi, Adele... Che penseranno quelle signore!...
ADELE (vivamente). Ah!... Quelle signore!... È vero!... potrebbero credere... e ciò vi dispiace!...
ALBERTO (imbarazzato). A me?... Oh, no!... È per voi che...
ADELE (c.s.). Che m'importa a me!... Che m'importa di loro, di quello che supporranno, di quello che sanno... se ho la morte nell'anima!
ALBERTO. Che vi ho fatto? Dio mio! Ditemi che vi ho fatto?...
ADELE. Nulla!... Tu non lo vedi ed io non saprei dirtelo... Anche pochi momenti vi sono... mentre quella donna... quella contessa parlava... tu non hai inteso nulla tu!...
ALBERTO. Ma che cosa?...
ADELE. E me lo domandate?... È inutile giacché il vostro cuore non ve l'ha detto! Quella donna mi ha abbeverato di fiele, di vergogna, mi ha coperto di allusioni oltraggiose, di motteggi, di insulti, e voi non avete visto! Non avete udito!... Non avete avuto né cuore, né intelligenza, né pietà. (con uno scoppio d'amarezza) Come siete diventato adunque, Alberto!
ALBERTO. Mio Dio, Adele, come esagerate! Ma siete certa che alludesse a voi, che si mirasse ad oltraggiarvi? Che vi hanno detto infine?
ADELE. Che m'hanno detto? Nulla! Voi non avete udito nulla!... Voi che avete tanto ingegno!... Ho sofferto?... No!... Voi non ve ne siete accorto!... Voi che leggevate nei miei occhi tutta l'anima mia!
ALBERTO. Ma che cosa avrei dovuto fare, ditelo? Avrei dovuto fare una scena?
ADELE (amaramente). Con qual diritto? Fingeste di conoscermi appena!
ALBERTO. Ah! Avrei dovuto autorizzare quei sospetti? Confessare quello che ancora è un dubbio?
ADELE (c.s.). Voi avete il pudore della colpa, voi!
ALBERTO. Ma infine avrei dovuto calpestare tutte le convenienze, mettermi sotto i piedi le apparenze che devo salvare... almeno per voi...
ADELE (con un grido). Ah!... (con abbattimento) Voi non avreste dovuto giammai dirmi questo!
ALBERTO. Mio Dio che vi ho detto?
ADELE. E non te ne avvedi nemmeno!
ALBERTO (disperato). Oh, no! no!... Dio mio!... Ho la testa in fiamme!
ADELE. Non mi capisci più, l'hai detto! Non puoi vedere come insieme al tuo affetto si estingua la tua intelligenza, la squisita percezione dell'anima tua, quella qualche cosa che faceva battere il mio cuore nel tuo!... Tu non puoi vedere ciò!... Meglio per te!... Avresti paura!... Io ho paura... Tu sei spaventoso!
ALBERTO. Oh, Adele!... Ma non vi basta!... Oh, quanto sono infelice!...
ADELE. Infelice! E perché sei infelice?...
ALBERTO. Non lo so... Non lo so... Non me lo domandate!...
ADELE. Io lo so!... perché io ti leggo in cuore! perché io ti amo!... Tu sei un cuore nobile... ma all'amore non si comanda... e tu non mi ami più!... Ti giuro che se potessi strapparmi il cuore per nasconderti le mie lagrime io lo farei...
ALBERTO. Oh...
ADELE (vivamente mettendogli una mano sulla bocca). Non mentire!... Non ti avvilire. Voglio amarti ancora... e ho bisogno di stimarti sempre! Tu mi fai un'immensa pietà! Delle volte ti guardo come trasognata... come per accertarmi che sei tu... proprio tu... il mio amore, il mio Alberto! che mi amava a quel modo!... come mi spaventavo a sentirmi amata perché sembravami che cotesto miracolo non potesse durare eterno!... Oh, bisogna che qualche cosa siasi guastata nel mio cervello... Non ti riconosco più! Ma dimmi che sono malata, che son folle... Sorridimi! Oh, Dio! Se fossi folle davvero!... Se tu mi amassi sempre come allora!... Perché, vedi, Alberto mio!... io non mi lagno di nulla! io non soffro di nulla!... che m'importa di quella donna, della società, dei loro insulti, del loro scherno, dell'obbrobrio del mondo?... Che m'importa?... Non lo sapevo?... Non l'ho accettato per te? Perché... vedi... adesso non mi resta più che il tuo amore... e bisogna che io sia amata sempre allo stesso modo da te!... Mi hai avvezzata male!... Che vuoi? Colpa tua! (sorridendo fra le lagrime) Ecco perché quando penso che il tuo amore abbia a diminuire mi par di perdere la ragione!... Ma io son matta!... (prendendogli le mani) Non è vero che son matta?
ALBERTO (triste e con freddezza). Perché questi pensieri adunque?
ADELE. Non lo so... Non lo so... Dio mio!... Ci pensi tu? (vivamente)
ALBERTO. Io... no...
ADELE (dopo averlo fissato con espressione penetrante mettendogli la mano sugli occhi). No! Non voglio vederti! Ho bisogno di crederti!... (scoppiando in singhiozzi). Se tu ti vedessi, Alberto!... Se tu ti vedessi tanto cambiato!... (pausa) Oh, perdonami! Ho torto... ma quel dubbio è più forte di me!... Sarà forse il fascino del male!... Ma è un pensiero orribile! Non so come sia venuto... e perché... ma è anche un brutto segno il pensarci sopra!... Sono malata... è vero... Son matta... Non ridere di me, cattivo! Non ti rattristare... Non mi dar retta... ho torto! Di che temo? Il tuo amore... tutto ciò che mi abbisogna, non l'ho... mio!... tutto mio! Non è vero?... ardente, cieco, pazzo??? Come allora... come sempre!... Non è vero?... (con ansia crescente) Dammi la tua mano!... guardami negli occhi!... Non è vero che il tuo amore è sempre lo stesso?... sempre?... sempre?... Non è vero?... (colla voce piena di lagrime con terrore) Ma che hai, mio Dio!?
ALBERTO. Che vi ho fatto perché dobbiate dubitarne adesso? (imbarazzato).
ADELE (con uno scoppio di amarezza e di passione). Ma no! Non è così che si risponde, signore!... (singhiozzando) Voi non mi rispondevate così!
ALBERTO. Ditemi che volete, Dio mio! (nel massimo abbattimento della tristezza)
ADELE. Nulla! Voi non potete darmi più nulla! Non avete cuore... non sapete neanche mentire!... non sapete ingannarmi quando ho bisogno di essere ingannata!
ALBERTO. Adele!
ADELE. Se ti vedessi! Se vedessi il tuo sorriso freddo, le tue parole che ti tremano sul labbro, i tuoi occhi senza febbre! Se tu vedessi la stanchezza, lo sfinimento del tuo cuore! Se comprendessi quello che vuol dire il non avere più bisogno di starmi accanto ad ogni istante, il cercare gli svaghi, il pensare alle convenienze, all'avvenire!... il pensare a qualche cosa... aver bisogno di qualche cosa che non sia me, me sola!
ALBERTO. Mio Dio, Adele! Non si possono far sempre delle pazzie!
ADELE. Ah! Eccola che l'hai detta l'orribile parola! Ma non capisci che se avessi ragionato io non ti avrei mai amato! Ma non capisci che quando tu ragionerai sarà tutto finito!... L'amore, la felicità, la... Decisamente, signore, voi non avete cuore!
ALBERTO (abbattuto). Ah! se vedeste il mio vi farebbe pietà!
ADELE. Pietà?... No! per l'anima mia!... M'indispettisce! Mi irrita!... Mi mette addosso tutte le furie!
ALBERTO. Adele! voi siete ingiusta, assai ingiusta verso di me! Quale è la mia colpa?... Quale è il mio torto? Che posso farci se il vostro cuore è migliore del mio! se esso e sempre giovane, e più ardente, più entusiasta che mai.
ADELE. Mentre il vostro!...
ALBERTO. Ah! vorrei morire! (con l'abbattimento del disperato).
ADELE. È il vostro cuore che se ne muore?
ALBERTO. Quale esso sia non è sempre vostro?
ADELE (con la morte nel cuore). Che m'importa?... se è cadavere!... Se non mi ama più...
ALBERTO. Oh, no.
ADELE (quasi fuori di sé). Non mi ama più!... Non voglio compassione, signore!... Non voglio amicizia! Non voglio i palliativi dell'indifferenza!... Non voglio gli avanzi del vostro amore!... Sì, sono stanca di voi! sono stanca delle vostre ipocrisie! sono stanca di quest'elemosina di pietà che mi fate! Voglio essere amata! Sono bella! Lo so! Non so che farmene di voi, cuore decrepito!...
ALBERTO. Signora... questo è un congedo!...
ADELE (c.s.). Prendetevelo!
SCENA IX
Il cavalier Falconi dalla terrazza e detti.
ALBERTO (sul divano col viso fra le mani).
FALCONI. Signora!... Ma senza di lei il caffè è stato amaro!... la conversazione languisce... c'è il vuoto. Io vengo a reclamare...
ADELE (vivamente). Cavaliere, ci credete voi agli amori eterni?
FALCONI (un momento sconcertato). Eh?... Se credo agli amori eterni io!... Mi domanda se ci credo!... Ma ci scommetto sopra io!...
ADELE. Eppure la contessa non dice lo stesso.
FALCONI. Ma veda... la contessa... quello è un altro paio di maniche!... Non è propriamente che non... Ma la contessa... capisce bene?... Lì c'è il lenitivo del sagramento... il matrimonio è un cataplasma, un narcotico, un calmante... E per amore come l'intendo io occorre invece qualche cosa di pizzicante, occorre la salsa del frutto proibito... (sogguardando Alberto e come lasciandosi andare ad una provocazione)... Occorre il fascino della colpa!... il fascino, checché si dica!... Oh, e ci credo!... Ma io capisco il delitto! il mostruoso! l'impossibile!
ADELE (quasi fuori di sé). Anch'io ci credo! Ho bisogno di crederci! Voglio crederci!
FALCONI. E fa benissimo! Che cosa esiste nel mondo all'infuori dell'amore?... e l'amore perché sia il dio del mondo bisogna che sia eterno... bisogna che sia senza limiti!... bisogna che sia onnipotente!
ADELE. Sì, è vero! Lo sento anch'io... (guardando con immensa amarezza Alberto), perché ho ancora del cuore!... Ma voialtri uomini!... egoisti, pusillanimi, meschini! poveri di cuore e di spirito... che potreste voi fare per mostrarmi che abbiate in petto qualche cosa anche voi?
FALCONI. Un delitto... o un miracolo!
ADELE. Miracoli che durano un giorno!...
FALCONI (con galanteria ma sempre guardando con sospetto Alberto). Ah! Madama quando si è bella come voi si ha torto a pensare così!
ADELE (amaramente). Oh! mi si era pur detto così!
FALCONI (sottovoce). Se non ci fossero tanti testimoni!... Veda... per una sola parola della donna che... so io... Ma io farei stupire il mondo!...
ADELE (con amara energia). Non avete dunque paura dei giudizi del mondo voi?
FALCONI. Me ne impipo del mondo!
ADELE (c.s.). Della gelosia di vostra moglie?
FALCONI. Si accomodi... Non mi sono mostrato altrettanto esigente io!
ADELE (c.s.). La rompereste con la famiglia, col dovere, coll'onore?...
FALCONI. Senza pensarci.
ADELE (dandogli la mano). Voi avete cuore, voi!... ed io non me ne ero accorta!...
FALCONI (dopo aver sogguardato di nuovo Alberto come decidendosi). Ah!... accada quel che può... Voi siete adorabile!
ALBERTO (si alza dopo aver guardato Adele con compassione e parte dalla sinistra).
ADELE (con un grido). Ah!... Non è neppur geloso!
FALCONI. Ma sarei un Otello (credendo che quell'esclamazione gli fosse diretta).
ADELE. Non mi ama più dunque!
FALCONI (con calore). Ma io vi adoro. Ma io vi ho amato da anni... Volete che io vi segua in capo al mondo per provarvelo!
ADELE. Che m'importa di voi?! Andatevene! Non vedete che non mi ama più! Non vedete che son pazza!... Non vedete che deliro!...
FALCONI. Ma, signora...
ADELE. Andatevene! Andatevene!
FALCONI (sorpreso e sconcertato). Che vuol dire ciò?... Diavolo! Diavolo!... (via dalla terrazza).
SCENA X
Adele; indi la contessa Baglini.
ADELE. Non mi ama più! Non mi ama più! Oh! quell'uomo!... Dio mio!
CONTESSA. Che cosa è accaduto? Che cosa hai?... Quel povero cavaliere è tutto sottosopra!
ADELE (come delirante). Ho che ho l'inferno nel cuore! Ho che ho l'anima rotta!... Ho che sono gelosa!
CONTESSA. Gelosa!
ADELE. Sì! che m'importa?... Ridetene!... Non ho più riguardi! Non temo più nulla!... Non ho più nulla da nascondere! Non ho più nulla da perdere! Ho la morte nel cuore!
CONTESSA (con maligna ed interessata curiosità). Ma gelosa di chi?
ADELE (c.s.). Non lo so!... Di nulla! Di tutto!... del tempo che scorre! dell'amore che langue!... del sorriso che muore!... della parola che non trova l'accento del cuore!... del cielo ch'è bello e distrae i suoi occhi dai miei!... della vita che ha altri bisogni oltre quello di amarmi!... Del mondo intero! dell'allegria! del dolore! degli amici! delle donne!... (come per subitanea ispirazione), di voi!
CONTESSA (senza dissimulare un movimento di trionfo). Di me!
ADELE (c.s.). Sì! di voi!... Quell'uomo!... quell'uomo che mi adorava in delirio!... quell'uomo ch'era tutto il mio cuore... non mi ama più!... Ama voi!
CONTESSA (c.s.). Me!... Alberto!
ADELE (c.s.). Sì! Lui!... Interrogatelo!... Io fuggirò da questa casa maledetta! Fuggirò da lui! da voi!... da tutti che odio! che maledico! (via dalla destra).
CONTESSA (trionfante). Ah! Finalmente!
SCENA XI
Il cavaliere Falconi e detta.
FALCONI. Ma, cara mia, sapreste spiegarmi questa sciarada che si chiama signora Landi? Che è accaduto? Che cosa vi ha detto?... Dev'esserci stato qualche cosa di grosso... Mi pare di ammattire anch'io!
CONTESSA. Amico mio, fatemi il piacere di chiamarmi il signor Giliotti.
FALCONI. Eh?
CONTESSA. Ho da dirgli qualche cosa.
FALCONI. Da parte della signora Adele forse?... Ma, cara mia, che figura vi fanno fare!... e che figura volete che faccia io!...
CONTESSA. Di quella che ci fate voi m'importa... Quanto a me ci penso io.
FALCONI. Eh!... Grazie!... Ma mi pare, perbacco! che io abbia il diritto!...
CONTESSA. Non avete il diritto di immischiarvi in quello che non vi riguarda.
FALCONI. Che non mi riguarda!... Corpo di!... Questa è grossa!...
CONTESSA. A meno che non vogliate rappresentarmi la ridicola parte del marito geloso.
FALCONI. Ma no!... al contrario!... Mi rispetto troppo per essere... Ma capite bene... che la parte d'intermediaria fra due amanti... non è molto lusinghiera... alla vostra età e colla vostra bellezza!... Che diavolo!... rispettatevi per me almeno!
CONTESSA. Vuol dire che lo chiamerò io!...
FALCONI. Vado io! giacché siete risoluta vado io!... è il meno male!... salverò le apparenze almeno!... Ma poi mi spiegherete... (aprendo l'invetriata della terrazza) Signor Alberto! Signor Alberto!... C'è qui la contessa mia moglie che dovrebbe dirle qualche cosa... so di che si tratta... spero che andrete d'accordo.
SCENA XII
Alberto e detti.
ALBERTO. Contessa?
CONTESSA (al cavaliere). Ebbene?
FALCONI. Ebbene?
CONTESSA. Ma capite che dovendo parlare da sola al signore...
FALCONI. Capisco! Capisco benissimo!... Giacchè volete dirglielo voi!... (piano). Che figuraccia mi fate fare! (via dalla terrazza).
SCENA XIII
Alberto e la contessa.
CONTESSA (con finta emozione ed ipocrita compassione per Adele). Signore... Io ho fiducia, molta fiducia nella sua lealtà, nel suo delicato sentire, nella nobiltà dell'anima sua! Ella comprenderà perfettamente tutta la delicatezza della mia posizione e saprà apprezzare il sentimento che mi decide a fare un passo... che uno spirito volgare potrebbe reputare sconveniente... (con espressione quasi soffocata dall'emozione), e che forse mi costerà molto!... Devo parlarle di una povera donna che mi ha commosso fino alle lagrime svelandomi l'angoscia che la divora in segreto... di una povera donna che ha riposto tutta la sua esistenza in un affetto!... È un debito di lealtà che compio... forse una riparazione!... Ma Dio m'è testimonio!... Oh, noi povere donne!... Come siamo deboli!
ALBERTO (sorpreso). Ma, signora... non saprei...
CONTESSA. Comprendo tutta l'importanza del sacrificio che le domando! (con un sospiro). Ma quanto più grande sarà cotesto sacrificio tanta maggiore è la mia fiducia che il suo nobile cuore lo accetterà!... (con finta emozione). Bisogna farlo, signore!... per lei!... e per me! (con voce soffocata e come vinta dall'emozione si nasconde d viso fra le mani)
ALBERTO (c.s.). Ma che ho fatto?... Dio mio!...
CONTESSA (marcatamente). Nulla... lo so anch'io... Ma certi segreti si leggono negli occhi!...
ALBERTO. Quali segreti?
CONTESSA. Ella ha indovinato tutto!... (come arrossendo).
ALBERTO. Tutto!... Dio mio!
CONTESSA. Or ora... in questo istesso luogo, me l'ha detto!
ALBERTO. Ma avrà visto anche che io non ci ho colpa... che ho lottato, che ho sofferto che è una fatalità più forte di me, della mia volontà, della mia disperazione!... che io sono assai più infelice di lei!
CONTESSA (col viso fra le mani) Ahimè!
ALBERTO. E giacché la mia volontà è fiacca, giacché il cuore se ne muore, giacché la mia lealtà è compromessa... io mi farò saltare le cervella!
CONTESSA (vivamente). Ah!
ALBERTO (con espressione d'indicibile abbattimento). Sì morire! morire mille volte!
CONTESSA (con civetteria). Ingrato!
ALBERTO. Sciagurato piuttosto!
CONTESSA (con finto trasporto). Ingrato ed egoista che non vedete quello che soffrono gli altri... e non pensate che la vostra follia sarebbe un doppio delitto... e spezzerebbe il cuore di altre persone!... (chinando il capo come vergognosa di essersi lasciata trasportare dalla commozione).
ALBERTO. Oh, meglio! Meglio il delitto. Meglio l'assassinio che questo spasimo di tutte le ore, di tutti i minuti, questa tortura a fuoco lento, questo sforzo impotente del cuore, queste ipocrisie dell'amore!... Meglio mille volte!... Sono stanco! orribilmente stanco!
CONTESSA (vivamente). Ma non vedete che soffro anch'io!... che soffro più di voi! Ebbene fuggitemi! fuggitemi!
ALBERTO (sorpreso). Fuggirvi!... e perché?
CONTESSA. Ma non vi ho detto che quella donna vi ha letto in cuore... ed è gelosa!
ALBERTO (c.s.). Gelosa!... e di chi?
CONTESSA (col viso fra le mani). E me lo domandate!... Oh, fatelo per me Alberto!... fatelo almeno per me!... fatelo per il mio onore, per la mia pace, pel mio cuore!... giacché anch'esso è debole!... uomo fatale!
ALBERTO (c.s.). Ma, signora... io non comprendo... io non so come Adele abbia potuto dirle... quello che non ho detto... quello che non è...
CONTESSA (vergognosa e furibonda). Ah! ma questa è un'infamia!... è un indegno agguato di cui sono vittima!...
SCENA XIV
Il cavalier Falconi e detti.
FALCONI (che è stato a spiare di tanto in tanto dietro l'invetriata, entra furibondo). Non parlate di agguati, signora, che son furibondo! Ah! avevo ben ragione di dubitare!... Ho fatto per la prima volta in vita mia la parte del marito geloso... Mai non l'avessi fatta!... Quello che ho visto!... Ma capite benissimo che non sono geloso, signore!... altrimenti vi sfiderei!... vi ucciderei!... Ma è il ridicolo della mia posizione che mi rende furioso!... il ridicolo di cui sono vittima!
ALBERTO. Signore, io sono ai vostri ordini.
FALCONI (c.s.). Non s'incomodi... non l'ho con lei!... Che diavolo poteva fare dippiù... anzi di meno?... Non si sfidano i Giuseppe!... È madama Putifarre che deve rendermi conto!...
CONTESSA (in collera). Che m'importa di voi! Andate al diavolo voi e tutti i Giuseppe! (via).
FALCONI (seguendola). Di voi m'importa anche meno!... ma per l'onore della mia posizione maritale!... Oh! mi renderete conto! strettissimo conto (via).
SCENA XV
Adele e Alberto.
ADELE (che ha ascoltato tutto dietro la tappezzeria dell'uscio corre a lui smarrita delirante quasi in istato di esasperazione). Dimmi!... Non ami neanche colei!... quella donna bella, elegante, affascinante di vezzi e di spirito!... Non l'ami!... Dillo! Te l'ho gettata fra le braccia per vedere se il tuo cuore è ancor vivo... e tu la respingi!... Ma dunque!... Ma dunque non hai più cuore!... Ma dunque è impossibile che tu mi ami più!... Tutto è finito! Oh, Dio!
ALBERTO. Oh! Adele!... per pietà!...
ADELE (interrompendolo come disperata). Non dirmi nulla!... Non dirmi nulla! Strappami il cuore dal petto con le tue mani piuttosto... mi farai bene! Non ho più speranza, capisci?... No, tu non puoi capire perché ti spezzeresti il capo dalla disperazione su queste pareti!... Non mi ami più!... Peggio ancora! non puoi più amare!... ho provato di farti sentire il veleno della gelosia, quello più acre, più feroce per voialtri uomini, quello dell'amore colpevole! Se tu avessi urlato di spasimo!... se mi avessi strangolata con le tue mani!... se ti fossi fatto uccidere da quell'uomo!... Neanche questo!... Tu non hai detto nulla... il tuo cuore è morto, vigliacco!... Ho cercato di farti provare un capriccio per un'altra donna... sì sono stata io!... io tua amante! Io gelosa come una furia, che ti ho gettato ai piedi quella sfacciata... per provare se in fondo a questa massa inerte che ti sta in petto ci sia ancora un briciolo di vita, una scintilla di elettricità!... Tu!... Tu uomo d'ingegno!... tu poeta... tu non puoi comprendermi!!! non hai immaginato che se avessi visto innamorarti di un'altra donna avrei avuto sempre la speranza di riacquistare il tuo amore... giacché nessuna potrà mai amarti come io t'amo!... sì, sì! t'amo ancora... disgraziato! e saresti tornato a me!... ebbene! no! il tuo cuore è stanco di amare!... Tu l'hai respinta quella contessa... quella abbietta creatura che veniva a chiederti i resti del mio amore! Ho visto tutto, ho udito tutto, dietro quella portiera! Sono stata gelosa di quella donna, del suo sorriso, delle sue parole, delle sue moine, della sua civetteria, della sua bellezza!... perché quella donna è così bella!... e tu non ti sei gettato nelle sue braccia!... Ma che sei diventato adunque? Non senti più; non vedi più, non hai più cuore!... Tutto è finito!... Tutto!... e per sempre (piangendo).
ALBERTO (risoluto ma colla morte nell'anima). Ascoltami, Adele! Per l'anima mia! ascoltami!... ché mi sembra di parlarti per l'ultima volta... Hai sofferto?... se tu mi vedessi in cuore avresti paura!... Sì, sono stanco! sono stanco di fingere, di mentire, di invocare quello che è per sempre sfuggito, di dissimularti quello che soffro!... Tu non puoi immaginartelo!... È qualche cosa di spaventoso! L'hai visto con i tuoi occhi istessi... non potrei amare altra donna... il mio cuore non potrà essere che tuo... Oh! ti giuro che sarà sempre tuo!... sempre! sofferente, malato, moribondo! Ma qualche cosa si è avvizzita qui dentro... Io non so come ciò sia avvenuto... C'è un vuoto che fa terrore! T'amo ancora!... oh, ti amo! te lo giuro!... Ma come ti amo?... Non lo so e non mi basta!... Vorrei amarti... ho bisogno di amarti con gli stessi trasporti, colle stesse frenesie di un tempo... quando tutto il tuo amore, e la tua bellezza, la tua vita non bastavano ad estinguere l'immensa sete che avevo di te!... Quando passavo le notti sotto le tue finestre fantasticando col lume della tua lampada notturna, baciando cogli occhi la tua ombra, sognando ad occhi aperti tutte le carezze e tutte le ebbrezze di una passione insensata il mio sogno non arrivava sino al desiderio di baciare il lembo della tua veste... ed ho bevuto dai tuoi labbri il segreto del tuo cuore e mi sono cullata la tua testa sui miei ginocchi! ed ho immerso le mie mani nei tuoi capelli ed i miei occhi nei tuoi!... avrei dato tutto il mio sangue per udire soltanto il mio nome proferito con la tua bocca... e tu m'hai detto che mi ami!... e non son morto! e non son rimasto fulminato di delirio, di gioia, di felicità!... Ma poi... quando cotesto sogno febbrile di amore non ebbe più misteri per me... quando non ci fu nulla di inesplorato nel tuo cuore pel mio... io non ho desiderato più nulla!... nulla!... È orribile!... No! ho desiderato il fascino, il mistero di una volta!... ho desiderato che fosse ancora un mistero per me cotesto amore di cui mi sono abbeverato sino alla sazietà! È un'orribile malattia del cervello! è l'infame brama dell'ignoto che appagata si spegne... e ci strappa dal cuore ogni illusione, ogni entusiasmo, ogni energia d'amore!... Ho cercato quei sogni pronato alle tue ginocchia, quell'ebbrezza che trovavo nelle tue carezze, quel fascino che c'era nei tuoi occhi!... desolato. Ho fatto di tutto... ho mentito a te, e non trovo più nulla!... nulla! a me... Oh; tu non puoi sapere com'è atroce questa tortura!... Odio me stesso, questa inferma e povera natura umana, mi disprezzo, mi maledico! Sono stanco, Adele. Sono orribilmente stanco di questa lotta disperata... e vorrei morire!
ADELE. Perché non ti sei fatto saltare le cervella adunque! uomo senza cuore?
ALBERTO. Per te...
ADELE. Per me?... Che m'importa di te a me! Che m'importa se soffri, che m'importa se piangi, che m'importa se muori!... Ho più cuore forse io?... Tu che me l'hai sciupato... ladro! ladro! ladro! (con lagrime disperate).
ALBERTO. Oh! Adele! Abbiate pietà di me!...
ADELE. Pietà! Ma hai avuto pietà di me, tu?... Ah! era forse pietà la tua ipocrisia, le tue finte carezze, la limosina del tuo sorriso?... Ma non avesti cuore per indovinare che sarebbe stato meglio lasciarmi le mie illusioni, le mie memorie... non umiliarmi con la tua pietà, non avvilirmi, con la tua finzione... fuggirmi... lasciarmi credere che ti fossi annegato... che ti fossi ucciso! Ma non capisci che noi non possiamo più vivere insieme... non possiamo più essere amici. Ma non capisci che tu mi sei odioso!... Che la tua presenza qui, in questa casa, è un insulto! che mi irrita! che mi fa soffrire! che io ti odio! che io ti disprezzo!
ALBERTO (con amara ma dignitosa risoluzione). Meglio per voi, signora!... e forse per me!
ADELE. Ma vattene dunque! Vattene! Maledetto! maledetto! maledetto!
ALBERTO (c.s.). Io non avrei creduto che dovessimo arrivare a questo punto... ma giacché ci siamo arrivati è meglio non tornarci mai più.
ADELE (c.s.). Sì! Vattene!... tu che non mi ami più... ascolta! Ascolta!... Non partire!... non voglio! capisci? Pel mondo... per quei curiosi... bisogna fingere... Non partire!... partirò io!... stasera... stanotte... domani quando non mi vedranno...
ALBERTO. Addio, Adele! (via dalla sinistra)
ADELE (cadendo sul divano col viso fra le mani). Ah! mio Dio! Ah! mio Dio! Ah! mio Dio!
SCENA XVI
La signora Merelli, il comm. Gaudenti, Lucrezia e Paolo, dalla terrazza e detta.
SIG.RA MERELLI (entrando piano al commendatore). Che vuol dir ciò? La contessa che se ne va con suo marito senza dirci nulla! Gatta ci cova!
ADELE (facendo uno sforzo per ricomporsi). Ah! ancora il mondo!
LUCREZIA. Signora! Signora!... Mio Dio! che ha, signora?... Che è stato?
ADELE (nella massima agitazione). Nulla... È che... non sto proprio bene... Vi prego di scusarmi, signori...
LUCREZIA. Oh! Mio Dio! Ma è in uno stato da far spavento!
PAOLO. Bisogna mandare pel medico.
GAUDENTI. Corro io stesso!
SIG.RA MERELLI (sottovoce). Quanta premura!... Non ne avete altrettanta per vostra moglie!
GAUDENTI (sottovoce). Ohimè! Non me ne date mai l'occasione... Voglio dire grazie a Dio.
ADELE (con uno sforzo penoso). Oh, non occorre!... Ecco è passata!... Questi benedetti nervi!... Ma adesso sto bene... Anzi, per non tenere questi signori... se volessimo scendere in giardino... (scoppiando in singhiozzi) Ah! Dio mio!
LUCREZIA. Ma sta proprio male!... Oh, Dio!
ADELE (con un riso amarissimo). È proprio nulla!... noi donne... non si muore così per poco!... Siamo così leggere (come fuori di sé) che anche il dolore... E il dolore di nervi è presto passato!... (come parlando in delirio fra se stessa) Ah! Dio mio!... Che fa?... Che fa adesso?... (suona). Signori... domando scusa... ho bisogno di dire qualche cosa alla mia cameriera.
SIG.RA MERELLI (piano al commendatore). Eh! già in questi casi equivoci c'è sempre del torbido.
GAUDENTI (piano). Delizie! Delizie addirittura in confronto delle dolcezze che mi procurate in casa nostra.
SCENA XVII
Giulietta con una lettera e detti.
GIULIETTA (prima che Adele si è a lei avvicinata abbia potuto dirle nulla). Il signor Alberto mi ha dato questa lettera per madama.
ADELE. Una lettera!... a me!... che sarà?... Signori vi domando perdono... Ma sono così... sto proprio male... Ho bisogno di restar sola... Scusino... Ho proprio bisogno di sapere... di vedere... di essere...
LUCREZIA (baciandola). Vado via... ma proprio con dolore!... Come devi soffrire!
ADELE (sorridendo convulsamente). Sì!... No!... Al contrario... questa lettera... sarò forse felice... mi dirà che... vorrei...
PAOLO (stringendole la mano). Si rammenti di noi, almeno, se ha bisogno di nulla.
ADELE. Grazie... Lo so... grazie... gli amici... grazie...
SIG.RA MERELLI (con ipocrita compassione). Signora, i miei complimenti!
ADELE. Madama...
GAUDENTI. Ci comandi pure... Saremo felici...
ADELE. ... Signore...
SIG.RA MERELLI (prendendogli il braccio). Commendatore!
GAUDENTI. Il diavolo vi porti. (via).
SCENA XVIII
Adele sola.
ADELE. Che sarà?... Che vorrà dirmi?... Mio Dio, come tremo!... Perché tremo? Mi amerà ancora... me l'avrà scritto... perché non può essere... Mio Dio! la mia povera testa!... Non può abbandonarmi... Non può abbandonarmi così... Non potrà vivere... Mio Dio... Perché tremo? Mio Dio! la mia testa!... (apre la lettera e legge). «Signora... signora... signora... Al punto in cui siamo... non possiamo più vivere insieme! Io parto! Addio!». (con un grido selvaggio scotendo il campanello) Ah!!!
SCENA XIX
Giulietta e detta.
ADELE (convulsa). Il signore... il signore Alberto!... Chiamatelo! Subito! subito!
GIULIETTA. Il Signor Alberto è partito a cavallo subito dopo avermi consegnata quella lettera.
ADELE. Partito! Partito! È partito!... Ma dunque... ma non c'è più... Ma tutto è finito!... Sola! Dio mio! Sola!
FINE

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 23.48

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