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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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di: Giovanni Verga

Flower Bar

PERSONAGGI
ADELE LANDI
ALBERTO GILIOTTI
LA CONTESSA BAGLINI
LUCREZIA
PAOLO AVELLINI
IL CAVALIERE FALCONI
LA SIGNORA MERELLI
IL COMMENDATORE GAUDENTI
GIULIETTA
TONIO
UN DOMESTICO
ATTO PRIMO
Giardino della Contessa Baglini a Montenero, presso Livorno. A destra un'elegante pagoda chinese, più in là un viale con pergolato; a sinistra un grande viale; in fondo una serra da fiori a vetri; dinanzi al padiglione un tavolino con albums, giornali, ecc., presso il viale un sedile.
SCENA I
Il cavalier Falconi dal viale di sinistra, e Tonio dal padiglione.
FALCONI. La contessa?
TONIO. Sarà qui a momenti, signor cavaliere.
FALCONI (consultando l'orologio). Temevo d'essere in ritardo. Il rendez-vous non è per le dieci?
TONIO. Non sa nulla adunque di quel ch'è accaduto al commendator Gaudenti?
FALCONI. No davvero.
TONIO. Nel seguire a cavallo la calèche della signora contessa è andato giù bel bello, e si è trovato, senza sapersi poi il come, fra le quattro zampe d'Isolina.
FALCONI (ridendo) Ah!... ah!... ah!... Ma questa è magnifica in parola d'onore! Quel caro commendatore non ne fa mai delle altre!... e se Isolina non gli ha giocato qualche brutto tiro è stato in grazia della sua buona educazione e non per riguardi alla Commenda!... Ah per bacco!... Un cavaliere... un commendatore per sopramercato, che non sa tenersi in sella!... La signora Merelli ne sarà desolata!... Ridi, briccone?
TONIO. Io, signore?
FALCONI. Ridi, ridi pure! Al Club se ne riderà per una settimana. Ma se quel disgraziato commendatore avesse dovuto montare il mio Solimano! quel diavolo di Solimano che fa venire la pelle d'oca ai più arrischiati dei nostri sportsmen!... Scommetto che quando mi vedi venire a briglia sciolta dici fra te e te: Ecco lì un matto che arrischia l'osso del collo con disinvoltura.
TONIO. No, signore, le giuro...
FALCONI. No? Me ne rincresce per te. Solimano è magnifico quando vuol farmi il cattivo... bisogna vederlo!... Ma sì!... oop! oop!... ha dovuto metter giudizio! Conosce la mano, il furbo! I cavalli son come le donne: conoscono la mano. Non star poi a riferire alla tua padrona il paragone poco galante!
TONIO. Signore... io bado ai fatti miei, io!
FALCONI. Smetti via, mariuolo! Non mi fare il discreto!... e ricordati che quando mi vorrai mettere a parte dei segretucci della tua padrona ci sarà una buona mancia per te.
TONIO. Mi meraviglio, signore!... Io non sono di quelli!...
FALCONI. Eh! al solito! Sei di quegli altri, tu!... Ma si sa che i domestici sono i confidenti volontari o involontari dei padroni... E quando avrai udito quelle signore occuparsi di me, non ti sarai certamente turate le orecchie per la sola ragione che stavi ad origliare dietro l'uscio!... Che diavolo! è naturale. Quelle signore si occupano dei fatti miei?... avranno per questo le loro ragioni... (borioso) ciò non mi riguarda! Tu le ascolti?... ciò riguarda te, è il tuo mestiere. Io non ci abbado, lascio vedere e lascio dire... e scommetto che tu sai anche meglio di me che io monto a cavallo come Guillaume, tiro alla pistola come Montecristo e mi batto alla spada con Parise... Ah! birbone! (in tono di confidenza prendendolo per un orecchio. Poi vedendo dietro le spalle di Tonio la contessa, ch'è venuta pel viale di destra). Oh! (Tonio via dalla sinistra).
SCENA II
La contessa Baglini e il cavalier Falconi.
CONTESSA. Da bravo, cavaliere! Siete in vena di famigliarità oggi!
FALCONI. Cara contessa, facevo l'onore qui a Tonio di dargli una lezione...
CONTESSA. Che? avrebbe osato?...
FALCONI. Ahimé! tutt'al contrario!... Non osa!
CONTESSA (in aria lievemente ironica). Ad ogni modo vi ringrazio della lezione per quel povero domestico.
FALCONI (con galanteria). Non monta! Me ne date tante, voi!... e non vi ringrazio!...
CONTESSA (c.s.). Procurate di non meritarvele.
FALCONI. Ma al contrario!... Ci tengo!
CONTESSA. In verità non siete difficile!
FALCONI (c.s.). Siete così bella quando andate in collera che quasi quasi sono arrivato a trovare deliziosi i vostri rabuffi.
CONTESSA. È una strana soddisfazione!
FALCONI. Mi ci avete abituato, che volete!
CONTESSA. E se questo vi basta mi sarà facile contentarvi.
FALCONI. Ah, madama! Voi siete crudele!...
CONTESSA (c.s.). E voi non dovete esserci avvezzo... colle altre.
FALCONI. Ma si direbbe che avete preso impegno di vendicare...
CONTESSA (sorridendo ironica). Le altre?
FALCONI. Fui punito col mio peccato! (con galanteria). Dal giorno che deposi le armi ai vostri piedi son vittima anch'io!
CONTESSA (c.s.) Badate, cavaliere, che noi entriamo in pieno dramma a gonfie vele. Vi ho permesso di farmi la corte, ma non di farmi della poesia.
FALCONI. Non ne farò più, bella contessa, e comincio dall'approfittare del vostro permesso, prendendone un acconto in buona prosa (le bacia la mano).
CONTESSA. Questa è prosa da cavaliere errante.
FALCONI. I cavalieri erranti non sono più di moda, è vero, ma la loro prosa è di tutti i tempi.
CONTESSA. Matto!
FALCONI. Ma a proposito di cavalieri, cara contessa, ne avete di quelli che perdono le staffe!
CONTESSA. Ne ho anche di quelli che perdono il giudizio.
FALCONI (con galanteria). Ah, contessa!... chi potete avere il cuore d'incolparne... voi?!
CONTESSA. Che so io?... Il caso, il caldo, i bagni di mare, i bei chiari di luna... le corse all'Ardenza... un velo svolazzante... un guanto perduto... Domandatene alle signore Merelli, forse ne sapranno più di me (andando ad incontrare la signora Merelli e Lucrezia che vengono dalla sinistra).
SCENA III
La signora Merelli, Lucrezia e detti.
SIG.RA MERELLI. Che cosa vuol sapere, mia cara contessa?
CONTESSA. La spiegazione di un indovinello che il cavalier Falconi non ha saputo darmi: che cosa faccia dar di volta a certi cervelli, se una passeggiata romantica con effetto di luna, o un nastro indiscreto che sventoli sulla brezza del mare al di sopra di una tenda dello stabilimento balneare.
SIG.RA MERELLI. Io voto pel nastro.
FALCONI. Per ragion della brezza?
SIG.RA MERELLI. No, per ragion del caldo.
FALCONI (Piano alla contessa). È un motivo da cinquant'anni... con vedovanza.
CONTESSA (c.s.). Stordito!
SIG.RA MERELLI (in aria pretenziosa) Che dice, cattivo soggetto?
FALCONI. Nulla. Facevo delle osservazioni sulla canicola.
CONTESSA. E lei, madamigella?
LUCREZIA. Io sto pel chiaro di luna.
FALCONI. Il sogno di una notte d'està!...
LUCREZIA (vivamente con ingenuità ed accento significativo al Falconi). Sissignore!... Già lei non ci crede!... Non è chic.
FALCONI. Io?... Oh, tutt'altro!
CONTESSA. Sicché a voi, cavaliere! Il nastro o il chiaro di luna?
FALCONI. Né l'uno né l'altro, madama, ma il macao.
SIG.RA MERELLI. Quando si perde o quando si guadagna?
FALCONI. Quando si perde.
CONTESSA. Oibò! La sarebbe una scusa comodissima per non pagare i debiti di giuoco.
FALCONI. Ecco perché molti si dimenticano di pagarli.
CONTESSA. Volete che io vi metta tutti d'accordo? Sì, è il macao, è il chiaro di luna, è il nastro indiscreto. Soltanto avete dimenticato una circostanza importantissima che s'accompagna alla luna, al nastro e alle carte da giuoco.
LUCREZIA. E sarebbe?
CONTESSA. Una bella signora (bisogna poi crederla tale poiché fa girare tutte le teste) che avrò l'onore di presentarvi oggi, e della quale ho fatto la conoscenza or son pochi giorni.
FALCONI (con galanteria). Contessa, io protesto in favore delle belle donne presenti!
SIG.RA MERELLI. Adulatore!
LUCREZIA. Colla mano sulla coscienza?
FALCONI. Con tutt'e due le mani!
CONTESSA. Badate, cavaliere, che prendo nota della vostra dichiarazione!
FALCONI. Volete ch'io la sottoscriva?
CONTESSA. Non vi tagliate le mani, mio caro; la signora Adele Landi venendo qui potrebbe leggere la vostra firma.
FALCONI. Oh! Oh!
SIG.RA MERELLI. La donna del nastro!
LUCREZIA. Il chiaro di luna!
CONTESSA. Ed il macao del cavalier Falconi; o più semplicemente la sirena dell'Ardenza, la celebre artista. Mio Dio! Noi altre povere donne abbiamo questo di buono o di cattivo: tocchiamo subito gli estremi con miracolosa facilità. Che il primo fannullone del bel mondo si dia la pena di farci una riputazione qualunque al Club o al Caffè e fra ventiquattr'ore tutti i fannulloni suoi pari si saranno fatto un debito di saper vivere di pubblicarla ai quattro venti. La signora Landi è stata fortunata, a quel che pare; io ho voluto vedere da vicino codesta meraviglia. Ho afferrato il mostro per le corna e ve lo metto faccia a faccia. (al cavaliere) Chi non saprà difendere il suo cuore dalle unghie di questa leonessa, suo danno!
SIG.RA MERELLI. Ah, un'eroina da palcoscenico! Una di quelle che comprano l'avvenenza al Regno di Flora e l'eleganza dai rivenduglioli d'abiti usati!
CONTESSA. Via, signora, noi non abbiamo il diritto di essere maldicenti poiché non siamo ancora sue amiche.
SIG.RA MERELLI. Eh! non è maldicenza, mia cara. Certi entusiasmi non posso soffrirli... (pavoneggiandosi) Si sa, codesti cerotti e codesti abiti di seconda mano fanno un certo effetto... ma al lume della ribalta!
FALCONI. Potrei assicurarle, madama, che la signora Landi quel certo effetto lo fa anche alla luce del sole.
CONTESSA (ironica). Ah! ecco il cavaliere! Adesso lo riconosco!
LUCREZIA (dispettosa). Sembra ch'ella l'abbia esaminato molto davvicino quella meraviglia... e alla luce del sole!
SIG.RA MERELLI. E che il sole sia stato cocente per scaldare così il suo entusiasmo!
CONTESSA. Povero cavaliere, che vespaio avete stuzzicato!
FALCONI. Non son cavaliere per nulla, belle dame!
SIG.RA MERELLI. Del resto chi la conosce questa elegante, questa incantatrice? Metto pegno che madama Bossi non saprebbe dirci la storia delle sue acconciature, né Marchesini quella dei suoi gioielli di princisbecco.
FALCONI. Niente di meglio! Sarebbe segno che a cotesta storia non c'è l'appendice del conto arretrato!
SIG.RA MERELLI. Le do un consiglio d'amica sincera: procuri di allegarlo meglio il suo spirito, e non ne faccia sciupio per difendere simili avventuriere... Ella è così perfetto cavaliere!...
LUCREZIA. E soprattutto ci lasci tranquille coi suoi entusiasmi da palcoscenico!
CONTESSA (al cavaliere sottovoce e con doppio senso). Il dispetto di quella piccola ape (accennando Lucrezia) mi dà a pensare... per voi... Badate, mio caro, vi pungerà! (forte) Signore mie, posso assicurare che codesta del cavaliere è una difesa officiosa, di pura forma, e per l'onore del titolo; ma nessuno meglio di lui rende omaggio alla vera bellezza e all'eleganza di buon genere (inchinandosi alla Merelli).
SIG.RA MERELLI (minacciando il Falconi col ventaglio). Ah! quel matto sa scegliere il suo avvocato!
CONTESSA. Ed ora domando indulgenza per la mia invitata... almeno oggi che ho la fortuna di riunire quattro amici qui a Montenero. Passeremo la giornata il meno male che si può. Saremo in otto o nove: la signora Landi, il commendatore Gaudenti, un altro signore che dovrà presentarmi l'avvocato Avellini...
SIG.RA MERELLI (con interesse). E il signor Avellini ci sarà anche lui?
CONTESSA. Certamente, il signor Paolo è dei nostri.
SIG.RA MERELLI. Ho piacere.
CONTESSA. Grazie... per lui.
SIG.RA MERELLI. Il signor Avellini è un giovane distinto.
CONTESSA. Distintissimo anzi!
SIG.RA MERELLI. E un giorno o l'altro sarà il luminare del Foro. L'ha detto il Commendatore!
FALCONI. Ah! se l'ha detto lui!
CONTESSA. Tutti gli amici del signor Paolo ne sono convinti del pari.
SIG.RA MERELLI (marcatamente). Io sono certa che renderà felice la donna che sposerà.
CONTESSA. Oh... questo poi sta al signor Avellini a provarlo.
FALCONI. In coscienza io non potrei impegnare la mia parola.
SIG.RA MERELLI (vivamente). Che! Avrebbe qualche motivo per dubitarne, signore?
FALCONI. No, certamente!... Come non ne ho alcuno per affermano!
SIG.RA MERELLI. Quando non l'ha cotesto motivo non c'è ragione di dare l'allarme... e in presenza di certe persone per giunta!
FALCONI. Ma io non do l'allarme, madama... Che diamine! mi pare che non siamo in caso di guerra!... (guardandosi attorno) né in presenza del nemico! (piano alla contessa) Come prende fuoco la vecchia galante! Che voglia sposarlo lei?...
SIG.RA MERELLI. Eh!... potrebbe anche essere!...
LUCREZIA (vivamente). Mamma!
CONTESSA. Ma guardi, signora, che ci mette in tal curiosità!...
FALCONI. Che? Si sentirebbe diggià l'odor della polvere?...
SIG.RA MERELLI (con finto ritegno). Chissà!...
FALCONI. Chissà!... È una parola gravida di rivelazioni matrimoniali chissà! Vogliamo guardarci dentro a rischio di essere indiscreti.
SIG.RA MERELLI. Mio Dio!... Non saprei...
FALCONI (inchinandosi con ironica galanteria). Ah! ci sono! Madama, io non posso giurare che l'avvocato Avellini riesca la perla dei mariti, ma garantisco ch'egli è molto fortunato! (Nel passare accanto alla contessa piano, accennando la Merelli) È una fortuna spaventosa!... Povero diavolo!
SIG.RA MERELLI. Lo credo anch'io... Non posso dir nulla ma lo credo anch'io!
FALCONI. Per bacco! Chi ne può dubitare! (ironico).
CONTESSA (con ironia). Bisogna che io mi congratuli col signor Paolo.
SIG.RA MERELLI. Il signor Paolo è un eccellente giovane, ma... non fo per dire... modestia a parte, anche la sposa non c'è mica male!... è un boccio di rosa.
FALCONI (con ironica galanteria). Un vero bomboncino!
SIG.RA MERELLI. Grazie!
FALCONI (sottovoce alla contessa). Santi del paradiso! Le prende su con una disinvoltura!...
SIG.RA MERELLI (con falsa e pretenziosa modestia). Il commendatore, ch'è sempre quel caro matto che tutti sapete, ci paragona a due rose sullo stesso cespo...
CONTESSA (ironica). Il commendatore è la quintessenza della galanteria.
FALCONI (imbarazzato). Ma come due rose? Non sarà mica una rosa anche lui!... Potrebbe essere uno spino, tutt'al più... Non faccio cattivi auguri, ma potrebbe essere...
SIG.RA MERELLI. Ma che lui!... lei invece.
FALCONI (c.s.). Chi lei?
SIG.RA MERELLI. Mio Dio! La sposa!
LUCREZIA (vivamente imbarazzata). Mamma! ti prego!...
FALCONI (c.s.). Non mi raccapezzo più!... Ma non si tratta di lei? (alla Merelli).
SIG.RA MERELLI. Io non ci penso... pel momento... La faccio da buona sorella stavolta.
CONTESSA. Ah, finalmente!
SIG.RA MERELLI. Per carità non mi costringete... non posso dir nulla ancora...
FALCONI. Ma qui... siamo in famiglia...
SIG.RA MERELLI. Mi rincresce, mi rincresce davvero... Ma non posso dir nulla... È stato il commendatore che ha combinato l'affare... Mi raccomando!... che la cosa rimanga qui, fra noi... Le convenienze...
LUCREZIA. Oh, mamma!...
SIG.RA MERELLI (piano alla contessa, ma in modo di essere udita anche dal cavaliere). Il commendatore dice che sembrano fatti l'uno per l'altra (accennando Lucrezia) Che Dio li benedica!
LUCREZIA (passando accanto al Falconi, sottovoce). Devo parlarvi... da solo.
FALCONI. Ah! ci sono! Ci sono anch'io!... Madamigella, a rischio di essere accusato d'indiscrezione voglio essere il primo a farle le mie congratulazioni e i miei auguri... pel suo sposo. (mentre s'inchina, sottovoce) Capisco. Verrò.
CONTESSA (ironica). Ah, davvero! Il signor Avellini è un eccellente partito! (essendosi avvista del parlare sottovoce del Falconi con Lucrezia) Che ne dite, cavaliere?
FALCONI. Proprio magnifico! E giacché è avvocato non sarà un marito seccatore, di quelli che si cuciono alla gonnella della moglie.
SIG.RA MERELLI. Ma per adesso mi raccomando... ché la cosa è ancora così... Non avrei aperto bocca con anima viva... e il commendatore... Ma a proposito del commendatore dov'è che non si vede?
FALCONI. Ah, bisogna che gli si faccia metter giudizio a quello scapato! (ironico) Fa ancora delle pazzie, alla sua età!
SIG.IA MERELLI. Oh! La sua età!... Non è poi un vecchio!
FALCONI. No, non dico questo... Ha un'età ragionevole!... Soltanto non è ragionevole riguardo alle leggi dell'equilibrio; egli le sfida imprudentemente!
SIG.RA MERELLI. Ma io non capisco, cavaliere!
CONTESSA. Non è nulla. Non può dirsi nemmeno una caduta da cavallo.
SIG.RA MERELLI. Mio Dio! una caduta!... Forse ferito!...
CONTESSA. Si rassicuri; sarà qui a momenti. L'ho lasciato nel salotto che scacciava la paura avuta con una bottiglia di rosolio.
FALCONI. Quel caro commendatore ha di comune con i ragazzi la passione per gli sciroppi... e se c'è qualche ferito sarà quella povera Isolina che avrà la schiena rovinata. Il commendatore dovrebbe adottare la sella all'americana... per compassione di quelle povere bestie. se non altro.
SCENA IV
Il comm. Gaudenti e detti.
GAUDENTI. Eccomi, eccomi, belle dame. Si parlava di me?
SIG.RA MERELLI. Un'altra pazzia!... Vi siete fatto male? Non abbiate ritegno di dircelo almeno!
GAUDENTI. Nulla... Proprio nulla!... un passo falso...
FALCONI. Bisogna vedere dove si mettono i piedi, mio caro!
CONTESSA (ironica). Ah! ella fa ancora dei passi falsi!
GAUDENTI (pavoneggiandosi). Eh eh!... (accorgendosi di un'occhiata severa della Merelli). Cioè... Stavolta il passo falso l'ha fatto Isolina.
SIG.RA MERELLI (severa). Caro commendatore, qualche volta coi passi falsi ci si rimette l'osso del collo!... Però io vi avevo offerto un posto nel mio legno!...
GAUDENTI (imbarazzato). È vero, bella signora... Ma dirò... l'occasione... la giornata è così bella!... e poi l'equitazione attiva talmente... che in ispecie prima del desinare... e una trottatina allo sportello della carrozza di madama credevo che... (sempreppiù sconcertato dallo sguardo severo della Merelli) Insomma ho avuto torto a venire a cavallo... lo veggo, lo confesso, e ne chiedo scusa.
CONTESSA. Oh, son dolentissima d'esserne stata la causa... benché lontana!...
GAUDENTI (cercando ripigliarsi). Che dice? Che dice mai?... Anzi!... (accorgendosi di un'altra occhiata fulminante della Merelli) Cioè ho avuto torto ad accompagnarla a cavallo... è verissimo... è verissimo... (accorgendosi di un movimento della contessa e ripigliandosi) Ma se l'avessi accompagnata in carrozza... (sconcertato da uno sguardo corrucciato della Merelli) o a piedi... È meno comodo ma più sicuro... e attiva anche dippiù... (sogguardando alla sfuggita e come pauroso la Merelli) Anzi se fossi venuto nel legno della signora Merelli... (vedendo venir Tonio) Auff!!
SIG.RA MERELLI (sottovoce, ma severamente). Signore! Non amo che voi facciate il galante con quella civetta!
SCENA V
Tonio e detti.
TONIO. È giunto l'avvocato Avellini in compagnia di un altro signore.
CONTESSA. Ah! sarà quel giovanotto di cui mi si è tanto parlato, e che il nostro Paolo mi deve presentare. (a Tonio) Pregate quei signori di venirci a raggiungere qui. (Tonio via). È un signor Giliotti; lo conoscete forse, cavaliere?
FALCONI. No. Non è stato presentato al Club.
CONTESSA. Infatti sarebbe stato difficile... È un poeta.
FALCONI. Un poeta! Ma avrete tutti i sette peccati mortali alla vostra tavola!
GAUDENTI. Bravo! Grazioso!
CONTESSA. Quando sarebbe bastata la sola gola, non è così? Del resto rassicuratevi, è un poeta che porta il cappello a cilindro e si fa pettinare all'inglese.
LUCREZIA. Un poeta! Che gusto! Mi farò mettere in versi il proverbio che il cavaliere Falconi scrisse sul mio album.
CONTESSA (con lieve tinta d'ironia). Un proverbio del cavaliere!... Deve essere un proverbio galante di prima forza!
GAUDENTI. Infatti ci voleva qualche cosa di spiritoso... di galante...
LUCREZIA. Peccato che sia stato scritto in un accesso di galanteria nera!... (ironica) Un bel proverbio del resto... ed anche gentile!... «Le rose cascano e le spine rimangono...». Il cavaliere non ha voluto dirmi se ci sieno poi delle rose che durano più delle spine.
FALCONI (con galanteria). Sì, quelle che somigliano a lei!
LUCREZIA (inchinandosi con sussiego ironico). Ooh!
GAUDENTI. Bravo! Ben detto!
SIG.RA MERELLI. Ne domanderemo a cotesto signor poeta.
CONTESSA. Son veramente curiosa di conoscerlo... Me l'hanno dipinto come una specie di originale. È un poeta che ha finito per diventare uno spirito forte passando per tutte le possibili stravaganze.
GAUDENTI Ci son degli originali originali, e degli originali che sono brutte copie.
FALCONI. Sarà la brutta copia di lord Byron col mantello di Mefistofile.
CONTESSA. Badate, cavaliere! Che la lingua dei poeti è pericolosa... quanto la vostra spada.
FALCONI (inchinandosi con galanteria in aria spavalda). Se fossimo ai tempi dei cavalieri erranti vi risponderei: Gliela reciderò, bella dama, per deporla ai vostri piedi.
CONTESSA. Oibò! Si dice che per noi donne... una sia anche troppa!
SCENA VI
Alberto Giliotti, Paolo Avellini, Tonio dal viale a sinistra e detti.
TONIO (rientra nella pagoda).
PAOLO. Contessa, ho l'onore di presentarvi il signor Alberto Giliotti, uno dei miei amici più intimi ed uno dei vostri più caldi ammiratori.
CONTESSA. Ho sentito parlare del signor Giliotti con tanto favore che mi fate un vero regalo! Io spero che il signore vorrà presto sostituire alla sua ammirazione, cui non ho alcun titolo, un'amicizia che procurerò di meritarmi.
ALBERTO (inchinandosi). Madama!
SIG.RA MERELLI (piano al commendatore). Per un poeta è molto laconico.
CONTESSA. Oggi avremo qui in villa qualche amico. Faremo un po' di tutto: della musica, della maldicenza, e delle contradanze. So che ella è poeta distinto. Nella mia qualità di padrona di casa reclamo da lei un favore per i miei invitati... Pochi versi...
ALBERTO. Mi rincresce doverla disingannare, contessa; ma io non sono stato mai poeta... a meno che non si voglia abusare di codesto titolo affibbiandolo al primo venuto.
CONTESSA. Per un primo venuto ella è molto fortunata, giacché il suo nome non m'era ignoto!
ALBERTO. Ho peccato contro le Muse, è vero, ma ne ho fatto penitenza leggendo il mio nome sui cartelloni dei librai... (sorridendo) Non vorrà essermi indulgente per un errore giovanile?...
CONTESSA. Troppa severità!
ALBERTO. No, contessa, ho fatto semplicemente delle esperienze, e siccome le ho pagate assai care ne ho dedotto dei principi inalterabili... (sorridendo). Così credo che in poesia bisogna andar cauti... come... come in amore per esempio.
FALCONI. Per timore dello scandalo, probabilmente? (in aria di motteggio).
ALBERTO (con freddezza sarcastica). No, signore, per timore del ridicolo.
FALCONI (spavaldo). Per bacco! il ridicolo lo si para con una stoccata!
ALBERTO (c.s.). Non vorrei però stare continuamente in guardia... se non altro per non far ridere della mia spada.
FALCONI (vivamente). Signore!
CONTESSA (presentando il cavaliere ad Alberto). Il cavalier Falconi.
FALCONI (salutando). Signore!... Son lieto...
CONTESSA. Ma, signor Giliotti, i suoi principi sono troppo rigorosi... (sorridendo) per la poesia almeno.
ALBERTO. Non è colpa mia, contessa. Son puritano per convinzione. Ho visto ridere dei poeti e degli innamorati... ed ho finito col ridere anch'io.
CONTESSA. Degli innamorati o dei poeti?
ALBERTO. Qualche volta anche di quelli che ridevano.
GAUDENTI. Bravo! Questa è vera filosofia!
FALCONI. Adagio colla filosofia, commendatore! e soprattutto al momento di mettersi a tavola.
CONTESSA (sottovoce ad Avellini). Il vostro amico è innamorato!
PAOLO (sottovoce). Alla follia.
CONTESSA (c.s.). Sapete che son curiosa!
PAOLO (c.s.). Che è quanto dire: siate indiscreto! Ama perdutamente la signorina Landi, la celebre artista.
CONTESSA (c.s. e con lieve tinta di dispetto), Ah!... Ed è riamato?
PAOLO (c.s.). Non è neanche conosciuto.
CONTESSA (c.s.). È un matto adunque... giacché non è più un ragazzo?
PAOLO (c.s.). No, è un poeta.
CONTESSA. Signori, intanto vi prego di considerarvi come in casa vostra. Nei viali c'è ombra; sui tavolini ci son sigari, carte da giuoco e giornali; in quel padiglione c'è un pianoforte. Giocate, passeggiate, fate della politica o della musica come meglio vi aggrada. Approfittiamo dei privilegi della campagna. Libertà per tutti!
GAUDENTI. Io ne approfitterò per andare a fare un giro nella sala da pranzo. Non potei darci che un'occhiata attraverso l'uscio, mentre quella bella giovane della sua cameriera mi guidava da queste parti, ma, non faccio per dire, ella ha una sala da pranzo che ci si passerebbero venticinque ore del giorno!
SIG.RA MERELLI (volgendo un'occhiata imperiosa al commendatore che non se ne avvede). Piuttosto desidero vedere la sua nuova uccelliera; me ne sono state dette meraviglie!
CONTESSA. Vada pure a giudicare quelle modestissime meraviglie... (prendendo per mano il Falconi che stava per offrire il braccio a Lucrezia). Il cavaliere gliene farà gli onori.
FALCONI (piano e dispettoso). Ah! È così che intendete la libertà!
CONTESSA (piano e sorridendo). È così che voi intendete la devozione?
FALCONI (c.s.). Ma questa è schiavitù del Kentucky!
CONTESSA (c.s.) Dove starebbe il vostro merito altrimenti?
FALCONI (alla Merelli, offrendo il braccio con mala grazia). Signora!...
SIG.RA MERELLI (prendendo dell'istessa guisa). Grazie!... Ma, commendatore!... Mi sembra che anche voi desideravate vederla questa benedetta uccelliera!... (sottovoce e con stizza) A meno che non preferiate farvi indicare la sala da pranzo dalle belle cameriere!...
GAUDENTI (seguendola tutto confuso). È vero... è verissimo... Faccio le mie scuse... Credevo che fosse ora... Ho avuto torto. (via).
SCENA VII
La contessa, Lucrezia, Paolo ed Alberto.
CONTESSA. Lucrezia, che cosa c'è di bello in quel giornale?
LUCREZIA. La musica di una graziosissima ballata tedesca.
CONTESSA. Se vuoi provarla di là c'è il pianoforte. Il signor Giliotti, (presentandolo), è un distinto pianista, a quel che me ne dissero, e l'aiuterà (Lucrezia ed Alberto si salutano). Anzi, a proposito di musica, ne ho della nuovissima che Ricordi mi mandò l'altro giorno: Don Carlos e Dinorah. (suona il campanello e a Tonio che esce dal padiglione) Dite a Carolina che rechi sul pianoforte la musica che mi giunse ieri l'altro. Poscia andate ad aspettare la signorina Landi al cancello. Tarderà poco a venire. (Tonio rientra nella pagoda, poscia attraversa la scena e va via dal viale a sinistra).
LUCREZIA (ad Alberto). È la mia parte di libertà che mi vien data, signore, forse a spese della sua.
CONTESSA. Procuro di farvi sembrare meno lunghe le ore che vi condanno a passare in casa mia.
ALBERTO (dando il braccio a Lucrezia). Davvero che sono un condannato invidiabile! (entrano nella pagoda).
SCENA VIII
La contessa e Paolo.
CONTESSA (sfogliando un libro). Ah!. siete ancora qui, signore?
PAOLO. Vi rincresce?
CONTESSA. No... (ironica) Ma davvero che per un promesso sposo voi siete originale!
PAOLO. Contessa...
CONTESSA (sempre con sfumatura d'aria ironica). Vi confesso che se il mio fidanzato mi trattasse colla vostra indifferenza io non vorrei saperne mai più!... Ho dovuto pregare quel signore di accompagnare la Lucrezia!...
PAOLO. Codesti frizzi mi dicono che la Signora Merelli ha chiacchierato.
CONTESSA (c.s.). In famiglia però... qui, fra di noi...
PAOLO. Tanto meglio. Ciò mi risparmia molti imbarazzi per intavolare un colloquio decisivo... forse ultimo...
CONTESSA (c.s.). Mio Dio, signore! Il nostro prende una certa aria di solennità che quasi mi fa paura!
PAOLO. Contessa, vi prego di ascoltarmi seriamente... per la prima volta almeno!
CONTESSA (c.s.). Ma io ascolto, signore.
PAOLO. Sì, e vero... Ho molto sofferto... Ho pensato che bisognava far qualche cosa per strapparmi da quell'inferno!...
CONTESSA (c.s.). Prendendo moglie?
PAOLO. Sì...
CONTESSA (c.s.). Tanto meglio!
PAOLO. Ah!... signora!...
CONTESSA Tanto peggio allora! Che volete che io vi dica?
PAOLO. Ditemi pazzo... ditemi vile, che vi ho amato sino a non vedere che non avete né cuore, né...
CONTESSA (dignitosa). Non potete dire però che io non abbia della bontà... molta bontà... per ascoltarvi come faccio.
PAOLO. Oh, perdonatemi, perdonatemi!... È quel povero cuore che delira!
CONTESSA. Parliamogli del vostro matrimonio!...
PAOLO. Del mio matrimonio!... In quel pasticcio che il commendatore Gaudenti ha manipolato d'accordo colla Merelli io non ci ho avuto altra parte che quella della collera, del dispetto e della gelosia!
CONTESSA (c.s.). Ecco una felicità domestica che non ha basi molto ridenti!
PAOLO. È vero!... e spesso mi sono domandato se non è una viltà... se non è una colpa... quella di far vittima delle mie passioni una giovanetta... che stimo, che è degna di essere stimata!... perché quando diedi il mio assenso a cotesto matrimonio io non avevo testa... avevo perduto la mia ragione... avevo addosso tutte le febbri, tutte le furie... Voi mi avevate spezzato il cuore, a me innamorato, cieco, pazzo di voi!... Cercai del commendatore e dissi di sì!
CONTESSA (c.s.). Faceste malissimo. Avreste dovuto prendere un bagno e andare a letto.
PAOLO (con amaro sarcasmo). Ohimè, contessa! non era soltanto una questione di nervi!
CONTESSA. Mio Dio! non esageriamo. Il cuore lasciamolo lì. Gli fate cambiar di padrone con tanta disinvoltura!
PAOLO (c.s.). Che volete, era stanco di essere accarezzato colle unghie!
CONTESSA. No; no, mio caro, ché io vi stimo troppo, malgrado le vostre eccentricità... e mi pare anche di avervelo provato.
PAOLO (c.s.) Alla vostra maniera... strascinandomi fra la turba dei vostri adoratori!
CONTESSA. Non potete dire di essere stato in cattiva compagnia.
PAOLO (c.s.). Oh, tutt'altro!... Il fiore della buona società!... Ma io sono un zotico! Preferivo di esser solo!
CONTESSA. Avete torto a lagnarvi se siete stato il preferito... e vi rendo codesta giustizia che voi meritate la preferenza. Tutt'altri al vostro posto me ne sarebbe stato gratissimo; voi me ne ringraziate con un'esagerazione d'egoismo... Confessate che sarebbe stato molto più semplice mettermi alla gola il coltello del matrimonio...
PAOLO (c.s.). Oh, contessa!... Io non avrei osato!...
CONTESSA (con grazia ma ironica). Non avreste avuto che un torto e un difetto: siete avvocato, e non appartenete al Jockey-Club... A voi si può dirlo, ché siete un uomo di spirito... Ma per un uomo di spirito non avete fatto troppo onore alla vostra riputazione. Se il domani di una cattiva accoglienza tutti gli innamorati dovessero prender moglie!... Voi vi ammogliate per dispetto, e prendete la peggiore delle risoluzioni. Credetemi, il dispetto è cattivo consigliere.
PAOLO. Sarà forse il solo caso che avrà consigliato il meglio.
CONTESSA (con ironica freddezza). Ammogliatevi allora.
PAOLO. Sì, ho la pazzia di credere ancora al cuore, e voglio farne l'esperimento.
CONTESSA (c.s.). Badate però, che tali esperimenti sono pericolosi! Ma il matrimonio è un rimedio eroico; forse vi guarirà.
PAOLO. Guarirò, contessa!
SCENA IX
Alberto e detti.
ALBERTO (sorridendo). Sei dunque malato, Paolo?
PAOLO. Malattia di cuore. Passerà.
CONTESSA. No, è alla testa: è l'amore ridotto ad emicrania. Lo guarisca, signor Giliotti.
ALBERTO. Malattia grave! Ci vuole altro medico!
CONTESSA. Ne conosco qualcuno che non dubita punto della guarigione. Dov'è la signorina Merelli?
ALBERTO. L'ho lasciata alle prese con una difficoltà di Meyerbeer.
CONTESSA. Vado a raccomandarle il mio infermo. Ah! noi donne non disperiamo giammai! (via).
SCENA X
Alberto e Paolo.
PAOLO. Ti dico ch'è malattia ridicola... malattia indegna di un uomo che si rispetti... malattia leggiera come quella donna che n'è la causa.
ALBERTO. Ah! c'entra un poco quella donna?
PAOLO. È una civetta e nulla più! Ti lusinga con tutti i mezzi, ti fa ardere il cuore ed i sensi... e poi ti ride in faccia!
ALBERTO. Bisogna ridere con lei.
PAOLO. Lo faresti tu con l'Adele?
ALBERTO (vivamente). Che!
PAOLO. Anch'io amavo colei come tu ami la Landi!
ALBERTO. Non è vero!
PAOLO. Alberto!
ALBERTO. Non è vero! Poiché non mi vorrai far credere che tu sii l'ultimo degli uomini!
PAOLO. Alberto, perdio!
ALBERTO. Oh, non andare in collera. Quella donna ti ha riso in faccia e sei ancora qui!... e dici d'amarla!...
PAOLO. Hai ragione. Bisogna vendicarsi!... Bisogna...
ALBERTO. Non esagerare. Di che ti vendicheresti? Accendi un sigaro piuttosto e dalle la mano per andare a tavola. Fra un bicchiere e l'altro entrambi converrete di aver avuto torto prendendo sul serio un cattivo scherzo.
PAOLO. Poeta!
ALBERTO. Dimmi poeta acciò io non vi dica matti. Sì, matti, che vi formate un dolore di una cosa ridicola... e credete che il vostro cuore deliri quando siete ebbri di sciampagna... e parlando d'amore gettate un'occhiata allo specchio... e prendete in tutta buona fede il benessere di un'eccellente digestione per la febbre del cuore...
PAOLO. Alberto, tu ridi di tutto!...
ALBERTO. Io rido delle cose ridicole, perché gli altri ridono di me, dei miei sogni e delle mie follie. Tu hai amato una donna che divideva a bricioli, fra te e dieci altri, il suo cuore, il suo sorriso, le sue promesse... Tu l'hai amata, un giorno, sei mesi, non hai ucciso nessuno di quelli che ti rubavano una parte di quel cuore, la tua parte di paradiso, non ti sei fatte saltare le cervella... e in un momento d'egoismo l'accusi di una colpa che hai accettato, che hai subito, che hai diviso anche tu... Chiami civetta colei che può dirti merlo!... Matto! matto! tre volte matto! Te lo dice chi è più matto di te... ed ha amato dei mesi, dei lunghi mesi una donna che non lo conosce, che non si cura di lui, che non sa ch'egli esiste, che l'ha seguita per ogni dove, a Milano, a Firenze, qui, che passa le notti sotto le sue finestre, che un suo sguardo gli mette il paradiso nel cuore e la sua voce la febbre nel sangue... Se tu sapessi quello che passa nel mio cuore... ora che l'aspetto, che le sarò vicino, che le parlerò!... Senti... è qualcosa che mi fa paura!... Matto! Matto! più di te!... Oh, dammi retta, amico mio: prendi moglie e metti pancia; è il segreto della vita.
PAOLO. Sì, sposerò Lucrezia; non fosse altro per fare arrossire quella civetta sotto lo sguardo puro di una giovanetta... che amerò!
SCENA XI
Il cavalier Falconi e detti.
FALCONI. Caro signor Avellini, mi permetta che io sia il primo a congratularmi con lei della sua buona fortuna. In tutta Toscana non avrebbe potuto fare scelta migliore.
PAOLO (sorpreso e freddo). Signore...
FALCONI. Via, via, mio caro, mi perdoni se non ho saputo serbare il segreto per esprimerle tutta la mia soddisfazione... Sono amico di casa... ho l'onore di essere intimissimo della signora Merelli... anzi sono stato tanto fortunato da darle il braccio per una mezz'ora... finché il commendatore Gaudenti ebbe la bontà... volle per forza che io gli cedessi il piacere... (piano) A proposito del commendatore, apra bene gli occhi nello stendere il contratto di nozze... altrimenti il commendatore gliela fa...
PAOLO (risentito). Signore!
FALCONI. Eh! so io quello che dico. La signora Merelli ha ancora dei grilli pel capo, malgrado la sua età... e quel caro commendatore aspira maledettamente ad un canonicato... fosse anche per mezzo di un matrimonio... Mi perdoni... Ho parlato perché nutro una sincera stima per lei. Noi saremo amicissimi; il cuore me lo dice.
PAOLO (c.s.). Grazie.
FALCONI. Ho avuto sempre una gran simpatia per lei... Proprio! Ci conosciamo da un pezzo in casa della contessa!... ed ora che una fortunata combinazione... Sarei felicissimo di provarle...
SCENA XII
La contessa, Lucrezia e detti: indi Tonio.
CONTESSA. Non gli proverete nulla, cavaliere; il nostro Avellini è in un accesso di spleen.
PAOLO (con ironica galanteria). Che dite mai?... Vicino a voi!...
CONTESSA (ironica). Cortigiano!... Vi metterò alla prova, giacché il mio regno sta per tramontare; è arrivata la regina... (vedendo venir Tonio dalla sinistra) ecco l'araldo!
TONIO. La signora Landi!
CONTESSA. Viva la regina!
FALCONI. Vivano le regine!
SCENA XIII
Adele Landi, la Signora Merelli, il comm. Gaudenti dal viale a sinistra e detti.
ADELE. Grazie del suo invito, contessa! Glielo dico venendomi a mettere francamente fra i suoi vecchi amici.
CONTESSA. Madama, io la ringrazio di esser venuta pei miei amici, che avrò l'onore di presentarle, e per me! La signora Merelli e madamigella Lucrezia sua figlia (presentandole).
ADELE. Ebbi già la fortuna d'incontrare la signora Merelli, e mi congratulo con la madre di una così bella signorina (inchinandosi a Lucrezia).
CONTESSA. Il signor Avellini, avvocato distinto, presto... (accennando Lucrezia con lieve tinta d'ironia) sposo fortunato.
ADELE. Signor avvocato, spero di non aver mai bisogno di lei. Ma chissà?... In ogni evento mi rammenterò che ella è fortunato, e che sa benissimo perorare le cause che le stanno a cuore.
PAOLO (quasi con amarezza). Io temo, madama, che la bontà della contessa non le faccia prendere abbaglio riguardo a cotesta mia fortuna!
CONTESSA. Il cavalier Falconi.
ADELE. Ho sentito molto parlare dei cavalli del signore.
FALCONI. Grazie... pei miei cavalli che mi procurano l'onore di esser conosciuto da lei!
ADELE. È una riputazione brillante per uno sportsman. E quando avrò un cavallo bisbetico da ridurre al dovere saprò a chi rivolgermi.
FALCONI. Madama! Ella con uno sguardo ammanserebbe un orso!
ADELE (con significazione). Non vorrei provarmi. Tanto più che gli orsi non hanno spirito Il commendatore Gaudenti senza dubbio?
GAUDENTI. Servitor suo e di queste gentili dame!
ADELE (piano alla contessa guardando colla lente Alberto che se ne sta alquanto in disparte). E quel signore?
CONTESSA (presentandolo). Il signor Giliotti. (Adele ed Alberto s'inchinano).
ADELE (sottovoce al cavaliere). Che cos'è quel signore?
FALCONI (sottovoce). È l'orso di cui parlavamo.
ADELE (c.s. sorridendo). Davvero... (Esamina a lungo Alberto, poi fa un lieve movimento di spalle e domanda sottovoce alla contessa). Che cos'è il signor Giliotti?
CONTESSA (piano). È un poeta.
ADELE (c.s. con un sorriso). Ah!... Avrei dovuto indovinarlo!
FALCONI (sottovoce a Lucrezia). Troviamoci nella serra, nel tempo che andranno via tutti (parte dal viale a destra procurando di non farsi scorgere).
CONTESSA. Signor Giliotti, vogliamo aprire la marcia? (Alberto le dà il braccio).
LUCREZIA (con vivacità infantile). Ah! la bella farfalla! (parte correndo come se inseguisse una farfalla).
CONTESSA (guardandosi attorno e vedendo che il Falconi è scomparso anche lui, con ironia). Quella cara pazzarella! Commendatore, ella mi sarà gratissimo della fortuna che le procuro! (accennandogli di dare il braccio alla Landi).
SIG.RA MERELLI (afferrando con vivacità il braccio di Gaudenti). Ma commendatore! Avete lasciato correr sola la mia bambina!
GAUDENTI (imbarazzatissimo alla Landi). Egregia signora!... faccio le mie scuse! (alla Merelli). Andiamoci assieme; la troveremo senza dubbio nella sala da pranzo.
ADELE. Oh, senza complimenti. Siamo in campagna (via).
SIG.RA MERELLI (piano al commendatore). Signore! voi vi compromettete (vanno).
CONTESSA (ironica). Mio caro Paolo, ecco una magnifica occasione per fare la corte alla vostra fidanzata. Correte dietro alle farfalle... come il cavaliere. (via con Alberto).
SCENA XIV
Paolo, indi Tonio, poi Lucrezia.
PAOLO (mentre sta per avviarsi anche lui, al passare vicino ai vetri della serra ascolta con sorpresa). La voce di Lucrezia!
LUCREZIA (dentro la serra). Non lo voglio e non lo voglio! Non l'amo ecco!... Non basta stimarlo!... Mi avete promesso tante volte di domandare la mia mano!... Che aspettate altro?... Cattivo!
FALCONI (dentro la serra). Ohimè!... per ora non posso, ve l'ho pur detto! Ma vi proverò che il mio amore arriva sino all'eroismo!... Sì, mi sacrificherò alla vostra felicità... Sposate il signor Avellini... Siate felice anche con un altro!... Io sono amico del signor Avellini assisterò alla felicità di lui tutti i giorni... ma non cesserò mai di amarvi!
TONIO (a Paolo). Signore è in tavola (via).
LUCREZIA (di dentro). Oh, Dio! C'è gente! (uscendo e vedendo Avellini). Ah!! (si cela il viso fra le mani).
PAOLO (freddamente, offrendole il braccio). Andiamo a tavola, madamigella.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 23.34

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