VIII |
Sig. Raimondo Angiolini - Siracusa. |
Catania, *** Agosto 186* |
Amico mio, |
apro oggi soltanto le lettere che mi son pervenute da
due mesi per la posta, delle quali alcune tue e di mia madre sono
vecchie da più di 70 giorni. Povera madre! che avrà pensato di me?!...
Eppure se ella avesse potuto conoscere la felicità del figlio suo, se
sapesse i godimenti immensi dei quali mi sono inebbriato, ella sarebbe
lieta, quella buona madre, del lungo silenzio del figlio, che le
proverebbe ch'egli ha dimenticato tutto onde vivere soltanto per questa
vita di cui un'ora vale un secolo, per immergersi tutto in questo sogno
febbricitante, in cui i brividi del piacere sono sì potenti da farlo
riscuotere gemendo come di spasimo. |
Raimondo, se, 15 mesi fa, quando seguitavamo quella
sconosciuta, della quale cominciavo a subire il fascino inenarrabile, tu
mi avessi detto: «costei, per uno di quei miracoli che provano Dio,
avrà una parola, una sola parola per te»... io non avrei osato
lusingarmi di questa speranza... io avrei temuto di carezzarla. Ed ora,
nel momento in cui ti scrivo, questa donna, che di tutto ciò ch'è
leggiadro s'è fatto un corteggio splendido, questa donna che ha il
sorriso ammaliatore, gli sguardi inebbrianti col loro raggio pacato, le
promesse più affascinanti nel suo voluttuoso abbandono, questa donna mi
ama!... me l'ha detto colle sue labbra posate sulle mie!... Questa donna
io l'ho posseduta; io la possiedo!... È mia!... Quel
cuore del quale mi spaventavo a scandagliare i misteri reconditi, come
se gl'immensi tesori d'amore che vi si racchiudono avessero dovuto
annegarmi nei loro diletti sovrumani, quella vita ch'è tutta un fremito
di voluttà, io l'ho sentito palpitare fra le mie braccia... Essa è
vissuta sotto il mio tetto; ha passeggiato al mio braccio; ...e le sue
labbra hanno chiuso i miei occhi la sera, per riaprirmeli l'indomani!...
Io ho baciato quei capelli, quella fronte, quegli occhi, quelle labbra;
io mi son cullata quella testolina sui miei ginocchi, ed ho passato le
intiere notti fantasticando cogli occhi fissi in quegli occhi, a
leggervi tale amore che mai uomo in terra conoscerà. |
Raimondo, sai tu cos'è questa donna?... È l'amore con
tutti i suoi palpiti più arcani e misteriosi; è la voluttà con tutti
i suoi sussulti più ardenti; è il delirio con tutti i suoi sogni più
febbrili. Io non arriverò mai a farti immaginare qual fremito di
piacere si provi quando quella mano da fata, colle sue unghie rosee,
colle sue dita affilate, colla sua pelle rasata e candida si posa sulla
fronte; e quando quegli occhi fanno passare nei miei baleni di
quest'amore che al primo urto scintillano come il cozzo di due spade, e
che inebbriano come un veleno. |
Questa donna che vivea pei piaceri, della quale il
lusso era il bisogno come l'aria è il bisogno dell'uomo, questa donna
non esce più quasi mai; rifiuta tutti gl'inviti; si alza all'alba, per
venire ad appoggiare la sua testa sulla mia spalla, mentre io lavoro;
per venire a spargermi il tavolino di fiori ch'ella ha colti per me...
per dirmi di quelle parole che ella sola sa dire. È una vita
straordinaria che noi facciamo: una vita che c'invidierebbero molti e
che molti compiangerebbero come una pazzia. |
A Napoli noi uscivamo qualche volta, la sera, verso
mezzanotte, in carrozza, e andavamo a Mergellina per la Riviera di
Chiaia. Io non ti potrei esprimere le sempre nuove sensazioni che costei
mi faceva provare, in quell'ora, seduta accanto a me sui cuscini della
carrozza. |
Noi lasciavamo il calesse per correre, di notte, come
fanciulli, tenendoci per la mano, sedendoci a terra quando eravamo
stanchi. |
Il sole ci sorprendeva spesso ancora passeggiando, come
nelle prime ore della notte; e allora noi correvamo a casa per levarci
poi alle cinque. |
Qualche altra volta uscivamo a cavallo. Narcisa cavalca
come un'amazzone, e noi galoppavamo verso Posillipo. Io mi spaventavo
nel vedere con quale audacia piena di grazia quel fragile corpo che
sembra soltanto armonizzato per le più delicate carezze, quella giovane
nervosa che sembra vivere una vita a metà aerea come quella di una
farfalla, sfidava i pericoli della corsa, superando gli slanci impetuosi
di Arbek, il mio focoso cavallo, con tutta la
disinvoltura di un cavallerizzo. |
Quando ritornavamo, coi cavalli anelanti e coperti di
spuma, Narcisa si lasciava cadere nelle mie braccia, avvinghiandomi le
sue al collo; ed io la trasportavo, come una bambina, sulla sua poltrona
accanto al pianoforte. |
La sera facevamo della musica insieme. Ella è di un
gusto squisito, quantunque non possegga tutte le facilità di un
pianista. Quand'ella suona io sto seduto al suo fianco, colle braccia
allacciate attorno alla sua vita; ella s'interrompe per guardarmi, per
sorridermi; ...e quando mi ha guardato un pezzo, com'ella sola sa
guardare, mi chiude gli occhi coi baci. Colle mie mani fra le sue ha
voluto ch'io le narrassi tutta la mia vita, colle più minute
particolarità... Ha sorriso del suo caro sorriso a ciascuna rimembranza
delle mie follie di giovinezza, e mi ha detto: «Giammai tu amerai come
hai amato me!...». |
E come ebbra del suo trionfo mi ha circondato la testa
delle sue braccia. |
Ora, da quaranta giorni, noi siamo a Catania, dove ad
ogni passo io provo delle emozioni ineffabili. Spesso rimango delle ore
intiere a contemplare l'oggetto insignificante che mi ricordo aver
veduto quando amavo Narcisa di quel terribile amore senza speranza. |
Io ho salito quella scala, ho passeggiato per quelle
stanze, ho dormito sotto quel tetto... ho veduto la sua camera... Qual
camera! se la vedessi, Raimondo!... |
Un uomo che non avesse mai conosciuto Narcisa ne
immaginerebbe il ritratto fisico e morale quando avesse soltanto veduta
la sua camera. |
Dappertutto velluti e sete; e, a renderne meno pesante
la ricchezza, meno severo e più diafano il colorito, veli dappertutto,
e fiori, e un profumo appena sensibile, ma molle, delizioso; il profumo
della sua pelle delicata... |
L'altra notte udii rumore nel suo appartamento; mi
levai anch'io e la trovai al verone istesso dove io la vedevo qualche
volta, cogli occhi fissi sulla strada dove altra volta io passavo parte
delle notti. |
Mi accorsi che aveva pianto. Come mi vide mi gettò le
braccia al collo e scoppiò in singhiozzi. |
«Oh! è l'eccesso della felicità che mi fa male!»,
mi disse. |
E l'alba ci trovò ancora a quel verone, abbracciati. |
Raimondo!... Ti svelo un gran mistero del mio cuore,
che Narcisa non dovrebbe mai conoscere. In mezzo a questi deliranti
piaceri, in mezzo a questa felicità che il Paradiso non mi potrebbe mai
dare, ho un pensiero che mi è quasi terrore, che mi agghiaccia il bacio
sulle labbra... e ciò quando penso che a forza d'inebbriarmi a questa
coppa fatata, i sensi dell'uomo, troppo deboli per la piena di tanta
felicità, non si istupidiscano nel godimento;... che io non possa più
assorbire in tutti i più squisiti particolari questa rugiada d'amore di
cui ella mi abbevera;... che, infine, (ho terrore di ripeterlo a me
stesso!) a forza d'immedesimarmi nella vita di lei, a forza di
assorbirne tutte le emanazioni quando me la stringo fra le braccia, io
non giunga a rompere quel velo aereo, direi, di cui Narcisa si circonda,
e che comanda quasi la semioscurità, l'isolamento, per farla meglio
ammirare... Raimondo, se ciò avvenisse, sento che mi farei saltare le
cervella. |
Quando le parlo del suo passato ella mi risponde,
inebbriandomi del suo sguardo: |
«Ciò che io rimpiango sono i giorni che vi ho passato
senza di te, e che avrebbero accumulato tesori d'amori e di ricordi
trascorsi al tuo fianco». |
Io ti ringrazio, amico mio, delle cure affettuose che
prodighi alla mia famiglia. Vicini a te, quei miei cari, io son
tranquillo sul loro stato. Dirai a mia madre che non oso scriverle; e
che qualche giorno correrò sino a Siracusa per farmi perdonare il mio
lungo silenzio fra le sue braccia. Addio, addio! Narcisa mi chiama;
domani forse ti scriverò più a lungo. |
Il tuo Pietro |
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Sig. Raimondo Angiolini - Siracusa. |
Aci-Castello. *** Novembre 186* |
Signore, |
Pietro mi ha parlato sì spesso di lei, che il suo nome
è per me quello di un amico. È come a fratello che io scrivo dunque, o
signore... come ad un uomo che è l'amico del mio Pietro... E son
sola... e non ho nessuno a cui aprire il mio cuore, per mezzo di cui far
pervenire, in queste memorie, i miei ultimi ricordi a lui! |
Qual vita ho fatta!... Dio! Dio mio!... Mi pareva
impazzire dalla felicità; come ora mi pare impazzire dal dolore, quando
penso a quelle ore trascorse come baleni nelle sue braccia, a quei suoi
baci che sembravano divorarmi, a quelle sue ferventi parole che mi
atterrivano quasi colla violenza della sua passione... a quei sei mesi
tutti d'amore di cui noi assorbivamo i giorni con disperato anelito di
piacere... |
Ed ora... |
È triste quello che ho a dirle, signore!... Oh, è ben
triste!... Io ho soltanto la forza di scriverne poiché è il solo
conforto che mi rimanga, poiché questi versi saranno letti da
lui... che, allora soltanto... forse... comprenderà
di quale amore l'ho amato...; poiché io, infine, vi provo un penoso
godimento, dopo quello che mi resta soltanto ad aspettarmi... |
Se dieci mesi addietro, quando ero a Catania, avessi
potuto sognarmi la vita che ho fatto con questo giovane, io avrei riso
di me come una pazza. Ora piango, signore... piango lagrime disperate,
che cassano le disperate parole che scrivo. |
A Napoli lo vidi circondato da quell'aureola che dà la
rinomanza dell'ingegno; lo vidi festeggiato, messo in moda. Pensai che
quest'uomo, di cui molte duchesse avrebbero fatto il loro amante, aveva
passato quattro mesi sotto i miei veroni; pensai a quest'uomo cui
l'amore, ch'io gli aveva ispirato, aveva solcato le guancie ed elevato
il cuore sino al genio... e l'amai... l'amai come mai avevo amato...
come non m'era parso che si potrebbe amare giammai. |
Quest'uomo, questo giovane ch'io non avevo distinto in
mezzo alla folla che lo circondava, recava nel cuore tesori ineffabili
di passione, in cui assorbiva tutto il mio essere. Quest'uomo per sei
mesi, sei intieri mesi, mi formò una vita di baci e di carezze. |
Noi non uscivamo quasi mai. La sera ci recavamo sulla
terrazza che guarda il mare e restavamo là spesso sino a giorno;
qualche volta soltanto uscivamo in carrozza o a cavallo, ma sempre
assieme. |
A Catania noi seguitammo ancora due mesi questa vita
incantata che per me sarebbe rimasta un mistero senza di lui. |
E poi... |
Alcuni giorni dopo Pietro cominciò ad invitarmi ad
uscire... ad andare in società... Mio Dio! mi pareva che avessi dovuto
aver rimorso di quel tempo che bisognava rubare al nostro amore. Allora
egli mi disse che per lui, che dovea farsi un avvenire, era impossibile
seguitare a vivere così ritirato dal mondo, e che quest'avvenire gli
imponeva qualche sacrifizio; che, infine, per quella sera avea un invito
al quale non poteva mancare. |
Lo pregai di andar solo, soffocando un penoso
sentimento che quasi mi faceva piangere d'angoscia. |
Nei primi mesi che noi passammo assieme Pietro non
avrebbe pensato a ciò. Quel fervente amore di lui cominciava dunque a
dar luogo ai calmi pensieri dell'avvenire... Non osai gettare uno
sguardo su quel baratro che si spalancava lentamente ad inghiottire la
mia felicità. |
Quando venne a stringermi la mano, quando udii il
rumore della sua carrozza che si allontanava, non potei frenare le
lagrime, e mi misi al pianoforte per distrarmi. |
Mi venne sotto le mani Il Bacio di
Arditi, quel valtzer ch'egli mi fa ripetere sì spesso marcandone il
movimento coi suoi baci sulla mia testa. Quelle note mi parve che
piangessero, e chiusi il pianoforte con impazienza. |
Lo aspettai al verone sino a mezzanotte: non veniva
ancora. Ebbi timore di lasciargli scorgere il mio affanno, se mi fossi
lasciata trovare aspettandolo, mi ritirai nel mio appartamento. Presi un
libro a caso, ma non potei leggerlo. |
Verso le tre udii finalmente la carrozza che rientrava
sotto il portone, e i passi di lui sulla scala. Ma egli non venne a
cercarmi. |
Divorata dall'impazienza, suonai per domandare di lui. |
«Il signore è ritornato»; mi rispose la mia
cameriera, «ma è rientrato quasi subito nelle sue stanze.» |
Non era venuto almeno, come faceva ogni sera, a darmi
il bacio della buona notte. |
Ebbi un istante il pensiero d'andare da lui, ma lo
soffocai, colle mie lagrime, fra i guanciali. |
L'indomani, prima ancora dell'alba, ero levata, poiché
non avevo dormito un secondo; ed andai ad aspettarlo nel salotto,
sperando che anch'egli vi sarebbe venuto. |
Egli si alzò soltanto verso le undici, e
immediatamente venne a cercare di me. |
«Come sei bella, mia Narcisa!», esclamò egli
abbracciandomi con effusione; «mi pare di amarti dippiù ogni volta che
ti rivedo!» |
Alzai gli occhi, umidi di lagrime, su di lui, atterrita
dall'idea che quelle parole fossero simulate. |
No! non era possibile in lui... nel mio Pietro!... il
più nobile cuore ch'io abbia conosciuto: era il suo sguardo ardente di
passione, e la sua voce che recava l'accento del cuore. |
Singhiozzante gli gettai le braccia al collo, come per
non lasciarmelo sfuggire mai più, e nascosi la testa nel suo petto. |
«Che vuol dire questo pianto?», domandò egli
asciugandomi gli occhi coi baci; «son molto colpevole adunque?» |
«Oh, no! no!...», singhiozzai; «è che... quello che
provo vedendoti...» |
Egli mi abbracciò, muto, senza rispondere, quasi
pentito. |
Per otto o dieci giorni non mi lasciò più un minuto. |
Sentivo che questa felicità sovrumana mi logorava
lentamente, e mi dava ogni giorno forze novelle per sopportarne la
piena. |
Il giorno che ci fu recato un invito per una serata che
dava C***, Pietro mi disse: |
«Vi anderò soltanto a condizione che ci venga anche
tu». |
«Perché piuttosto non uscire assieme, a farci una
delle nostre passeggiate sì belle?!... Sai bene che per me i godimenti
che dà la società, il gran mondo, non hanno più attrattive...», gli
risposi. |
«Bisogna forzarti; non puoi vivere sempre come vivi.
Tu sei un angelo di bellezza, ed io sono orgoglioso di te; voglio godere
del tuo trionfo.» |
«Giacché lo vuoi...», gli dissi reprimendo un
sospiro. |
«Una sera», seguitò egli tenendosi le mie mani fra
le sue, «una di quelle sere in cui ti cercavo come smaniante, avevo
perduto la speranza d'incontrarti; quando vidi passare, al braccio del
conte, una donna vestita di bianco, con un semplice
bóurnous bianco sulle spalle, di cui il cappuccio
era tirato sulla testa: avea il corpo svelto ed elegante, l'andatura
molle ed incantevole, il sorriso affascinante, alcuni ricci neri
scappanti dall'orlo del cappuccio bianco sulla fronte di un candore più
puro e direi più rasato. Eri tu!... che parlavi a quell'uomo, che
sorridevi a quell'uomo... che non potevi sapere quel che provava
quell'incognito che ti passò d'accanto senza che te ne avvedessi.
Sentii stringermi il cuore da una mano di ferro... Ti seguii trepidante,
divorando degli occhi il tuo passo, i tuoi movimenti, il tuo minimo
gesto; reprimendo i battiti del mio cuore per udire l'insensibile
fruscio della tua veste... Ti seguii senza speranza che tu ti rivolgessi
a vedermi... Andavi da S***. Ti aspettai in istrada sino alle tre, ora
in cui la tua carrozza venne a prenderti, vedendo passare i fortunati
che andavano a quella festa, che dovevano vederti ed esserti vicini;
guardando la luce abbagliante che scaturiva dai veroni aperti, le
allegre coppie che si aggiravano per le scale; ascoltando il suono di
quella musica festante. Due o tre volte mi sembrò di vedere la tua
figura, l'ombra tua, che girava fra le vorticose coppie di un valtzer...
e piansi lagrime ardenti, disperate;... e passeggiai delirante come un
pazzo, sotto quella casa... Ora voglio che tu ti vesta di quegli abiti,
Narcisa; che quel cappuccio bianco copra i tuoi capelli. Io non posso
esprimerti quegli atomi, quelle percezioni di sensazioni ineffabili che
provo in queste reminiscenze; cercando d'illudermi spesso sino alla
realtà del dolore che provai, per sentire più viva l'ebbrezza della
felicità che tu mi dai ora!» |
E mi abbracciava, e mi baciava frenetico, ardente. |
In mezzo a quelle parole che mi facevano piangere di
gioia una frase mi era rimasta fitta dolorosamente come una spina nel
cuore: egli avea detto: Non puoi vivere sempre come
vivi!... |
Quella vita che avea formato il mio paradiso, adunque,
quella vita che noi non avevamo vissuto che per amarci, che per
comunicarcela l'un l'altro coi baci, non poteva sempre durare... non era
stata che la luna di miele!... |
Quando pensai al come vivere un sol giorno senza tal
vita, fremetti di terrore, e corsi a vestirmi per nasconderlo a lui. |
Uscimmo a piedi lungo la cinta esterna della città,
per godere di un magnifico lume di luna. Pietro si mostrò sì allegro,
sì contento della nostra felicità, che per qualche tempo riuscì a
scacciare anche i miei tristi presentimenti. Non seppi nascondergli la
penosa impressione che mi avevano lasciato le sue parole: Non
puoi vivere sempre come vivi. |
«Sì,», mi rispose egli, «i piaceri, le feste, ti
sono necessarii, poiché ti fanno brillare come un diamante messo in
luce... sono necessarii al mio istesso amore per provare quello che
provavo d'indefinibile nel fascino che ti faceva abbagliante fra tutte
le pompe del tuo lusso.» |
«Queste parole mi fanno male, Pietro!», supplicai
stringendomi contro il petto il suo braccio. |
«Perché?», domandò egli sorpreso. |
«Perché mi provano che tu non potrai amarmi sempre
come mi hai amata, come ormai è necessario che tu mi ami perché io
viva!» |
«Sei pazza!», esclamò egli, baciandomi sulla bocca. |
Rimasi fredda, muta a quel bacio; fissando i miei occhi
nella luna per dissimulare ch'erano umidi di pianto. Le lagrime che
solcarono le mie guancie mi tradirono. |
«Ma che hai dunque?», esclamò Pietro fermandosi,
vivamente commosso, e abbracciandomi: «che ti ho fatto, Dio mio?!...». |
«Oh, perdonami... perdonami!», singhiozzai,
premendomi le sue mani sulle labbra; «son io che son folle!...
perdonami, Pietro!... tu puoi farmi felice con una parola... Mi ami
ancora?... mi ami sempre... come mi amavi?...» |
Pietro soffocò quelle parole sulle mie labbra coi
baci, suggendo avidamente le mie lagrime. |
«Oh! che ti ho fatto io per meritarmi questo?!», mi
diss'egli colla voce tremante, dominando a stento la sua emozione. «Non
ti adoro come sei degna di essere adorata?!... Amarti ancora!... ma ogni
giorno che passa è un affetto nuovo che si aggiunge all'immenso affetto
di cui ti amo!...» |
«Grazie! grazie, amico mio! Tu non sai qual bene mi
facciano queste parole... come io ne avevo bisogno!... E... e... se
qualche giorno.... se mai...», ed io stentavo a proferire fra i
singhiozzi che mi soffocavano, «tu non mi amassi più, tu non mi amassi
come prima, come io voglio essere amata da te... tu me lo dirai... dammi
parola che me lo dirai!... meglio questo che l'agonia dell'incertezza.
Tu non sai mentire, Pietro!... tu me lo dirai!...» |
«Narcisa!...» |
«Oh! fammela questa promessa, Pietro!... tu puoi farmi
felice con questa parola...» |
«Ma sei pazza... calmati, amor mio...» |
«Oh no! te lo chiedo ginocchioni... promettimi...
promettimi che tu mi dirai... che me lo dirai quando non mi amerai
più!...» E le mie ginocchia, senza avvedermene, si piegarono. |
«Mio Dio! Narcisa... Io non so quello che tu abbia
stasera; ma se ciò può farti piacere, quantunque io senta tutta
l'inutilità di tale promessa... se ciò può servire a calmarti...
ebbene!...io te la do.» |
«Oh! grazie, grazie!», esclamai baciandolo in fronte,
con un doloroso trasporto; «grazie!... Io sarò più tranquilla!...
potrò almeno godere senza sospetto questi giorni di felicità che puoi
darmi...» |
«Narcisa!... per pietà!...» |
«Oh, no... Pietro! non vedi che son felice, ora?!...» |
Egli rimase triste e pensieroso lungo tutta la strada. |
Io provavo un inenarrabile godimento nell'appoggiarmi
al suo braccio, nel sentire palpitare contro il mio polso quel cuore che
ancora palpitava per me. Tre o quattro volte alzai gli occhi su quel
volto maschio ed energico che adoravo, che divoravo dello sguardo, come
se fossi avara dal bene che possedevo ancora di saziarmene. |
«Confessiamo», disse Pietro nel salire le scale della
casa ove andavamo, sorridendo ancora con una lieve tinta di mestizia,
come per scacciare la penosa preoccupazione che ci aveva invaso ambedue,
«confessiamo che siamo pure i gran fanciulli, e che i nostri discorsi
sono stati ben singolari per due innamorati che vanno ad una festa da
ballo.» |
Respirai più liberamente quando la carrozza ci
trasportava rapidamente verso la nostra abitazione: mi parea d'essermi
levato un gran peso dal cuore col togliermi quella maschera di
convenienza che la società esige, e che, quella sera, in mezzo a quella
splendida folla, mi era sembrata odiosa. |
L'indomani Pietro si rimise a studiare di lena, come
non l'avevo mai veduto lavorare. Io passavo i giorni nel suo gabinetto
di studio, disegnando o sfogliando i fiori dei quali era sempre piena la
giardiniera che contornava il suo tavolino, e dei quali spargevo le
foglie sulla carta in cui egli scriveva; o, quand'egli lo voleva, andavo
al pianoforte e gli suonavo il pezzo che [mi] domandava. |
Egli usciva sempre la sera per darsi un poco di
distrazione, che le occupazioni assidue del giorno gli rendevano
necessaria. Qualche volta l'accompagnavo. Una sera volli rimanere in
casa per vedere ciò che avrebbe fatto: uscì solo. |
Quattro mesi prima sarebbe stato più avaro del tempo
che avrebbe potuto passarmi vicino. |
Di tratto in tratto egli si mostrava preoccupato, quasi
triste... sembrava staccarsi con isforzo alle sue penose meditazioni per
prodigarmi ancora quelle sue ferventi carezze, che mi fanno obliare in
un bacio tutti i terrori dell'avvenire. |
Non potevo esser gelosa... Alla festa, ove
l'accompagnai, avevo veduto le più eleganti e belle dame sorridergli
con quella grazia che dà diritti a sperare, prodigargli le più
obbliganti attenzioni, e l'avevo veduto rimaner freddo e cortese innanzi
a quelle attrattive, cercando avidamente il mio sguardo e il mio
sorriso. Egli è troppo generoso e nobile per potermi parlare come mi
parla e guardarmi come egli lo fa se il rimorso di un altro affetto lo
facesse arrossire. No! il mio Pietro è troppo elevato per scendere sino
alla dissimulazione... egli avrebbe piuttosto la forza brutale di
abbandonarmi. |
Eppure questa certezza, che per molte sarebbe una
consolazione, per me è il più crudele disinganno, perché mi toglie
persino la speranza dell'avvenire... Quello che scrivo mi scotta le
mani, come mi brucia il cuore... Avrei sempre la speranza di riavere il
cuore di Pietro che si allontanasse da me per un'altra donna, poiché
egli dovrebbe, tosto o tardi, accorgersi che giammai, giammai donna
potrà amarlo come l'amo io, giammai simile amore potrà suggerire alla
donna tutti gli incanti più raffinati per fargli bella la vita, per
fargli sentire tutte le infinite percezioni di questo amore colle
pulsazioni violente delle sue arterie... ma Pietro stanco del mio
affetto, di me... Pietro disilluso del prestigio che mi faceva bella ai
suoi occhi... io non l'avrò più!... mai... mai più!... |
Dio! Dio mio!... la morte... piuttosto la morte!... |
Alcune notti egli è rientrato assai tardi... Ho udito
che raccomandava di non far rumore per non isvegliarmi... come se avessi
potuto dormire, io!... mentre soffocavo i singhiozzi nascosta dietro la
portiera dell'uscio. |
Oh, egli ha potuto pensarlo ch'io dormissi... prima che
egli fosse ritornato!... |
È desolante, è spaventevole tutta questa insensibile
gradazione che ogni giorno sempre più assopisce nel suo cuore tutte
quelle sensazioni minime, delicate, squisite, che la passione suscita e
sublima, e che muoiono con essa... |
È dunque morto il suo cuore per me... Dio mio?!... |
No! egli mi ha parlato ancora di quelle parole, tenendo
la mia mano fra le sue, fissandomi sempre del suo sguardo, che avea
tutta l'espressione d'allora... Ma ciò, non è durato sempre!...
sempre!... a dissetarmi di questo bisogno ardente che ne ho!... |
Quando gli parlo della sua tristezza, della sua
preoccupazione, della sua freddezza sin'anche, egli si mostra qualche
volta come impaziente, e dissimula appena una lieve tinta del dispetto
che prova di non saper meglio nascondere le sue impressioni, lo leggo
chiaramente nel suo cuore: egli ha ancora la generosità d'imporsi per
me un sentimento che non prova, di nascondermi quelle illusioni perdute
che egli si rimprovera come una colpa sua, colpa che però non ha, di
cui il pentimento gli dà la forza di stordirsi nelle mie carezze sino
alla febbrile e quasi ebbra eccitazione che può scambiarsi coll'esaltazione
della passione. |
Un giorno era uscito prima ch'io fossi levata, e avea
mandato a dirmi che, invitato da alcuni amici, avrebbe desinato fuori.
La sera non era ancora venuto a vedermi; verso le 9 feci attaccare,
impaziente d'attendere più oltre, e andai a cercarlo dove sapevo
trovarsi ogni sera. |
Feci fermare il legno dinanzi il Caffè di Sicilia e
mandai il piccolo jockey a cercarlo; egli si alzò
subito da un crocchio d'amici, fra i quali era seduto, e venne a
mettersi in carrozza con me. |
«Ti chiedo mille scuse, mia cara, della noiosa
giornata che ti ho fatto passare», mi diss'egli; però distinsi nel suo
accento una sfumatura d'impazienza. Io gli strinsi la mano, poiché ero
assai commossa, e non risposi. |
La carrozza attraversò tutto il corso Vittorio
Emanuele e prese la strada d'Ognina. Fuori l'abitato volli scendere e
prendere il braccio di lui. Il calesse ci seguì ad una cinquantina di
passi. |
Entrambi sentivamo di avere un penoso discorso da
intavolare, che non avevamo il coraggio d'incominciare, e che perciò ci
faceva rimanere in silenzio. |
Provavo il bisogno però di parlargli, di aprirgli il
mio cuore; per averne la forza pensai alle sere istesse passate al
fianco di lui... sere di cui le rimembranze erano ancora palpitanti di
piacere, e a misura che il mio pensiero le vedeva più vive, che il mio
cuore batteva più forte, che i miei occhi si velavano di lagrime, io mi
stringevo al suo braccio come fuori di me, come se avessi voluto con
quella stretta attaccarmi a quel passato che idolatravo; infine non
potei più frenare i singhiozzi. |
Pietro si fermò in mezzo alla strada, commosso
profondamente, ma non sorpreso da quella scena che forse si aspettava. |
«Che hai dunque, Narcisa», esclamò egli, prendendomi
le mani. |
«Oh, Pietro!», esclamai infine, «tu non sei lo
stesso di prima!... No! tu non mi ami come prima!...» |
«Narcisa, tu sei folle coi tuoi dubbî penosi... Se
non ti amassi come prima, potrei fare la vita che faccio?...» |
Queste parole, che cercavano di esprimere un pensiero
consolante, erano dure per me; esse parlavano di quella vita che avea
fatto la nostra felicità come di un sagrifizio. |
«È vero dunque», proseguii, «questa vita ti è
penosa?!... tu sei stanco di farla?!...» |
«Ascoltami, Narcisa!», interruppe egli, stringendomi
le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che
aveva a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; «non si
può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia
più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e
neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che
io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si sono
potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso
soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle
convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto
per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gl'impegni
assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra
le madri, che avea pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei
intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una
volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla
più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi
d'amore... Ma perché quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti
bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che
stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io
voglio amarti sempre, mia Narcisa!» |
Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta,
pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava
quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. |
Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che
non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... |
Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristamente,
divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: |
«Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai
proferito ciò...». |
«Narcisa!», replicò egli, tradendo una viva
impazienza, «non son uso a mentire... mi pare...» |
«Oh, no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi
ingannare te stesso, perché hai pietà di me... Grazie, Pietro!» |
«Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo
proposito», mi diss'egli; «ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho
indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi
impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito... Mia madre mi ha
scritto molte volte le più calde preghiere perché io vada ad
abbracciarla...» |
Egli avea esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea
poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una
risoluzione decisiva. |
Mi aggrappai al suo braccio, poiché sentivo le gambe
piegarmisi sotto. |
«È giusto», mormorai quindi a metà soffocata; «tua
madre, ha ragione!...» |
Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase
muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. |
«Mi accorderai almeno quindici giorni prima di
partire?», gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in
silenzio. |
«Oh, amor mio!», esclamò Pietro quasi con le lagrime
agli occhi, «non credevo di essermi meritate tali parole!...» |
«Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere
tua madre!...» |
Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del
sagrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo
colle mani giunte di non farlo. |
Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in
quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le
passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. |
Egli rimase sorpreso e colpito da quell'apparente
freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. |
«Grazie!», mi rispose fremente. |
E rimase muto... E non una parola di più... come se
avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. |
Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare,
mentre non avevo la forza di trascinarmi. Lo guardavo: era freddo,
pensieroso, quasi cupo. |
«Oh, Pietro!...», gridai quindi singhiozzante, non
sapendo più frenarmi, avvinghiandogli le braccia al collo; «mi ami?...
mi ami come prima?!... Oh, Pietro!... una volta mi promettesti, mi
giurasti... che m'avresti confessato quando tu non mi avresti amato
più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!...» |
«Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno
male!», m'interruppe egli impallidendo. |
«Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me l'hai
promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi
ami più!...» |
Invece di volere questa conferma al mio doloroso
sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che
avesse potuto farmi gettare nelle sue braccia, delirante di passione.
Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come
combattuto da un'interna tempesta... |
«Non ha dunque cuore quest'uomo!», gridai come una
pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto
anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta.
Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per
farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle
parole. |
Quelle parole però mi perdettero. |
Pietro non capì il vero senso appassionato,
addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato,
proferendole; egli capì soltanto tutto quello che vi è di duro, di
sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole
prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile!
mentre avevano detto: Non avete pietà di me? |
Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi
umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi;
egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calda ed
incisiva: |
«È forse meglio che ci separiamo, Narcisa». |
Ebbi paura di lui. |
Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di
lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il
risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma
ed inflessibile decisione della mente. |
Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo
accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi
strascinò quasi sino alla carrozza. |
Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra
i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. |
Ora che ci penso a mente più serena, io non risento
tutto il pentimento di quelle parole, delle quali gli chiesi perdono a
mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso
la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato
la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non
fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella
risoluzione. |
Era finita dunque per me!... per sempre!...
ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione
che mi ero fatta promettere in un delirio d'amore, come se le parole
avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. |
Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il
merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. |
Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende
del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da
notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera
scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello:
volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. |
«È alzato il signore?», domandai alla cameriera che
veniva a prendere i miei ordini. |
«Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia
nemmeno andato a letto; poiché l'ha udito passeggiare tutta la notte.» |
Fui commossa profondamente; dunque anch'egli avea
provato tutta la lotta di quella disperata passione! |
Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non
volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi
a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli avea tanto
ammirato in me; e passai nelle sue stanze. |
Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua
stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. |
Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui
quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui
particolari di care e malinconiche rimembranze. |
I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera,
situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali
egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano
i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille
indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea
detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me,
erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicché eravi quasi
buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire
vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed
un cuscino sul tappeto, accanto ad una poltrona rovesciata. |
Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiata fra
le mani; avea dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei
quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era
scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati.
Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide
vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo
tristamente. |
«Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di
ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora.» |
«Non ho dormito, Pietro...», gli risposi colle
lagrime agli occhi. |
Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi
avesse voluto nasconderne il disordine; li abbassò, e rimase muto. |
Non avea voluto confessarmi che ancor esso avea
sofferto; sentii stringermi il cuore dolorosamente. |
Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei
giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto
coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per
dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi,
baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile
trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra
le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo... quasi triste... |
«Tu scrivi?», gli diss'io con un coraggio di cui non
mi sarei creduta mai capace. |
Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte
che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un
cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. |
«Scrivi a tua madre, Pietro?... Le hai detto che fra
quindici giorni sarai da lei?...» |
Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano
alle labbra. |
Mi portai l'altra al cuore, per comprimere i battiti,
dei quali il rumore mi spaventava. |
Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto
pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza
stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione
della mia disgrazia... Pietro!... egli!... non ebbe
pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma
disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che
si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che
inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una
sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra
fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore
come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. |
Un impeto cieco, disperato mi spingeva. |
«Son venuta a chiederti una grazia Pietro», gli
dissi; «questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di
concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella
bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate
notturne... Siamo ai 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai.» |
Speravo ch'egli, soffocandomi dei suoi baci, avesse
annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... |
«Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un
casino»: mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in
volto, come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; «e domani
partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi?» |
Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli
mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non
mi avrebbe fatto quella domanda poiché non si sarebbe potuto supporre
che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava
ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso,
come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva
a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. |
Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana
per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi
appena la forza di mormorargli: «No... no... grazie... Non uscirò
tutta la giornata...». |
Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse
neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo
supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che
incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una
duchesse, annichilata. |
Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva
una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua
commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi
saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti
avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può
esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della
passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea
fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi
fatto dimenticare, almeno per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione
dell'immensa sventura che mi percuoteva. Egli non ebbe una parola, non
una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche
un'altra che la facesse mettere in dubbio. |
Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che
non mi amava più. |
Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde
lagrime; gli avvinghiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le
mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la
triste impressione di quel momento. |
Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore
immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... |
L'indomani partimmo per Aci-Castello. |
No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale
tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere
tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15
giorni; in cui ho dovuto divorare le mie lagrime, soffocare gli urli
disperati del mio cuore, perché m'impedivano di vedere, di sentire come
ogni ora di più il cuore di lui s'allontanasse dal mio; come quelle
sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui
quest'uomo mi adorava, andassero morendo in lui... Io non potrò
esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del
dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia,
ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia
sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche il rimorso
delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... Io
l'ho veduto, quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel
vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili
trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che
avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido,
annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno
come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più
trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più
dargli!!... Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a
comprendere la sublime agonia di quell'istante! |
Dio!... Dio mio!... se impazzissi! |
No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo
dolore sovrumano! |
Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più; la
pietà istessa che risente di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli
comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi
sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se
temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual
coraggio, gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato
contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per
compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso
del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino
all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera,
stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi
addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che
la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo
queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le sue
forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si
stanca ancora a passeggiare per la sua camera... |
Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e
i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano
lagrime... |
Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di
ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per
quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. |
No!... tale martirio non può durare per entrambi... Io
sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. |
Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno...
addormentata dalle sue carezze!... |
Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi
sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che
il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova...
Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma qui, in questi ultimi giorni,
questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perché
mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a
lui. |
Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per
illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo,
attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento
tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi
delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente
poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza sul mare;
coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo
alle ginestre che vi germogliano, che disegnano la loro massa bruna su
questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con
questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e
lievemente increspato, e che muggisce colla sua voce potente fra i
precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. |
L'altro giorno volli vedere questo castello a metà
distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte
luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo
agli uomini d'una volta che l'hanno abitato, coi vivi ricordi che
tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista.
Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era
molto pericolosa per una donna. |
«Non sarai tu con me?», gli dissi, come se mi fosse
stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio
avessi dovuto amarlo dividendolo con lui. |
Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite
percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento
nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. |
Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo
imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della
rocca. |
I muri della torre principale che guardano il paesetto
sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto,
elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del
mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono
gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si
stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare in un sordo
rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. |
Pietro passò innanzi e mi porse la mano
raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la
vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare
quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le
acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte
e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si
piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. |
«Se cadessimo qui, abbracciati!», esclamai io quasi
involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. |
Mi pareva più dolce quella morte, e preferibile alle
torture che provavo, e che supponevo anche in lui. |
«Quale pazzia!», mormorò egli stringendo il mio
braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il
passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garentire la mia vita
ch'eragli sospesa. |
Egli non ha detto: Che cara pazzia!...
Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... |
Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare
azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende
nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei
piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocattoli da
quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania...
Catania ove Pietro mi aveva tanto amato.... |
Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime
che bagnavano le mie guance. |
«Che guardi?», mi domandò egli, come se mi avesse
domandato: Perché piangi? |
«Catania!», risposi colla voce ancora tremante. |
Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di
rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel
momento, poiché soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: |
«Vuoi che ritorniamo a Catania?». |
Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul
golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la
città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile
sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello
che mi bisognava. |
«Dov'è Siracusa?», domandai poscia, come non
accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. |
Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente,
dietro il Capo Passero che si vedeva distintamente, ove dovea essere il
suo paese natale. |
«Perché non mi conduci a Siracusa piuttosto?», gli
dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi
i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi
le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: |
«Se lo vuoi...». |
«No! io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo
amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale
cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero
qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in
te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo
trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò
di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue
carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più
per me...» |
«Partiamo!», soggiunsi poco dopo strascinandolo pel
braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione
della corsa, poiché mi sentivo morire. |
L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli
della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio
profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma
biancheggiavano come giganteschi fantasmi. |
Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello
spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei
bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto
eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più
freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il
mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la
sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai
più... |
«No! no!», gridò il mio cuore gemente, «no!...
ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata
abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizii che ha avuto la
bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con
un'altra!...» |
Un'altra!... Ecco quell'idea
terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro
infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi
prima pensato... |
Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata
da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. |
Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile
passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di
speranza, d'illusione... speranza tale che mi faceva mettere dei gridi
di gioia, che mi faceva comprimere le tempie fra le mani, quasi le
arterie che battevano di felicità minacciassero di sconvolgermi la
ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli
aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una
volta!... |
Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... |
Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata
in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella
piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. |
Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un
momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo
mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso
frenetico delle mie braccia. |
Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a
prendere la mia mano. |
Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che
non potevo amarlo più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva
impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. |
Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in
silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per
tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. |
«Pietro!», esclamai palpitante di una sublime
emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire
le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza: «ieri ti pregai
di condurmi a Siracusa... con te...». |
Egli non poté più frenare il pianto, e scosse la
testa tristamente. |
«Impossibile!», mormorò con un soffio appena
intelligibile. |
«Impossibile?...», ripetei radunando tutte le forze
di cui mi sentivo capace; «e perché, Pietro?!...» |
«Oh! grazia! grazia, Narcisa!», singhiozzò egli
stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto;
«grazia!... io sono molto vile!!...» |
Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel
volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. |
«Sì, io sono vile! io son colpevole! io sono
infame!...», seguitò con voce delirante: «oh! grazia, Narcisa!...». |
L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime
che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. |
Lo abbracciai, piangendo anch'io, tremando
convulsivamente del suo tremito, mischiando le mie labbra alle sue. |
«Dillo! Pietro... dillo!», gridai con disperato
sforzo di volontà, «tu non mi ami più!... tu non mi ami più come
prima!». |
Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta
della barca. |
Quel silenzio durò cinque minuti. |
Quando risollevò il volto fui atterrita dallo
spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati
profondamente. |
«Ascoltami, Narcisa!», cominciò egli con voce
solenne, quasi calma: «io ho un sacro dovere di gratitudine verso di
te... dovere che mi fanno caro le reminiscenze che non potrò
dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo
giuro sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto
queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di
disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei
sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti
la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del
godimento, nel delirio dell'esser felice, che forse all'uomo non è
concesso di godere... e Dio mi punisce, col soffiare su tutte quelle
sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi...
e spegnerle per me. Nel tremito ardente delle tue labbra, sul tepore
della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue
braccia, nel delirio fervente delle tue carezze, ho cercato invano un
atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di
più che terreno, quando, seduto sul lastrico della strada, ti vedevo al
verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi
trasporti del possederti, quando mi pareva di divenire folle per la
felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento
che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia
sbalorditi della sua estensione. Io ho cercato invano questo profumo,
questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non
osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi
l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente
per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto
quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi sono rimproverato, e
di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore
che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per
inebbriarmene, poiché la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che
mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura,
rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non
vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di questo amore... e che
tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai
forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io
ho paura di ciò, Narcisa!... poiché la speranza di riamarti un giorno
come ti ho amato m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più
nulla a godere sulla terra. Bisogna ch'io mi allontani da te per qualche
tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io
dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di
te come lo ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare
un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in
mezzo alle pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per
cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia,
delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui
tanto stolto da bere troppo...». |
Egli non poté più proseguire, soffocato dalla
violenza della sua commozione, tenendosi il petto colle mani increspate
da una violenza contrazione, inginocchiato ai miei piedi, coll'occhio
luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto, coi
capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. |
Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era
sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. |
Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte,
sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte
risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore,
quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da
tutte le vene vi affluiva. |
«Addio dunque!», gli dissi con una calma nella voce
della quale io stessa ero atterrita: «Addio, Pietro!...». |
Egli cercò le mie labbra colle sue, fredde, tremanti
d'angoscia e di voluttà. |
«Addio!...», gli mormorarono ancora le mie labbra
palpitanti nelle sue - E svenni fra le sue braccia. |
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11 Novembre |
Posdomani egli deve partire. Ho numerato minuto per
minuto queste ultime ore che io ho passato vicino a lui... cercando
illudermi spesso per sentirne poi più amaramente tutta la disperazione
del disinganno. |
No! lo sento... il suo cuore non può più rinascere
per me! Egli tenta lusingarsi nelle sue speranze... o piuttosto ha
pietà di quello che soffro... |
Quand'egli partirà!... Dio! Dio!... Quando non udrò
più la sua voce, il rumore dei suoi passi...; quando non lo vedrò più
e non l'attenderò più la sera, affacciata alla finestra!... |
Oh! no!... no!... è meglio prima... prima
ch'ei parta... |
Riprenderò questa lettera all'ultimo istante, per
farla poi mettere alla Posta a catania... Domani egli aspetta il suo
amico, forse lei stesso, che deve venire a prenderlo... in tal caso
sarebbe forse meglio... |
L'ora non può essere molto lontana: egli parte
dopodomani... |
Ho peccato! e Dio mi punisce col mio peccato! |
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12 Novembre |
L'inverno è sopravvenuto troppo improvvisamente per
queste contrade... Dio mio! Ho avuto paura di questo mare burrascoso, di
questi nuvoloni che fanno nero e triste il cielo, di questo vento che
strappa le ultime foglie dagli alberi... |
Sì, ho paura di questa natura, pochi giorni fa ancora
tanto ridente, e che sembra fuggirmi con la vita... |
Ho pianto molto... sì a lungo che ora sono stanca di
piangere. Gli occhi mi bruciano; mi sembra che il petto si rompa... Dio!
Dio mio! |
Pietro mi sfugge, teme d'incontrarsi con me... Che gli
ho fatto?... Dio mio! che gli ho fatto?!... |
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12 Novembre - ore 10 di sera |
Dio! Dio! Pietà! pietà! Son pazza, Dio mio! Mi pare
di perdere la ragione!... mi pare di morire! |
Ho urlato come una tigre; ho lacerato coi denti le
lenzuola, le vesti, il fazzoletto; mi son rotte le membra urtando contro
i mobili come ebbra... |
Oh, no! no! Dio non è giusto! Dio è crudele!... Quale
tortura! quale tortura orrenda!... Dio! Dio mio!... |
L'ho udito! sì, la sua voce!... la sua voce istessa...
che ordinava i cavalli per domani... |
Oh, quest'uomo!... quest'uomo!... |
Ma io l'amo!... ma io l'adoro... com'egli si
spaventerebbe a provarlo, se lo potesse, quest'uomo che mi sfugge!...
che ha il cuore morto per me!... |
Che fare?... che fare, Dio mio?!... Se fossi pazza?!...
se impazzissi?!... Dio!!!... |
No! Dio non può punirmi del mio delitto... No! Dio non
può punirmi dell'opera sua... perché... perché io son debole...
perché io son vile dinanzi all'estensione di questo dolore sovrumano
che mi si apre dinanzi... perché io, da Lui che mi percuote, voglio il
sonno... l'oblìo almeno!... |
Dio! Dio!... pietà! pietà!... grazia!!!... |
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