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LE VITE DE' PIÚ ECCELLENTI ARCHITETTI, PITTORI, ET SCULTORI ITALIANI, DA CIMABUE INSINO A' TEMPI NOSTRI
Nell'edizione per i tipi di Lorenzo
Torrentino - Firenze 1550

di Giorgio Vasari

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RAFAEL DA URBINO

 

Pittore et Architetto

 

Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo collocando, anzi per meglio dire, riponendo et accumulando in una persona sola le infinite ricchezze delle ampie grazie o tesori suoi, e tutti que' rari doni che fra lungo spazio di tempo suol compartire a molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Rafael Sanzio da Urbino; il quale con tutta quella modestia e bontà, che sogliono usar coloro che hanno una certa umanità di natura gentile, piena d'ornamento e di graziata affabilità, la quale in tutte le cose sempre si mostra, onoratamente spiegando i predetti doni con qualunche condizione di persone et in qualsivoglia maniera di cose, per unico od almeno molto raro universalmente si fé conoscere. Di costui fece dono la natura a noi, essendosi di già contentata d'essere vinta dall'arte per mano di Michele Agnolo Buonarroti, e volse ancora per Rafaello esser vinta dall'arte e da i costumi. Con ciò sia che quasi la maggior parte de gli artefici passati avevano sempre da la natività loro arrecato seco un certo che di pazzia e di salvatichezza, la quale oltra il fargli astratti e fantastichi fu cagione, il piú delle volte, che assai piú apparisse e si dimostrasse l'ombra e l'oscuro de' vizii loro, che la chiarezza e splendore di quelle virtú, che giustamente fanno immortali i seguaci suoi. Dove per adverso in Rafaello chiarissimamente | risplendevano tutte le egregie virtú dello animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia e costumi buoni, che arebbono ricoperto e nascoso ogni vizio quantunque brutto, et ogni machia ancora che grandissima. Per il che sicurissimamente può dirsi che i possessori delle dote di Rafaello, non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali. E che quegli che coi ricordi della fama lassano quaggiú fra noi per le opere loro onorato nome, possono ancora sperare in cielo guiderdone delle loro fatiche, come si vede che in terra fu riconosciuta la virtú, et ora e sempre sarà onoratissima la memoria del graziosissimo Rafaello.

Nacque Rafaello in Urbino città notissima l'anno mcccclxxxiii, in Venerdí Santo a ore tre di notte, d'un Giovanni de' Santi, pittore non molto eccellente, anzi non pur mediocre in questa arte. Egli era bene uomo di bonissimo ingegno e dotato di spirito e da saper meglio indirizzare i figliuoli per quella buona via, che per sua mala fortuna non avevano saputo quelli che nella sua gioventú lo dovevano aiutare. Per il che natogli questo figliuolo con buono augurio, al battesimo gli pose nome Rafaello; e subito nato lo destinò alla pittura ringraziandone molto Idio, né vole mandarlo a baglia, ma che la madre propria lo alattassi continovamente. Crescendo fu ammaestrato da loro, che altro che quello non avevano, con tutti que' buoni et ottimi costumi che fu possibile; e cominciando Giovanni a farlo esercitare nella pittura e vedendo quello spirito volto a far le cose tutte secondo il desiderio suo, non gli lasciava metter punto di tempo in mezzo né attendere ad altra cosa nessuna, acciò che piú agevolmente e piú tosto venissi nell'arte di quella maniera che egli desiderava. Aveva fatto Giovanni in Urbino molte opere di sua mano e | per tutto lo stato di quel duca, e facevasi aiutare da Rafaello, il quale, ancor che fanciulletto, lo faceva il piú et il meglio che e' sapeva. Né lasciava Giovanni per questo di cercare d'intendere per ogni via chi tenessi il principato nella pittura; e trovando che i piú lodavano Pietro Perugino, si dispose potendo di porlo seco, e perciò andato a Perugia e non trovandovi Pietro, si messe per poterlo meglio aspettare a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tornato Pietro da Roma prese alcuna pratica seco, e quando fu il tempo a proposito del desiderio suo, con quella affezzione che può venire da un cuor di padre et onorato gli disse il tutto. E Pietro che era benigno per natura, non potendo mancare a tanta voglia, accettò Rafaello. Onde Giovanni con la maggiore allegrezza del mondo tornò ad Urbino e non senza lagrime e pianti grandissimi della madre lo menò a Perugia. Dove Pietro, veduto il disegno suo, i modi et i costumi, ne fé quel giudizio che il tempo dimostrò vero. E notabilissimo fu che in pochi mesi, studiando Rafaello la maniera di Pietro, e Pietro mostrandoli con desiderio che egli imparassi, lo imitava tanto a punto et in tutte le cose, che i suoi ritratti non si conoscevano da gli originali del maestro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere, come apertamente mostrano ancora in S. Francesco di Perugia alcune figure che si veggono fra quelle di Pietro. Per il che Pietro per alcuni suoi bisogni tornato a Fiorenza, Rafaello partitosi da Perugia con alcuni suoi amici a Città di Castello fece una tavola in Santo Agostino di quella maniera, e similmente in S. Domenico una di un Crocifisso, la quale se non vi fosse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Rafaello, ma sí ben di Pietro. In San Francesco di quella città fece una tavoletta de lo Sponsalizio di Nostra Donna, nel quale espressamen|te si conosce lo augumento della virtú sua venire con finezza assotigliando e passando la maniera di Pietro. Nella quale opera è tirato un tempio in prospettiva con tanto amore, che è cosa mirabile a vedere le difficultà che in tale essercizio egli andava cercando.

In questo tempo avendo egli acquistato fama grandissima nel seguito di quella maniera, era stato allogato da Pio II Pontefice nel Duomo di Siena la libreria a dipignere al Pinturicchio, il quale avendo domestichezza con Rafaello, fece opera di condurlo a Siena come buon disegnatore, acciò gli facesse i disegni et i cartoni di quella opera, et egli pregato quivi si trasferí, et alcuni ne fece. La cagione ch'egli non continuò, fu che in Siena erano venuti pittori che con grandissime lode celebravano il cartone che Lionardo da Vinci aveva fatto nella sala del papa in Fiorenza in un groppo di cavalli, per farlo nella sala di palazzo, e Michele Agnolo un altro d'ignudi a concorrenza di quello piú mirabile e piú divino. Onde spronato da l'amore de l'arte piú che da l'utile, lasciò quella opera e se ne venne a Fiorenza. Ne la quale giunto e piaciutogli tali opere, abitò in essa per alcun tempo tenendo domestichezza con giovani pittori, fra i quali furono Ridolfo Ghirlandaio et Aristotile San Gallo. Gli fu dato ricetto nella casa di Taddeo Taddei, e vi fu onorato molto, atteso che Taddeo era inclinato da natura a far carezze a tali ingegni. Per il che meritò che la gentilezza di Rafaello li facesse due quadri, che tengono de la maniera prima di Pietro e de l'altra che studiando vide, i quali si veggono ancora in casa sua. Aveva preso Raffaello amicizia grandissima con Lorenzo Nasi, il quale avendo tolto donna in que' giorni fecesi che Rafaello gli dipinse un quadro d'una Nostra Donna, per tenere in camera sua; nel quale fece a | quella fra le gambe un puto, al quale un San Giovanni fanciulino egli ancora porge uno uccello con gran festa e giuoco de l'uno e de l'altro. Et in quelle attitudini loro si conosce una semplicità puerile et amorevole, oltra che son tanto ben coloriti e con una pulitissima deligenzia condotti, che nel vero paiono in carne viva piú che lavorati di colori e di disegno, e similmente la Nostra Donna, la quale ha un'aria veramente piena di grazia e di divinità, come il paese et i panni, e tutto il resto de l'opera. La quale fu da Lorenzo Nasi tenuta con grandissima venerazione in mentre che e' visse, in memoria de le fatiche fattevi da Rafaello ne l'usarvi la diligenzia e l'arte che egli fece a condurla. Ma capitò male poi questa opera l'anno mdxlviii a dí 9 d'agosto, quando la casa sua insieme con quella degli eredi di Marco del Nero, che oltra la bellezza de lo edificio era piena di molti abbigliamenti et ornamenti quanto casa di Fiorenza, per uno smottamento del monte di San Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine. E cosí rimasono i pezzi di quella che poi ritrovati fra i calcinacci, furono da Batista suo figliuolo amorevolissimo di tale arte, fatti rimettere insieme con quel miglior modo che si poteva. Fece ancora a Domenico Canigiani un altro quadro della medesima grandezza, nel quale è una Nostra Donna col putto che faccendo festa a un San Giovannino che gli è porto da Santa Elisabetta mentre che ella con una vivezza prontissima lo sostiene guarda un San Giuseppo, che apoggiatosi con ambe due le mani a un bastone, china la testa a quella vecchia, che l'uno e l'altro pare che stupischino del veder con quanto senno in quella età sí tenera i due cugini l'un reverente a l'altro si fanno festa. Oltra che ogni colpo di colore nelle teste, mani e piedi, son pennellate di carne | viva, piú che d'altra tinta di maestro che facci quell'arte, la quale opera è oggi appresso gli eredi di Domenico, tenuta con grandissima venerazione.

Studiò Rafaello in Fiorenza le cose vecchie di Masaccio, e vide ne i lavori di Lionardo e di Michele Agnolo cose tali, che gli furono cagione di augumentare lo studio in maniera per la veduta di tali opere, che gran miglioramento e grazia accrebbe in tale arte. Era in quel tempo fra' Bartolomeo da San Marco coloritore in quella terra bonissimo, del quale aveva Rafaello presa domestichezza piacendogli molto, per che egli ogni giorno visitandolo cercava assai d'imitarlo. Et acciò che meno avesse a rincrescere al frate la sua compagnia, gli insegnò Rafaello i modi della prospettiva, alla quale il frate non aveva piú atteso. Ma in su la maggior frequenzia di questa pratica fu chiamato Rafaello a Perugia, et egli vi andò, e quivi in San Francesco dipinse una tavola d'un Cristo morto che portano a sotterrare, la quale fu tenuta divinissima. E condusse questo lavoro con tanta freschezza e sí fatto amore, che a vederlo par fatto or ora; et imaginossi nel componimento di questa opera il dolore che hanno i parenti stretti nel riporre il corpo di quella persona piú cara, nella quale veramente consista il bene, l'onore e l'utile della loro famiglia. E certamente chi considera la diligenzia, l'amore, l'arte e la grazia di questa opera, giustamente si maraviglia, perché ella fa stupire ognuno, con la dolcezza dell'arie nelle figure, la bellezza de' panni e la bontà in ogni cosa. Finito questo lavoro se ne ritornò a Fiorenza, conoscendo l'utile dello studio che ci aveva fatto, et ancora trattovi dall'amicizia. E veramente per chi impara tali arti è Fiorenza luogo mirabile, per le concorrenze, per le gare e per le invidie, che sempre vi furono e molto piú | in que' tempi. Gli fu da i Dèi, cittadini fiorentini, allogata una tavola, che andava alla cappella dell'altar loro in Santo Spirito; et egli la cominciò, et a buonissimo termine la condusse bozzata. E fece un quadro, che si mandò in Siena, il quale nella partita di Rafaello rimase a Ridolfo del Ghirlandaio, perch'egli finisse un panno azzurro che vi mancava. E questo avvenne perché Bramante da Urbino, essendo a' servigi di Giulio II per un poco di parentela che avevano insieme e per essere di un paese medesimo, gli scrisse che aveva operato col papa che, volendo far certe stanze, egli potrebbe in quelle mostrare il valor suo. Piacque il partito a Rafaello, e lasciò l'opere di Fiorenza, trasferendosi a Roma; per il che la tavola de' Dèi non fu piú finita, e dopo la morte sua rimase a M<esser> Baldassarre da Pescia che la fece porre a una cappella fatta fare da lui nella pieve di Pescia. Giunto Rafaello a Roma trovò che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte, e tuttavia si dipignevano da piú maestri; e cosí stavano come si vedeva, che ve n'era una che da Pietro della Francesca vi era una storia finita, e Luca da Cortona aveva condotta a buon termine una facciata, e Don Pietro della Gatta Abbate di San Clemente di Arezzo vi aveva cominciato alcune cose; similmente Bramantino da Milano vi aveva dipinto molte figure, le quali la maggior parte erano ritratti di naturale, che erano tenuti bellissimi.

Laonde Rafaello nella sua arrivata avendo ricevute molte carezze da Papa Iulio cominciò nella camera della Segnatura una storia quando i teologi accordano la filosofia e l'astrologia con la teologia, dove sono ritratti tutti i savi del mondo e di certe figure abbigliò tal cosa, che alcuni astrologi di caratteri di geomanzia e d'astrologia cavano, et a i Vangelisti quelle tavole mandano. Et in fra | costoro è un Diogene con la sua tazza a ghiacere in su le scalee, figura molto considerata et astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito cosí a·ccaso è degna d'essere lodata. Simile vi è Aristotile e Platone, l'uno col Timeo in mano, l'altro con l'Etica, dove intorno li fanno cerchio una grande scuola di filosofi. Né si può esprimere la bellezza di quelli astrologi e geometri che disegnano con le seste in su le tavole moltissime figure e caratteri.

Fra costoro si vede un giovane di formosa bellezza, il quale apre le braccia per maraviglia e china la testa, et è il ritratto di Federigo II, Duca di Mantova, che si trovava allora in Roma.

Èvvi similmente una figura che, chinata a terra con un paio di seste in mano, le gira sopra le tavole, la quale dicono essere Bramante architettore, e che egli non è men desso che se e' fusse vivo, tanto è ben ritratto.

Allato a una figura che volta il didietro et ha una palla del cielo in mano, è il ritratto di Zoroastro, et allato a esso è Rafaello, maestro di questa opera, ritrattosi da se medesimo nello specchio. Questo è una testa giovane e d'aspetto molto modesto, accompagnato da una piacevole e buona grazia, con la berretta nera in capo. Né si può esprimere la bellezza e la bontà che si vede nelle teste e figure de' Vangelisti, a' quali ha fatto nel viso una certa attenzione et accuratezza, massime a quelli che scrivono. E cosí fece dietro ad un San Matteo mentre che egli cava di quelle tavole dove sono le figure e' caratteri tenuteli da uno angelo e che le distende in sun un libro, un vecchio che messosi una carta in sul ginocchio copia tanto quanto San Matteo distende. E mentre che sta attento in quel disagio pare che egli torca le mascella e la testa, secondo che egli allarga et allunga la penna.

Et oltra le minuzie delle considerazioni, che son pure assai, vi è il componimento di tut|ta la storia, che certo è spartito tanto con ordine e misura, che egli mostrò veramente un saggio di sé, tale che fece conoscere che egli voleva, fra coloro che toccavano i pennelli, tenere il campo senza contrasto.

Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto delicata e dolce maniera che fu cagione che Papa Giulio facesse buttare a terra tutte le storie de gli altri maestri e vecchi e moderni, e che Rafaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere fussero state fatte fino a quell'ora. Avvene che Gio<van> Antonio Soddoma da Vercelli aveva lavorata una opera, la quale era sopra la storia fatta da Rafaello; per il che Rafaello ebbe commissione dal papa di gettarla a terra, et egli nientedimanco volle servirsi del partimento e delle grottesche, e dove erano alcuni tondi che son quattro, fece per ciascuno una figura del significato delle storie di sotto, volte da quella banda dove era la storia. A quella prima, dove egli aveva dipinto che la Filosofia e l'Astrologia, Geometria e Poesia si accordassino con la Teologia, v'era una femmina fatta per la cognizione delle cose, la quale sedeva in una sedia che aveva per reggimento da ogni banda una dea Cibele, con quelle tante poppe che da gli antichi era figurata Diana Polimaste; e la veste sua era di quattro colori, figurati per li elementi, da la testa in giú v'era il color del fuoco e sotto la cintura era quel dell'aria, da la natura a 'l ginocchio era il color della terra e dal resto perfino a' piedi era il colore dell'acqua.

E cosí la accompagnavano alcuni putti bellissimi quanto si può imaginare bellezza.

In un altro tondo volto verso la finestra che guarda in Belvedere, è finto la Poesia, la quale è in persona di Polinnia coronata di lauro e tiene un suono antico in una mano et un libro nell'altra e so|pra poste le gambe con una aria di viso immortale per le bellezze sta elevata con esso al cielo, accompagnandola due putti che son vivaci e pronti, che insieme con essa fanno vari componimenti con le altre. E da questa banda vi fé poi, sopra la già detta finestra, il monte di Parnaso. Nell'altro tondo, che è fatto sopra la storia dove i santi Dottori ordinano la messa, è una Teologia con libri et altre cose attorno, co' medesimi putti, non men bella che le altre.

E sopra l'altra finestra, ch'è volta nel cortile, fece nell'altro tondo una Giustizia con le sue bilance e la spada inalberata, con i medesimi putti che a l'altre di somma bellezza, per aver egli nella storia di sotto della faccia fatto come si dà le leggi civili e le canoniche, come a suo luogo diremo.

E cosí nella volta medesima in su le cantonate de' peducci di quella, fece quattro storie disegnate e colorite con una gran diligenza, ma di figure di non molta grandezza. In una delle quali verso dove era la Teologia fece il peccar di Adamo, lavoratovi con leggiadrissima maniera, il mangiare del pomo; et in quella dove era la Astrologia vi era ella medesima che poneva le stelle fisse e l'erranti a' luoghi loro.

Nell'altra poi del monte di Parnaso era Marsia fatto scorticare a uno albero da Apollo; e diverso la storia dove si davono i decretali, era il giudizio di Salamone quando egli vuol far dividere il fanciullo. Le quali quattro istorie sono tutte piene di senso e di affetto, e lavorate con disegno bonissimo e di colorito vago e graziato.

Ma finita oramai la volta, cioè il cielo di quella stanza, resta che noi raccontiamo quello che e' fece faccia per faccia appiè delle cose dette di sopra.

Nella facciata dunque di verso Belvedere, dove è il monte Parnaso e il fonte di Elicona, fece intorno a quel monte una selva ombrosissima di lauri, ne' quali si conosce per | la loro verdezza quasi il tremolare delle foglie per l'aure dolcissime e nella aria una infinità di amori ignudi con bellissime arie di viso, che colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, e quelle spargono e gettano per il monte. Nel quale pare che spiri veramente un fiato di divinità nella bellezza delle figure e da la nobiltà di quella pittura, la quale fa maravigliare chi intentissimamente la considera, come possa ingegno umano con l'imperfezzione di semplici colori ridurre con l'eccellenzia del disegno le cose di pittura a parere vive; come que' poeti che si veggono sparsi per il monte, chi ritti, chi a sedere e chi scrivendo, altri ragionando et altri cantando o favoleggiando insieme, a quattro, a sei, secondo che gli è parso di scompartirgli.

Sonvi ritratti di naturale tutti i piú famosi et antichi e moderni poeti che furono e che erano fino al suo tempo, i quali furono cavati parte da statue, parte da medaglie e molti da pitture vecchie et ancora di naturale mentre che erano vivi da lui medesimo.

E per cominciarmi da un capo, qui vi è Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio et Omero, e tutte in un groppo le nove Muse et Apollo con tanta bellezza d'arie e divinità nelle figure, che grazia e vita spirano ne' fiati loro. Èvvi la dotta Safo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono; et il Tibaldeo et infiniti altri moderni. La quale istoria è fatta con molta grazia e finita con diligenzia.

Fece in un'altra parete un cielo con Cristo e la Nostra Donna, San Giovanni Batista, gli Apostoli e gli Evangelisti, i Martiri su le nugole con Dio Padre, che sopra tutti manda lo Spirito Santo a un numero infinito di santi che sotto scrivono la Messa; e sopra l'Ostia, che è sullo altare, disputano. Fra i quali sono i | quattro Dottori della Chiesa, e intorno hanno infiniti santi. Èvvi Domenico, Francesco, Tomaso d'Aquino, Buonaventura, Scoto, Nicolò de Lira, Dante, fra' Girolamo da Ferrara e tutti i teologi cristiani et infiniti ritratti di naturale; et in aria sono quattro fanciulli che tengono aperti gli Evangeli. Delle quali figure non potrebbe pittore alcuno formar cosa piú leggiadra, né di maggior perfezzione, avvenga che nell'aria et in cerchio son figurati que' santi a sedere, che nel vero, oltra al parer vivi di colori, scortano di maniera e sfuggono che non altrimenti farebbono s'e' fussino di rilievo.

Oltra che sono vestiti diversamente, con bellissime pieghe di panni e l'arie delle teste piú celesti che umane, come si vede in quella di Cristo, la quale mostra quella clemenzia e quella pietà che può mostrare a gli uomini mortali divinità di cosa dipinta. Avvenga che Rafaello ebbe questo dono dalla natura di far l'arie sue delle teste dolcissime e graziosissime, come ancora ne fa fede la Nostra Donna che messesi le mani al petto, guardando e contemplando il Figliuolo, pare che non possa dinegar grazia; senza che egli riservò un decoro certo bellissimo, mostrando nell'arie de' santi Patriarci l'antichità, negli Apostoli la semplicità e ne' Martiri la fede.

Ma molto piú arte et ingegno mostrò ne' santi e Dottori cristiani, i quali a sei, a tre, a due disputando per la storia, si vede nelle cere loro una certa curiosità et uno affanno nel voler trovare il certo di quel che stanno in dubbio, faccendone segno col disputar con le mani e col far certi atti con la persona, con attenzione degli orecchi, con lo increspare delle ciglia e con lo stupire in molte diverse maniere, certo variate e proprie, salvo che i quattro Dottori della Chiesa che, illuminati dallo Spirito Santo, snodano e ri|solvono con le Scritture Sacre tutte le cose de gli Evangeli, che sostengano que' putti che gli hanno in mano volando per l'aria.

Fece nell'altra faccia, dove è l'altra finestra, da una parte Giustiniano che dà le leggi a i dottori che le corregghino, e sopra la Temperanza, la Fortezza e la Prudenza.

Dall'altra parte fece il papa che dà le decretali canoniche, e vi ritrasse Papa Giulio di naturale; Giovanni Cardinale de' Medici assistente, Antonio Cardinale di Monte et Alessandro Farnese Cardinale, ora, la Dio grazia, Sommo Pontefice, con altri ritratti.

Restò il papa di questa opera molto sodisfatto, e per fargli le spalliere di prezzo, come era la pittura, fece venire da Monte Oliveto di Chiusuri, luogo in quel di Siena, fra' Giovanni da Verona, allora gran maestro di commessi di prospettive di legno, il quale vi fece non solo le spalliere che attorno vi erano, ma ancora usci bellissimi e sederi lavorati in prospettive; i quali grandissima grazia, premio et onore gli acquistarono col papa. E certo che in tal magisterio mai non fu piú nessuno piú valente di disegno e d'opera che fra' Giovanni, come ne fa fede ancora in Verona sua patria una sagrestia di prospettive di legno bellissima in Santa Maria in Organo, il coro di Monte Oliveto di Chiusuri e quel di San Benedetto di Siena et ancora la sagrestia di Monte Oliveto di Napoli, e nel luogo medesimo nella cappella di Paolo da Tolosa il coro lavorato da lui; per il che meritò che dalla religion sua fosse stimato e con grandissimo onor tenuto, il quale morí in quella d'età d'anni lxviii l'anno mdxxxvii.

E di costui come di persona veramente eccellente e rara ho qui voluto far menzione, parendomi che cosí meritasse la sua virtú. Ma per tornare a Rafaello, creb|bero le virtú sue di maniera ch'e' seguitò, per commissione del papa, la camera seconda verso la sala grande. Et egli, che nome grandissimo aveva acquistato, ritrasse in questo tempo Papa Giulio in un quadro a olio, tanto vivo e verace, che faceva temere il ritratto a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo, la quale opera è oggi in Santa Maria del Popolo, con un quadro di Nostra Donna bellissimo, fatto medesimamente in questo tempo, dentrovi la Natività di Iesú Cristo, dove è la Vergine che con un velo cuopre il Figliuolo, il quale è di tanta bellezza che nella aria della testa e per tutte le membra dimostra essere vero figliuolo di Dio. E non manco di quello è bella la testa et il volto di essa Madonna, conoscendosi in lei oltra la somma bellezza, allegrezza e pietà. Èvvi un Giuseppo che, appoggiando ambe le mani ad una mazza, pensoso in contemplare il Re e la Regina del Cielo, sta con una ammirazione da vecchio santissimo. Et amendue questi quadri si mostrano le feste solenni. Aveva acquistato in Roma Rafaello in questi tempi molta fama; et ancora che egli avesse la maniera gentile da ognuno tenuta bellissima, con tutto che egli avesse veduto tante anticaglie in quella città e che egli studiasse continovamente, non aveva però per questo dato ancora alle sue figure una certa grandezza e maestà che e' diede loro da qui avanti. Perché vi venne in questo tempo che Michele Agnolo fece al papa nella cappella quel romore e paura, come diremo nella vita sua, onde fu sforzato fuggirsi a Fiorenza; per il che avendo Bramante la chiave della cappella, a Rafaello, come amico, la fece vedere, acciò che i modi di Michele Agnolo comprendere potesse. Onde tal vista fu cagione che in Santo Agostino sopra la Santa Anna di Andrea Sansovino in Roma Rafaello subito rifece di nuovo lo | Esaia profeta che ci si vede, che di già lo aveva finito. La quale opera per le cose vedute di Michele Agnolo migliorò et ingrandí fuor di modo la maniera e diedeli piú maestà. Perché, nel veder poi Michele Agnolo l'opera di Rafaello, pensò che Bramante com'era vero, gli avesse fatto quel male inanzi per fare utile e nome a Rafaello.

Era in questo tempo a Roma Agostin Chisi mercante sanese ricchissimo e grande, il quale oltra a la mercatura teneva conto di tutte le persone virtuose e massime de gli architetti, pittori e scultori, e fra gli altri aveva preso grandissima amicizia con Rafaello, al quale per lassar nome nelle memorie di quell'arte come fece nella mercatura e ricchezze, fece allogazione d'una cappella all'entrata della chiesa di Santa Maria della Pace a man destra entrando in chiesa dalla porta principale; che, fatto fare i ponti Rafaello e finito i cartoni, la condusse lavorata in fresco nella maniera nuova et alquanto piú magnifica e grande che egli aveva presa di nuovo. Figurò Rafaello in tal pittura, avanti che la cappella di Michelagnolo si discopresse publicamente, alcuni profeti e sibille che nel vero delle sue cose è tenuta la miglior e, fra le tante belle, bellissima; perché nelle femmine e ne i fanciulli che vi sono v'è grandissima vivacità e colorito perfetto. E questa opera lo fé stimar grandemente vivo e morto. Poi, stimolato da' prieghi d'un cameriere di Papa Giulio, dipinse la tavola dello altar maggiore di Araceli, nella quale fece una Nostra Donna in aria, con un paese bellissimo, un San Giovanni et un San Francesco, e San Girolamo ritratto da cardinale; nella qual Nostra Donna è una umiltà e modestia veramente da Madre di Cristo; et il putto è con bella attitudine scherzando col manto della Madonna; conoscesi nella figura di San Giovanni quella penitenza che | suole fare il digiuno, e nella testa si scorge una sincerità d'animo et una prontezza di sicurtà, come in coloro che lontani dal mondo lo sbeffano e nel praticare il publico odiano la bugia e dicono la verità. Simile è nel San Girolamo che ha una testa elevata con gli occhi alla Nostra Donna, tutta contemplativa, ne' quali par che ci accenni tutta quella dottrina e sapienzia che egli scrivendo mostrò ne le sue carte, offerendo con ambe le mani il cameriero, e par che egli lo raccomandi, il quale nel suo ritratto è non men vivo che si sia dipinto. Né mancò Rafaello fare il medesimo nella figura di San Francesco, il quale ginocchioni in terra, con un braccio steso e con la testa elevata, guarda in alto la Nostra Donna, ardendo di carità nello affetto della pittura, la quale nel lineamento e nel colorito mostra che e' si strugga di affezzione, pigliando conforto e vita da 'l mansuetissimo guardo della bellezza di lei e da la vivezza e bellezza del Figliuolo. Fecevi Rafaello un putto ritto in mezzo della tavola sotto la Nostra Donna, che alza la testa verso lei e tiene uno epitaffio, che di bellezza di volto e di corrispondenza della persona non si può fare né piú grazioso né meglio, oltre che v'è un paese che in tutta perfezzione è singulare e bellissimo. Dappoi, continuando le camere di palazzo, fece una storia del Miracolo del Sacramento del corporale d'Orvieto o di Bolsena, che eglino si dichino. Nella quale storia si vede mentre che il prete dice messa, nella sua testa infocata di rosso, la vergogna che egli aveva nel veder per la sua incredulità fatto liquefar l'Ostia in sul corporale e che spaventato ne gli occhi e fuor di sé e smarrito nel cospetto de' suoi uditori, par persona inrisoluta. E si conosce nell'attitudine delle mani quasi il tremito e lo spavento che mercé della colpa gli si debbe dalla punizione con la | pena. Fecevi Rafaello intorno molte varie e diverse figure, chi serve a la messa, altri stanno su per una scala ginocchioni, che alterate dalla novità del caso fanno bellissime attitudini in diversi gesti, esprimendo in molte uno affetto di rendersi in colpa, tanto ne' maschi, quanto nelle femmine, fra le quali ve n'è una che a piè della storia da basso siede in terra tenendo un putto in collo, la quale sentendo il ragionamento che mostra un'altra di dirle il caso successo al prete, maravigliosamente si storce mentre che ella ascolta ciò, con una grazia donnesca molto propria e vivace.

Finse da l'altra banda Papa Giulio ch'ode quella messa, cosa maravigliosissima, dove ritrasse il Cardinale di San Giorgio et infiniti; e nel rotto della finestra accomodò una salita di scalee che la storia mostra intera, anzi pare che, se il vano di quella finestra non vi fosse, quella non stava punto bene.

Laonde veramente si gli può dar vanto che nelle invenzioni de i componimenti di che storie si fossero, nessuno già mai piú di lui nella pittura è stato accomodato et aperto e valente; come mostrò ancora in questo medesimo luogo dirimpetto a questa in una storia quando San Piero nelle mani d'Erode in pregione è guardato da gli armati, dove tanta è l'architettura che ha tenuto in tal cosa e tanta la discrezione nel casamento della prigione, che invero gli altri appresso a lui hanno piú di confusione ch'egli non ha di bellezza; cercando di continuo figurare le storie come elle sono scritte e farvi dentro cose garbate et eccellenti, come mostra in questa l'orrore della prigione nel veder legato fra que' due armati con le catene di ferro quel vecchio, il gravissimo sonno nelle guardie, il lucidissimo splendor dell'angelo nelle scure tenebre della notte luminosamente far discernere tutte le minuzie delle carcere e vivacissimamente risplen|dere nell'armi di coloro, che i lustri paressino bruniti piú che se fussino di pittura.

Né meno arte e ingegno è nello atto quando egli, sciolto da le catene, esce fuor di prigione accompagnato dall'angelo, dove mostra nel viso San Piero piú tosto d'essere un sogno che visibile, come ancora si vede terrore e spavento in altre guardie che, armate fuor della prigione, sentono il romore della porta di ferro, et una sentinella con una torcia in mano desta gli altri, e mentre con quella fa lor lume reflettano i lumi della torcia in tutte le armi, e dove non percuote quella serve un lume di luna. La quale invenzione, avendola fatta Rafaello sopra la finestra, viene a esser quella facciata piú scura, avvenga che quando si guarda tal pittura ti dà il lume nel viso e contendono tanto bene insieme la luce viva con quella dipinta co' diversi lumi della notte, che ti par vedere il fumo della torcia, lo splendor dell'angelo con le scure tenebre della notte sí naturali e sí vere, che non diresti mai che ella fussi dipinta, avendo espresso tanto propriamente sí difficile imaginazione. Qui si scorgono nell'arme l'ombre, gli sbattimenti, i reflessi e le fumosità del calor de' lumi lavorati con ombra sí abbacinata, che invero si può dire che egli fosse il maestro de gli altri. E, per cosa che contrafaccia la notte piú simile di quante la pittura ne facesse già mai, questa è la piú divina e da tutti tenuta la piú rara.

Egli fece ancora, in una delle pareti nette, il culto divino e l'arca de gli Ebrei et il candelabro e Papa Giulio che caccia l'avarizia de la Chiesa, storia di bellezza e di bontà simile alla notte detta di sopra.

Nella quale istoria si veggono alcuni ritratti di palafrenieri, che vivevano allora, i quali in su la sedia portano Papa Giulio veramente vivissimo.

Al quale mentre che alcuni popoli e femmine fanno luogo perché e' passi, si vede | la furia d'uno armato a cavallo, il quale accompagnato da due appiè, con attitudine ferocissima, urta e perquote il superbissimo Eliodoro, che per comandamento di Antioco vuole spogliare il tempio di tutti i depositi de le vedove e de' pupilli, e già si vede lo sgombro delle robe et i tesori che andavano via, ma per la paura del nuovo accidente di Eliodoro abbattuto e percosso aspramente da i tre predetti che, per essere ciò visione, da lui solamente sono veduti e sentiti, si veggono traboccare e versare per terra, cadendo chi gli portava per un subito orrore e spavento che era nato in tutte le genti di Eliodoro.

(SEGUE)


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 12/07/2005 23.28

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