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LE VITE DE' PIÚ ECCELLENTI ARCHITETTI, PITTORI, ET SCULTORI ITALIANI, DA CIMABUE INSINO A' TEMPI NOSTRI
Nell'edizione per i tipi di Lorenzo
Torrentino - Firenze 1550

di Giorgio Vasari

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 DE LA PITTURA

CAP. XXX

 

De le istorie e de le figure, che si fanno di commesso ne' pavimenti,

ad imitazione delle cose di chiaro e scuro.

 

Hanno aggiunto i nostri moderni maestri al musaico di pezzi piccioli un'altra specie di musaici di marmi commessi, che contrafanno le storie dipinte di chiaro scuro. E questo ha causato il desiderio ardentissimo di volere che e' resti nel mondo a chi verrà dopo, se pure si spegnessero le altre spezie della pittura, un lume che tenga accesa la memoria de' pittori moderni; e cosí hanno contrafatto con mirabile magisterio storie grandissime, che non solo se ne potrebbe mettere ne' pavimenti dove si camina, ma incrostarne ancora le facce delle muraglie e di palazzi, con arte tanto bella e maravigliosa, che pericolo non sarebbe che 'l tempo consumasse il disegno di coloro, che sono rari in questa professione. Come si può vedere nel Duomo di Siena, cominciato prima da Duccio Sanese e poi da Domenico Beccafumi a' dí nostri e seguito et augumentato. Questa arte ha tanto del buono, del nuovo e del durabile, che per pittura commessa di bianco e nero poco piú si puote desiderare di bontà e di bellezza. Il componimento suo si fa di tre sorte marmi, che vengono de' monti di Carrara, l'uno de' quali è bianco finissimo e candido, l'altro non è bianco, ma pende in livido, che fa mezzo a quel bianco et il terzo è un marmo bigio di tinta che trae in argentino, che serve per iscuro. Di questi volendo fare una figura, se ne fa un cartone di chiaro e scuro con le medesime tinte; e ciò fatto per i dintorni di que' mezzi e scuri e chiari a' luoghi loro si commette nel mezzo con diligenzia il lume di quel marmo candido, e cosí i mezzi e gli scuri allato a que' mezzi secondo i dintorni | stessi che nel cartone ha fatto l'artefice. E quando ciò hanno commesso insieme e spianato di sopra tutti i pezzi de' marmi, cosí chiari come scuri e come mezzi, piglia lo artefice, che ha fatto il cartone, un pennello di nero temperato, quando tutta l'opra è insieme commessa in terra, e tutta sul marmo la tratteggia e proffila dove sono gli scuri, a guisa che si contorna, tratteggia e proffila con la penna una carta che avesse disegnata di chiaro o scuro. Fatto ciò, lo scultore viene incavando coi ferri tutti quei tratti e proffili che il pittore ha fatti, e tutta l'opra incava dovunque ha disegnato di nero il pennello. Finito questo, si murano nei piani a pezzi a pezzi, e finito, con una mistura di pegola nera bollita o asfalto e nero di terra, si riempiono tutti gli incavi che ha fatti lo scarpello; e poi che la materia è fredda et ha fatto presa, con pezzi di tufo vanno levando e consumando ciò che sopra avanza; e con rena, mattoni et acqua si va arrotando e spianando, tanto che il tutto resti ad un piano, ciò è il marmo stesso et il ripieno. Il che fatto, resta l'opera in una maniera, che ella pare veramente pittura in piano, et ha in sé grandissima forza con arte e con maestria. Laonde è ella molto venuta in uso per la sua bellezza, et ha causato ancora che molti pavimenti di stanze oggi si fanno di mattoni, che siano una parte di terra bianca, ciò è di quella che trae in azzurrino quando ella è fresca, e cotta diventa bianca; e l'altra della ordinaria da fare mattoni, che viene rossa quando ella è cotta. Di queste due sorti si sono fatti pavimenti commessi di varie maniere a spartimenti, come ne fanno fede le sale papali a Roma al tempo di Raffaello da Urbino, et ora ultimamente molte stanze in Castello Santo Agnolo, dove si sono con i medesimi mattoni fatte imprese di gigli, commessi di pezzi che di|mostrano l'arme di Papa Paulo e molte altre imprese, con tanta diligenzia commisse, che piú di bello non si può desiderare in tale magisterio. E di tutte queste cose commesse fu cagione il primo musaico.

 

 

CAP. XXXI

 

Del musaico di legname, ciò è de le tarsie, e de le istorie che si fanno di legni tinti

e commessi a guisa di pitture.

 

Quanto sia facil cosa lo aggiugnere alle invenzioni de' passati qualche nuovo trovato sempre, assai chiaro ce lo dimostra non solo il predetto commesso de' pavimenti, che senza dubbio viene da 'l musaico, ma le stesse tarsie ancora e le figure di tante varie cose, che a similitudine pur del musaico e della pittura, sono state fatte da' nostri vecchi di piccoli pezzetti di legno commessi et uniti insieme nelle tavole del noce e colorati diversamente; il che i moderni chiamano lavoro di commesso, benché a' vecchi fosse tarsia. Le miglior cose che in questa spezie già si facessero, furono in Firenze ne' tempi di Filippo di Ser Brunellesco e poi di Benedetto da Maiano. Il quale nientedimanco giudicandole cosa disutile, si levò in tutto da quelle, come nella vita sua si dirà. Costui come gli altri passati le lavorò solamente di nero e di bianco; ma fra' Giovanni Veronese, che in esse fece gran frutto, largamente le migliorò, dando varii colori a' legni con acque e tinte bollite e con olii penetrativi, per avere di legname i chiari e gli scuri, variati diversamente, come nella arte della pittura, e lumeggiando con bianchissimo legno di silio sottilmente le cose sue. Questo lavoro ebbe origine primieramente nelle prospettive, perché quelle avevano termine di canti vivi, che commettendo insieme i pezzi facevano il profilo e pareva tutto d'un pezzo il pia|no de l'opera loro, se bene e' fosse stato di piú di mille. Lavorarono però di questo gli antichi ancora nelle incrostature delle pietre fini, come apertamente si vede nel portico di San Pietro, dove è una gabbia con uno uccello in un campo di porfido e d'altre pietre diverse, commesse in quello con tutto il resto degli staggi e delle altre cose. Ma per essere il legno piú facile e molto piú dolce a questo lavoro, hanno potuto i maestri nostri lavorarne piú abbondantemente et in quel modo che hanno voluto. Usarono già per far l'ombre abbronzarle co 'l fuoco da una banda, il che bene imitava l'ombra; ma gli altri hanno usato di poi olio di zolfo et acque di solimati, e di arsenichi, con le quali cose hanno dato quelle tinture che eglino stessi hanno voluto; come si vede ne l'opre di fra' Damiano in San Domenico di Bologna. E perché tale professione consiste solo ne' disegni che siano atti a tale esercizio, pieni di casamenti e di cose ch'abbino i lineamenti quadrati, e si possa per via di chiari e di scuri dare loro forza e rilievo, hannolo fatto sempre persone che hanno auto piú pazienzia che disegno. E cosí s'è causato che molte opere vi si sono fatte, e si sono in questa professione lavorate storie di figure, frutti et animali, che invero alcune cose sono vivissime; ma per essere cosa che tosto diventa nera e non contrafà se non la pittura, sendo da meno di quella e poco durabile per i tarli e per il fuoco, è tenuto tempo buttato invano, ancora che e' sia pure e lodevole e maestrevole.

CAP. XXXII

 

De 'l dipignere le finestre di vetro e come elle si conduchino co' piombi e co' ferri da sostenerle senza impedimento delle figure. |

 

Costumarono già gli antichi, ma per gli uomini grandi o almeno di qualche importanza, di serrare le finestre in modo che senza impedire il lume non vi entrassero i venti o il freddo; e questo solamente ne' bagni loro, ne' sudatoi, nelle stufe e negli altri luoghi riposti, chiudendo le aperture o vani di quelle con alcune pietre trasparenti, come sono le agate, gli alabastri et alcuni marmi teneri, che sono mischi o che traggono a 'l gialliccio. Ma i moderni, che in molto maggior copia hanno avuto le fornaci de' vetri, hanno fatto le finestre di vetro, di occhi e di piastre, a similitudine od imitazione di quelle che gli antichi fecero di pietra. E con i piombi accanalati da ogni banda, le hanno insieme serrate e ferme; et ad alcuni ferri messi nelle muraglie a questo proposito o veramente ne' telai di legno, le hanno armate e ferrate come diremo. E dove elle si facevano nel principio semplicemente di occhi bianchi e con angoli bianchi o pur colorati, hanno poi imaginato gli artefici fare un musaico de le figure di questi vetri, diversamente colorati e commessi ad uso di pittura. E talmente si è assottigliato lo ingegno in ciò, che e' si vede oggi condotta questa arte delle finestre di vetro a quella perfezzione che nelle tavole si conducono le belle pitture, unite di colori e pulitamente dipinte; sí come nella vita di Guglielmo da Marzilla franzese, largamente dimostrerremmo. Di questa arte hanno lavorato meglio i Fiaminghi et i Franzesi che l'altre nazioni; atteso che eglino, come investigatori delle cose del fuoco e de' colori, hanno ridotto a cuocere a fuoco i colori che si pongono in su 'l vetro, a cagione che il vento, l'aria e la pioggia non le offenda in maniera alcuna. Dove già costumavano dipigner quelle di colori velati con gomme et altre tempere, che co 'l tempo le faceva | fuggire il tempo, et i venti, le nebbie e l'acque se le portavano di maniera che altro non vi restava che il semplice colore del vetro. Ma nella età presente veggiamo noi condotta questa arte a quel sommo grado, oltra il quale non si può appena desiderare perfezzione alcuna di finezza, di bellezza e di ogni particularità che a questo possa servire; con una delicata e somma vaghezza, non meno salutifera per assicurare le stanze da' venti e da le arie cattive, che utile e comoda per la luce chiara e spedita che per quella ci si appresenta. Vero è che per condurle che elle siano tali, bisognano primieramente tre cose: ciò è una luminosa trasparenza ne' vetri scelti, un bellissimo componimento di ciò che vi si lavora et un colorito aperto senza alcuna confusione. La trasparenza consiste nel saper fare elezzione di vetri, che siano lucidi per se stessi. Et in ciò meglio sono i franzesi o fiaminghi che e' si siano che i veniziani: perché i fiaminghi sono molto chiari et i veniziani molto carichi di colore. E quegli che son chiari, adombrandoli di scuro non perdono il lume del tutto, tale che e' non traspaino nelle ombre loro. Ma i veniziani, essendo di loro natura scuri et oscurandoli di piú con l'ombre, perdono in tutto la trasparenza. Et ancora che molti si dilettino di avergli carichi di colori, artifiziatamente soprapostivi, che sbattuti da l'aria e da' sole mostrano non so che di bello, piú che non fanno i colori naturali, meglio è nondimeno avere i vetri di loro natura chiari che scuri a ciò che da la grossezza del colore non rimanghino offuscati.

A condurre questa opera bisogna avere un cartone disegnato con proffili, dove siano i contorni delle pieghe de' panni e delle figure, i quali dimostrino dove si hanno a commettere i vetri. Di poi si pigliano i pezzi de' vetri, rossi, gialli, azzurri e bianchi e si | scompartiscono secondo il disegno per panni o per carnagioni, come ricerca il bisogno. E per ridurre ciascuna piastra di essi vetri a le misure disegnate sopra il cartone si segnano detti pezzi in dette piastre, posate sopra il detto cartone, con un pennello di biacca; et a ciascuno pezzo si assegna il suo numero, per ritrovargli piú facilmente nel commettergli, i quali numeri finita l'opera si scancellano. Fatto questo, per tagliarli a misura, si piglia un ferro appuntato affocato, con la punta del quale, avendo prima con una punta di smeriglio intaccata alquanto la prima superficie dove si vuole cominciare e con un poco di sputo bagnatovi, si va con esso ferro lungo que' dintorni, ma alquanto discosto. Et a poco a poco, movendo il predetto ferro, il vetro si inclina e si spicca da la piastra. Di poi con una punta di smeriglio si va rinettando detti pezzi e levandone il superfluo; e con un ferro, che e' chiamano grisatoio o vero topo, si vanno rodendo i dintorni disegnati, tale ch'e' venghino giusti da potergli commettere per tutto. Cosí dunque commessi i pezzi di vetro, in su una tavola piana si distendono sopra il cartone, e si comincia a dipignere per i panni l'ombra di quegli, la quale vuol essere di scaglia di ferro macinata e d'un'altra ruggine ch'alle cave dil ferro si trova, la quale è rossa, e con questa si ombrano le carni, cangiando quelle co 'l nero e rosso secondo che fa bisogno. Ma prima è necessario alle carni velare con quel rosso tutti i vetri e con quel nero fare il medesimo a' panni con temperarli con la gomma a poco a poco dipignendoli et ombrandoli come sta il cartone. Et appresso, dipinti che e' sono, volendoli dare lumi fieri si ha un pennello di setole corto e sottile, e con quello si graffiano i vetri in su il lume, e levasi di quel panno che aveva dato per tutto il primo colore, e con l'asticci|ola del pennello si va lumeggiando i capegli e le barbe et i panni et i casamenti e paesi come tu vuoi. Sono però in questa opera molte difficultà, e chi se ne diletta può mettere varii colori sul vetro perché, segnando su un colore rosso un fogliame o cosa minuta, volendo che a fuoco venga colorito d'altro colore, si può squagliare quel vetro quanto tiene il fogliame, con la punta d'un ferro, che levi la prima scaglia dil vetro ciò è il primo suolo e non la passi, perché faccendo cosí rimane il vetro di color bianco, e se gli dà poi quel rosso fatto di piú misture, che nel cuocere, mediante lo scorrere, diventa giallo. E questo si può fare su tutti i colori, ma il giallo meglio riesce sul bianco che in altri colori, su lo azzurro a campirlo divien verde nel cuocerlo, perché il giallo e lo azzurro mescolati fanno color verde. Questo giallo non si dà mai se non dietro, dove non è dipinto, perché mescolandosi, scorrendo guastarebbe e si mescolarebbe con quello il quale cotto rimane sopra grosso il rosso, che raschiato via con un ferro, vi lascia giallo. Dipinti che sono i vetri, vogliono esser messi in una teghia di ferro con un suolo di cennere stacciata e calcina cotta mescolata; et a suolo a suolo i vetri parimente distesi e ricoperti dalla cenere istessa, poi posti nel fornello, il quale a fuoco lento a poco a poco riscaldato, venga a infocarsi la cennere et i vetri, perché i colori, che vi sono su infocati, inrugginiscono e scorrono e fanno la presa sul vetro. Et a questo cuocere bisogna usare grandissima diligenza, perché il troppo fuoco violento li farebbe crepare, et il poco non li cocerebbe. Né si debbono cavare finché la padella o tegghia dove e' sono non si vede tutta di fuoco e la cennere con alcuni saggi sopra che si vegga quando il colore è scorso.

Fatto ciò, si buttano i piombi in certe forme di pietra o di ferro, i qua|li hanno due canali, ciò è da ogni lato uno, dentro al quale si commette e serra il vetro. E si piallano e dirizzano e poi su una tavola si conficcano, et a pezzo per pezzo s'impiomba tutta l'opera in piú quadri e si saldano tutte le commettiture de' piombi con saldatoi di stagno; et in alcune traverse, dove vanno i ferri, si mette fili di rame impiombati, acciò ch'e' possino reggere e legare l'opra; la quale s'arma di ferri, che non siano al dritto delle figure, ma torti secondo le commettiture di quelle, a cagione che e' non impedischino il vederle. Questi si mettono con inchiovature ne' ferri che reggono il tutto. E non si fanno quadri, ma tondi acciò impedischino manco la vista. E da la banda di fuori si mettono alle fenestre e ne' buchi delle pietre s'impiombano, e con fili di rame, che nei piombi delle fenestre saldati siano a fuoco, si legano fortemente. E perché i fanciulli o altri impedimenti non le guastino, vi si mette dietro una rete di filo di rame sottile. Le quali opre, se non fossero in materia troppo frangibile, durerebbono al mondo infinito tempo. Ma per questo non resta che l'arte non sia difficile, artificiosa e bellissima.

 


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/2005 23.55

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