TRE CROCI
di Federigo Tozzi
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CAPITOLO IX Pareva che Giulio escisse
da una malattia lunga. Emaciato, con la pelle del viso più floscia, si capiva che era
molto abbattuto d'animo. Il Nisard tornò subito il
giorno dopo a trovarli, ma s'avvide che non avevano voglia di burlare. Egli disse: - Ma! Non bisogna mai stare
male più di quanto è necessario! Niccolò, che sonnecchiava,
aprì gli occhi e li richiuse smovendo la lingua come se l'avesse allappata. Sapeva
qualche cosa il Nisard, forse? A lui, in quel momento, non glie ne importava. Giulio
pensò che doveva subito investigare, ma bastò ch'egli guardasse il Nisard per
rassicurarsi. Allora, sfilò un libro dallo scaffale che gli era dietro, lo aprì a una
pagina che conosceva e gli fece leggere, tenendo l'indice sotto le parole e scorrendolo: Fili,
sic dicas in omni re: Domine, si tibi placitum fuerit, fiat hoc ita. Rimise subito il libro al
posto, e chiese: - Non ha ragione chi ha
scritto così? Il francese voleva
contraddirlo, ma restò colpito che il libraio gli avesse fatto leggere l'Imitazione
di Cristo. Non era delicato né opportuno farne una discussione da passatempo. Però,
egli aveva intuito che le cose della libreria dovessero andare di molto male e che ne
dovessero apparire presto le conseguenze. E se non gliene dicevano niente, vuol dire che
diffidavano anche di lui. Egli si disse, vergognandosi di questa diffidenza: «Ma!
Soltanto tra sé sanno quel che accade!» E, perché quel giorno aveva voglia di sentirsi
lieto, non si trattenne come il solito. Niccolò si alzò di scatto
dalla sedia, stirandosi e mettendo il petto in fuori. Egli pensava a cose addirittura
infantili per aiutare il fratello; ch'era costretto a pregarlo che lo lasciasse fare.
Quando si fu stirato, tanto che gli parve di essere molto più alto di quel che era,
disse: - Vendiamo la libreria al
primo che capita, e noi faremo un altro mestiere! Io vado a Milano, a Torino, a Roma; e
trovo il compratore. Lo porto qua con me; e il rimedio è preso! E picchiò forte le mani
insieme; poi, fece una giravolta; che lasciò i segni del tacco sul pavimento. - Oh, ma non bisogna
perdere tempo! Giulio scosse la testa; con
le mani nelle tasche dei calzoni e gli occhi fissi su gli sgorbi della cartasuga. I suoi
occhi doventavano luminosi e trasparenti; e avevano una tristezza, che avrebbe fatto
pietà a chiunque. Dopo un poco, Niccolò
trasse fuori un'altra proposta; anche più seriamente: - Facciamoci firmare una
cambiale dal signor Riccardo Valentini. - La firmerà la prima
volta, ma la seconda no. E, poi, se non ci fossero quelle false e quelle vere del
Nicchioli! - Già! Non ci avevo
pensato! Il meglio è dirlo al cavaliere, dunque! - Potremo andare qualche
altro mese, ma poi? - Bisogna resistere fino
all'ultimo. - Abbiamo fatto già tutto
il possibile. - Seguiteremo. Giulio aprì il cassetto
della scrivania, come se avesse potuto trovarci qualche cosa che gli fosse utile. Toccò
tutti i mucchi delle carte che c'erano, e con le unghie volle levare uno spillo restato
dentro una commettitura del legno. Poi, si mise a bucarsi la punta delle dita. - Vogliamo dire tutte le
cose, come stanno, al direttore della banca? Ci vado io. E gli chiedo che ci lasci tempo
di riparare alla nostra uscita. - Io mi strabilio come non
ti rendi conto che tu farnetichi. - Vado a rubare, piuttosto!
Ma in prigione per le cambiali false, no. M'ammazzo! Il malessere di Giulio si
eccitava anche di più; e finì che egli ebbe più compassione per il fratello che per se
stesso. Di Enrico pensò che era un cretino. Niccolò gridava sempre di
più: - Come! Due uomini non
siamo capaci a slegarci da quest'impicci! Faremo ridere tutta Siena! Chi sa quanta gente
ci avrà piacere. Ma io me ne strafotto! Basta che non mi vengano sotto il viso! Sarà una
festa per parecchi il nostro fallimento. - Zitto! Non dire questa
parola. Niccolò si volse attorno
impaurito, e chiese: - Non siamo soli? E, data una stratta alla
sedia, la fece rompere. Allora, come un matto, escì di bottega. Giulio rimise insieme i
pezzi della sedia, legandoli con lo spago. Niccolò andò a casa,
quasi correndo. Giù per la scesa di Via del Re ci mancò poco che non sdrucciolasse. Come
se fosse ammattito da vero, tremando tutto, baciò le nipoti e disse alla moglie: - Modesta, non ti
affaticare troppo per il mangiare! Non voglio! Anche tu hai ragione di riposarti, qualche
volta. Dacci pane, acqua e qualche cipolla cruda. Io non voglio altro! Modesta si spaventò e si
volse a guardare le nipoti. - Che hai? La febbre!
Quando t'è venuta? Egli entrava da una stanza
a un'altra, e riesciva subito. Non capivano quel che volesse. Egli chiese, sempre senza
fermarsi: - Chiarina, è venuto già
il tuo fidanzato? La ragazza gli rispose,
ridendo: - Viene questa sera. Lo zio le fece una carezza
sotto il mento e girò gli occhi su attorno al soffitto. - Niccolò, che hai? Mi fai
battere il cuore. Io mando a chiamare il medico. - Il medico? Non ce n'è
bisogno. Sono venuto a farvi una visita e a cercare il mio cappello sodo, che mi pareva
d'averlo attaccato in questa stanza. Ma non s'era ancora
fermato; e la moglie gli domandò: - E, ora, dove te ne vai? Ella e le nipoti gli
andavano dietro, di stanza in stanza. - Voi, piuttosto, che
volete da me? O se io volessi vivere solo da qui in avanti? Toh, non mi piace più avere
moglie e stare con tutti voi. Siamo troppi! Modesta, allora, credette
che burlasse; e gli disse, facetamente, sebbene non del tutto rassicurata: - Se mi vuoi lasciare, io
ne sono più contenta di te. Egli rise a singhiozzi,
come sforzandocisi. E, rendendosi conto del suo stato d'animo, all'improvviso, lo
continuò finché non fu all'uscio: l'aprì, mandò indietro la moglie e saltò giù per
le scale. Egli si chiedeva perché gli fosse venuto quell'estro poco serio, mentre in
bottega aveva lasciato Giulio solo. Gli chiese, rientrando: - Che hai fatto mentre non
c'ero? Giulio gli sorrise: - T'ho accomodato la sedia
e mi son messo a segnare sul registro quel pacco di libri arrivato stamani. - Che roba è? - Romanzi, novelle... - Pappa sciapa per chi non
ha niente da pensare. Al macero! E, messosi a ciancicarsi le
unghie, disse: - Io prenderei quelli che
scrivono i libri e con una frusta li farei ballare a suon di lividure. - Codesti son ghiribizzi! - O alla cambiale non ci
pensi più? Giulio, che se n'era un
poco dimenticato, gli disse: - Lasciami respirare! - Ho capito: ci penso più
io di te. - Perché? Che hai fatto?
Hai trovato i denari? - È inutile che tu mi
faccia l'ironico. E sperò che Giulio avesse
già rimediato, parendogli più tranquillo. Perciò, lo guardò, aspettando che tenesse a
bocca dolce anche lui. Ma Giulio gli disse, accorato: - Questa volta scivoliamo
senza poterci aggrappare a niente! Tu, ancora, non ci vuoi credere! - Fino ad ora, la fortuna
ci ha sempre assistito! - Ed ora ci ha lasciato. - Vuol dire che subiremo
insieme la stessa sorte: io non sono come Enrico. - Pensavo, invece, se
qualcuno di voi si potesse salvare. - A quale scopo? - È vero: se tocca a me,
anche voi dovete fare lo stesso. Ma Niccolò non avrebbe
potuto resistere di più alla monotonia di questa tristezza sconsolata. Egli cominciò a
muoversi e poi a dimenarsi su la sedia; come quando, d'estate, per chiappare una mosca
picchiava e sbatacchiava le mani da per tutto. Giulio se ne accorse e gli disse: - Vai a fare una bella
scorpacciata d'aria! Non è mica necessario che tu stia qui perché ci sto io! Ma il suo dolore, che
doveva sopportare da solo, si fece più vivo; con un'acutezza felina. Niccolò rispose: - Ti garantisco che non
perderò mai il mio appetito. Se, stasera, avessimo una mezza dozzina di beccacce arrosto,
io pulirei anche gli ossi. La soddisfazione di farmi stare male non l'avrà mai nessuno.
Alla bottega sarei il primo io a darle fuoco! Perché te la vuoi prendere, Giulio? - C'è bisogno che tu mi
metta coraggio? Io non mi sono mai sentito galantuomo e leale come ora! Mi sembra di non
avere più nulla da chiedere; né agli uomini né a Dio. La mia volontà consiste appunto
nel rendermi conto del mio tracollo. È una specie di orgoglio alla rovescia; ma sempre
orgoglio. Ho fatto di tutto non per essere un signore, perché non sarebbe stato
possibile, ma per mantenerci quel che avevamo avuto da nostro padre. Se non m'è riescito,
non è colpa mia. Nondimeno, mi prendo lo stesso la colpa; e voglio morire con più
coscienza di quella che avevo due o tre anni fa. Era destinato ch'io dovessi finire male,
e non me ne lamento. Qualcuno potrà dire che s'era sbagliato ad avermi stima; e io gli
rispondo che ora faccio a meno di qualunque stima. Sono io, proprio io, che gli toglierei
qualunque illusione. Nessuno può pretendere da me che io non sia come Dio mi ha messo al
mondo. Non ho mai recato, volontariamente, male a nessuno. Ho fatto le firme false, solo
perché la mia firma vera non avrebbe contato nulla. Niccolò, per approvare,
fece una specie di grugnito; e disse un'imprecazione con una parola oscena. Ma Giulio si
sentiva come morire, desiderando lo stesso di sacrificarsi senza chiedere un limite. - Nessuno, se sapesse ch'io
sono un falsario, mi darebbe la mano. Non me ne importa più! Gli mancava anche il
respiro, e dovette riposarsi. Niccolò gli disse: - Io solo, che t'ho sentito
parlare così, e ti sono fratello, posso apprezzarti. Ma anche di me non te ne deve
importare! Sono io che seguo te, se non vuoi che io sparisca alla chetichella. Ora, stiamo
zitti perché entra il verro! Enrico, con la sua
collottola dura di lardo e di cotenna, entrò anche più fosco e imbiecato degli altri
giorni. Giulio, senza nessun rancore e senza nessuna animosità, gli chiese: - Che vuoi? Egli, prima, biascicò
senza rispondere; poi, disse: - Domani è domenica:
vogliamo mangiare una spiedonata di tordi? Li ho visti da Cicia, legati a mazzi. Mi son
parsi grassi abbastanza. Niccolò, allora,
bofonchiò: - Io domani non mangio con
voi! - E perché? Dove vai? Niccolò, con un tono da
gradassata, insolente, rispose: - A Firenze. È tanto tempo
che non assaggio più i fagioli cotti in forno; come li fanno i fiorentini. Questi di
Siena non sono buoni. Giulio rispose, ad ambedue,
con una voce pacata; che commoveva: - Domani tu mangerai i
fagioli a Firenze, e tu comprerai i tordi da Cicia. Vi manca altro? |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/2005 22.27