TRE CROCI
di Federigo Tozzi
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a Luigi Pirandello CAPITOLO I Giulio
chiamò il fratello: -
Niccolò! Déstati! Quegli
fece una specie di grugnito, bestemmiò, si tirò più giù la tesa del cappello; e
richiuse gli occhi. Stava accoccolato su una sedia, con le mani in tasca dei calzoni e la
testa appoggiata a uno scaffale della libreria; vicino a una cassapanca antica, che
tenevano lì in mostra per i forestieri; tutta ingombra di vasi, di piatti e di pitture. -
Ohé! Non ti vergogni a dormire! È tutta la mattina! Fai rabbia! Niccolò,
allora, si sdrusciò forte le labbra e aprì gli occhi, guardando il fratello. -
Ma che vuoi? Io, fino all'ora di mangiare, dormo! -
Volevo dirti che io devo andare alla banca! Stamani, c'è un rinnovo. Niccolò fece una
sbuffata e rispose: -
Vai! C'era bisogno di destarmi? -
Alla bottega chi ci bada? -
A quest'ora, non viene nessun imbecille a comprare i libri! Vai! Ci bado io! Niccolò,
mentre il fratello cercava il tubino, si alzò, giunse fino alla porta, come se avesse
voluto mettersi a correre, prendendo lo slancio; e tornò a dietro, rincantucciandosi a
sedere. Era
alto e grasso; con la barbetta brizzolata, le labbra grandi e gli occhi bigi. Allora,
perché Giulio andava da sé alla banca, invece di mandarci lui o l'altro fratello, lo
guardò e chiese con premura studiata: -
Enrico dov'è? Dobbiamo sempre fare tutto noi anche per lui? -
Sarà a spasso, a quest'ora! Dove vuoi che sia? Lo sai che a quest'ora ha sempre bisogno
di fare una passeggiata. -
E rimproveravi me perché me ne sto qui a dormire? Giulio
voleva sorridere; ma si mise le lenti, guardò la firma su la cambiale e disse: -
Bada anche tu se ti pare venuta bene! Niccolò
alzò le spalle e non rispose. Giulio disse, con una specie di ammirazione sempre meno
involontaria: -
M'è venuta proprio bene! Il
fratello abbassò la testa e fece un'altra sbuffata; poi si mise a battere lesto lesto la
punta d'un piede; e, allora, tremava tutta la cassapanca con quel che c'era sopra. -
Smetti: farai rompere tutto! -
Non sarebbe meglio? Giulio,
grattandosi vicino alla bocca, quasi sorpreso, lo guardò: -
Con te non ci si capisce niente! Ormai, mio caro, anche se volessimo smettere, sarebbe
tardi. Piuttosto, speriamo che troveremo i denari per pagare le cambiali! -
E se alla banca scoprono prima che tu... che noi facciamo le firme false? Giulio
era il più melanconico dei tre fratelli Gambi, ma anche il più forte e quello che
sperava perciò di guadagnare tanto con la libreria, da non correre più nessun pericolo.
Era stato lui a proporre quell'espediente; ed era lui che aveva imparato ad imitare le
firme. Ma quando il fratello gli diceva a quel modo, si perdeva d'animo e andava alla
banca soltanto perché era indispensabile a guadagnare tempo. È vero anche, però, che
era doventata un'abitudine; che lo preoccupava piuttosto per la puntualità che ci voleva.
Perfino lusingato che ormai da tre anni la cosa andasse bene: avevano preso più di
cinquantamila lire senza destare nessun sospetto, e il cavaliere Orazio Nicchioli, che
aveva fatto da vero il favore di firmare qualche cambiale, non indovinava ancora niente.
Seguitava sempre ad essere il loro amico, e ad andare alla libreria tutte le sere; a fare
la chiacchierata. Giulio
era anche più alto di Niccolò; ma senza barba e più giovane, sebbene i suoi capelli
fossero tutti bianchi. I baffetti erano ancora biondi; il viso roseo; e gli occhi celesti
facevano pensare a qualche pietra di quel colore. Il più intelligente e il solo che
avesse voglia di lavorare, stando dentro la libreria dalla mattina alla sera. Niccolò,
invece, faceva anche l'antiquario; e stava quasi sempre fuori di Siena, a cercare alle
fattorie antiche e nei paesi qualche cosa da comprare. Enrico
faceva il legatore, a una piccola bottega vicino alla libreria. Era basso, con i baffi
più scuri; sgarbato e prepotente. Soltanto
Niccolò aveva moglie; ma vivevano tutti insieme con due giovinette orfane, loro nipoti. Il
loro padre era stato fortunato, e anch'essi da prima stavano bene; poi, a poco a poco, la
libreria aveva sempre fruttato meno. Giulio
si mise il tubino, dopo averlo spolverato con il gomito; stette un poco incerto a
esaminare la cambiale aperta su lo scrittoio; si grattò vicino alla bocca, la prese e se
la mise in tasca. Niccolò lo guardava, imprecando e bestemmiando. -
È inutile bestemmiare. -
Che devo dire, allora? -
Niente. Rassegnarsi. -
Ma io in galera non ci voglio andare! Aveva
la voce forte e robusta, e quando gridava a quel modo non si sapeva se faceva sul serio o
per canzonatura. Allora anche a Giulio era impossibile sentirsi afflitto e umiliato. E
rispose, con la sua pacatezza di uomo educato: -
Ci metteranno me in galera! Sei contento? Ma
Niccolò gridò: -
Torna presto, perché io qui dentro non voglio che mi ci venga un accidente! Giulio,
tenendo la mano in tasca dov'era la cambiale, perché aveva paura che potesse escirgli
fuori, andò alla banca; cercando di camminare a testa alta e di farsi vedere senza
preoccupazioni; sicuro di quel che faceva. Niccolò
restò su la sua sedia; e si mise a biascicare un sigaro, sputando i pezzetti sotto lo
scrittoio; allungando le gambe fin nel mezzo della bottega. Quando entrò un signore, che
conosceva perché una volta erano andati a caccia insieme, Niccolò non si mosse né meno. Quegli
chiese: -
Come sta? -
Io, bene. E lei? -
Un poco di raffreddore. Niccolò
sorrise, dicendogli con una serietà finta di cui nessuno alla prima si accorgeva: -
Si abbia riguardo! Il
signor Riccardo Valentini, allora, guardò qualche libro, e Niccolò richiuse gli occhi
come se non ci fosse stato né meno. Tutti quelli che lo conoscevano, non si rivolgevano
mai a lui per comprare; ma a Giulio, magari aspettando che tornasse, se non c'era. Il
Valentini gli disse: -
Bella vita, sempre a sedere! -
Lo so! Me la invidia anche lei? -
Io? No, da vero. Anzi, ci ho piacere. -
E io campo da signore per dispetto a quelli che mi vorrebbero vedere a mendicare. Non
faccio bene? Devono tutti mangiarsi il fegato dalla rabbia! Il
signor Valentini fece una risata. -
Oggi, a pranzo, tordi e quaglie. E mi son fatto mandare da una delle migliori tenute del
Chianti un vino che, se lo bevesse lei, resterebbe stupito. Dio! Come mi voglio godere!
Per me, nella vita, non c'è altro! Sono nato un signore, io; più di lei! -
Più di me? Ah, lo credo! Lei non ha quelle preoccupazioni di cui io non posso fare a
meno. Anche stamani son dovuto venire a Siena, perché il fattore mi s'è ammalato. Come
si fa a rimandare al giorno dopo gli affari, con una tenuta di trenta poderi come io ho su
le mie spalle! Senza mentovare, poi, anche le mercature. Niccolò
si sollazzava a quelle confidenze; e, fregatesi le mani, disse: -
Vino e ponci! Ma i ponci li faccio da me. Mezzo litro di rumme per volta! Ah, io sto bene! Nella
sua voce c'era una gioia rabbiosa e violenta. Ed egli, ridendo a quel modo, restava
simpatico a tutti. -
Ora, quando torna Giulio, che è andato a un appuntamento con una bella signora, si chiude
questa paretaia; e si va a mangiare. Che mangiata! Vorrei avere due ventri! Uno non mi
basta! Ho fatto comprare, dalla nostra serva, un chilo di parmigiano e certe pere che
passano una libbra l'una! Scommetto che le viene voglia di desinare con me! Il
signor Valentini rise e gli batté una mano su la spalla. Poi, chiese: -
Che Madonna è quella, lì nel mezzo alla cassapanca? Quella lì ritta? Niccolò
doventò serio. -
Non me lo vuol dire? -
Anzi! A lei dirò la verità: è una Madonna che ho trovato in casa d'un contadino. Non me
la volevano vendere a nessun costo. L'ho pagata cento lire sole! Si
alzò, e con la voce che doventava acuta, ripeté gongolando: -
Cento lire! Cento lire! Me l'ha regalata! Ci voleva un idiota come quello! -
E lei quante ce ne prenderà? La
voce di Niccolò si fece tonante: -
Io? Poi,
con sprezzo: -
Ieri, un inglese mi dava quattromila lire, quattromila lire! -
E non l'ha data? La
voce parve calmarsi, farsi esatta: -
Ce ne prenderò seimila. E
siccome s'era rimesso a sedere, si alzò di scatto, battendo i piedi e ricominciando a
gridare: -
Cento lire! Quell'idiota! Ci voleva un idiota come lui, per darmela! E
finse di ridere tanto, come fosse sul punto di soffocare. Giulio,
con il cappello su gli occhi, come senza avvedersene si metteva sempre tornando dalla
banca, entrò serio: -
Di che ti esalti? Niccolò
smise istantaneamente; e s'avventò alla porta, come se fuggisse perché non valeva la
pena di rispondergli. |
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Ultimo Aggiornamento: 13/07/2005 23.55