5. La caccia al Re del
Mare
Un momento dopo, fatti imbarcare i superstiti
dell'incrociatore in una scialuppa provvista di viveri
sufficienti per poter raggiungere Redjang, senza che
corressero il pericolo di provare le strette della fame,
il Re del Mare si slanciava attraverso il golfo di
Sarawak colla prora al sud.
Regnava una calma quasi completa, soffiando molto di
rado le brezze in quelle regioni infuocate, regioni
assai temute dai velieri, i quali sovente si trovano
immobilizzati per delle lunghe settimane. Solamente di
quando in quando un'ondata lunghissima, rumoreggiante,
giungeva dall'est gonfiandosi gradatamente e dopo essere
passata sotto l'incrociatore, scuotendolo bruscamente,
si perdeva in direzione opposta. Passato però quel
cavallone, che proveniva forse dalle lontane coste delle
isole della Sonda, l'oceano riprendeva la sua
immobilità.
Nessuna nave si scorgeva al largo, nè all'est, nè
all'ovest, nè al nord, nè al sud. Abbondavano invece
gli uccelli dei tropici, instancabili volteggiatori che
s'incontrano perfino a parecchie centinaia di miglia
dalle coste. Erano nembi di sule e di prionfinus
cinereus, specie di procellarie le quali, cosa davvero
strana, portano quasi sempre, attaccati alle penne
dell'addome, dei granchiolini di mare, dei piccolissimi
cirripedi, costringendoli così a vivere, loro malgrado,
in aria. Sembra però che non si trovino troppo a
disagio in quei viaggi aerei, perchè non pare che ne
soffrano.
Sul mare poi si vedevano apparire di quando in
quando, sospese fra due acque, ad un metro sotto la
superficie, delle lunghe file di splendide meduse, in
forma d'ombrelli trasparenti, le quali si lasciavano
mollemente trasportare dal flusso. Oppure si vedevano
guizzare dinanzi allo sperone della nave, rapidi come
frecce, dei prontoporia, i più piccoli delfini della
specie, armati d'un lunghissimo rostro e delle grosse
dorate dalle splendide scaglie a tinte azzurre e giallo
oro, nemiche accanite dei pesci volanti, dotate d'una
voracità incredibile e che quando vengono prese, prima
di morire perdono i loro brillanti colori diventando
grigiastre.
Il Re del Mare filava rapido, sorpassando i dieci
nodi, muovendo direttamente verso la costa di Sarawak
per andare a distruggere i depositi di carbone della
squadra del rajah.
Era davvero una splendida nave, dotata di
straordinarie qualità marinaresche, nonostante le sue
corazze, le sue torri e le sue artiglierie; una vera
nave corsara assolutamente moderna, l'unica forse che
avesse potuto intraprendere quella terribile crociera
contro la potente flotta inglese, senza un porto entro
cui trovare rifugio.
- Ebbene, Tremal-Naik? - chiese Sandokan, il quale
era allora risalito in coperta dopo d'aver fatta una
breve visita a sir Moreland. - Che cosa ne dici del
nostro Re del Mare?
- Che è il migliore ed il più potente incrociatore
che io abbia veduto: una vera meraviglia, - rispose
l'indiano con entusiasmo.
- Sì, sono dei bravi costruttori gli americani.
Vent'anni or sono ricorrevano all'estero per formare le
loro flotte ed ora nelle loro costruzioni vincono tutti.
Solide e potenti, ecco come sono le loro navi d'oggidì.
Con questa noi daremo ben da fare ai nostri avversari.
- E se l'Inghilterra ci lanciasse addosso le migliori
navi della sua flotta? Hai pensato a questo, Sandokan?
- Le faremo correre, mio caro, - rispose la Tigre
della Malesia. - L'oceano è vasto, la nostra nave è la
più rapida, e dei trasporti inglesi da assalire per
privarli del loro carbone ne troveremo sempre. Non ho la
pretesa di poter continuare indefinitamente questa
guerra, ma prima di quel giorno in cui noi avremo recati
enormi danni ai nostri avversari, tali da fare loro
rimpiangere il giorno in cui ci hanno cacciati dalla
nostra isola.
Accese il suo splendido narghilè, prese sotto il
braccio l'indiano e dopo d'aver passeggiato per qualche
minuto fra la ruota del timone e le torri poppiere,
disse:
- Sai che il capitano va migliorando?
- sir Moreland? - chiese Tremal-Naik.
- Sì, malgrado l'orribile ferita, non ha che una
leggera febbre. Il signor Held è stupefatto e credo che
abbia ragione. Che fibra meravigliosa ha quell'uomo!
- Ti ha riconosciuto?
- Sì, anche or ora.
- Deve esser rimasto stupefatto di vedersi in nostra
mano. Non credeva certo di dover trovarsi così presto
coi suoi antichi prigionieri. Dorme?
- Sì e anche tranquillamente.
- Non ci darà dei fastidi quell'uomo?
- Può darsi, ho dei progetti su di lui.
- Quali?
- Non so ancora nulla per ora, - disse Sandokan. - Ci
penserò a che cosa potrà giovarci. Cerchiamo innanzi a
tutto di farcelo amico. Ci deve bene un po' di
riconoscenza per averlo strappato alla morte.
- Indovino il tuo pensiero, - disse Tremal-Naik. - Tu
speri di aver da lui qualche notizia sul figlio di
Suyodhana.
- È vero, - rispose Sandokan. - Combattere un nemico
sconosciuto, che non si sa dove si trovi, nè che cosa
stia tramando, inquieta assai. Bah! Un giorno o l'altro
si svelerà, si mostrerà, suppongo, e quel giorno la
Tigre divorerà anche il tigrotto dell'India.
Il dottor Held era in quel momento comparso sulla
porta del quadro. Quell'americano, che come abbiamo
detto, aveva accettato le proposte fattegli da Sandokan,
proposte che potevano costargli però la vita, era un
bel giovane di ventisei o vent'otto anni, alto,
piuttosto magro, dallo sguardo intelligentissimo e vivo,
colla fronte spaziosa ed il viso roseo come quello d'una
fanciulla, adorno d'una barbetta bionda tagliata a
punta.
- E dunque, signor Held? - gli chiese Sandokan
muovendogli sollecitamente incontro.
- Ormai rispondo della sua guarigione, - rispose il
medico. - Fra quindici giorni quell'uomo starà
perfettamente bene. Quegli anglo-indiani hanno la pelle
ben dura.
La campana che annunciava il pranzo interruppe la
loro conversazione.
- A tavola o Yanez s'impazienterà, - disse Sandokan.
Mentre scendevano nel salone del quadro, il Re del
Mare continuava la sua corsa verso il sud-sud-ovest.
L'oceano era sempre deserto, percorrendo la nave una
zona pochissimo frequentata dai velieri e dai piroscafi,
i quali ordinariamente si tengono più al nord o più al
sud, gli uni per evitare le calme e gli altri per
evitare i banchi sottomarini che sono numerosissimi
intorno alle coste di Borneo.
Di quando in quando una banda di volatili calavano
sulle coffe degli alberi, prendendone possesso e
lasciandosi avvicinare dai marinai senza dimostrare di
spaventarsi.
Erano dei grossi uccellacci, specie di procellarie
giganti, colle penne brune, chiamati dai marinai
rompitori d'ossa e dagli scienziati quebranta huesos,
formidabili pescatori, armati d'un rostro così acuto e
così robusto che permette loro di affrontare i più
grossi pesci, colpendoli mortalmente nel cranio.
Anche qualche splendido albatro veniva a volteggiare
intorno alla nave, salutando i marinai con dei grugniti
da porco e attraversando senza paura la tolda,
nonostante le fucilate che sparavano i malesi.
Magra selvaggina però, perchè se sembravano
immensi, misurando le loro ali unite perfino tre metri e
mezzo, è molto se i loro corpi pesano otto o dieci
chilogrammi, senza contare poi che le loro carni sono
coriacee e impregnate d'un pessimo odore di pesce.
Comunque erano ammirabili nei loro voli, essendo dei
volteggiatori straordinari. Certi momenti rimanevano
quasi immobili al di sopra dell'incrociatore, vibrando
appena le loro gigantesche ali, poi partivano come
fulmini e calavano in mare a pescare i piccoli
cefalopodi, i loligo, dei quali si nutrono di
preferenza.
Le prede d'altronde non mancavano a quegli avidissimi
volatili, perchè le acque dell'oceano si mostravano
straordinariamente ricche di pesci, con molto piacere
anche dei marinai, i quali o con reticelle o con
fiocine, nonostante la rapidità dell'incrociatore,
s'ingegnavano di prenderli onde variare la minuta di
bordo.
Oltre a grosse bande di dorate, di piccoli delfini e
di serpenti di mare, lunghi un metro, di forma
cilindrica, colla pelle bruna nera e la coda gialla, si
vedevano a galleggiare un numero sterminato di diodon,
pesci assai strani, che abitano quasi esclusivamente le
zone torride e che hanno l'abitudine di navigare col
ventre in aria e di gonfiarsi fino a diventare
completamente rotondi.
Salivano dagli abissi dell'oceano a centinaia e
centinaia, mostrando le loro spine acute che coprono i
loro corpi, facendoli rassomigliare ai ricci terrestri,
a tinte però svariate, bianche, violacee o macchiate in
nero, mentre in mezzo a loro sfilavano, coi tentacoli al
vento onde approfittare del menomo soffio d'aria, lunghe
file di nautilus.
Di quando in quando un improvviso terrore si
manifestava fra tutti quegli abitanti dell'oceano
tropicale. Le dorate scomparivano precipitosamente, i
diodon si sgonfiavano rapidamente, lasciandosi colare a
picco; i nautilus ripiegavano i loro tentacoli,
rovesciavano la loro conchiglia navigante fino allora
come una leggera barchetta, e si sommergevano.
Un nemico terribile e avidissimo, si era bruscamente
scagliato in mezzo alle bande colla formidabile bocca
spalancata, irta di denti acuti come quelli delle tigri.
Era un vorace charcharias, un pescecane di cinque o sei
metri di lunghezza, che aveva sparso quell'improvviso
terrore, un nemico pericoloso anche per gli uomini.
Con rapidità fulminea ingoiava i ritardatari, poi
scompariva, sempre preceduto dal suo pilota, un grazioso
pesciolino colla pelle azzurra porporina, a striscie
nere, non più lungo di venticinque centimetri e che
serve di guida al suo formidabile padrone e protettore.
Cessato però il pericolo, le dorate ricomparivano
giuocherellando e i diodon si rigonfiavano ballonzolando
sulle onde e le splendide conchiglie dei nautilus dai
margini di madreperla raddrizzavano gli otto tentacoli
leggermente arrotondati all'estremità.
Verso il tramonto, quando Sandokan e Yanez scesero
nella cabina dove trovavasi l'anglo-indiano,
constatarono con piacere che il ferito si trovava in
condizioni migliori che al mattino. La febbre era quasi
cessata e la ferita, sapientemente cucita dall'abile
americano, non dava più sangue.
Quando entrarono, sir Moreland stava parlando, con
voce abbastanza chiara, col signor Held, chiedendo
informazioni sulla potenza della nave corsara.
Vedendoli, l'anglo-indiano fece uno sforzo per
alzarsi a sedere; Sandokan con un gesto glielo impedì.
- No, sir Moreland, - disse. - Siete troppo debole e
per ora dovete evitare qualsiasi sforzo. È vero, mio
caro Held?
- La ferita potrebbe riaprirsi, - rispose il dottore.
- Vi ho proibito, Sir, di fare qualsiasi movimento.
L'anglo-indiano porse la mano all'americano, a Yanez
e a Sandokan, dicendo loro:
- Grazie di avermi salvato, signori, quantunque
avessi desiderato di affondare assieme alla mia nave ed
ai miei disgraziati marinai.
- Vi è sempre tempo a morire per un marinaio, -
rispose Yanez, sorridendo. - La guerra non è ancora
finita, anzi per noi è appena cominciata.
Una nube oscurò la fronte dell'anglo-indiano.
- Credevo che la vostra missione terminasse colla
liberazione di quella fanciulla e di suo padre, - disse.
- Non avrei acquistata una nave di tale potenza per
una simile impresa, - disse Sandokan. - I miei prahos
sarebbero stati sufficienti.
- Sicchè voi continuerete a corseggiare?
- Sì e finchè avrò un solo uomo ed un pezzo
d'artiglieria servibile.
- Io vi ammiro, signori, ma credo che le vostre corse
finiranno presto. L'Inghilterra ed il rajah non
tarderanno a farvi inseguire dalle loro squadre. Come
resisterete voi a simili attacchi? Il carbone vi verrà
meno e sarete costretti ad arrendervi o a farvi colare a
picco dopo una inutile resistenza.
- Lo vedremo...
Poi Sandokan, cambiando bruscamente tono, chiese:
- Come state, sir Moreland?
- Relativamente bene; il dottore mi assicura che io
potrò alzarmi fra una diecina di giorni.
- Avrò molto piacere di vedervi passeggiare sul
ponte della mia nave.
- Sicchè contate di tenermi prigioniero, - disse
l'anglo-indiano, sorridendo.
- Anche se volessi rendervi la libertà in questo
momento non potrei farlo, perchè siamo ben lontani
dalle coste.
- Risalite verso il nord?
- No, sir Moreland, andiamo invece verso il sud;
desidero vedere la foce del Sarawak.
- Vi comprendo, signore. Tenterete un colpo di mano
sui depositi di carbone del rajah.
- Non lo so ancora.
- Signor Sandokan, desidererei una spiegazione, se lo
permettete.
- Parlate, sir Moreland, - rispose la Tigre della
Malesia. - Poi, se me lo permettete, vi farò anch'io
qualche interrogazione.
- Desidererei sapere perchè avete coinvolto nella
guerra anche il rajah di Sarawak.
- Perchè noi siamo convinti che egli sia il
protettore dell'uomo misterioso che ha scatenato contro
di noi gli inglesi di Labuan e che in un solo mese ci ha
recato tanti danni.
- Chi è costui?
Sandokan fissò sull'anglo-indiano uno sguardo
acutissimo, come se avesse voluto leggergli fino in
fondo al cuore, poi disse:
- È impossibile che voi, che appartenete alla marina
del rajah, non lo abbiate conosciuto.
Qualche cosa, come un fremito, passò sul viso di sir
Moreland, il quale rimase per qualche istante muto.
- No, - disse poi, - non ho mai veduto l'uomo a cui
voi alludete. Ho udito però a narrare che un individuo
misterioso, che pare possegga delle ricchezze favolose,
ha visitato il rajah, mettendogli a sua disposizione
navi e uomini per vendicare James Brooke.
- Un indiano, è vero?
- Non lo so, - rispose sir Moreland. - Io non l'ho
mai veduto.
- È quell'uomo che ha spinto gli inglesi ed il rajah
contro di noi?
- Così mi hanno narrato.
- Il figlio d'un famoso capo di thugs indiani.
- Non ve lo saprei dire.
- E vuole misurarsi colle tigri di Mompracem?
- Ed è anche certo di vincervi.
- Cadrà come è caduto suo padre e come è caduta
tutta la sua setta, - disse Sandokan.
Un secondo fremito passò sul viso
dell'anglo-indiano, mentre negli occhi nerissimi
balenava come una fiamma. Stette un'altra volta qualche
istante muto, come se qualche improvviso pensiero lo
turbasse, poi disse:
- L'avvenire ve lo dirà.
Poi, cambiando bruscamente discorso, chiese:
- Sono sempre a bordo quell'indiano e sua figlia?
- Non ci lasceranno, perchè la loro sorte è unita
alla nostra, - rispose Sandokan.
Sir Moreland si lasciò sfuggire un sospiro e
s'abbandonò sul guanciale.
- Riposate tranquillo, - gli disse Sandokan. - Non
accadrà nulla questa notte.
- Uscì insieme a Yanez e salì sul cassero. Surama e
Darma stavano prendendo il fresco, chiacchierando con
Tremal-Naik.
Vedendo Yanez, Darma gli si appressò, interrogandolo
collo sguardo.
- Tutto va bene, - le sussurrò il portoghese col suo
solito sorriso.
- Potrò visitarlo?
- Domani nessuno te lo impedirà, se...
La frase gli fu spezzata dal grido della vedetta
istallata sulla coffa dell'albero di trinchetto:
- Fumo all'orizzonte! Guarda all'ovest!
Quel grido aveva fatto balzare in piedi Sandokan, che
si era appena allora seduto presso Tremal-Naik e fatto
accorrere in coperta tutto l'equipaggio.
Sul cielo ancora fiammeggiante, non essendosi il sole
ancora completamente immerso, si vedeva una sottile
colonna di fumo alzarsi nella limpida e tranquilla
atmosfera.
- Che sia qualche nave da guerra in cerca di noi? -
chiese Yanez, - o un pacifico piroscafo in rotta per
Sarawak?
- Sospetto più che sia una nave da guerra, - disse
Sandokan, che aveva puntato un cannocchiale recatogli da
Sambigliong. - Ah! Toh! Sembra che si allontani verso
l'ovest; il pennacchio di fumo si è piegato verso la
nostra parte.
- Che ci abbia scorti? - chiese Tramal-Naik, che li
aveva raggiunti.
- Come noi ci siamo accorti della sua presenza, è
probabile che il suo comandante abbia veduto anche il
nostro fumo.
- Mi viene un sospetto, - disse Yanez.
- Quale?
- Che sia qualche esploratore.
- È possibile, Yanez, - rispose Sandokan.
- Che cosa risolvi di fare?
- Seguirlo a distanza. Domani, ai primi albori, ci
metteremo in caccia e tanto peggio per lui se appartiene
alle squadre del rajah o di Labuan. Passeremo la notte
in coperta.
Le tenebre che calavano rapidissime non permettevano
più di poter scorgere quel pennacchio di fumo, ma il Re
del Mare aveva messa la rotta a ponente per seguirlo
nella sua rotta.
Colle sue poderose macchine era certo di raggiungerlo
prima dell'alba e di catturarlo o di affondarlo colle
sue formidabili artiglierie.
La guardia franca, per precauzione, era stata tenuta
in coperta, potendo darsi che durante la notte gravi
avvenimenti accadessero.
- A dodici nodi! - aveva comandato Sandokan. - Lo
seguiremo da presso.
Il comando era stato appena dato che il Re del Mare
ripartiva colla prora a ponente.
La notte era splendida, una vera notte tropicale
piena di fascino e d'incanto, come solo si possono
vedere in quelle regioni delle calme quasi eterne.
Quantunque il sole fosse scomparso da parecchie ore,
pareva che avesse lasciato dietro di sè una porzione
della sua luce, perchè nel firmamento non regnava
oscurità completa. Un vago chiarore, scialbo, d'una
trasparenza incredibile, regnava lassù e si proiettava
sulle acque dell'oceano, permettendo agli uomini di
quarto di spingere i loro sguardi a distanze infinite.
Le acque, tratto tratto, parevano incendiarsi. Dai
profondi abissi del mare salivano a battaglioni le
meduse, mentre gli splendidi anemoni schiudevano le loro
brillanti corolle rosee, bianche azzurre, gialle e
violette, ondeggiando mollemente le loro frange
sfolgoranti.
In mezzo a quelle ondate di luce sottomarina, di
quando in quando si vedevano scivolare dei mostri, i
quali spargevano il terrore e la confusione fra quei
molluschi.
Ora erano dei charcharias, pericolosi e sempre
affamati squali; ora dei calamari giganti dal becco da
pappagallo, gli occhi glauchi e fissi e i tentacoli
coperti da ventose. Ora invece, una massa enorme
appariva bruscamente a galla, lanciando in alto spruzzi
fiammeggianti e ricadendo poi con un tonfo cupo.
Era una balenottera dal dorso nero-verdastro, lunga
una quindicina di metri, cetaceo ancora abbastanza
comune nei mari intertropicali, nonostante la caccia
accanita delle navi baleniere.
Sandokan e Yanez, quantunque la giornata fosse stata
assai faticosa e nessun pericolo, almeno apparentemente,
minacciasse la loro nave, non si erano coricati. Non era
già per godersi quella splendida notte, nè per
ammirare i fulgori variopinti degli anemoni, spettacoli
oramai troppo noti a loro, vecchi naviganti dei mari
della Malesia.
Un segreto timore li tratteneva sul ponte.
Camminavano con una certa agitazione, fermandosi sovente
per fissare i loro sguardi verso ponente.
Quel fumo li preoccupava vivamente, temendo che quel
legno fosse l'avanguardia di qualche flottiglia.
- Hai scorto qualche cosa? - chiese Yanez, verso la
mezzanotte, vedendo Sandokan arrestarsi per la decima
volta e puntare il cannocchiale verso ovest.
- Io giurerei d'aver veduto, alcuni minuti or sono,
un punto bianco, splendidissimo, brillare nella
direzione ove è scomparso quel pennacchio di fumo, -
rispose la Tigre.
- Il fanale del trinchetto di quella nave oppure una
stella?
- No, Yanez: nè l'uno nè l'altra.
Poi, dopo una breve pausa, riprese:
- Credi tu che la squadra di Labuan non ci cerchi?
Non sarà certo rimasta inoperosa a Victoria, dopo la
nostra dichiarazione di guerra.
- Colla velocità che possediamo, non ci sarà
difficile lasciarla indietro.
- Ed il carbone ci mancherà presto, - rispose
Sandokan. - Le nostre carboniere sono ormai semi-vuote.
- Ci riforniremo a spese del rajah.
- Se potremo giungere alla foce del Sarawak.
- Che cosa temi?
Sandokan non rispose. Guardava attentamente sempre
verso ponente, percorrendo tutta la linea
dell'orizzonte. Ad un tratto abbassò il cannocchiale.
- Un lampo, - disse.
- Dove, Sandokan?
- È brillato nella direzione presa da quella nave.
Mi parve un lampo di luce elettrica.
- Sì, signore, - confermò l'americano Horward, che
per un momento aveva lasciato la sala delle macchine. -
L'ho scorto anch'io.
- Che quella nave corrisponda con qualche altra? -
chiese Yanez.
- È quello che temo. - rispose Sandokan. -
Fortunatamente l'orizzonte è chiaro e vedremo subito il
nemico. Signor Horward, date ordine in macchina che si
preparino a portare la nostra velocità a quattordici
nodi. Sono curioso di sapere chi potrà gareggiare con
noi.
- L'americano aveva appena trasmesso il comando,
quando un nuovo lampo balenò nella direzione di prima.
Pareva che una lampada elettrica di grande potenza,
avesse proiettato un ampio fascio di luce sull'oceano.
Un momento dopo una sottilissima striscia di fumo
s'alzò sull'orizzonte.
- Un razzo, - disse Yanez. - Sono due navi che
corrispondono e una deve essere quella che è fuggita al
nostro avvicinarsi. Segnala di certo la nostra rotta.
- Signor Sandokan, - disse l'americano. - Se non
m'inganno vedo un punto nero scorrere sull'oceano. Sta
attraversando un tratto d'acqua fosforescente.
- Un punto! Allora non può essere una nave.
- E che si muove con rapidità straordinaria, a
quanto pare.
- Che sia qualche scialuppa a vapore?
Allungò nuovamente il cannocchiale, mantenendolo
orizzontale per qualche minuto. Il punto nero, che
ingrandiva rapidamente, aveva attraversato la zona
fosforescente confondendosi colla tinta cupa delle
acque, ma più oltre ve n'era una seconda formata da
migliaia di nottiluche, di anemoni e di meduse.
- Sì, sembra una grossa scialuppa a vapore, - disse
Sandokan. - Non è che a duemila metri. La manderemo a
far compagnia alle meduse. Mastro Steher! |