14. La nave americana
La sconfitta delle tigri di Mompracem era oramai
questione di minuti.
Il praho di Tremal-Naik, stretto dalla scialuppa a
vapore e dalle due doppie barche, colla prora
sgangherata che beveva acqua in quantità, era stato
subito preso d'assalto nonostante la disperata
resistenza dell'equipaggio e stava per scomparire negli
abissi del mare.
Yanez, con una emozione facile a comprendersi, aveva
veduto Tremal-Naik, Darma e pochi superstiti trascinati
nella scialuppa a vapore, la quale aveva subito preso il
largo verso il sud, filando velocemente senza più
occuparsi della battaglia.
Sul secondo praho non rimanevano che sette uomini,
mentre il giong ne aveva tre volte tanti e portava
grossi pezzi in paragone all'unica e vecchia spingarda.
Per di più le doppie barche accorrevano da tutte le
parti per finirla ed aiutare il grosso veliero.
Non rimaneva che arrendersi o lasciarsi affondare.
Già una bordata di mitraglia aveva fatto cadere a pezzi
le due vele di giunchi, togliendo così a Yanez ogni
speranza di poter raggiungere l'isola che si trovava
ancora a otto o dieci gomene di distanza e di salvarsi
sotto le folte foreste.
I sette valorosi nondimeno non avevano cessato di far
fuoco, bruciando freddamente le loro ultime cartuccie.
Il portoghese ne dava l'esempio, sparando senza posa,
con una calma meravigliosa, senza levarsi dalle labbra
la sua ultima sigaretta che si era promesso di finire
prima di andarsene all'altro mondo.
Il giong, che aveva conservato tutte le sue vele,
correva addosso al povero praho immobilizzato, per
abbordarlo o per sfasciarlo con una vigorosa speronata.
Aveva sospeso il fuoco delle sue artiglierie, giudicando
inutile sprecare le munizioni, tanto era oramai sicuro
di aver facilmente ragione su quel pugno di prodi.
- Su, tigri di Mompracem, - gridò Yanez, vedendo che
l'equipaggio del veliero preparava i grappini
d'abbordaggio. - Una scarica ancora e poi mano ai
parangs! Saremo noi che salteremo sul ponte del giong.
Quei sette demoni che preferivano la morte alla resa,
avevano scaricate le loro carabine ed impugnate le
pesanti sciabole, quando una violenta detonazione
rimbombò dietro di loro, propagandosi pel lontano
orizzonte.
Un istante dopo una nuvola di fumo s'alzava sulla
poppa del giong e l'albero maestro spaccato di colpo
dallo scoppio di qualche obice, cadeva pesantemente in
coperta, assieme all'immensa vela che portava, coprendo
i combattenti come sotto un gigantesco sudario.
Yanez, sorpreso che qualcuno potesse accorrere in suo
aiuto e proprio in quel momento, quando pareva che la
fine fosse oramai prossima, si era vivamente voltato.
Una magnifica nave a vapore, di grandi dimensioni,
formidabilmente montata da uomini vestiti di bianco,
degli europei senza dubbio, girava in quel momento la
punta settentrionale di Gaya, dirigendosi velocemente
sul luogo della pugna.
- Amici, Tigrotti! Siamo salvi! - gridò mentre un
secondo obice fracassava il timone del giong ed un terzo
spaccava in due una delle scialuppe doppie.
Con un salto fu sulla murata poppiera e facendo
porta-voce colle mani, gridò ripetutamente:
- A me, Europei!
Un quarto colpo di cannone, che aprì una falla
enorme alla linea di galleggiamento del giong, fu la
risposta; gli uomini che montavano quella superba nave
dovevano essersi accorti che sui praho vi era un uomo
bianco, un uomo appartenente alla loro razza che correva
un estremo pericolo e, senza chiedere spiegazioni,
cannoneggiavano bravamente il grosso veliero, che era
invece montato da selvaggi.
Sul ponte di comando si vedevano alcuni ufficiali
fare dei gesti, come per rassicurare il portoghese.
Le doppie scialuppe, vedendo avanzarsi quel colosso
di ferro, si erano affrettate a scappare verso l'isola,
abbandonando il giong alla sua sorte, tanto più che non
avevano più nemmeno l'appoggio della scialuppa a
vapore, scomparsa già verso il sud coi prigionieri.
Il veliero, colpito già da tre obici, si era
inclinato su un fianco, imbarcando acqua per lo squarcio
che doveva essere stato gravissimo. I suoi uomini, dopo
d'aver scaricato i loro pezzi contro la nave,
cominciavano a saltare in acqua per non venire attratti
dal gorgo.
- Amici! - gridò Yanez. - Ai remi! Andiamo a cercare
il pellegrino!
Mentre la nave a vapore metteva in acqua due
scialuppe, montate da due dozzine d'uomini armati di
carabine, i pirati di Mompracem, impadronitisi dei remi,
spinsero il praho addosso al giong il quale cominciava
ad immergersi.
A bordo non erano rimasti che dei morti e qualche
ferito. Tutti gli altri nuotavano disperatamente verso
l'isola, dove erano già giunte le scialuppe doppie.
Yanez, Kammamuri e Sambigliong si issarono
rapidamente a bordo del veliero, slanciandosi verso il
cassero dove supponevano si trovasse il pellegrino.
Non si erano ingannati. Il loro misterioso ed
implacabile avversario, giaceva su una vecchia vela, coi
pugni stretti sul petto, comprimendosi una ferita
prodotta probabilmente dalla palla della carabina di
Yanez. Non era morto, poichè appena si vide presso quei
tre uomini, con uno scatto improvviso s'alzò sulle
ginocchia e strappatesi dalla cintura una pistola dalla
canna lunghissima, tentò di far fuoco. Kammamuri, a
rischio di ricevere la scarica in pieno petto, gli si
era gettato prontamente addosso, strappandogli l'arma.
- Credevo che fossi morto, - disse il maharatto, - ma
giacchè ti ritroviamo ancora vivo, ti ricacceremo
all'inferno.
Aveva volta l'arma contro il pellegrino e stava per
fracassargli il cranio, quando Yanez gli trattenne il
braccio.
- È più prezioso vivo che morto, - gli disse. - Non
commettiamo la sciocchezza di finirlo. Sambigliong,
prendi quest'uomo e portalo sul praho. Lesti; il giong
affonda!
Il veliero continuava a inclinarsi sul fianco
squarciato, minacciando di rovesciarsi. Yanez ed i suoi
compagni saltarono sul praho, mentre una delle due
scialuppe gettava un cavo per rimorchiarlo verso la
nave, la quale erasi arrestata a due gomene di distanza.
Tutto l'equipaggio, che era piuttosto numeroso, era
salito sulle murate del vapore, seguendo con viva
curiosità l'opera di salvataggio.
- Sono europei! - aveva esclamato Yanez, appena ebbe
terminato di far legare il pellegrino. - Che siano
inglesi?
- Per lo meno parlano inglese, - disse Kammamuri, che
aveva udito un comando dato dall'ufficiale che guidava
la scialuppa.
- Sarebbe comica che dovessimo la nostra salvezza a
dei nemici non meno accaniti dei dayaki.
Poi, con un profondo sospiro, aggiunse:
- E Tremal-Naik? E Darma? Che cosa sarà accaduto di
loro? Ah! Mio Dio!
- La scialuppa a vapore è scomparsa verso il sud,
signor Yanez.
- Non si è diretta verso la foce del Kabatuan? Sei
proprio sicuro?
- Sicurissimo: non sono stati consegnati ai dayaki.
- Ma allora chi erano costoro? Dove li avranno
condotti?
Una scossa lo interruppe. Il praho aveva urtato
contro la piattaforma inferiore della scala che era
stata subito abbassata.
Un uomo sui cinquant'anni, solidamente piantato, con
una barbetta brizzolata tagliata a punta, che indossava
una divisa di panno azzurro cupo con bottoni dorati ed
un berretto con gallone, attendeva sulla piattaforma
superiore.
Yanez pel primo balzò sui gradini e salì
rapidamente, dicendo al comandante della nave, in
inglese:
- Grazie, signore, del vostro aiuto. Ancora qualche
minuto e la mia testa andava ad aumentare la collezione
di quei terribili cacciatori di crani.
- Sono ben felice, signore, di avervi salvato, -
rispose il comandante, tendendogli la destra e dandogli
una stretta vigorosa. - Qualunque altro uomo bianco,
d'altronde, avrebbe fatto altrettanto. Con quei furfanti
non ci vuole misericordia, come non ci vogliono mezze
misure.
- Ho l'onore di parlare al comandante?
- Sì, signore...
- Yanez de Gomera, - rispose il portoghese.
Il comandante aveva fatto un soprassalto. Prese Yanez
per una mano, traendolo sulla tolda per lasciare il
passo libero a Sambigliong ed agli altri che portavano
il pellegrino e si mise a guardarlo con viva curiosità,
ripetendo:
- Yanez de Gomera! Questo nome non mi è nuovo,
signore. By God! Sareste voi il compagno di quell'uomo
formidabile che anni or sono ha detronizzato James
Brooke, lo sterminatore dei pirati?
- Sì, sono quello.
- Ero a Sarawak il giorno in cui Sandokan vi entrò
coi guerrieri di Muda Hassim e le sue invincibili tigri.
Signor de Gomera, sono ben felice di avervi prestato un
po' d'aiuto. Ma che cosa volevano quegli uomini da voi?
- È una istoria un po' lunga a narrarsi. Ditemi,
signore, voi non siete inglese?
- Mi chiamo Harry Brien e sono americano della
California.
- E questa nave che è così poderosamente annata,
meglio d'un incrociatore di prima classe?
- Oh molto meglio! - disse l'americano, sorridendo. -
Credo che finora non ve ne sia una seconda in tutta la
Malesia e nel Pacifico. Forte, a prova di scoglio, con
artiglierie formidabili e rapida come una rondine
marina.
Si volse verso i marinai che stavano loro d'intorno,
interrogando curiosamente i compagni del portoghese,
mentre il medico di bordo prodigava le prime cure al
pellegrino, dal cui petto usciva un filo di sangue.
- Date la colazione a quelle brave persone, - disse
loro. - E voi signor de Gomera, seguitemi nel quadro.
Ah! Che cosa devo fare del vostro praho?
- Abbandonatelo alle onde, comandante, - rispose il
portoghese. - Non vale la pena di prenderlo a rimorchio.
- Dove desiderate che vi sbarchi?
- Più vicino a Mompracem che vi sarà possibile, se
non vi spiace.
- Vi condurremo direttamente colà, si trova quasi
sulla mia rotta e la visiterò volentieri. Venite,
signor de Gomera.
Si diressero verso poppa e scesero nel quadro, mentre
la nave, dopo che i marinai ebbero issato le due
scialuppe e tagliati gli ormeggi del praho, riprendeva
la sua corsa verso il sud.
Il comandante fece portare una colazione fredda nel
salotto poppiero e invitò Yanez a dare l'assalto.
- Possiamo discorrere anche mangiando e bevendo, -
disse amabilmente. - La mia cucina è a vostra
disposizione, signor de Gomera, al pari della mia
cantina particolare.
Quando il pasto fu finito, l'americano conosceva già
tutte le disgraziate avventure toccate al suo commensale
sulla terra dei dayaki, per opera del misterioso
pellegrino e anche la pericolosa situazione in cui
trovavasi Sandokan.
- Signor de Gomera, - disse, offrendogli un manilla
profumato, - vorrei proporvi un affare.
- Dite, signor Brien, - rispose il portoghese.
- Sapete dove stavo per recarmi?
- Non lo saprei indovinare.
- A Sarawak per cercare di vendere questa nave.
Yanez si era alzato, in preda ad una visibile
commozione.
- Voi volete vendere la vostra nave! - esclamò. -
Non appartiene alla marina da guerra americana?
- Niente affatto, signor de Gomera. Era stata
costruita nei cantieri d'Oregon, per conto del sultano
di Shemmerindan, il quale voleva vendicare, a quanto mi
fu detto, suo padre uccisogli dagli olandesi nella
sanguinosa sconfitta inflitta a quei predoni molti anni
or sono.
- Nel 1844, - disse Yanez. - Conosco quell'isola4.
- Il sultano aveva già versato ai costruttori
un'anticipazione di ventimila sterline, promettendo
l'intero pagamento alla consegna della nave, ed un forte
regalo se fosse riuscita tale da poter sfidare
impunemente le navi olandesi. Non abbiamo lesinato e,
come avete potuto osservare, questo piroscafo vale
meglio d'un incrociatore di prima classe.
Disgraziatamente quando condussi la nave alla foce del
Cotti, fui informato che il sultano era stato
assassinato da un suo parente, ad istigazione degli
olandesi, a quanto pare, per evitare una nuova campagna.
Il suo erede non ne volle sapere della nave,
abbandonandoci l'anticipo fattoci.
- Quello là è una bestia, - disse Yanez. - Con un
simile piroscafo avrebbe potuto far tremare anche il
sultano di Varauni.
- Da Ternate ho telegrafato ai costruttori e mi hanno
incaricato di offrirla al rajah di Sarawak o a qualche
sultano. Signor de Gomera, vorreste acquistarla? Con
questa voi potreste diventare il re del mare.
- Vale? - chiese Yanez.
- Gli affari sono affari, signore, - disse
l'americano. - I costruttori chiedono cinquantamila
sterline.
- Ed io, signor Brien, ne offro sessantamila,
pagabili sul banco di Pontianak, a condizione che mi
lasciate il personale di macchina a cui offrirò doppia
paga.
- Sono gente che non rifiuterà, avventurieri della
più bella razza, pronti a chiudere ed aprire una
valvola ed a sparare il fucile.
- Accettate?
- By God! È un affare d'oro, signor de Gomera, e non
me lo lascerò sfuggire.
- Dove volete sbarcare col vostro equipaggio?
- A Labuan possibilmente, per prendere il postale che
va a Shangai, da cui troveremo facile imbarco per San
Francisco.
- Quando saremo a Mompracem farò mettere a vostra
disposizione un praho onde vi sbarchi in quell'isola, -
disse Yanez.
Estrasse un libriccino che teneva gelosamente
nascosto in una fascia che portava sotto la camicia, si
fece dare una penna e appose delle firme su diversi
biglietti.
- Ecco degli chèques per sessantamila sterline,
pagabili a vista sul banco di Pontianak, dove io e
Sandokan abbiamo un deposito di tre milioni di fiorini.
Signor Brien, da questo momento la nave è mia e ne
assumo il comando.
- Ed io, signor de Gomera, da comandante divento un
pacifico passeggero, - disse l'americano, raccogliendo
gli chèques. - Signor de Gomera, visitiamo la nave.
- Non mi occorre mi è bastato uno sguardo per
giudicarla. Solo desidero conoscere il numero delle
bocche da fuoco.
- Quattordici pezzi, fra cui quattro da trentasei,
un'artiglieria assolutamente formidabile.
- Mi basta: devo occuparmi del pellegrino. O egli mi
dice dove la scialuppa ha condotto Tremal-Naik e Darma o
lo martirizzo fino a che esalerà l'ultimo respiro.
- Conosco un mezzo infallibile per costringerlo a
parlare, l'ho appreso dalle nostre pelli-rosse, - disse
l'americano. - Sempre la rotta su Mompracem, signor de
Gomera?
- Ed a tiraggio forzato, - rispose il portoghese. -
È probabile che in questo momento Sandokan stia per
misurarsi cogli inglesi e non ha che dei prahos.
- E voi, signor de Gomera, avete a disposizione una
nave da cacciare tutti a fondo. Pezzi da 36! Faranno
saltare le cannoniere di Labuan come giuocattoli.
Lasciarono il quadro e salirono in coperta. La nave
filava a tutto vapore verso il sud-ovest, con una
velocità assolutamente sconosciuta ai piroscafi di
quell'epoca.
Quindici nodi all'ora e sei decimi. Chi avrebbe
potuto gareggiare con quel piroscafo americano che
filava come una rondine marina o poco meno? Yanez ne era
entusiasmato.
- È un fulmine! - aveva detto ad Harry Brien. - Con
tale nave, nè gli inglesi di Labuan, nè il rajah di
Sarawak mi fanno paura. Sandokan, se volesse, potrebbe
dichiarare la guerra anche all'Inghilterra!
Kammamuri in quel momento gli si appressò,
dicendogli:
- Signor Yanez, la ferita del pellegrino non ha
alcuna importanza. La vostra palla deve aver colpito
prima qualche cosa di duro, probabilmente l'impugnatura
del tarwar, che quell'uomo portava alla cintura e l'ha
colpito solamente di rimbalzo, strisciando su una
costola.
- Dov'è?
- In una cabina di prora.
- Signor Brien, volete accompagnarmi?
- Sono con voi, signor de Gomera, - rispose
l'americano. - Cerchiamo di strappare il velo che
nasconde quel misterioso personaggio.
Scesero nella corsia di babordo di prora ed entrarono
in una stanzetta che serviva d'infermeria.
Il pellegrino giaceva su una branda, guardato da
Sambigliong e da un marinaio della nave.
Era un uomo sui cinquant'anni magrissimo, dalla pelle
assai abbronzata, coi lineamenti fini come quelli degli
indiani delle alte caste e gli occhi nerissimi,
penetranti, animati da un fuoco sinistro.
Aveva i piedi e le mani legate e conservava un
mutismo feroce.
- Capitano, - disse Sambigliong a Yanez, - ho veduto
or ora il petto di quest'uomo e vi ho scorto un
tatuaggio rappresentante un serpente con una testa di
donna.
- Ecco la prova che egli è veramente un thug indiano
e non già un arabo maomettano, - rispose Yanez.
- Ah! Uno strangolatore! - esclamò l'americano,
guardandolo con vivo interesse.
Il prigioniero udendo la voce di Yanez aveva
trasalito, poi aveva alzato il capo, fissandolo con uno
sguardo ripieno d'odio.
- Sì, - disse, - sono un thug, un amico devoto di
Suyodhana, che aveva giurato di vendicare su Tremal-Naik,
su Darma, su te e più tardi sulla Tigre della Malesia
la distruzione dei miei correligionari. Ho perduto la
partita quando credevo di averla vinta: uccidimi. Vi è
qualcuno che penserà a vendicarmi e più presto di
quello che credi.
- Chi? - domandò Yanez.
- Questo è il mio segreto.
- Che io ti strapperò.
Un sorriso ironico sfiorò le labbra dello
strangolatore.
- E mi dirai anche dove quella scialuppa a vapore ha
condotto Tremal-Naik, Darma ed i miei Tigrotti sfuggiti
al fuoco dei tuoi lilà.
- Questo non lo saprai mai!
- Adagio, signor strangolatore, - disse l'americano.
- Permettetemi di avvertirvi che io conosco un mezzo
infallibile per farvi parlare. Non resistono nemmeno le
pelli-rosse, che sono d'una cocciutaggine incredibile.
- Voi non conoscete gli indiani, - rispose il thug. -
Mi ucciderete, ma non mi strapperete una sillaba.
L'americano si volse verso il suo marinaio
dicendogli:
- Prepara sul ponte un paio di tavole ed un barile
d'acqua.
- Che cosa volete fare, signor Brien? - chiese Yanez.
- Ora lo vedrete, signor de Gomera. Fra due minuti
quest'uomo parlerà, ve lo prometto.
- Voi, - aggiunse poi rivolgendosi a Sambigliong e a
Kammamuri, - prendete quest'uomo e portatelo in coperta. |