jwg-hopeh.jpg (3423 bytes)

De Bibliotheca
La biblioteca di Babele
Biblioteca Telematica
CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA
Testi senza diritti d'autore

jwg-hopem.jpg (3469 bytes)

jwg-hopebar.jpg (6982 bytes)

I PIRATI DELLA MALESIA

di: Emilio Salgari

jwg-hopeb.jpg (3509 bytes)

jwg-hopedot.jpg (1525 bytes)jwg-hopedot.jpg (1525 bytes)jwg-hopedot.jpg (1525 bytes)jwg-hopedot.jpg (1525 bytes)jwg-hopedot.jpg (1525 bytes)

jwg-hopen.jpg (3396 bytes)

PARTE PRIMA

LA TIGRE DELLA MALESIA

jwg-hopebar.jpg (6982 bytes)

 6. Da Mompracem a Sarawak

La Perla di Labuan, con la quale il capo dei pirati di Mompracem stava per intraprendere l'audace spedizione, era uno dei più grandi, dei più bei prahos che solcassero gli ampi mari della Malesia.
Stazzava centocinquanta o centosessanta tonnellate, il triplo dei prahos ordinari.
Strettissima aveva la carena, svelte le forme, alta e solida la prua, fortissimi gli alberi e amplissime le vele, i cui pennoni non misuravano meno di sessanta metri.
A vento largo, doveva filare come una rondine marinara e lasciarsi di gran lunga indietro i più rapidi steamers e i più veloci velieri d'Asia e d'Australia.
Non aveva nulla che potesse farla credere un legno corsaro. Né cannoni in vista, né equipaggio numeroso, né sabordi. Pareva un elegante praho mercantile con un carico prezioso nella stiva, in rotta per la Cina o per le Indie. Il più astuto lupo di mare si sarebbe ingannato.
Chi però fosse sceso nella stiva avrebbe potuto vedere di che merci il praho era carico. Non erano né tappeti, né ori, né spezie, né thè: erano bombe, fucili, pugnali, sciaboloni d'arrembaggio e barili di polvere in quantità sufficiente per far saltare due fregate di alto bordo.
Chi poi fosse entrato sotto il gran casotto (attap), avrebbe potuto vedere sei cannoni di lunga portata, posti sulle loro carrette, pronti a vomitare uragani di mitraglia e di palle, nonché due mortai da grosse bombe, grappini d'arrembaggio, asce, scuri e pesanti parangs, le armi favorite dei dayachi del Borneo. Girate le innumerevoli rocce e scogliere madreporiche, che rendevano inaccessibile l'entrata della piccola baia alle grosse navi, la svelta Perla di Labuan mise la prua verso la costa del Borneo, e precisamente verso il capo Sirik, che chiude ad occidente la vasta insenatura di Sarawak.
Il tempo era splendido e il mare tranquillo: in cielo pochi cirri color di fuoco: in mare nulla. Non una vela, non una traccia di fumo che segnalasse uno steamer all'orizzonte, non onde. La immensa distesa d'acqua color piombo era perfettamente tranquilla, quantunque soffiasse un leggero venticello fresco.
In meno di venti minuti, il veloce legno raggiunse l'estrema punta sud dell'isola, dietro la quale finiva di sfasciarsi lo scheletro dell'Young-India e prese il largo, inclinato civettuolamente a babordo, lasciando dietro la poppa una linea perfetta. Yanez e Kammamuri, condotta la vergine della pagoda nella più vasta e bella cabina di poppa, erano risaliti in coperta, dove Sandokan passeggiava con le braccia incrociate sul petto e il capo chino, immerso in profondi pensieri.
- Che ti pare del nostro legno? - chiese Yanez al maharatto, il quale, appoggiato al coronamento di poppa, guardava attentamente le coste dirupate di Mompracem che rapidamente svanivano in lontananza.
- Non mi ricordo di aver navigato su di un legno rapido come questo, signor Yanez - rispose il maharatto. - I pirati, a quanto pare, sanno scegliere i loro navigli.
- Hai ragione, mio caro. Non c'è piroscafo che tenga testa a questa valorosa Perla di Labuan. In pochi giorni, se questo vento non diminuisce, noi saremo in vista delle coste di Sarawak.
- Senza combattimenti?
- Ciò non si può sapere. In questo mare si conosce la Perla di Labuan e molti sono gli incrociatori che battono le coste del Borneo. Potrebbe darsi il caso che a qualcuno di loro saltasse il ticchio di misurarsi con la Tigre della Malesia.
- E se ciò accadesse?
- Perbacco, accetteremmo la sfida. La Tigre della Malesia, amico mio, non rifiuta mai un combattimento.
- Non vorrei che ci assalisse qualche grosso vascello.
- Non ci farebbe paura. Abbiamo nella stiva tante sciabole e tanti fucili da armare la popolazione di una città, tante bombe da affondare una flotta intera e tanta polvere da far saltare mille case.
- Ma solo ottanta uomini!
- Ma sai tu quali uomini sono i nostri?
- So che sono coraggiosi, ma...
- Sono dayachi, mio caro.
- Che cosa vuol dire?
- Gente che non ha paura di gettarsi contro una muraglia di ferro difesa da cento cannoni, quando sanno che al di là vi sono teste da tagliare.
- Danno la caccia alle teste, questi dayachi?
- Sì, giovanotto mio. I dayachi, che vivono per lo più nelle grandi foreste del Borneo, si chiamano head-hunters, ossia cacciatori di teste.
- Sono terribili compagni, allora.
- Formidabili.
- E anche pericolosi. Se una notte saltasse loro la brutta idea di decapitarci?
- Non aver paura, giovanotto. Rispettano e temono più noi che le loro divinità. Basta una parola, una sola occhiata della Tigre per farli diventare mansueti.
- E quando arriveremo a Sarawak?
- Fra cinque giorni, se non sopraggiungono accidenti.
- Burrasche, forse?
- Peuh - fece il portoghese alzando le spalle. - La Perla di Labuan, guidata da un lupo di mare come Sandokan, si ride dei più formidabili cicloni. Sono gli incrociatori, ti ripeto, che di quando in quando vengono a seccarci.
- Ve ne sono molti, dunque?
- Pullulano come le piante velenose. Portoghesi, Inglesi, Olandesi e Spagnoli hanno giurato una guerra a morte contro la pirateria.
- Sicché un bel giorno i pirati scompariranno.
- Oh, mai più! -esclamò Yanez, con profonda convinzione.
- La pirateria durerà finché vi sarà un solo malese.
- E perché?
- Perché la razza malese non si sente inclinata per la civiltà europea. Non conosce che il furto, l'incendio, il saccheggio, l'assassinio, terribili mezzi che le somministrano da vivere in abbondanza. La pirateria malese conta parecchi secoli di vita e continuerà per molti secoli ancora. È una eredità sanguinosa che si trasmette di padre in figlio.
- Ma non scema questa razza?? I continui combattimenti devono fare dei grandi vuoti.
- Poca cosa, Kammamuri, poca cosa! La stirpe malese è feconda come le piante velenose, come gli insetti nocivi. Morto uno, un altro ne nasce e il figlio non è meno valoroso né meno sanguinario del padre.
- La Tigre della Malesia è malese?
- No, è bornese e di una casta elevata.
- Ditemi, signor Yanez, come mai un uomo terribile che assalta vascelli, che trucida interi equipaggi, che saccheggia e incendia villaggi, che, infine, sparge ovunque il terrore, si è generosamente offerto di salvare il mio padrone che non ha mai conosciuto?
- Perché il tuo padrone fu il fidanzato di Ada Corishant.
- Conosceva, forse, Ada Corishant? - chiese Kammamuri, con sorpresa.
- Non l'ha mai veduta.
- Non capisco allora...
- Lo capirai subito, Kammamuri. Nel 1852, cioè cinque anni or sono, la Tigre della Malesia aveva raggiunto il culmine della sua potenza. Aveva molti e ferocissimi tigrotti, molti prahos, parecchi cannoni. Con una sola parola faceva tremare tutti i popoli della Malesia.
- Eravate anche allora insieme con la Tigre?
- Sì e da parecchi anni. Un giorno Sandokan fu informato che a Labuan viveva una fanciulla incantevole, bellissima, e si sentì vinto dal desiderio di contemplarla. Si recò a Labuan, ma fu scoperto da un incrociatore, vinto e ferito. Con infinite pene e affatto solo poté riparare sotto i boschi e di là giungere ad una casa abitata da... indovina da chi?
- Non lo saprei.
- Dalla fanciulla che voleva vedere.
- Oh! quale strana combinazione!
- La Tigre della Malesia non aveva amato fino allora che le lotte, le stragi, le tempeste. Ma, vista la fanciulla, se ne innamorò alla follia.
- Chi? La Tigre? E impossibile! - esclamò Kammamuri.
- Ti narro dei fatti veri - disse Yanez. - Amò la fanciulla, la fanciulla amò ardentemente il pirata e si accordarono per fuggire assieme.
- Perché fuggire?
- La fanciulla aveva uno zio capitano di marina, uomo ruvido, violento, nemico acerrimo della Tigre della Malesia. Passo sopra alle pugne tremende accadute fra inglesi e pirati, sulle disgrazie che toccarono alla Tigre, sul bombardamento di Mompracem, alle fughe. Ti dirò solo che Sandokan finalmente poté far sua la fanciulla e rifugiarsi a Batavia. Io e una trentina di tigrotti lo seguimmo.
- E gli altri?
- Erano tutti morti.
- E perché la Tigre tornò a Mompracem?
Yanez non rispose e il maharatto, sorpreso di non ricevere risposta, alzò gli occhi e lo vide asciugarsi rapidamente una lacrima.
- Ma voi piangete! - esclamò.
- Non è vero - disse Yanez.
- Perché negarlo?
- Hai ragione, Kammamuri. Anche la Tigre della Malesia, che non aveva mai pianto, vidi scoppiare in lacrime. Il cuore mi si stringe e un nodo mi serra la gola tutte le volte che io penso a Marianna Guillonk.
- Marianna Guillonk!... - esclamò il maharatto. - Chi è questa Guillonk?
- Era la giovinetta fuggita con la Tigre della Malesia.
- Parente di Ada Corishant?
- Cugina, Kammamuri.
- Ecco perché la Tigre ha promesso di salvare Tremal-Naik e la sua fidanzata. Ditemi, signor Yanez, è viva Marianna Guillonk?
- No, Kammamuri - disse Yanez con tristezza. - Sono due anni che dorme in una tomba.
- Morta?
- Morta!
- E suo zio?
- Vive ed è sempre in cerca di Sandokan. Lord James Guillonk ha giurato di farlo appiccare assieme a me.
- E dove si trova ora?
- Non lo sappiamo.
- Temete d'incontrarlo?
- Ti dirò che ho un presentimento. Ma... ai presentimenti già io non credo più. - Accese una sigaretta e si mise a passeggiare sul ponte. Il maharatto notò che quell'uomo, di solito così ilare, era diventato triste.
- Forse sono i ricordi che l'hanno reso malinconico - mormorò, e scese nella cabina della pazza.
Il vento continuava a mantenersi buono, anzi tendeva a crescere, accelerando la corsa della Perla di Labuan, la quale non tardò a raggiungere i sette nodi all'ora, velocità che le avrebbe permesso di guadagnare ii capo Sirik molto presto.
A mezzodì furono segnalate a babordo le Romades, gruppo d'isole situate a quaranta miglia dalla costa del Borneo, abitate per la maggior parte da pirati che se la intendevano a meraviglia con quelli di Mompracem. Alcuni prahos, anzi, raggiunsero la Perla di Labuan, augurando all'equipaggio e al suo capitano buona preda.
Qualche vela lontana, un brigantino e alcune giunche cinesi di forme pesanti e barocche, furono segnalati durante il giorno, ma la Tigre della Malesia, che temeva di arrivare dopo l'Helgoland e non voleva esporre i suoi uomini in un combattimento inutile, non si curò di quei navigli.
All'indomani, ai primi albori, fu segnalata Whale, isola considerevole, lontana centodieci miglia da Mompracem, cinta da scogliere innumerevoli che rendono oltremodo pericoloso l'approdo. Una cannoniera con bandiera olandese, che esplorava la costa cercando senza dubbio qualche legno corsaro, appena ebbe scorta la Perla di Labuan prese il largo a tutto vapore; il suo ponte, in un baleno, si coprì di marinai armati di carabine di lunga portata e gli artiglieri smascherarono a tribordo un grosso cannone.
- Aoh! - esclamò Yanez, avvicinandosi a Sandokan che guardava con occhio tranquillo la cannoniera. - Fratellino mio, quella bestia là ha fiutato qualcosa, perché pare che si prepari a darci la caccia.
- Non crederlo - rispose la Tigre. - Si accontenterà di seguirci.
- Non mi va troppo a sangue essere seguito da una cannoniera.
- Hai paura?
- No, fratello mio. Ma se quella cannoniera ci seguisse fino a Sarawak?
- Perché vuoi che ci segua a Sarawak? Se ha un sospetto ci darà battaglia e noi la coleremo a picco.
- Diffida, fratello. Mi si disse che James Brooke ha una buona flottiglia, che cambia assai spesso bandiera ed apparenza per dar la caccia ai pirati.
- Le conosco le astuzie di quel lupo di mare. So che talvolta, per attirare i pirati, disalbera la sua nave, il Realista, per mitragliarli appena giunti a tiro.
- È vero, Sandokan, che quel diavolo d'uomo ha sterminato quanti pirati battevano le coste di Sarawak?
- È vero, Yanez. Col suo piccolo schooner, il Realista, purgò le coste di mezzo Borneo, distruggendo tutti i prahos, incendiando i villaggi, cannoneggiando le fortezze. Quell'uomo ha del sangue nelle vene, non tanto però quanto ne hanno i pirati di Mompracem. Tremi il giorno in cui i miei tigrotti approderanno sulle sue terre.
- Vuoi misurarti con lui?
- Lo spero. La Tigre darà allo sterminatore dei pirati un colpo terribile, forse il colpo di grazia.
- Aho! - esclamò il portoghese.
- Cos'hai?
- Guarda la cannoniera, Sandokan. C'invita a mostrare la nostra bandiera.
- Non sarà certo la mia, quella che mostrerò.
- Quale allora? - chiese Yanez.
- Ehi, Kai-Malù, mostra a quei curiosi una bandiera inglese, olandese o portoghese.
Pochi istanti dopo, una bandiera portoghese sventolava a poppa del praho
La cannoniera, soddisfatta, prese quasi subito il largo, non già verso l'isola Whale, che si scorgeva ancora all'orizzonte, ma verso il sud.
Quella rotta fece aggrottare le ciglia alla Tigre della Malesia e al suo compagno.
- Uhm! - fece il portoghese. - C'è sotto qualche cosa.
- Lo so, fratello.
- Quella cannoniera si dirige verso Sarawak, ne sono certo, certissimo. Appena fuori di vista modificherà la sua rotta.
- Gli uomini che la montano sono furbi. Hanno fiutato in noi dei pirati.
- Che cosa farai?
- Nulla per ora. Quella cannoniera, oggi, cammina più di noi.
- Che vada ad aspettarci a Sarawak?
- È probabile.
- Ci tenderà forse un agguato alla foce del fiume, con la flotta di Brooke.
- Daremo battaglia.
- Non abbiamo che otto cannoni, Sandokan.
- Noi, ma l'Helgoland ne avrà più di noi. Lo vedrai, portoghese, ci divertiremo.
Per due giorni la Perla di Labuan navigò alla distanza di una trentina di miglia dalla costa del Borneo, segnalata dalla cima del monte Patau, gigantesco cono coperto di superbe foreste che si eleva a 1880 piedi sul livello del mare.
La mattina del terzo, dopo una breve calma, girava il capo Sirik, promontorio roccioso coronato da alcune isole e isolotti che chiude la vasta baia di Sarawak verso nord. Sandokan, che temeva di trovarsi da un istante all'altro dinanzi alla flottiglia di James Brooke, fece caricare i cannoni, nascondere due terzi dell'equipaggio; quindi innalzò la bandiera olandese. Dopo di che, mise la prua al capo Tanjong-Datu, che ad occidente chiude la baia, in vicinanza del quale doveva passare l'Helgoland proveniente dall'India. Verso il mezzodì dello stesso giorno, tra la generale sorpresa, la Perla di Labuan si imbatteva nella cannoniera olandese che tre giorni prima aveva incontrato nelle acque dell'isola Whale. Sandokan, nel vederla, lasciò andare un violento pugno sulla murata. - Ancora la cannoniera! - esclamò, aggrottando la fronte e mostrando i denti, bianchi e aguzzi come quelli di una tigre. - Tu vuoi che io faccia bere del sangue ai miei tigrotti.
- Ci spia, Sandokan - disse Yanez.
- Ma io la colerò a picco.
- Non lo farai, Sandokan. Un colpo di cannone può essere udito dalla flotta di Brooke.
- Io me ne rido della flotta del rajah
- Sii prudente, Sandokan.
- Sarò prudente, giacché lo vuoi, ma vedrai che quella cannoniera ci tenderà un agguato alla foce del Sarawak.
- Non sei la Tigre della Malesia, tu?
- Sì, ma abbiamo la vergine della pagoda a bordo. Una palla potrebbe colpirla.
- Coi nostri petti le faremo scudo.
La cannoniera olandese era giunta a duecento metri dalla Perla di Labuan. Sul suo ponte si vedevano il capitano, munito di un cannocchiale e, affollati a prua, una trentina di marinai armati di carabine. A poppa alcuni artiglieri circondavano un grosso cannone.
Girò due volte attorno al praho descrivendo un grandissimo semicerchio, poi virò di bordo mettendo la prua a sud, verso Sarawak.
La sua velocità era tale che in tre quarti d'ora non si scorgeva più che un sottile pennacchio di fumo. - Dannazione! - esclamò Sandokan. - Se mi torni a tiro ti mando a picco con una sola bordata. La Tigre, anche se non è di cattivo umore, non si lascia avvicinare tre volte impunemente.
- La ritroveremo a Sarawak - disse Yanez.
- Lo spero, ma...
Un grido che veniva dall'alto lo interruppe bruscamente.
- Eh! Uno steamer all'orizzonte! - aveva gridato un pirata che si teneva a cavalcioni del gran pennone di maestra.
- Un incrociatore, forse! - esclamò Sandokan il cui sguardo si accese.
- Da dove viene?
- Dal nord - rispose il gabbiere.
- Lo vedi bene?
- Non scorgo che il fumo e l'estremità dei suoi alberi.
- Se fosse l'Helgoland! - esclamò Yanez.
- È impossibile! Verrebbe dall'occidente, non già dal nord.
- Può aver toccato Labuan.
- Kammamuri! - gridò la Tigre.
Il maharatto, che si era issato sul coronamento di poppa, si slanciò giù correndo verso il pirata.
- Conosci l'Helgoland? - chiese la Tigre.
- Sì, padrone.
- Ebbene, seguimi!
Si slanciarono verso i paterazzi, s'inerpicarono fino alla estremità dell'albero di maestra e fissarono i loro sguardi sulla verdastra superficie del mare.

jwg-hopebar.jpg (6982 bytes)

jwg-hopeh.jpg (3423 bytes) jwg-hopeb.jpg (3509 bytes) Edizione HTML a cura di:
 mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
17/07/2005 21.00

jwg-hopen.jpg (3396 bytes)

jwg-hopem.jpg (3469 bytes)

jwg-hopeadlogo.jpg (6494 bytes)

jwg-hopebar.jpg (6982 bytes)