Il vecchio Jao non si era ingannato. Se la nuova società
del Duemila aveva pensato di relegare in quelle strane
città sottomarine gl'individui pericolosi, sopprimendo sui
loro bilanci le spese di mantenimento per esseri ormai
inutili, aveva però procurato loro degli asili sicuri,
d'una solidità a tutta prova per non esporli ad una morte
certa.
Così la città sottomarina, strappata dallo scoglio
dall'impeto dei cavalloni, non era diventata altro che una
città galleggiante, abbandonata è vero ai capricci delle
correnti e dei venti, ma che poteva aspettare benissimo
l'incontro di qualche nave marina o volante, purché qualche
bufera non la scaraventasse contro qualche ostacolo. Tutto
il pericolo stava lì.
L'acqua dolce non poteva mancare, essendovi dei potenti
distillatori elettrici che potevano fornirne in grande
quantità; i viveri nemmeno, perché reti ve n'erano in
abbondanza e si sa che gli oceani sono ben più ricchi dei
mari.
Disgraziatamente l'uragano aveva ben poca intenzione di
finire. Né le onde, né il vento accennavano a calmarsi,
minacciando di trascinare la città galleggiante in mezzo
all'Atlantico, poiché la bufera imperversava da levante.
La gigantesca cassa d'acciaio, dopo essere sprofondata,
era subito risalita a galla, rollando spaventosamente e
girando su se stessa.
Se i piloni d'acciaio avevano ceduto sotto gli urti
possenti delle onde, la cupola aveva meravigliosamente
resistito al tuffo e meglio ancora avevano resistito i tre
americani, il capitano ed il pilota del Centauro e Jao.
Aggrappati tenacemente alle traverse, avevano aspettato
che la città ritornasse a galla, opponendo una resistenza
disperata alle onde.
"Credevo che la nostra ultima ora fosse giunta"
disse Brandok dopo aver respirata una gran boccata d'aria.
"E tu, Toby?"
"Io mi domando se sono ancora vivo o se navigo sotto
l'Atlantico" rispose il dottore.
"Spero che sarai soddisfatto degli ingegneri che
hanno fatto costruire questa colossale cassa."
"Gente meravigliosa, mio caro. Ai nostri tempi non
sarebbero stati capaci di fare altrettanto."
"Ne sono pienamente convinto. Capitano, dove ci
spinge la tempesta?"
"Verso sud-ovest" rispose il comandante del
Centauro.
"Vi sono isole in questa direzione?"
"Le Azzorre."
"Andremo a sfracellarci contro di esse?"
"Ciò dipende dalla durata della bufera,
signore."
"Non vi pare che si calmi?"
"Niente affatto. Infuria sempre tremendamente e temo
che ci faccia ballare per molto tempo. Soffrite il mal di
mare?"
"Niente affatto."
"Allora tutto va bene."
"E se fra un paio di giorni questo cassone si
schiaccerà contro qualche scoglio, andrà anche allora
tutto bene?" chiese Holker, ridendo.
"Non l'abbiamo ancora incontrato quello scoglio,
quindi, finché non lo incontreremo, non abbiamo alcun
motivo per allarmarci" rispose il capitano del
Centauro. "Vi è però un'altra cosa che mi preoccupa
assai."
"Quale?"
"La risposta dovete darmela voi, Jao."
"Parlate, capitano."
"I vostri sudditi posseggono dei viveri?"
"Per due o tre giorni, non di più."
"E noi?"
"Prima che l'uragano scoppiasse, vi erano molti
pesci messi a seccare lungo le balaustrate, ma credo che il
mare abbia portato via tutto."
"Ne potremo avere dai forzati?"
"Forse, quando si saranno stancati di bere"
rispose Jao. "Vi sono però delle reti in un
ripostiglio della cupola."
"Ma nessun distillatore per procurarci
l'acqua..."
"Quassù no."
"Corriamo dunque il pericolo di morire se non di
fame, per lo meno di sete, se i vostri sudditi si
rifiuteranno di fornirci l'acqua. Ecco quello che
temevo."
"Abbiamo l'ascensore, capitano" disse Jao.
"Che ci servirà ottimamente per farci accoppare da
quei pazzi. Non sarò certamente io che scenderò nella
città per chiedere dell'acqua a quei furfanti. A proposito,
che cosa fanno? Che si siano accorti che la loro prigione
cammina attraverso l'Atlantico?"
"Io scommetterei di no" disse Toby.
"Che dormano?" chiese Brandok. "Non odo
più le loro grida."
"Andiamo a vedere" disse il capitano.
"Sono curioso di sapere se continuano a bere ed a
ballare."
Si spinsero verso il pozzo dell'ascensore.
Le lampade a radium ardevano sempre, ed un profondo
silenzio regnava nell'interno della città galleggiante.
Sulla piazza, in mezzo ad un gran numero di barili e d'ogni
sorta di rottami, dormivano dei gruppi di forzati, fulminati
di certo da quelle terribili bevute.
Altri giacevano stesi al suolo entro le case
semidistrutte, prive dei tetti. Un orribile tanfo saliva
sempre.
"Dormono come ghiri" disse Brandok.
"Sfido io, dopo una simile orgia!" rispose Toby
"Un barile di ammoniaca non basterebbe a rimetterli in
piedi."
"E noi approfitteremo del loro sonno" disse Jao.
"Per fare che cosa?" chiese il capitano del
Centauro.
"Per fare la nostra provvista d'acqua,
signore."
"Voi siete un uomo meraviglioso. Chi
scenderà?"
"Io."
"E se vi accoppano?"
"Non vi è alcun pericolo" disse Toby.
"Quei furfanti non si sveglieranno prima di
ventiquattro ore."
"Ed i miei marinai?" chiese il capitano
"Che siano stati uccisi?"
"Ne vedo qualcuno steso sulla piazza" disse il
pilota. "Essi non hanno potuto resistere alla
tentazione di fare una colossale bevuta, ed hanno fatto
causa comune coi forzati. Non contate più su di loro."
"Miserabili!"
"Sono tutti irlandesi; voi sapete quanto me se
quella gente beva, quando si presenta l'occasione."
"Non perdiamo tempo" disse Jao.
"Aiutatemi, signori."
L'ascensore fu sbloccato e l'ex governatore scese nella
città accompagnato dal pilota.
La sua prima preoccupazione fu di sfondare tutti i barili
pieni d'alcool che non erano stati ancora vuotati, e così
por fine a quell'orgia pericolosa; poi s'impadronì d'una
cassa di pesce secco e di un caratello d'acqua dolce.
Nessun forzato si era svegliato. Quei trecento e più
furfanti non si erano mossi e russavano con un fragore tale
da far tremare perfino i vetri della cupola.
L'ascensore risalì e fu subito bloccato perché non
potessero servirsene quelli che stavano sotto.
"Ora" disse Jao "possiamo aspettare
l'incontro di una nave. Per quindici giorni almeno non
correremo il pericolo di morire di fame e di sete."
"Ed i vostri sudditi ne avranno abbastanza per
resistere tanto?" chiese Brandok.
"Che crepino tutti! Sono dei miserabili che non
destano alcuna compassione" rispose Jao con rabbia.
"Io non mi occuperò più di loro."
"Eppure io temo invece che noi saremo costretti ad
occuparcene e molto" disse Brandok. "Quando si
risveglieranno e sentiranno la loro città ballare vorranno
salire anche loro e ci daranno non pochi fastidi."
"Ed io condivido il vostro pensiero, signore"
disse il capitano. "Avremo la tempesta sopra le nostre
teste e quei pazzi sotto di noi. La nostra passeggiata
attraverso l'Atlantico, prevedo che non sarà troppo
divertente. Chissà! Aspettiamo che il sole si mostri per
poter meglio giudicare la violenza e la durata di questo
ciclone."
Emergendo assai la città galleggiante dopo il suo
distacco dalla roccia, e non essendovi alcun pericolo che le
onde giungessero fino al culmine della cupola, i sei uomini
si sdraiarono presso l'orifizio del pozzo, per concedersi,
se era possibile, qualche ora di sonno.
L'enorme massa metallica subiva però dei soprassalti
così terribili e così bruschi da rendere impossibile una
buona dormita.
Le onde che si succedevano alle onde con furia sempre
maggiore, la scrollavano terribilmente e la facevano
talvolta girare su se stessa, essendo sprovvista di timoni.
Di quando in quando sprofondava pesantemente negli
avvallamenti, come se dovesse scomparire per sempre nei
baratri dell'Atlantico; poi si risollevava bruscamente con
mille strani fragori che impressionavano specialmente
Brandok, i cui nervi, già da qualche tempo, sembravano
fortemente scossi.
Talvolta s'alzava sulle creste dei cavalloni con un
dondolio spaventoso, quindi scendeva, scendeva, con
rapidità vertiginosa, roteando come una trottola.
E l'uragano intanto, invece di calmarsi, aumentava
sempre.
Lampi accecanti si succedevano senza tregua con un
crescendo terrorizzante, seguiti da tuoni formidabili che si
ripercuotevano sinistramente perfino dentro la città,
facendo vibrare le pareti di metallo, senza riuscire a
svegliare gli ubriachi.
Tutta la notte, l'enorme massa oscillò e girò, percossa
incessantemente dai cavalloni, i quali la spingevano verso
il Mar dei Sargassi piuttosto che verso le Azzorre, come
dapprima aveva creduto il capitano.
Finalmente, verso le quattro del mattino, un barlume di
luce apparve fra uno squarcio delle tempestose nubi.
L'Atlantico offriva uno spettacolo impressionante. Masse
d'acqua, coperte di spuma, si accavallavano rabbiosamente,
urtandosi e spingendosi.
Nessuna nave, né aerea, né marittima, appariva.
Solamente dei grossi albatros volteggiavano fra la spuma e
la caligine, grugnendo come porci.
"Nessuna speranza di venire salvati, è vero,
capitano?" chiese Brandok.
"Per ora, no" rispose il comandante del
Centauro.
"Dove ci spinge il vento?"
"Verso sud-ovest."
"Lontano dalle rotte tenute dalle navi?"
"Purtroppo, signore."
"Dove andremo a finire dunque?"
"Sarebbe impossibile dirlo, poiché il vento
potrebbe anche cambiare da un momento all'altro."
In quell'istante delle grida spaventevoli scoppiarono
nell'interno della città galleggiante.
I tre americani, il capitano, il pilota e Jao si
affrettarono a raggiungere la bocca del pozzo.
I forzati si erano svegliati e, presi chissà da quale
furioso delirio, si azzuffavano ferocemente fra di loro
armati degli attrezzi da pesca e di coltelli.
I miserabili cadevano a dozzine, immersi in veri laghi di
sangue, coi crani spaccati da colpi di rampone o coi petti
squarciati da colpi di coltello.
"Disgraziati, che cosa fate?" gridò Jao
inorridito.
La sua voce si perdette fra i clamori spaventevoli dei
combattenti.
Il capitano sparò alcuni colpi della sua rivoltella
elettrica, sperando che quelle detonazioni, troppo deboli,
però, attirassero l'attenzione di quei furfanti.
Nessuno vi aveva fatto caso: forse nemmeno un colpo di
cannone sarebbe stato sufficiente ad impressionarli.
"Lasciate che si scannino" disse Brandok.
"Tanti pessimi soggetti di meno."
"D'altronde, noi nulla potremmo fare per
calmarli" disse il capitano del Centauro. "Se
scendessimo, ci farebbero a pezzi."
"Io vorrei sapere per quale ragione si scannano a
quel modo" disse Holker.
"Sono ancora ubriachi, non lo vedete?" disse il
capitano. "Vomitano sangue e alcool insieme."
"Finitela!" gridava intanto, con quanta voce
aveva in gola Jao! "Basta, miserabili! Basta!"
Era fiato sprecato.
La strage orrenda continuava con maggior rabbia fra i due
partiti, formatisi chissà per quale motivo.
Combattevano sulla piazza, nelle viuzze, perfino dentro
le case, fra urla e bestemmie. Di quando in quando dei
gruppi si staccavano e correvano a rinforzarsi ai pochi
barili che il pilota e Jao non avevano veduto e sfondato;
poi, vieppiù eccitati, si scagliavano con furore nella
mischia.
Quella battaglia spaventosa durò più di una mezz'ora,
con grande strage da una parte e dall'altra; poi i
superstiti un centinaio appena, esausti, si separarono,
rifugiandosi chi nelle baracche semisfondate, chi negli
angoli più oscuri della città, lasciandosi cadere al suolo
come corpi morti.
"È finita" disse Brandok. "Che
ricomincino e tramutino la città galleggiante in una città
di morti?"
"Ecco un nuovo pericolo per noi" disse il
capitano del Centauro. "Chi getterà in mare quei tre o
quattrocento morti? Col calore che regna qui si
corromperanno presto e scoppierà fra i superstiti qualche
malattia che finirà per distruggerli."
"E che forse non risparmierà nemmeno noi,"
disse Toby "se non troveremo qualche mezzo per lasciare
questa città di morti."
"Per ora rassegnatevi, signori" disse il
capitano. "Non vedo alcuna terra sorgere
all'orizzonte."
"Il Centauro deve essere stato costruito quando
brillava una cattiva stella, mio caro capitano" disse
Brandok.
"Così pare. Non è stato che un continuo succedersi
di disgrazie. Chissà, aspettiamo la fine di questo poco
allegro viaggio. La città per ora non minaccia di
affondare, quindi abbiamo diritto di sperare."
Sembrava però che le speranze dovessero diventare ben
magre, poiché l'uragano continuava sempre ad infuriare,
sconvolgendo l'Atlantico per un tratto certamente immenso.
Nondimeno la città galleggiava sempre benissimo, ora
sollevandosi ed ora sprofondandosi fino a metà della
cupola.
Talvolta i cavalloni giungevano quasi fino presso i sei
uomini, i quali si tenevano bene aggrappati all'orlo del
pozzo, per paura di venire portati via.
La spuma talvolta li avvolgeva così fittamente che non
potevano distinguersi l'uno dall'altro, quantunque si
trovassero molto vicini.
Il sole era sorto da qualche ora, però i suoi raggi non
riuscivano ad attraversare l'enorme massa di vapori, sicché
sull'oceano regnava una semioscurità spaventosa.
A mezzodì i naufraghi mangiarono alla meglio qualche
boccone; poi, dopo essersi assicurati con delle reti alle
traverse dei vetri, cercarono di dormire qualche ora sotto
la guardia del pilota del Centauro.
Tutta la notte non avevano chiuso un solo istante gli
occhi, e specialmente Brandok e Toby si sentivano
estremamente stanchi ed in preda a dei tremiti convulsi, che
li impressionavano non poco.
Verso sera uno splendido raggio di sole ruppe finalmente
le nubi, illuminando di traverso le onde, essendo l'astro
prossimo al tramonto.
Il capitano, avvertito dal pilota, si era affrettato ad
alzarsi per cercare di conoscere, almeno
approssimativamente, dove l'uragano aveva spinto la città
galleggiante. Rimase subito colpito dalla presenza di enormi
masse di alghe che fluttuavano in mezzo alle onde.
"Lo temevo" disse aggrottando la fronte.
"Che cosa avete?" chiese Brandok con
apprensione.
"Miei cari signori, noi corriamo il pericolo di
venir fermati per sempre nella nostra corsa ed
imprigionati."
"Da chi?" chiesero ad una voce i tre americani.
"Dai sargassi. Se questo enorme cassone si caccia
fra quegli ammassi di alghe, non ne uscirà più, ve lo
assicuro io, a meno che un'altra tempesta non scoppi
soffiando in senso inverso."
"Ma voi capitano, avete la iettatura" disse
Brandok.
"Si direbbe davvero, purché invece non l'abbia Jao
o la sua città."
"Ci spinge proprio sui sargassi il vento?"
disse Toby.
"E le onde anzi lo aiutano" rispose il
capitano, che diventava sempre più inquieto.
"Tempesta, alghe, morti e persone pericolose sotto i
piedi" mormorò Brandok. "Non valeva proprio la
pena di ritornare in vita dopo cent'anni per provare simili
avventure."
"Ed i vostri amministrati che cosa fanno Jao?"
chiese il capitano.
"Russano in mezzo ai morti."
"Ancora! Meglio per noi. Se non si svegliassero più
sarei ben contento, poiché sono certo che ci daranno non
pochi fastidi quando finalmente apriranno gli occhi e non
troveranno più alcool per continuare la loro indecente
orgia. Attenzione! L'urto sarà abbastanza forte per
scaraventarvi in acqua se non vi terrete ben saldi."
L'Atlantico, che si trovava fermato nella sua corsa
furibonda, sferzato poderosamente dal vento che lo incalzava
senza tregua, raddoppiava la sua rabbia, cercando di
sfondare, ma invano, quelle interminabili masse di alghe,
saldamente intrecciate le une colle altre per mezzo d'un
numero infinito di radici.
Le ondate, non trovando sfogo, si ritorcevano su loro
stesse, provocando dei contrassalti d'una violenza
indescrivibile.
Immense cortine di spuma vagavano al di sopra dei
sargassi abbattendosi di quando in quando e lacerandosi
sotto i vigorosi soffi delle raffiche.
La città galleggiante rollava in modo inquietante,
tuffando i suoi fianchi nelle onde.
Tutte le sue balaustrate erano state strappate, però le
traverse d'acciaio delle invetriate resistevano sempre. Guai
se avessero ceduto sotto il peso immane dei cavalloni.
Nessuno dei forzati sarebbe di certo sfuggito all'invasione
delle acque.
Gli ultimi bagliori del crepuscolo stavano per
scomparire, quando la città galleggiante che continuava la
sua corsa verso il sud-ovest si trovò in mezzo alle prime
alghe.
"Ci siamo!" gridò il capitano, dominando per
un istante, colla sua voce tonante, i mille fragori della
tempesta. "Tenetevi saldi!"
Una montagna liquida sollevò la città, la tenne un
momento come sospesa in aria, poi la scaraventò innanzi con
forza inaudita.
Si udì un rombo sonoro, prodotto dalle pareti d'acciaio,
poi l'enorme massa rimase immobile, mentre le onde
attraversavano velocemente la cupola lasciando cadere entro
il pozzo dei torrenti d'acqua, i quali precipitarono sulle
teste degli ubriachi come una gran doccia salutare.
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