Yanez, che aveva dormito tranquillamente, come un uomo che non ha
fastidi, aveva appena aperti gli occhi e stava sbadigliando, quando
il chitmudgar, dopo aver bussato replicatamente entrò accompagnato
da un ufficiale del rajah.
- Mylord, - disse il maggiordomo, mentre l'ufficiale faceva un
grande inchino - sei aspettato dal principe.
- Aspettate cinque minuti, - rispose Yanez, tornando a
sbadigliare.
Balzò dal letto, si vestì con cura senza troppo affrettarsi, si
mise nella fascia le pistole e raggiunse il chitmudgar e l'ufficiale
che lo attendevano nel salotto dove era stato intanto approntato il
thè.
- Che cosa desidera S. A.? - chiese sorseggiando l'aromatica
bevanda con studiata lentezza.
- Lo ignoro mylord, - rispose l'ufficiale.
- È di cattivo umore forse?
- Mi sembra assai preoccupato stamane, mylord. Pare che vi sia
stata un po' di burrasca fra lui e l'altro uomo bianco.
- Ah! Il signor Teotokris! - esclamò Yanez quasi distrattamente.
- Già, l'altro uomo bianco è sempre di cattivo umore.
- È vero mylord!
- Così si fa temere.
- Tutti hanno paura di lui alla corte.
- Anche di me?
- Oh no, mylord. Tutti vi ammirano e sarebbero ben lieti di
vedervi al posto del favorito.
- Ecco una preziosa informazione - mormorò fra sé il portoghese.
Trangugiò in fretta l'ultimo sorso, chiamò i suoi fedeli malesi
e seguì l'ufficiale dicendo:
- Prepariamoci ad una burrasca. L'affare della commedia non
passerà certamente liscio.
Fortunatamente gli attori se ne sono andati, almeno lo spero. -
Scese lo scalone ed entrò nella sala del trono. S. A. Sindhia vi
era già, sdraiato come il solito su quella specie di letto, con
parecchie bottiglie di liquori disposti su un tavolino ed un gran
bicchiere colmo in mano.
- Ah! ben felice di vederti, mylord - disse appena Yanez entrò
seguìto dai malesi. - Ti aspettavo con impazienza.
- Io essere sempre a disposizione di V. Altezza, - rispose Yanez
nel suo fantastico inglese.
- Siedi presso di me, mylord. -
Yanez prese una sedia e la collocò sulla piattaforma, presso
quella specie di letto che serviva di trono.
- Mylord, - disse il rajah porgendogli un bicchiere di champagne,
- bevi questo. Non è avvelenato perché la bottiglia l'ho fatta
sturare in mia presenza ed ho assaggiato il liquido che conteneva.
- Io non avere paura di voi, Altezza - rispose Yanez. - Amare
molto vino bianco francese e bevere subito a vostra salute. -
Vuotò d'un colpo la tazza poi riprese:
- Ed ora io ascoltare tutto orecchi Vostra Altezza.
- Dimmi mylord, in quali rapporti sei col mio favorito?
- Cattivi, Altezza.
- Perché?
- Non sapere io. Greco non vedermi bene qui.
- Tu hai avuto una questione.
- Essere vero. Noi uomini bianchi rissare sempre quando non
appartenere istessa nazione. Io inglese, lui greco.
- Sai che vuole ucciderti?
- Aho! Io uccidere forse lui.
- Mi ha chiesto di offrire alla mia corte un combattimento
emozionante. Io amo i coraggiosi e mi piace vedere gli uomini a
difendere la propria vita valorosamente.
- Io essere pronto, Altezza.
- Quale arme hai scelto, mylord?
- Io avere lasciato scelta a tuo favorito.
- Sai dove vi misurerete?
- Io non sapere niente.
- Nel mio cortile. Il duello sarà pubblico e tutta la mia corte
vi assisterà. Così desidera il mio favorito.
- Benissimo, - rispose Yanez con indifferenza.
- Tu hai un coraggio meraviglioso, mylord.
- Io non avere mai paura, Altezza.
- Io ho scelto l'ora.
- Quale?
- Due ore prima del tramonto noi saremo tutti raccolti nel
cortile d'onore. Stanno già i miei servi preparando i padiglioni.
- Noi dare ora commedia.
- Ah! - esclamò il rajah aggrottando la fronte e facendo un
gesto di collera. - A proposito di commedie, sai che tutti i miei
attori sono fuggiti?
- Oh! - fece Yanez simulando un meraviglioso stupore.
- Fra di loro doveva esservi colui che cercò di avvelenare me o
te.
- Possibilissimo, - si limitò a rispondere il portoghese.
- A quest'ora saranno molto lontani, ma se per caso rientreranno
un giorno nel mio stato, li farò decapitare tutti, compresi i
fanciulli che hanno con loro.
Accetta un altro bicchiere di questo eccellente vino, mylord,
prima di lasciarmi. Ti darà maggior forza per misurarti col mio
favorito.
- Grazie, Altezza - rispose Yanez, prendendo la tazza che il
rajah gli porgeva.
La vuotò ed avendo compreso che l'udienza era finita si alzò.
- Mylord, - disse a voce bassa il principe mentre gli stendeva la
mano. - Sta' in guardia! Il mio favorito ha scelto per lui un'arma
terribile e che egli sa maneggiare meglio d'un vecchio thug.
Sii pronto a tagliargliela o sarai perduto.
Ora va' e sii forte e valoroso come il giorno in cui hai ucciso
la kala-bâgh. -
Yanez uscì dalla sala del trono e forse in quel momento appariva
preoccupato. Il suo eterno buon umore pareva che fosse scomparso da
quel viso sempre ilare e un po' ironico.
Senza dubbio le ultime parole del rajah avevano fatto presa sul
suo animo.
Risalì lentamente nel suo appartamento dove il chitmudgar lo
aspettava per annunciargli che la colazione era pronta.
- Mangerò poi, - gli disse Yanez. - Pel momento devo occuparmi
di qualche cosa più interessante dei tuoi piatti più o meno
infernali.
- Che cos'hai, mylord? - chiese il maggiordomo. - Tu mi sembri di
cattivo umore stamane.
- Può darsi, - rispose il portoghese. - Siediti e rispondi alle
domande che ti rivolgerò.
- Sono sempre a tua disposizione, mylord.
- Hai mai visto tu il greco a eseguire dinanzi al rajah qualche
straordinario esercizio?
- Sì, quello del laccio; credo anzi che nessun thug possa
rivaleggiare con lui.
Un giorno è giunto alla corte uno di quei sinistri adoratori
della dea Kalì e si è misurato col favorito del rajah.
- E chi vinse?
- Il favorito, mylord. Il thug cadde mezzo strangolato e se non
fosse stato graziato, non sarebbe certo uscito vivo da questo
palazzo.
- Che il favorito sia stato fra i thugs?
- Solo il rajah potrebbe saperlo e forse nemmeno lui.
- Ah! birbante d'un greco! - esclamò Yanez. - Fortunatamente so
come agiscono i signori strangolatori.
Quando si ha in mano una buona scimitarra si può tenere fronte a
loro senza correre troppo pericolo.
Sta' tu, in guardia, signor Teotokris. Ora possiamo fare
colazione.
- Subito mylord, - disse il chitmudgar.
Yanez passò nel salotto, mangiò col suo solito appetito, poi
strappate alcune pagine dal suo portafoglio si mise a coprirle d'una
scrittura fittissima e minuta.
Quand'ebbe finito fece cenno al chitmudgar di lasciarlo solo e
chiamò il capo della scorta.
- Porta questi fogli a Sandokan, - gli disse sotto-voce. - Bada
che tu probabilmente sarai pedinato da qualcuno, è necessario
quindi che tu agisca colla massima prudenza perché desidero che si
ignori qui ove si nascondono i miei compagni.
Se vedi di non poter ingannare quelli che ti seguissero, fermati
da Surama. Penserà ella a far pervenire questi fogli alla Tigre
della Malesia.
- Sarò prudente, capitano - rispose il malese. - Aspetterò la
notte per entrare nel tempio sotterraneo, così potrò uccidere più
facilmente quelli che mi seguiranno.
- Va', amico. -
Quando il malese fu scomparso, il portoghese si sdraiò su un
divano, accese una sigaretta e s'immerse in profonde riflessioni,
seguendo distrattamente, cogli occhi socchiusi, le spire che
descriveva il fumo innalzandosi.
Quando il chitmudgar entrò, dopo tre ore, il portoghese russava
pacificamente come se nessuna preoccupazione lo turbasse.
- Mylord, - disse il maggiordomo, - il rajah ti aspetta.
- Ah! Diavolo! - esclamò Yanez stirandosi le membra. - Non mi
ricordavo più che il greco deve strangolarmi. Sono già tutti
raccolti nel cortile?
- Sì, mylord: non si aspetta che te.
- Portami un bicchiere di gin onde mi svegli del tutto. Bada che
non contenga qualche droga infernale.
- Aprirò per maggior sicurezza un'altra bottiglia.
- Tu sei un brav'uomo: un giorno ti farò nominare gran
cantiniere di qualche grossa corte. -
Si alzò, vuotò il bicchiere che il chitmudgar gli porgeva e
dopo d'aver chiamati i malesi scese nell'ampio cortile, tenendo fra
le labbra la sigaretta spenta.
Aveva riacquistato tutto il suo sangue freddo e la sua calma
straordinaria. Pareva un uomo che si recasse ad una festa anziché
ad un combattimento terribile e forse mortale per lui.
Tutto intorno al cortile erano stati eretti dei ricchi
padiglioni, un po' più bassi di quello che occupava il rajah.
C'erano uomini e bellissime indiane, con costumi sfarzosi e molti
gioielli indosso.
Il greco stava in mezzo, accanto ad un piccolo mobile su cui
stavano una scimitarra ed un laccio. Era pallido più del solito,
però sembrava non meno tranquillo del portoghese.
Il rajah che sedeva fra i suoi ministri, vedendo entrare il
mylord colla sigaretta in bocca, lo salutò cortesemente colla mano
guardandolo intensamente.
Gli spettatori affollati nei padiglioni si erano invece alzati in
piedi, osservandolo curiosamente.
Yanez salutò toccandosi con una mano la tesa del cappello, poi
mentre i suoi malesi prendevano posto all'estremità del cortile
appoggiandosi sulle loro carabine, si avanzò lentamente verso il
greco dicendogli:
- Eccomi.
- Cominciavo a perdere la pazienza, - rispose Teotokris con un
brutto sorriso che parve una smorfia. - Quando noi marinai
dell'Arcipelago abbiamo deciso di ammazzare un avversario, non
aspettiamo mai.
- E nemmeno i gentiluomi inglesi, - disse Yanez. - Le armi?
- Le ho scelte.
- Alla spada o alla pistola?
- Voi dimenticate che qui non siamo in Europa.
- Che cosa volete dire?
- Che io vi affronterò con un laccio onde offrire al mio signore
uno spettacolo veramente indiano.
- È degno dei briganti indiani che adorano Kalì, - rispose
Yanez ironicamente. - Credevo aver da fare con un europeo: ora
capisco di essermi ingannato.
Non importa: ho commesso la sciocchezza di lasciarvi la scelta
delle armi ed ora vi mostrerò come un mylord inglese sa trattare le
persone della vostra razza.
- Signore!
- No, chiamatemi mylord, - disse Yanez.
- Mostratemi le vostre carte prima.
- Dopo, quando vi avrò tagliato il collo e la barba insieme.
Voi, greci dell'Arcipelago siete tanti barili di polvere? - chiese
Yanez, sempre beffardo.
- Basta: il rajah s'impazienta!
- A teatro bisogna sempre aspettare, per Giove, almeno a Londra.
- Prendete la vostra scimitarra.
- Ah! È con questa che dovrò tagliarvi la testa? Benissimo!
- Scherzate troppo!
- Che cosa volete? Noi inglesi siamo sempre di buon umore.
- Vedremo se lo sarete quando il mio laccio vi strangolerà,
signore.
- No, no, mylord.
- Lo vedremo il vostro sangue azzurro! - gridò il greco
esasperato.
- Ed io quello dei greci dell'Arcipelago.
- Prendete la vostra scimitarra: ho fretta di finirla!
- Ed io nessuna di andarmene all'altro mondo. -
Gettò la sigaretta, prese la scimitarra che era stata posata
accanto al laccio e fece alcuni passi indietro, senza troppo
affrettarsi, arrestandosi a qualche metro dai malesi i quali
guardavano ferocemente il greco.
Era da prevedersi che i selvaggi figli delle grandi isole
indo-malesi non sarebbero rimasti impassibili, se una disgrazia
avesse colto il loro capo che adoravano come un dio, checché
dovesse succedere dopo.
Teotokris, che sembrava in preda ad un vero accesso di furore,
aveva preso bruscamente il laccio, mettendosi a dieci passi dal suo
avversario.
Quello strano duello, di carattere veramente indiano, pareva che
avesse impressionato profondamente gli spettatori, quantunque
dovessero averne veduti ben altri. Un profondo silenzio si era fatto
in tutti i padiglioni: anche il rajah stava zitto e non staccava i
suoi sguardi da Yanez, la cui tranquillità era meravigliosa.
Il portoghese si era messo in guardia come un vecchio spadaccino,
tenendo la scimitarra un po' alta per essere più pronto a difendere
il collo.
In quel momento egli si chiedeva solo se il suo avversario aveva
imparato a maneggiare il lazo fra i gauchos dell'America meridionale
o fra i thugs indiani.
Una mossa del greco lo convinse di aver dinanzi un uomo che aveva
imparato a servirsi di quella terribile corda fra gli ispano
americani piuttosto che fra gli indiani.
- Quello deve essere stato un grande avventuriero, - mormorò. -
Bada al collo, amico Yanez. -
Teotokris aveva arrotolata parte della fune sul braccio sinistro
facendo girare, attorno alla propria testa il lazo come usano fare i
cavalieri della pampa argentina ed i cow-boys del Wild-West
dell'America settentrionale allorquando si preparano ad arrestare un
mustang selvaggio spinto al galoppo.
- Siete pronto mylord? - chiese.
- Quando vorrete.
- Fra mezzo minuto vi avrò strangolato, ammenoché il rajah non
chieda la vostra grazia.
- Non preoccupatevi tanto, signor Teotokris - rispose Yanez. -
Non avete ancora in vostra mano la pelle dell'orso, come si dice da
noi.
- Vi farò un colpo che non lo sospettate.
- Me lo direte più tardi. Voi cercate di sorprendermi facendomi
parlare troppo. Basta, signor Teotokris. -
Infatti il greco, mentre chiacchierava, non aveva cessato di far
girare sopra la propria testa il terribile lazo per tenere la corda
ben aperta.
Tutti gli spettatori si erano alzati per non perdere nulla di
quell'emozionante combattimento. Un vivo stupore si leggeva su tutti
quei volti abbronzati o nerastri: la calma meravigliosa dei due
duellanti aveva prodotto in tutti gli animi una profonda
ammirazione.
- Ah! questi europei! - non cessavano di sussurrare.
Yanez, un po' raccolto su se stesso per offrire meno presa al
laccio, aspettava l'attacco del greco, sempre impassibile, seguendo
attentamente collo sguardo le rotazioni, sempre più rapide, che
descriveva la funicella.
Ad un tratto un sibilo acuto si fece udire, Yanez aveva alzata
rapidamente la scimitarra, vibrando un colpo, poi aveva fatto un
balzo indietro, un vero balzo da tigre, mandando nel medesimo tempo
un urlo di furore.
Nella sua destra non stringeva altro che l'impugnatura dell'arma.
La lama, appena urtata dal laccio, era caduta a terra.
Tuttavia il colpo era stato parato.
- Traditore! - gridò Yanez al greco che ritirava
precipitosamente il lazo per ritentare il colpo. - Se fai un passo
innanzi ti brucio le cervella! -
Aveva tratta dalla fascia una delle due pistole e dopo averla
montata l'aveva puntata su Teotokris, mentre i malesi che si
trattenevano a stento avevano alzate precipitosamente le carabine
appoggiandosele alle spalle.
Un gran grido erasi levato fra gli spettatori che non si
aspettavano di certo quel colpo di scena. Anche il rajah pareva in
preda ad una certa irritazione, avendo ben compreso che un
tradimento era stato ordito a danno del suo grande cacciatore, non
potendo ammettere che una scimitarra si spezzasse sotto il semplice
urto d'una funicella.
Teotokris, pallido come un cencio lavato, era rimasto muto ed
immobile, lasciando pendere il lazo. Grosse stille di sudore
gl'imperlavano la fronte.
- Datemi un'altra scimitarra! - gridò Yanez. - Vedremo se si
spezzerà nuovamente. -
Uno dei suoi malesi estrasse quella che gli pendeva al fianco e
gliela porse dicendogli:
- Prendi questa, capitano. È d'acciaio del Borneo e tu sai che
è il migliore che si possa avere. -
Il portoghese impugnò saldamente l'arma, gettò a terra la
pistola e si mise di nuovo di fronte al greco.
Una sorda rabbia lo aveva invaso.
- Bada, greco, - disse coi denti stretti - che io farò il
possibile per ucciderti. Non mi aspettavo da te, europeo al pari di
me, un simile tradimento.
- Ti giuro che io non ho scelta quell'arma...
- Lascia i giuramenti agli altri; già non ti crederei.
- Signore!
- Ti aspetto per farti a pezzi.
- Sarai tu che morrai! - urlò il greco furibondo.
- Lancia il tuo lazo dunque! -
Il greco tornava a far girare la funicella. Spiava attentamente
Yanez sperando di sorprenderlo; il suo avversario però conservava
una immobilità assoluta e non perdeva mai di vista, nemmeno per un
istante, il lazo.
D'improvviso il greco fece un balzo in parte lanciando
contemporaneamente la funicella e mandando un urlo selvaggio per
scombussolare o impressionare il portoghese.
Questi si era ben guardato dal muoversi. Sentì piombarsi addosso
il lazo e scendergli attraverso la testa, ma pronto come un lampo
avventò due colpi di scimitarra a destra ed a sinistra, tagliandolo
netto prima che il greco avesse avuto il tempo di dare lo strappo
fatale.
Allora a sua volta si slanciò.
La larga lama balenò in alto, poi scese con gran forza, colpendo
il greco con un traversone sotto la mammella destra.
Teotokris aveva fatto un salto indietro, tuttavia non era
riuscito ad evitare per intero il colpo. Si tenne un momento ritto,
poi cadde pesantemente al suolo, comprimendosi con ambe le mani il
petto.
Attraverso la casacca squarciata il sangue usciva, formando una
larga macchia sulla candida flanella.
Un urlo uscito da duecento bocche aveva salutato la vittoria del
coraggioso uccisore di tigri.
- Devo finirlo? - chiese Yanez, rivolgendosi verso il rajah che
si era alzato.
- Ti chiedo la grazia per lui, mylord - rispose il principe.
- Sia, - rispose Yanez.
Restituì la scimitarra, raccolse la pistola e dopo d'aver fatto
un lungo inchino si ritirò mentre le donne si levavano i mazzolini
di mussenda che portavano all'estremità delle loro trecce
gettandoglieli dietro.
Mentre si allontanava sempre scortato dai suoi malesi, il medico
di corte e sei servi avevano adagiato il greco su un palanchino,
portandolo rapidamente nella sua stanza.
Teotokris non era svenuto e nemmeno si lamentava. Solo di quando
in quando una rauca bestemmia gli sfuggiva attraverso le labbra
scolorite. Pareva che sentisse più la rabbia di essere stato vinto
dal suo rivale, che il dolore prodottogli da quel colpo di
scimitarra.
- Sì, visitami e fasciami subito - disse con tono imperioso al
medico. - La ferita non è grave.
La lama deve aver incontrato la guardia del pugnale che portavo
sotto la casacca. -
Il medico gli denudò rapidamente il petto.
La scimitarra aveva tracciato, sotto la mammella destra, un
taglio lungo una quindicina di centimetri che non sembrava molto
profondo.
- Ah! Ecco! - esclamò il dottore raccogliendo un oggetto che era
scivolato sotto la giacca. - Tu devi a questo, la tua vita, signore.
- Il manico del pugnale?
- Sì: è stato tagliato netto. Se la lama non lo avesse
incontrato il cacciatore di kala-bâgh ti avrebbe spaccato il cuore.
Ero presente quando ti ha vibrato il colpo.
- Una botta scagliata con tutta forza, - rispose Teotokris. - Per
quanto credi che io ne abbia?
- Non sarai in piedi prima di due settimane. Sei robustissimo tu,
signore.
- Ed ho pelle di marinai addosso, - disse il greco, sforzandosi a
sorridere. - Spicciati: il sangue se ne va e non desidero affatto di
perderlo. -
Il medico che, quantunque indiano, doveva essere abilissimo,
cucì lestamente la ferita, spalmandola poi con una materia che
pareva resinosa e la fasciò strettamente.
Aveva appena terminato, quando un ufficiale dei seikki entrò
nella stanza annunciando il rajah.
La fronte del greco si era subito abbuiata, tuttavia si guardò
bene dal far trasparire il suo malumore.
- Uscite tutti, - disse al medico ed ai servi.
Il rajah entrava in quel momento e solo. Anche la sua fronte non
pareva serena.
Attese che tutti si fossero allontanati, compreso l'ufficiale,
poi prese una sedia e si assise presso il capezzale del ferito.
- Come va dunque, mio povero Teotokris? - chiese. - Ti credevo
più abile e più fortunato.
- Vi ho dato, Altezza, non poche prove della mia abilità
nell'uso del laccio. Non credo di meritarmi quindi alcun rimprovero.
- È grave la ferita?
- No, Altezza. Potrò rimettermi a vostra disposizione fra una
quindicina di giorni e allora vi giuro che non perderò il mio
tempo.
- Che cosa vuoi dire?
- Che saprò chi è quell'uomo che si spaccia per un mylord.
- Tu serbi rancore a quel valoroso cacciatore.
- E gliene serberò finché avrò un alito di vita, - rispose il
greco con accento feroce.
- Eppure tu gli hai giuocato un cattivo tiro.
- Voi supponete Altezza?...
- Che l'impugnatura di quella scimitarra sia stata abilmente
segata onde la lama cedesse al menomo urto.
- Chi è che mi accusa?
- Io, - disse il rajah, aggrottando la fronte.
- Se siete voi Altezza che lo dite, allora non negherò più.
- Confessi?
- Sì, è vero: l'estremità della lama l'ho fatta segare presso
la guardia da un abilissimo artefice. -
Il principe non poté frenare un gesto di stupore e guardò
severamente il suo favorito.
- Avevi dunque paura del gran cacciatore bianco?
- Volevo sopprimerlo a qualunque costo per rendere al mio
benefattore un grande servizio, - disse il greco audacemente.
- A me?
- Sì, Altezza.
- Uccidendo colui che mi ha restituito la pietra di Salagraman e
che ha ucciso la kala-bâgh!
- Sì, perché quell'uomo un giorno, ne sono sicuro, ti
giuocherà qualche pessimo tiro.
- E perché?
- Perché è un inglese innanzi tutto e tu sai, forse meglio di
me, che gli uomini della sua razza furono sempre i più pericolosi
avversari degli indiani.
Forse che quasi tutto l'Indostan non è stato conquistato da
loro? E poi perché quel mylord ha condotto con sé una principessa
indiana che non è assamese? Apri gli occhi Altezza e non fidarti
ciecamente di quell'inglese che non sappiamo che cosa sia venuto a
fare qui.
- A uccidere la tigre, mi ha detto - rispose il rajah.
- Tu potrai credere quello che vorrai, ma non io che appartengo
alla razza più astuta che viva in Europa. -
Il principe, visibilmente impressionato, si era levato in piedi
mettendosi a passeggiare intorno al letto del ferito. Diffidente per
carattere, cominciava a diventare inquieto.
- Che cosa fare? - chiese ad un tratto fermandosi presso il greco
che lo aveva seguito con uno sguardo ironico. - Io non posso
congedarli lì per lì; potrei anzi avere dei grossi fastidi col
governatore del Bengala.
- Non ti consiglierei di far ciò nemmeno io, Altezza - disse il
greco.
- E allora?
- Vuoi lasciare a me carta bianca? -
Il rajah lo guardò con diffidenza.
- Penseresti a farlo assassinare da qualche sicario o di farlo
avvelenare? Cattivi mezzi che non mi salverebbero dall'avere dei
grattacapi.
- Non sarà contro di lui che io agirò. A te Altezza non chiedo
altro che di farlo strettamente sorvegliare.
- Con chi te la prenderai dunque? Voglio prima saperlo.
- Con quella misteriosa principessa indiana. Quando sarà in mia
mano la costringerò a dirmi chi è, e che razza d'avventuriero sia
quel mylord.
- Io credo davvero che tu appartenga alla razza più astuta
dell'Europa, - disse il rajah. - Non desidero però che quella donna
o fanciulla che sia venga trasportata qui.
- Ho una casa di mia proprietà, dove tengo le mie donne -
rispose il greco. - Questa notte mi farò condurre colà, ma tu
dirai a tutti che io sono sempre alla tua corte e darai ordine che
nessuno, per qualsiasi motivo, venga a disturbarmi.
- Farò quello che vorrai. Addio e pensa a guarire presto. - |