XII. L'agguato.
Tremal-Naik, quantunque mezzo strangolato e confuso, appena
sentì il laccio allentarsi, s'alzò e raccolta la carabina si
slanciò risolutamente verso il fiume, sperando di far
scoppiare la testa del traditore. Quando però giunse sulla
riva, Manciadi era scomparso.
S'inoltrò nell'acqua ma nessuna persona appariva alla
superficie del fiume. Forse la corrente aveva trascinato seco
l'assassino, stato senza dubbio colpito dalla carabina o dalla
pistola del maharatto.
- Ah! miserabile! - esclamò Tremal-Naik furente.
- Padrone! - gridò Kammamuri, accorrendo in compagnia
della tigre e del cane.- Dov'è il brigante?
- È scomparso, Kammamuri, ma lo ritroveremo.
- Sei ferito?
- Tremal-Naik non si lascia strangolare da quegli uomini.
- Ho il sangue che non mi scorre più, padrone. Temeva di
non giungere in tempo per salvarti. Ah! la canaglia!
Strangolare il mio padrone!... Traditore! Se mi cade fra le
unghie non gli lascio intero un pezzettino grande come una
rupia. Ingannare così noi, cacciatori di serpenti! Sai,
padrone, che l'hai scampata per miracolo?
- Lo so, Kammamuri. Ed Aghur?... Cosa è successo di Aghur?
Il maharatto ammutolì, lasciandosi cadere lungo il corpo
le braccia.
- Kammamuri, parla, - disse Tremal-Naik che già indovinava
tutto.
- È morto, padrone, - balbettò Kammamuri.
Tremal-Naik si portò le mani alla testa con gesto
disperato.
- Morto?... Morto! - singhiozzò egli. - Tutti muoiono
adunque attorno a me? Ma che ho fatto io, Siva, perché debba
perdere tutti quelli che io amo? Sono io adunque maledetto dai
numi?
Chinò il capo sul petto e qualche cosa di umido rotolò
giù per le abbronzate guancie. Kammamuri, nel vedere
quell'uomo piangere, si sentì schiantare l'anima.
- Padrone, - mormorò egli.
Tremal-Naik non l'udì. Colla faccia stretta fra le mani,
s'era seduto sulla riva del fiume e contemplava con occhio
umido la jungla, sulla quale scorreva un lieve soffio di
vento, imbalsamato dal profumo dei gelsomini e dei mussenda.
Il suo petto d'atleta si sollevava di quando in quanto, sotto
i singhiozzi.
- Mio padrone, oh, mio povero padrone! - esclamò Kammamuri.
- Non piangere, sii forte; bisogna esserlo.
- Sì, forte, per combattere la fatalità che pesa su di
noi, - disse Tremal-Naik con rabbia. - Povero Aghur, così
giovane e così intrepido, morire! Sei almeno certo che sia
proprio morto?
- Sì, padrone, l'ho veduto coi miei propri occhi e toccato
colle mie proprie mani. Era là, disteso accanto ad uno
stagno, col laccio al collo e un pugnale nel petto. Il
miserabile Manciadi, dopo d'averlo atterrato, lo ha finito con
quell'arme.
- Fu adunque Manciadi ad assassinarlo?
- Sì, padrone, lui!
- Ah! sciagurato!
- Ma non assassinerà altri, te lo dico io. La mia palla
deve averlo colpito; forse i pesci stanno banchettando colle
sue carni.
- Quel mostro adunque, aveva tramato un piano infernale?
- Sì, padrone. Aveva assassinato Aghur per allontanar me e
piombare poi su di te. Per fortuna me ne accorsi a tempo e
giunsi qui in buon punto.
- Ma non avevi alcun sospetto prima?
- No, padrone, non me ne accorsi, non dubitai nemmeno. Egli
ci ingannava molto bene. Quale scopo poteva avere per
assassinarci?
- Temo che l'abbiano qui mandato gl'indiani di Raimangal.
- Lo credi, padrone?
- Ne sono certo. Hai veduto il suo petto?
- No, poiché lo teneva sempre coperto, e non so il
perché.
- Per nascondere il misterioso tatuaggio.
- Adesso comprendo: deve essere così; ma perché tanto
accanimento contro di te?
- Perché amo Ada.
- Non vogliono adunque, quegli uomini, che tu l'ami?
- No, e cercano d'assassinarmi.
- Ma perché?
- Perché sul capo di quella donna pesa una terribile
condanna.
- Quale?
- Non lo so, ma un giorno svelerò il mistero.
- E credi tu che quei miserabili tornino alla carica?
- Credo di sì, Kammamuri.
- Io ho paura, padrone. E tu?
Tremal-Naik non rispose. Egli aveva volto lo sguardo al sud
e si era improvvisamente alzato.
- Hai veduto qualche cosa? - chiese il maharatto con
ansietà.
- Sì, Kammamuri. Mi pare d'aver scorto un chiarore strano
balenare in fondo alla jungla e poi spegnersi.
- Andiamo alla capanna, padrone. Qui non siamo sicuri.
Tremal-Naik guardò un'ultima volta la jungla ed il fiume e
si diresse a lenti passi verso la capanna, sulla cui soglia si
arrestò.
- Guarda, Kammamuri - diss'egli con tristezza. Questa
capanna altre volte sì gaia, sì ridente, mi sembra che abbia
l'aspetto funebre d'un sepolcro. Povero Aghur!
Soffocò un singhiozzo e si sdraiò sull'amaca, nascondendo
il viso fra le mani. Kammamuri s'appoggiò allo stipite della
porta, cogli occhi fissi sulla jungla, mormorando a più
riprese:
- Povero padrone!
Passarono tre lunghe ore senza che il maharatto si
muovesse. Il suono acuto del ramsinga lo strappò dalla sua
immobilità.
- Funebre tromba! - mormorò egli con rabbia, - ancora una
disgrazia adunque? Fai bene ad avvertirmi.
Fece più volte il giro della capanna guardando
attentamente in mezzo alle erbe, ma non scorse nulla di nuovo.
Rientrò traendosi dietro Darma e Punthy, barricò la porta e
vi si stese di dietro, in maniera da essere svegliato al
menomo urto.
Passarono parecchie ore senza che nulla accadesse.
Kammamuri, sempre più inquieto, non chiudeva gli occhi e di
frequente s'alzava per affacciarsi, con grande precauzione,
alle finestrine.
Verso la mezzanotte la luna tramontò lasciando la jungla
nella più perfetta oscurità. Proprio allora Punthy abbaiò
tre volte.
- Qualcuno s'avvicina, - mormorò Kammamuri. - Punthy l'ha
udito.
Entrò nella stanza di Tremal-Naik. Questi dormiva
profondamente e in sogno parlava dell'infelice Ada.
Punthy fece udire tre altre volte un sordo ringhio e si
slanciò verso la porta mostrando i denti. Anche la tigre udì
qualche cosa, poiché fece udire un sordo brontolio.
Kammamuri, dopo di essersi munito di un paio di pistole,
andò a spiare a tutte le finestrine ma senza essere capace di
veder nulla, né di udire nulla. Ebbe per un istante l'idea di
sparare una pistolettata per ispaventare colui o coloro che
ardivano avvicinarsi alla capanna, ma per non svegliare
Tremal-Naik e per la tema che questi volesse slanciarsi
all'aperto, si trattenne.
Qualche ora dopo, mentre passava dinanzi ad un pertugio,
gli sembrò di vedere, al sud, una striscia di fuoco e di
udire un leggiero sibilo, seguito da una sorda detonazione, ma
non ne seppe di più.
- Quale mistero, - mormorò egli, tremando di terrore. - Se
questa notte non succedono malanni, è segno che Siva e Brahma
ci proteggono.
Rimase sveglio parecchie ore, poi cedendo alla fatica ed al
sonno s'addormentò. Né il cane né la tigre diedero alcun
altro segnale durante il resto della notte.
Al mattino, ansioso di sapere qualche cosa, si affrettò ad
uscire. Ciò che prima colpì i suoi sguardi, fu un pugnale
infisso per terra, a pochi passi dalla capanna, e che
tratteneva una carta azzurrina.
- Oh! - esclamò egli, indietreggiando. - Qualcuno adunque
ha osato spingersi qui?...
S'avvicinò con precauzione e quasi con ripugnanza a quelli
oggetti e tremando li raccolse. Il pugnale era di acciaio
brunito, d'un metallo che lasciava vedere le venature, d'una
forma particolare e con delle strane incisioni sulla lama.
Aprì la carta e vi scorse disegnato un serpente colla
testa di donna I'emblema misterioso degli indiani di Raimangal,
e sotto alcune righe d'una scrittura rossa.
- Cosa significano queste righe? - si chiese il maharatto.
- Qui sotto c'è un mistero, che il padrone svelerà.
Fece accovacciare Darma e Punthy e corse da Tremal-Naik. Lo
trovò seduto dinanzi ad una delle finestre, colla testa fra
le mani e lo sguardo triste, volto verso i nebbiosi orizzonti
del sud.
- Padrone, - disse il maharatto.
- Cosa vuoi? - chiese l'indiano con voce sorda.
- Lascia i pensieri e guarda questi oggetti. Vi è un
mistero da decifrare.
Tremal-Naik si volse come a gran fatica. Una contrazione
nervosa alterò i tratti del suo volto, nel mirare il pugnale
che Kammamuri gli mostrava.
- Cos'è? - chiese egli, rabbrividendo. - Chi ti ha dato
quell'arma?
- L'ho trovata dinanzi alla capanna. Leggi questa lettera,
padrone.
Tremal-Naik gliela strappò vivamente di mano, gettandovi
sopra un avido sguardo. Ecco quanto lesse:
Tremal-Naik
La misteriosa divinità che impera tremenda su tutta quanta
l'India, t'invia il pugnale della morte. Basta una scalfittura
della sua punta avvelenata, perché tu scenda nella tomba.
Tremal-Naik, tu devi scomparire dalla superficie della
terra: la divinità lo vuole. Solo a questo prezzo puoi
arrestare la folgore che sta per piombare sul capo di colei
che fu condannata. Questa sera, al calar del sole, Manciadi
attende il tuo cadavere.
Suyodhana.
Tremal-Naik nel leggere la lettera era diventato pallido.
- Che?... - esclamò egli. - La mia vita!... La mia vita
per arrestare la folgore che sta per piombare sul capo di
colei che fu condannata!... Cosa significa questa minaccia?
Morire? Io!
- Padrone, - mormorò Kammamuri, che tremava in tutte le
fibre.-
Corriamo un gran pericolo, lo sento. - Non aver paura,
Kammamuri, - disse Tremal-Naik.- I miserabili cercano di
spaventarci, ma io sfido la misteriosa divinità che impera
tremenda su tutta l'India. Ah! Essi vogliono la mia vita? La
loro divinità mi comanda di scendere nella tomba e m'invia il
pugnale! Tremal-Naik non sarà così stupido da servirsene,
né...
S'arrestò di botto. Un pensiero terribile gli era balenato
nella mente.
Tornò a guardare la lettera. Uno stupore doloroso si
dipinse sul suo volto.
- Grande Siva! - esclamò con voce soffocata. - Una folgore
sta per piombare su colei che fu condannata!... Kammamuri!
- Padrone?
- Una donna fu condannata... Se fosse...
- Chi? padrone, chi?...
- L'hanno in loro mano...
- Ma chi?...
- Ada! - esclamò con accento straziante l'indiano.- Oh!
mia povera Ada!... Kammamuri!... Kammamuri!...
Tremal-Naik si slanciò come un pazzo fuori della capanna e
rientrò orribilmente trasfigurato.
- Padrone, è impossibile che l'uccidano, - disse Kammamuri.
- E se fosse vero? E se quei mostri la uccidessero? Orrore!
orrore!... Siva, oh mio dio, veglia su di lei! Veglia sulla
mia povera Ada!
- Un singhiozzo lacerò il petto del cacciatore di
serpenti.
- Cosa fare? - balbettò egli fuori di sé. - Sì, lo
sento, i mostri l'hanno condannata... non vogliono che ella
ami alcun mortale... uno di noi bisogna che muoia. Ma no, non
voglio che ella muoia, così giovane, così bella!... E dovrò
io adunque morire? Mai, mai, è impossibile, l'amo troppo per
scendere nella tomba senza averla prima veduta un'ultima
volta, senza dirle che io muoio per lei.
Tremal-Naik si contorse come un serpe, afferrandosi il capo
fra le mani. D'improvviso scattò in piedi come una tigre che
sta per avventarsi sulla preda. Un sinistro lampo guizzava nei
suoi occhi.
- L'ora della vendetta è suonata! - diss'egli con
intraducibile accento.- Ada, io vengo!... A me, Darma!
La tigre d'un balzo fu alla porta della capanna, facendo
udire il suo formidabile mugolìo. Tremal-Naik, strappata da
un chiodo una carabina, stava per uscire, quando Kammamuri
l'arrestò.
- Dove vai, padrone? - gli chiese egli, abbrancandolo a
mezzo corpo.
- A Raimangal per salvarla prima che me la uccidano.
- Ma non sai che laggiù v'è la morte? Non sai che a
Raimangal vi sono forse mille di quegli uomini, che bramano il
tuo sangue? Tu ti perdi, padrone, e forse uccidi colei che tu
ami, credendo di salvarla.
- Io!...
- Ma sì, padrone, tu la uccidi. Al primo tuo apparire, la
folgore scoppierà ed abbatterà quella donna.
- Gran dio!
- Calmati, padrone, ascoltami. Lascia fare a me e vedrai
che noi sapremo tutto. Chissà, forse quegli uomini hanno
voluto solamente spaventarti.
Tremal-Naik lo guardò come trasognato. Forse Kammamuri
aveva ragione.
- L'ora non è ancora giunta per recarsi nell'isola
maledetta, né tu sei ancora tanto forte per lottare contro di
loro, - continuò il maharatto.- Essi vogliono il tuo
cadavere, hanno scritto; ebbene, essi lo avranno. ma sarà un
cadavere che respirerà ancora e che salterà alla gola
dell'assassino del povero Aghur. Lascia che io ti guidi,
padrone; i maharatti sono furbi, tu lo sai.
- Cosa vuoi dire? - chiese Tremal-Naik, che a poco a poco
si arrendeva.
- Voglio dire che a noi occorre un uomo che confessi ogni
cosa, per sapere ciò che si dovrà fare. Se sarà necessario,
domani partiremo per Raimangal.
- Ci occorre un uomo?
- Sì, padrone, e quest'uomo sarà Manciadi. Ascoltami con
attenzione. Questa sera, al calare del sole, io ti porterò
nella jungla e tu fingerai di essere morto. Io e Darma ci
imboscheremo a pochi passi da te, onde non ti accada
disgrazia. Arriva il brigante che assassinò Aghur; noi ci
lanciamo su di lui e lo facciamo prigioniero. M'incarico io di
fargli confessare il luogo dove nascondono la donna che tu ami
e farlo parlare sul numero e sui mezzi dei nostri nemici.
Tremal-Naik prese le mani del maharatto e le strinse
affettuosamente.
- Rimarrai? - chiese Kammamuri, con gioia.
- Sì, rimarrò - disse Tremal-Naik, emettendo un profondo
sospiro. - Ma domani, sia pure solo, andrò a Raimangal. Sento
che un pericolo minaccia Ada.
- No solo, - disse Kammamuri. - Io e Darma ti
accompagneremo. Ora calma ed occhi bene aperti: questa sera
avremo in nostra mano Manciadi.
Kammamuri lasciò il padrone che si era seduto sulla soglia
della porta, in preda a mille angoscie ed a tetri pensieri, e
si recò al fiume ad armare il canotto.
Durante la giornata nulla accadde di nuovo. Kammamuri si
recò parecchie volte nella jungla, armato sino ai denti,
sperando di scorgere qualcuno, forse lo stesso Manciadi, ma
non vide anima viva, né udì alcun segnale o rumore.
Alle sette il sole radeva l'orizzonte occidentale. Era il
momento d'agire.
- Padrone, - disse il maharatto, che si stropicciava
allegramente le mani, - non perdiamo tempo.
Proprio in quel momento, al sud, echeggiò il ramsinga.
- La canaglia si avvicina, - disse Kammamuri. - Animo,
padrone, io ti porto nella jungla. Non una parola, non il più
piccolo movimento se non vuoi mandare a male l'imboscata.
Appena l'assassino compare, la tigre lo atterrerà.
Afferrò il padrone, se lo caricò sulle spalle dopo di
avergli cacciato sotto l'ampia fascia un paio di pistole e si
diresse, barcollando, verso la jungla.
Il sole spariva dietro le gigantesche piantagioni
dell'occidente, quando giunse ai primi bambù. Depose
Tremal-Naik, che conservava l'immobilità di un cadavere, fra
le erbe, poi curvandosi su di lui:
- Padrone, non un movimento, - gli disse. - Appena la tigre
si slancierà su Manciadi, sorgi e tura la bocca al
miserabile. Forse vi sono degli altri indiani nei dintorni.
- Lascia fare a me, - bisbigliò Tremal-Naik. Tutto
passerà liscio. Kammamuri s'allontanò, colla testa china sul
petto, come un uomo addolorato. Quando giunse alla capanna un
secondo squillo di tromba echeggiava fra i bambù spinosi
della jungla.
- È ancora lontano Manciadi, - diss'egli. - Tutto va bene.
Entrò nella capanna s'armò di pistole e d'un
coltellaccio, poi uscì guardando attentamente verso il fiume
e verso la jungla.
- Darma, seguimi diss'egli.
La tigre con un salto lo raggiunse e tutti e due si
slanciarono a rompicollo verso il sud, nascosti da una piccola
piantagione di mussenda e di indaco. In meno di cinque minuti
raggiunsero i bambù e s'imboscarono a sette od otto passi da
Tremal-Naik.
Un terzo squillo di tromba, ma più vicino, ruppe il
profondo silenzio che regnava nelle Sunderbunds.
- Buono, - mormorò Kammamuri, impugnando una delle due
pistole. - Il miserabile ci sta vicino.
Guardò il padrone. Pareva un vero cadavere: era coricato
su di un fianco, colla testa nascosta sotto un braccio.
Avrebbe ingannato anche un marabù, anche uno sciacallo.
D'un tratto un magnifico pavone si alzò fra i bambù,
volando via rapidamente. Kammamuri passò una mano sulla tigre
che fiutava l'aria ed agitava la coda a mo' dei gatti.
- Non muoverti, Darma, - le sussurrò.
Un secondo pavone s'alzò emettendo un grido di spavento.
Manciadi si avvicinava strisciando come un serpe, senza
produrre il più piccolo rumore. Forse temeva di cadere in
un'imboscata e s'avanzava con mille cautele.
Kammamuri s'alzò sulle ginocchia, tendendo la mano armata
di pistola.
Là, di faccia, scorse i bambù a muoversi
impercettibilmente, poi uscirono due mani ed infine una testa
d'un giallo lucente.
Kammamuri sentì la fronte imperlarsi d'un freddo sudore.
Quella testa era di Manciadi, l'assassino del povero Aghur.
- Darma, - mormorò.
La tigre si era alzata raccogliendosi su se stessa; non
aspettava che il comando per avventarsi.
Manciadi guardò Tremal-Naik con due occhi che mandavano
cupi lampi e diede in un orribile scroscio di risa. Il
cacciatore di serpenti non si mosse.
L'indiano allora uscì dai bambù, col laccio in mano, e
fece alcuni passi verso il finto cadavere.
- Darma, afferralo! - esclamò Kammamuri, saltando in
piedi.
La tigre fece un balzo di quindici passi e piombò come un
fulmine sull'assassino, che fu violentemente atterrato.
Tremal-Naik rialzandosi si scagliò su di lui e con un
formidabile pugno lo stordì.
- Tieni saldo padrone! - gridò il maharatto, accorrendo. -
Fracassagli una gamba per impedirgli di muoversi.
- È inutile, Kammamuri, - disse Tremal-Naik, trattenendo
la tigre.- L'ho mezzo accoppato.
Infatti l'indiano, colpito in fronte dal pugno d'acciaio
del cacciatore di serpenti, non dava più segno di vita.
- Là, così va bene, - disse Kammamuri. - Ora lo faremo
parlare. Non uscirà vivo dalle nostre mani, te lo giuro,
padrone, e Aghur sarà vendicato.
- Non parlare così forte, Kammamuri, - mormorò
Tremal-Naik, tornando ad allontanare la tigre che voleva
sbranare il prigioniero.
- Credi che vi sieno degli altri indiani nei dintorni?
- Potrebbero esservi. Orsù, il cielo si oscura rapidamente
e minaccia un uragano. Portiamolo nella capanna.
Kammamuri prese per le gambe Manciadi, Tremal-Naik lo
afferrò pei polsi e partirono correndo, nel mentre che
giganteschi nuvoloni neri s'alzavano con rapidità
vertiginosa, dal sud.
Pochi minuti dopo giungevano alla capanna sbarrando la
porta dietro di loro.
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