CAPITOLO I
LA MARCHESA DI MONTELIMAR
- Il signor conte de Miranda!
Quel nome, gridato forte da un servo gallonato con la
pelle nera come il carbone, vestito di seta azzurra a
larghi fiori gialli, aveva prodotto una profonda
impressione fra i moltissimi invitati che ingombravano
le sfarzose sale della marchesa di Montelimar, la
bellissima signora, celebrata da tutti gli avventurieri
e da tutti gli ufficiali di terra e di mare di San
Domingo.
Le danze, animatissime fino a quel momento, erano
state subito interrotte, perché cavalieri e dame si
erano precipitati verso la porta del grande salone, come
attratti da un'irresistibile curiosità di vedere da
vicino quel conte che si diceva avesse fatto girare
molte teste nelle poche ore che si era mostrato per le
vie di San Domingo.
Il portiere negro aveva appena sollevata la ricca
tenda di damasco con lunghe frange d'oro, quando il
personaggio annunziato comparve.
Era un bellissimo giovane di ventotto o trent'anni,
di statura alta, di forme elegantissime che palesavano
il gran signore, con gli occhi nerissimi e ardenti, i
baffi neri e la pelle bianchissima, cosa affatto
insolita per un comandante di fregata, abituato a
navigare sotto il sole bruciante del Golfo del Messico.
Quello strano ed interessante personaggio, chi sa per
quale bizzarria, vestiva tutto di seta rossa.
Rossa era la casacca, rossi gli alamari, rossi i
calzoni, rosso l'ampio feltro adorno d'una lunga piuma e
cosí pure i merletti, i guanti e perfino gli alti
stivali; anche la guaina della spada era di cuoio rosso.
Il conte, vedendosi dinanzi tutte quelle persone che
lo osservavano attentamente, corrugò un po' la fronte,
guardando arditamente gli uomini, come seccato di quella
curiosità, poi si levò garbatamente il cappello,
strisciando con un moto grazioso sul tappeto la
lunghissima piuma e fece un leggero inchino, tenendo
sempre la sinistra sulla guardia della spada.
La marchesa di Montelimar si era affrettata a farsi
largo fra gli invitati e ad accostarsi premurosamente al
conte.
Non a torto la chiamavano la bella vedova di S.
Domingo! Era una splendida castigliana, giovane ancora,
perché non doveva toccare le venticinque primavere,
alta, slanciata, col corpo flessuoso, gli occhi
sfolgoranti, tagliati a mandorla, la capigliatura
nerissima e la pelle alabastrina; la vera tinta delle
creole del Golfo messicano.
Quantunque vedova da pochi anni d'un vecchio
marchese, morto combattendo contro i filibustieri della
Tortue, indossava un magnifico vestito di damasco di
seta bianca, adorno sul dinanzi di piccoli smeraldi
raccolti qua e là in gruppetti artistici, e intorno al
niveo collo portava una doppia fila di perle di
California, di un valore inestimabile. Si fermò dinanzi
al conte, facendo un grazioso inchino, accompagnato da
un delizioso sorriso, poi, stendendogli la destra, gli
disse:
- Sono lieta che voi, signor conte, abbiate accettato
il mio invito.
- Gli uomini di mare son ruvidi, marchesa; ma non
rifiutano mai un invito, specialmente quando vien fatto
da una signora bella come voi.
Quelle parole fecero corrugare piú di una fronte e
sollevarono fra gli adoratori della marchesa qualche
mormorio.
Il Conte de Miranda si voltò vivamente, con la
sinistra appoggiata fieramente sull'elsa della spada e
la destra sul fianco, e disse con voce chiara:
- Pare che a qualcuno non sia piaciuto quel che ho
detto: si sappia che noi, figli dell'oceano, sappiamo
guidare le navi, ma regalare anche una buona stoccata.
- Vi siete ingannato, signor conte - disse la
marchesa. - Qui tutti hanno molta stima per gli uomini
che, sfidando tempeste e pericoli, ci difendono dai
filibustieri della Tortue.
Nessuno aveva osato fiatare e le fronti si erano
spianate. Solamente un capitano degli alabardieri di
Granata, un pezzo d'uomo alto un palmo piú del giovane
conte, era ancora molto corrucciato.
- Signor conte, - disse la marchesa di Montelimar -
volete offrirmi il vostro braccio? Sarò orgogliosa di
appoggiarmi ad un forte uomo di mare.
- Che metterà la sua spada e la sua vita sempre a
vostra disposizione, marchesa - rispose il bel giovane,
guardando insolentemente gli invitati che manifestavano
un po' di malumore per la preferenza accordata dalla
bella vedova a quel capitano sconosciuto a tutti.
- Non chiedo tanto conte. Danzate?
- Sí, marchesa; alla francese però, perché sono
stato educato in Provenza.
- Come mai? Non siete spagnuolo? I de Miranda, se non
m'inganno, sono castigliani.
- Puro sangue; ma mio padre aveva sposato una
francese, e mi affidò ancora bambino ai parenti di mia
madre.
- Infatti mi accorgo che voi avete un accento diverso
dal nostro.
- Gli uomini di mare visitando tanti paesi, perdono
l'accento della madre lingua; poi ho soggiornato molto
anche in Italia.
- Ecco perché voi parlate cosí dolcemente. Ah,
l'Italia! Anch'io l'ho visitata... E venite ora...?
- Da Vera-Cruz, marchesa.
- Dopo aver incontrato chi sa quante avventure!
- No, marchesa: una tempesta ed un paio d'abbordaggi
con due navi filibustiere.
- Che avrete affondato, immagino.
- Rimorchiate, marchesa, dopo aver imprigionato i
loro equipaggi.
- Ed ora andavate?...
- Mi fermo qui per difendere San Domingo.
- Siamo minacciati?
- Si dice che i bucanieri, d'accordo con i
filibustieri, si preparino per un colpo di mano contro
questa città, ma troveranno sul loro cammino i quaranta
cannoni della mia Nuova Castiglia, e vi giuro, marchesa,
che li farò...
Il conte si interruppe bruscamente e si voltò di
fianco.
Un capitano degli alabardieri, lo stesso che poco
prima aveva borbottato piú degli altri, un bell'uomo
sulla quarantina, alto come un granatiere, con due
immensi baffi cadenti alla chinese, gli si era fermato a
pochi passi come se cercasse di sorprendere le sue
parole.
Alla fermata improvvisa del giovane capitano, aveva
girato sollecitamente sui talloni, battendo
impazientemente la sinistra sulla guardia della sua
lunga spada e abbordando una signora che in quel momento
attraversava la sala.
- Chi è quel signore? - chiese il conte alla
marchesa, aggrottando la fronte.
- Il conte di Sant'Iago, capitano degli alabardieri
del reggimento di Granata - rispose la marchesa di
Montelimar, sorridendo. - Vi interessa?
- Niente affatto, signora. Mi pareva che ci seguisse,
per ascoltare ciò che noi dicevamo.
- È un mio adoratore.
- Ad una cosí bella signora non possono mancare.
- Oh, conte! - esclamò la marchesa, battendogli su
una mano il suo ricco ventaglio dalle stecche d'oro.
- Vi ama?
- Alla follia. La settimana scorsa uccise un
luogotenente di marina con un terribile colpo di spada,
perché credeva che io avessi per quel disgraziato
qualche preferenza.
- Ah! Il capitano è geloso?
- E un buon spadaccino, a quel che si dice - aggiunse
la marchesa.
- Vorrei provare un po' la sua abilità - disse il
conte con voce ironica.
- Guardatevene, signor de Miranda!
- E che, marchesa; mi credereste voi tal uomo da aver
paura di quel capitano?
- No, conte, ma mi rincrescerebbe...
- Che cosa?
- Che vi toccasse qualche disgrazia - rispose la
marchesa, alla quale pareva che un'improvvisa commozione
avesse alterato l'accento.
Il giovane capitano si staccò dal suo braccio e la
guardò con sorpresa:
- A voi, che mi conoscete appena da cinque minuti, -
disse - a voi spiacerebbe se mi succedesse qualche
disgrazia?
- Io ammiro i gentiluomini coraggiosi e amabili come
voi, conte.
Il giovane represse un sospiro, poi disse a mezza
voce::
- È strano; anche mio zio...
Ma tosto s'interruppe, stringendo le labbra.
- Che cosa avete detto, conte? - chiese la marchesa
di Montelimar.
- Che la musica è ottima, e che si potrebbe danzare
questo delizioso fandango.
- Era quello che volevo proporvi.
- Ai vostri ordini, marchesa.
Le danze erano già state riprese.
Dame e cavalieri giravano vorticosamente nelle
splendide sale del palazzo di Montelimar, elettrizzati
da una dozzina di suonatori nascosti dietro ad una
specie di giardinetto formato da una doppia fila di
superbi banani, le cui grandissime foglie s'alzavano
fino al soffitto dorato.
Il conte cinse il fianco della marchesa e si slanciò
agilissimo nel turbine dei danzatori e delle danzatrici.
Alcuni si erano fermati per ammirare quel bellissimo
giovane e la sua bellissima compagna, stupefatti della
sua leggerezza e della sua grazia.
Mai prima d'allora avevano veduto danzare a quel modo
un uomo di mare.
Il fandango era appena finito e il conte aveva
ricondotta la marchesa al suo posto, quando alle sue
spalle udí una voce che gli disse:
- Signore, voi che danzate cosí bene, sapete giocare
altrettanto bene?
Il giovane capitano della Nuova Castiglia si voltò
vivamente e non seppe frenare un moto di sorpresa nel
vedersi dinanzi il capitano degli alabardieri del
reggimento di Granata.
Il conte lo fissò per un momento; poi rispose con
accento ironico:
- Un gentiluomo deve saper danzare, saper giocare e
dare anche colpi di spada quando gli si offre
l'occasione.
- Vi ho proposto solamente di giocare, per ora -
disse il capitano degli alabardieri.
- Se ciò può farvi piacere eccomi ai vostri ordini,
conte di Sant'Iago.
- Come? Mi conoscete? - esclamò il capitano, facendo
un gesto di stupore.
- Cosí... per caso
La marchesa di Montelimar, un po' pallida, si era
alzata.
- Che cosa volete, conte di Sant'Iago dal conte de
Miranda? - chiese.
- Null'altro, signora, che proporgli una partita al
montes - rispose il capitano. - Gli uomini di mare
preferiscono il gioco alla danza; è vero, conte?
- Qualche volta - rispose asciuttamente il giovane.
- E poi avete già danzato una volta con la regina
della festa.
- Ma se la marchesa desiderasse fare un altro giro
rinunzierei subito alla partita che voi mi proponete,
checché dovesse succedere.
- La notte non è ancora finita, e avrete tempo di
muovere le gambe finché vorrete - disse il capitano
degli alabardieri con sottile ironia.
- Non giocate, conte - disse la marchesa.
- Oh, non farò che una sola partita! - rispose il
giovane capitano. - Sono distrazioni che piacciono alle
genti che navigano. Andiamo, signor di Sant'Iago.
Baciò galantemente la mano alla marchesa di
Montelimar e seguí il burbero capitano degli
alabardieri, non senza aver prima fatto alla bella
vedova un leggero cenno, come per dirle:
- Non vi preoccupate per me.
Attraversarono l'ampia sala sfolgorante di luce, dove
capitani di terra e di mare danzavano allegramente
insieme con le piú leggiadre signore e signorine di San
Domingo, ed entrarono in un salottino dove una dozzina
di ufficiali, per la maggior parte vecchi, stavano
giocando e fumando grossi sigari avana, senza occuparsi
affatto della festa da ballo.
Dei dobloni semplici e doppi scintillavano sui
tavolini da giuoco, e dadi e carte venivano gettati con
una certa noncuranza, piú affettata che reale, dai
giocatori.
- Signor conte, - disse il capitano degli alabardieri
- preferite le carte o i dadi?
Il giovane capitano di fregata parve pensare un
momento, poi disse:
- I dadi mi pare che diano un'emozione piú violenta
delle carte, e ciò va benissimo per gli uomini di
guerra abituati ai colpi di spada e di cannone. Non vi
pare, signor di Sant'Iago? Non siamo dei tranquilli
piantatori di canne da zucchero o d'indaco!
- Avete dello spirito, conte.
- Di mare, condito con molto sale - disse il giovane
sorridendo. Noi siamo uomini molto salati.
- Mentre noi siamo molto profumati, invece - rispose
il capitano degli alabardieri di Granata.
- Perché?
- Viviamo sempre nei boschi, alla caccia dei
bucanieri.
- E ne uccidete molti di quei furfanti?
- Uff! qualche volta qualcuno cade sotto i nostri
archibugi, ma quasi mai sotto le alabarde delle nostre
guardie. Appena quei furfanti odono lo sparo d'un
archibugio, invece di attaccare, scappano come lepri.
- Chi? I bucanieri o i nostri?
- I nostri, conte.
- Hanno tanta paura?
- Basta talvolta un bucaniere bene imboscato per
mettere in rotta i nostri alabardieri; e notate che non
si mettono mai in campagna, se non sono almeno
cinquanta.
- Bel coraggio! - disse il conte de Miranda con un
sorriso un po' sarcastico.
- Carrai! vorrei veder voi al loro posto!
- Li attaccherei a fondo alla testa dei miei marinai.
- Si vede, infatti, che bella figura fanno i marinai
che montano i nostri galeoni! - osservò il capitano
beffardamente. - Dopo le prime cannonate, abbassano il
grande stendardo di Spagna e consegnano ai furfanti
della Tortue le verghe d'oro che hanno nella stiva.
- I miei veramente... Il conte di Miranda si fermò
mordendosi le labbra come pentito di essersi lasciato
sfuggire quella frase e disse:
- Capitano, volete dunque che giochiamo?
- Vi avevo invitato per questo. Vedremo se l'amore
porta fortuna o sfortuna.
- Che cosa volete dire?
Il conte di Sant'Iago, invece di rispondere, fece un
segno ad un servo negro gallonato vestito di seta e gli
ordinò:
- I dadi: vogliamo giocare.
- Subito, signor conte.
Un momento dopo il servo portava su un piatto
d'argento finemente cesellato una piccola tazza d'oro
con due dadi di dente di marsuino.
- Che giochiamo, signor conte de Miranda? - chiese il
capitano degli alabardieri.
- Quello che volete.
- Badate a quello che dite.
- Perché, signor conte di Sant'Iago? - chiese il
giovane con affettata indifferenza.
- Carrai!
- Caramba! Bestemmiate, signor conte.
- Ed anche voi, mi pare.
- Oh! Io sono uomo di mare! D'altronde nessuno vi
proibisce di bestemmiare. Le genti di terra e di mare
qualche volta vanno pienamente d'accordo su questo..
terreno.
- Avete dello spirito, conte.
- Qualche volta.
- Giocate? - chiese il capitano.
- Ve l'ho già detto: quello che desiderate.
- Una pelle viva?
Il giovane guardò il capitano con sorpresa
- Non vi comprendo: quale può essere questa pelle
viva? Quella d'un pescecane forse?
Il capitano degli alabardieri di Granata si mise le
mani sui fianchi, con un fare provocante, poi disse con
voce grave:
- Fra gli uomini d'arme di terra usa giocare una
pelle, quando si è stanchi di gettare dell'oro sul
tavolo.
- Ossia? - chiese il conte de Miranda con calma.
- Quello che perde si fa saltare il cervello con un
colpo di pistola.
- Brutto giuoco!
- Anzi interessantissimo, perché si giuoca la vita
d'un uomo.
- Preferisco arrischiare i miei dobloni - rispose il
giovane. - Lo trovo
piú comodo.
- E quando non se ne hanno piú?
- Si lascia il tavolino da giuoco e si va a dormire
nella cabina: almeno cosí usa nella marina.
- Non fra noi però!
- Che diavolo! Sareste uomini tanto diversi, signor
conte?
- Può darsi! - rispose seccamente il capitano.
- Avete pessimi gusti.
- Volete offendermi?
- Io? Niente affatto, capitano, sono venuto qui per
giocare e non per arrabbiarmi o suscitare uno scandalo.
Che cosa si direbbe di me?
- Forse avete ragione.
- Lasciate dunque in pace le pelli vive o morte, e
giochiamo dei dobloni o delle piastre. Quelle almeno non
hanno peli né da vendere né da uccidersi
- Puntate?
- Cento piastre - rispose il giovane gentiluomo.
- Volete rovinarmi?
- No, perché sono un pessimo giocatore, signor di
Sant'Iago; e poi non ho mai avuto fortuna né alle
carte, né ai dadi.
- L'avrete con le belle signore, con le marchese
soprattutto - disse il capitano quasi con rabbia.
- In mare non ho incontrato che navi, montate per lo
piú da corsari, e quelle non mi regalavano baci, ve
l'assicuro. Al mio saluto rispondevano invece con palle
di buon calibro che facevano sudar freddo i miei uomini.
- Ma in terra, sí però.
- Signor di Sant'Iago, io sono entrato in questo
salotto per giocare qualche migliaio di piastre e non
già per chiacchierare. Dovreste saperlo che gli uomini
di mare non amano parlar molto... Cento piastre?
- Sia! - rispose il conte di Sant'Iago con un gesto
sprezzante.
- Volete essere il primo?
Il capitano, invece di rispondere, prese il bossolo
d'oro, fece saltellare i dadi: poi li rovesciò sul
tavolino.
- Tredici! - disse. - Ecco un numero che porterà
fortuna.
- Siete superstizioso?
- No, tuttavia questo tredici mi ha dato una scossa
al cuore.
- Allora morrete molto presto - disse il conte de
Miranda ridendo.
- Per mano di chi?
- Non sono mai stato uno stregone, io.
- D'un rivale?
- Può essere.
- Non lo credo, perché ne ho ucciso uno la settimana
scorsa, per il semplice motivo che mi dava ombra.
- Avete la mano troppo lesta, signor di Sant'Iago.
- Che fora sempre quando stringe una spada.
- Veramente anche la mia non è tarda - ribattè il
giovane. Il capitano degli alabardieri lo guardò fisso
fisso, come se cercasse di comprendere bene il senso di
quelle parole, poi disse:
- Tocca a voi.
Il conte de Miranda prese a sua volta il bossolo e
fece rotolare i dadi sul tappeto.
- Quattordici! Che combinazione! - esclamò. -
Caramba! Un tredici e un quattordici.
Che cosa significano questi due numeri cosí vicini
l'uno all'altro?
Il capitano degli alabardieri si era passata una mano
sulla fronte aggrottata. Una viva preoccupazione
traspariva dal suo viso.
- Che cosa ne dite voi, signor di Sant'Iago? - chiese
il giovane.
- Che voi avete vinte le mie cento piastre.
- Di quelle non mi occupo: io parlo dei due numeri.
- Nemmeno io sono uno stregone.
- Continuate?
- Sí: voglio vedere come si combineranno i nuovi
numeri. Vi propongo tre colpi di cinquecento piastre
ciascuno.
- Sta bene: a voi.
Il capitano riprese il bossolo e, dopo aver agitato
nervosamente i dadi, li fece saltare sul tappeto.
Un'imprecazione a malapena repressa gli sfuggí,
mentre la fronte gli s'imperlava di sudore.
- Tredici ancora! - aveva esclamato. - È col diavolo
che io gioco?
- Veramente sono vestito come lui! - disse il conte
de Miranda, sempre ilare.
- Giocate, per Dios!
- Dodici! - esclamò il giovane.
Il capitano sussultò.
- Il tredici chiuso fra il dodici ed il quattordici!
- disse, battendo un pugno sul tavolino.
- Non trovate strano tutto ciò, conte?
- Infatti è una cosa che dà a pensare.
- E il numero fatale l'ho io!
- Ma mi avete vinto cinquecento piastre, una somma
che può consolare anche un capitano degli alabardieri.
- Avrei preferito perderle, purché fosse uscito un
altro numero.
- Né io, né voi possiamo comandare ai dadi.
Continuiamo.
La partita fu ripresa, ed il conte d Miranda vinse le
altre mille piastre, con un quindici e con un
diciassette, contro un quattordici ed un sedici.
Il capitano si era alzato di cattivo umore, nel
momento in cui i servi annunciavano che era la
mezzanotte e che perciò la festa era finita.
- Vi manderò domani a bordo le millecento piastre
che mi avete vinto, conte - disse il signor di Sant'Iago
con voce secca.
- Non abbiate fretta - rispose il giovane.
- Mi accorderete una rivincita, spero.
- Quando vorrete.
- Non qui però.
- Perché?
- Non ho fortuna in questa casa.
- E non si può litigar liberamente; è vero,
capitano? - chiese il de Miranda ironicamente.
- Può essere - rispose il capitano. - Buona sera,
conte.
Ciò detto, uscí dal salotto ed entrò nella sala da
ballo, dove dame e cavalieri si affollavano intorno alla
marchesa di Montelimar per accomiatarsi.
Il comandante della Nuova Castiglia si era invece
fermato, appoggiandosi allo stipite della porta.
Aspettava probabilmente che gli invitati se ne
andassero.
Dall'espressione del suo viso si capiva che non era
meno preoccupato del conte di Sant'Iago. Tormentava con
la sinistra la guardia della sua spada e si torceva
nervosamente i baffi. Quando la splendida sala fu quasi
vuota, a sua volta avanzò verso la marchesa, la quale
pareva che già lo cercasse con lo sguardo.
- Signora, - le disse inchinandosi - mi perdonerete
se io non sono piú rientrato per fare un'altra danza
con voi, ma mi ero impegnato in una grave partita al
giuoco.
- Col capitano degli alabardieri? - chiese la bella
vedova, con una certa ansietà.
- Sí, marchesa.
- Non avete questionato con lui?
- Niente affatto.
La marchesa respirò.
- Guardatevi da lui, signor conte - disse poi. - È
un uomo pericoloso.
Il giovane batté una mano sulla guardia della spada.
- Quando al mio fianco sta questa lama, io non ho
paura di tutti i capitani degli alabardieri di Spagna,
di Francia o d'Italia! - disse.
- Marchesa, quando potrò rivedervi? Io devo chiedere
a voi un'informazione che mi interessa.
- A me?
- Sí, marchesa.
- Allora domani farete colazione con me.
- Domani, - disse il conte, mentre sulla sua fronte
passava come un'ombra - potrebbe essere troppo tardi.
- Contate di partire presto? Siete arrivato solamente
stamane.
- È vero, marchesa: ma vi sono delle volte che non
si può disporre del proprio tempo. Potrei rimanere,
come potrei partire da un momento all'altro. Non vorrei
andarmene però prima d'aver avuto un colloquio con voi.
- Non siete venuto per proteggere San Domingo da un
attacco dei corsari della Tortue e dei bucanieri?
- Non posso rispondervi, marchesa.
- Eppure voi non dovete partire cosí presto. Sapete
cavalcare, conte?
- Sí, marchesa.
- Domani ha luogo la corsa al gallo e desidererei che
vi prendeste parte.
- Perché?
- La posta è un mio bacio che darò e riceverò dal
vincitore.
Il conte de Miranda ebbe un leggero trasalimento.
- Checché accada, - disse poi - prenderò parte alla
corsa. Buona sera marchesa; noi ci rivedremo, perché è
necessario.
Baciò la mano alla bella vedova e uscí accompagnato
da un valletto mulatto, il quale reggeva a stento un
pesante doppiere d'argento. In quello stesso momento gli
ultimi invitati lasciavano il magnifico palazzo di
Montelimar. |