1 - Un lupo di mare
Non avete udito mai parlare di mastro Catrame? No?...
Allora vi dirò quanto so di questo marinaio d'antico
stampo, che godette molta popolarità nella nostra marina: ma
non troppe cose, poiché, quantunque lo abbia veduto coi miei
occhi, abbia navigato molto tempo in sua compagnia e vuotato
insieme con lui non poche bottiglie di quel vecchio e
autentico Cipro che egli amava tanto, non ho mai saputo il suo
vero nome, né in quale città o borgata della nostra penisola
o delle nostre isole egli fosse nato.
Era, come dissi, un marinaio d'antico stampo, degno di
figurare a fianco di quei famosi navigatori normanni che
scorrazzarono per sì lunghi anni l'Atlantico, avidi di
emozioni e di tempeste, che si spinsero dalle gelide coste dei
mari del nord fino a quelle miti del mezzogiorno, che
colonizzarono la nebbiosa Islanda e conquistarono il lontano
Labrador, quattro o forse cinquecento anni prima che il nostro
grande Colombo mettesse piede sulle ridenti isole del golfo
messicano.
Quanti anni aveva mastro Catrame? Nessuno lo sapeva,
perché tutti l'avevano conosciuto sempre vecchio. È certo
però che molti giovedì dovevano pesare sul suo groppone,
giacché egli aveva la barba bianca, i capelli radi, il viso
rugoso, incartapecorito, cotto e ricotto dal sole, dall'aria
marina e dalla salsedine. Ma non era curvo, no, quel vecchio
lupo di mare!
Procedeva, è vero, di traverso come i gamberi, si
dondolava tutto, anche quando il vascello era fermo e il mare
perfettamente tranquillo, come se avesse indosso la tarantola,
tanta era in lui l'abitudine del rollio e del beccheggio; ma
camminava ritto, e quando passava dinanzi al capitano o agli
ufficiali teneva alto il capo come un giovinotto, e da quegli
occhietti d'un grigio ferro, che pareva fossero lì lì per
chiudersi per sempre, sprizzava un bagliore come di lampo. Ma
che orsaccio era quel mastro Catrame! Ruvido come un guanto di
ferro, brutale talvolta, quantunque in fondo non fosse
cattivo: poi superstizioso come tutti i vecchi marinai, e
credeva ai vascelli fantasmi, alle sirene, agli spiriti
marini, ai folletti, ed era avarissimo di parole. Pareva che
faticasse a far udire la sua voce, si spiegava quasi sempre a
monosillabi e a cenni, non amava perciò la compagnia e
preferiva vivere in fondo alla tenebrosa cala, dalla quale non
usciva che a malincuore. Si sarebbe detto che la luce del sole
gli faceva male e che non poteva vivere lontano dall'odore
acuto del catrame, e forse per questo gli avevano imposto quel
nomignolo, che poi doveva, col tempo, diventare il suo vero
nome.
Chi aveva mai veduto quell'uomo scendere in un porto?
Nessuno senza dubbio. Aveva un terrore istintivo per la terra,
e quando la nave si avvicinava alla spiaggia, lo si vedeva
accigliato, lo si udiva brontolare, e poi spariva e andava a
rintanarsi in fondo del legno. Di là nessuno poteva trarlo;
guai anzi a provarsi! Mastro Catrame montava allora in bestia,
alzava le braccia e quelle manacce callose, incatramate, dure
come il ferro e irte di nodi, piombavano con sordo
scricchiolio sulle spalle dell'imprudente, e i mozzi di bordo
sapevano se pesavano!
Per tutto il tempo che la nave rimaneva in porto, mastro
Catrame non compariva più in coperta. Accovacciato in fondo
alla cala, passava il tempo a sgretolare biscotti con quei
suoi denti lunghi e gialli, ma solidi quanto quelli del
cignale, a tracannare con visibile soddisfazione un buon
numero di bottiglie di vecchio Cipro, alle quali spezzava il
collo per far più presto, e a consumare non so quanti
pacchetti di tabacco.
Quando però udiva le catene contorcersi nelle cubìe (1) e
attorno all'argano, e lo sbattere delle vele e il cigolare
delle manovre correnti entro i rugosi boscelli, si vedeva la
sua testaccia apparire a poco a poco a fior del boccaporto e,
dopo essersi assicurato che la nave stava per ritornare in
alto mare, compariva in coperta a comandare la manovra.
Sembrava allora un altro uomo, tanto che si sarebbe detto
che invecchiava di mano in mano che si avvicinava alla terra e
che ringiovaniva di mano in mano che se ne allontanava per
tornare sul mare. Forse per questo si sussurrava fra i giovani
marinai che egli fosse uno spirito del mare e che doveva esser
nato durante una notte tempestosa da un tritone e da una
sirena, poiché quello strano vecchio pareva si divertisse
quando imperversavano gli uragani, e dimostrava una gioia
maligna che sempre più cresceva, allora che più
impallidivano dallo spavento i volti dei suoi compagni di
viaggio.
Da che cosa provenisse quell'odio profondo che mastro
Catrame nutriva per la terra? Nessuno lo sapeva, e io non più
degli altri, quantunque mi fossi più volte provato ad
interrogarlo. Egli si era contentato di guardarmi fisso fisso
e di voltarmi bruscamente le spalle, dopo però avermi fatto
il saluto d'obbligo, poiché mastro Catrame era un rigido
osservatore della disciplina di bordo.
Del resto tutti lo lasciavano in pace, mai lo
interrogavano, poiché lo temevano e sapevano per esperienza
che aveva la mano sempre pronta ad appioppare un sonoro
scapaccione, malgrado l'età, e qualche volta anche faceva
provare la punta del suo stivale. Gli uni lo rispettavano per
l'età, gli altri per paura.
Lo stesso capitano lo lasciava fare quello che voleva,
sapendo che in fatto di abilità marinaresca non aveva
l'eguale, che poteva contare su di lui come su d'un cane
affezionato, sebbene ringhioso, e che valeva a far stare a
dovere l'equipaggio anche con una sola occhiata, né mancava
mai al suo servizio.
Una sera però, mentre dai porti del Mar Rosso navigavamo
verso i mari dell'India, mastro Catrame, contrariamente al
solito, commise una mancanza che fece epoca a bordo del nostro
veliero: fu trovato nientemeno che ubriaco fradicio in fondo
alla cala!... Come mai quell'orso, che da tanti anni aveva
dato un addio ai forti liquori che tanto piacciono ai marinai
e che mai una volta si era veduto barcollare pel soverchio
bere, si era ubriacato? Il caso era grave; ci doveva entrare
qualche gran motivo, e il nostro capitano, che voleva veder
chiaro in tutto, ordinò un'inchiesta, su per giù come fanno
le nostre autorità quando accade qualche grosso avvenimento.
E la nostra inchiesta approdò a buon porto, poiché si
constatò con tutta precisione che mastro Catrame si era
ubriacato per errore! Qualche burlone aveva mescolato fra le
bottiglie di Cipro una di rhum più o meno autentico, e il
vecchio lupo l'aveva tracannata tutta senza nemmeno accorgersi
della sostituzione.
Un mastro che si ubriaca durante la navigazione non la può
passar liscia, e tanto meno doveva passarla mastro Catrame,
che era così rigido osservatore delle discipline
marinaresche. Quale brutto esempio, se lo si fosse graziato!
Il capitano con tutta serietà ordinò che si portasse il
colpevole sul ponte appena l'ebrezza fosse passata, e avvertì
l'equipaggio di tenersi pronto per un consiglio straordinario.
Dopo due ore mastro Catrame, ancora stordito da quella
abbondante libazione, che avrebbe potuto riuscire fatale a uno
stomaco meno corazzato, compariva in coperta torvo,
accigliato, coi peli del volto irti. I suoi occhietti
correvano dall'uno all'altro marinaio, come se volessero
scoprire il colpevole di quella brutta gherminella.
Il capitano, appena lo vide, gli andò incontro, lo prese
ruvidamente per un braccio e lo fece sedere su di un barile
che era stato collocato ai piedi dell'albero maestro. Con un
cenno fece radunare attorno al colpevole l'equipaggio, poi,
affettando una gran collera che non provava e facendo la voce
grossa per darsi maggior importanza, disse:
- Papà Catrame, - lo chiamava così, - sapete che i
regolamenti di bordo condannano il marinaio che si ubriaca
durante il servizio?
Il lupo di mare fece un cenno affermativo e barbugliò un
«fate».
- Quest'uomo è colpevole? - chiese il capitano, volgendosi
verso l'equipaggio, che rideva sotto i baffi, sapendo già
come doveva finire quella commedia.
- Sì, sì, - confermarono tutti.
- Se tu fossi più giovane, ti farei chiudere nella cabina
coi ferri alle mani e ai piedi; ma sei troppo vecchio. Ebbene,
io cambio la pena condannandoti a sciogliere quella lingua,
che è sempre muta, per dodici sere.
- Orsù, papà Catrame, taglia i gherlini (2) che la tengono
legata, accendi la tua pipa e narraci dodici storie, le più
belle che sai - e ne devi sapere, veh! - e tu, dispensiere,
reca una bottiglia del più vecchio vino di Cipro che troverai
nella mia cabina, onde la lingua del vecchio orso non si
secchi. Avete capito?
Una salva d'applausi accolse le parole del capitano, a cui
fece eco un sordo grugnito di mastro Catrame, non so poi se di
contentezza per essere sfuggito ai ferri o di malcontento per
dover sciogliere la lingua.
NOTE
(1) Aperture che si trovano a prua delle
navi e per dove passano le catene delle àncore.
(2) Gherlino: piccola fune che serve per
ammainare le bandiere |