Poesie Di: TOMMASO CAMPANELLA (113-140) |
113 Sonetto fatto a tutti i carcerati per la medesima causa. 1 La favella e 'l commercio vi si nega 2 e la difesa, a voi, spiriti eletti; 3 perché sol la virtù de' vostri petti 4 l'orgoglio del tiranno affrena e lega. 5 E s'a fin alto carità vi piega 6 i corpi sparsi e gli uniti intelletti, 7 saran, qual fu la croce, benedetti 8 le forche, il fuoco, gli uncini e la sega! 9 E 'l bel morir che fa gli uomini dèi, 10 ove solo il valor saggio e virile 11 della sua gloria spiega i gran trofei. 12 Qui dolce libertà l'alma gentile 13 ritrova, e prova il ver, che senza lei 14 sarebbe ancor il Paradiso vile. 114 Sonetto in lode di fra Domenico Petrolo. 1 Venuto è 'l tempo omai che si discuopra, 2 Petrolo mio, l'industriosa fede 3 che serbasti all'amico, e già si vede 4 ch'a tutte l'altre questa tua va sopra. 5 Mortifera, infedel, empia, ingrata opra 6 far simolasti, ch'a lui vita diede, 7 deluso il sdegno di gente, che crede 8 che tal sofisma di terra lo cuopra. 9 Prodigo del tuo onor e della vita 10 per l'altrui vita, hai d'ognun più gran fama, 11 che gli die' aperta, ben pugnando, aita. 12 Di cerberi e bilingui cupa brama 13 schernisci or saggio. E` sentenza finita: 14 va felice ogni cosa a chi ben ama. 115 Alli defensori della filosofia greca. 1 Spirti ben nati nella santa scola 2 del Senno Eterno e verità divina, 3 la cui vita nel mondo è pellegrina, 4 e come vento se ne fugge e vola, 5 onde avvien che sua luce unica e sola, 6 che gli intelletti rischiarando affina, 7 con l'empia turba povera e meschina 8 par che schifate, e la bugia v'invola? 9 Non guardi a dietro chi a solcar la terra 10 ha posto mano; né del mondo curi 11 chi morto è al mondo, ove il mortal s'afferra. 12 Deh mirate, per Dio! quanto s'oscuri 13 la fede, onde giuraste di far guerra 14 a' disleali spiriti ed impuri. 116 Sonetto alla beata Ursula napolitana, a cui si raccommanda. 1 Vergine, che ravvivi il sangue santo 2 dell'illustre senese Caterina, 3 nostra sorella, e della gran reina 4 d'undecimila porti il nome e 'l vanto; 5 pregoti, per l'onor del sacro manto, 6 di cui spogliato incorsi in gran ruina, 7 muova, pregando, la Mente divina 8 a compassion del mio angoscioso pianto. 9 Ché, tu ascendendo alla celeste corte, 10 io restarò per testimonio fido 11 di tua bontà, scampato dalla morte; 12 e canterò, tornando al mio bel nido, 13 il fin de' miei travagli, e buona sorte 14 per gloria tua, con memorando grido. 117 Sonetto al signor Giovan Leonardi, avvocato de' poveri. 1 Ai spirti illustri del seculo antico, 2 stentando, ogni poeta aguaglia i soi; 3 ma or il vero è comparso per noi 4 santo Leonardo, in sì noioso intrico, 5 d'offizio, nome e portamenti: io dico 6 il difensor commune, a cui sol poi, 7 degno di Cristo e degl'invitti eroi, 8 il titulo «de' poveri» gli è amico. 9 Sembra un leon ardente, che si muove 10 a guerreggiar: da bocca gli esce vampa 11 di leggi, d'argomenti e d'altre prove. 12 Ciò ch'egli scrive, a noi libertà stampa; 13 ciò ch'egli parla, nostra vita piove, 14 contra l'ombra di morte accesa lampa. 118 Sonetto primo in lode di fra Pietro Presterà da Stilo. 1 Sino all'Inferno un cavalier seguio 2 l'avventurato amico a grand'impresa: 3 ma più la bianca fede contrapesa 4 del tuo spirto leal, fra Pietro mio. 5 Se canta il gallo, e 'l caso avvien più rio, 6 di me infelice sempre alla difesa 7 d'amor più ardente si dimostra accesa, 8 vincendo i colpi del mostro restio. 9 Frati, amici, parenti, chi mi nega, 10 chi più ingrato mi trade e mi maligna, 11 chi non volendo nel mio mal si piega. 12 Solo il travaglio e la rabbia maligna 13 titulo in fronte del tuo onor dispiega, 14 re della fede, che mai non traligna. 119 Sonetto secondo in lode del medesimo. 1 Dunque, furor divin, ch'al volgo appare 2 follia, Presterà mio, t'infiamma e guida. 3 Chi d'immortal tanto valor si fida 4 degno carme poter dunque trovare? 5 Con lor cadesti per risuscitare 6 tanti eroi, redentor sorgendo e guida; 7 traditoresca, ingrata ed omicida 8 setta atterrasti e d'iracundia un mare. 9 Gli orribil mostri e 'l serpentin bilingue 10 dove son or? dov'è l'ebraico stuolo? 11 dov'è 'l moresco? e i lor bugiardi offici? 12 Fedel combattitor, mai non s'estingue 13 più il nome tuo, poiché serbasti solo 14 virtù, religion, patria ed amici. 120 Sonetto primo in lode del reverendo padre fra Dionisio Ponzio. 1 Cantai l'altrui virtuti; or me ne pento, 2 Dionigi mio: non avean senno vero, 3 com'or la tua, ch'avanza anch'il pensiero, 4 contemplo senza voce, afflitto e lento. 5 Maraviglia! sì orrido tormento, 6 che disnodava il corpo tutto intiero 7 di membro in membro, l'animo severo 8 schernia, quasi dicendo: - Io non ti sento. - 9 In me tanto martìr io non soffersi, 10 ch'in te stava il valor e 'l senno mio, 11 e solo al viver tuo fûr ben conversi. 12 S'a te par, io men vado, o frate, a Dio; 13 né chieggio marmi, né prose, né versi; 14 ma, tu vivendo sol, viverò anch'io. 121 Sonetto secondo in lode del medesimo, equiparandolo al marchese di Vigliena 1 Qual di Vigliena il sir, sperando al frutto 2 de' nostri tempi, in sue membra disfatto 3 fu il Ponzio mio, e con più terribil atto 4 transumanato, e 'n sua gloria ridutto, 5 ch'era lo spirto in ogni parte tutto 6 del mio Dionogi mille pezzi fatto, 7 con funi insin all'ossa stretto e tratto, 8 in una volta per mille distrutto. 9 - Misericordia!- i spiriti d'Averno 10 allor gridâro, stupendosi come 11 tanto tormento non avea l'Inferno. 12 Sfogâro mille Spagne e mille Rome, 13 al tuo martìr unite, l'odio interno. 14 Viva del Ponzio la virtude e 'l nome! 122 Sonetto terzo in lode di fra Dionisio Ponzio, alludendo alle sue arme, fatto nel tempo della sua confronta. 1 Qual feroce leon, ch'in più catene 2 insidie umane, ma non forza stringe, 3 e, per dar gusto, muro forte cinge, 4 all'uom e alla fortuna con sue pene: 5 se stuol di can plebbei, latrando, viene 6 per noiarlo, a difesa non s'accinge, 7 ma col ruggito e fiero aspetto spinge 8 la vil canaglia che valor non tiene; 9 tal fu Dionigi in mezzo a tanti Ebrei 10 congiurati all'estrema sua ruina, 11 come contra Sanson gli Filistei. 12 L'arme ponziane veggendo, indovina, 13 chi vince a scacchi, il fin de' versi miei: 14 dama fece il leon la sua pedina. 123 Sonetto fatto in lode di tre fratelli Ponzio. 1 Valor, Senno, Bontate io adoro in Cielo, 2 che fanno in tre persone una sostanza, 3 ond'ho l'amar, il saper, la possanza, 4 quanto dell'esser mio velo e revelo. 5 L'altra, c'ho in terra con simile stelo, 6 ond'ho la vita, gli atti e la speranza, 7 è la trina ponziana fratellanza 8 per valor grande, per senno e buon zelo. 9 Ferrante con Dionigi e Pietro fanno 10 un composto d'amor saggio e possente; 11 ed io sto in mezzo a ciò che ponno e sanno. 12 Taccia de' Gerion l'antica gente: 13 ch'or le tre ierarchie mirando stanno 14 la lor sembianza con l'Omnipotente. 124 Sonetto al Papa. 1 Tu sei del sommo Iddio vicario in terra, 2 Clemente; e perché lasci il Campanella 3 da Marrani e Giudei, gente rubella 4 all'altissimo Sir, metter sotterra? 5 Non vedi congiurati a farli guerra 6 i nemici alla patria Italia bella, 7 ch'egli al valor antico rinovella, 8 dove il zelante suo parlar s'afferra? 9 Né contra Dio, né contra il Re congiura 10 chi i ribaldi ministri suoi riprende, 11 né chi predice lor trista ventura. 12 Geremia e Michea via più gli offende, 13 Briggida con Gioachim: pigli la cura 14 pria contra lor, chi contra quel pretende. 125 Sonetto in lode del signor Cesare Spinola. 1 Pompa della natura, onor d'Iddio, 2 splendor d'Italia e di sue ninfe Adone, 3 tra' cavalier magnanimo campione, 4 difensor di virtù, Spinola mio, 5 t'offero, ringraziando, in atto pio 6 sacrifizio di musico sermone 7 del Campanella per la defensione 8 contra lo stuol traditoresco e rio. 9 La porta apristi donde il Ciel l'inspira 10 forza, amor, vita al sentimento afflitto, 11 d'invidia e gelosia vincendo l'ira. 12 Convenia sol al tuo valor invitto 13 tanta impresa per lui, che 'l mondo ammira 14 più ch'i gran savi suoi Grecia ed Egitto. 126 In lode di don Francesco di Castiglia. 1 L'arbor vittorioso di Castiglia, 2 ch'Italia e Spagna e un nuovo mondo adombra, 3 nel cui tronco innestata più grand'ombra 4 spanda l'austriaca imperial famiglia, 5 n'ha dato un germe, che tutto assomiglia 6 al suo lignaggio, fuor che non ingombra 7 paesi e regni, anzi egli da sé sgombra 8 cure sì grevi e al vero ben s'appiglia. 9 Don Francesco è costui, che, sconosciuto, 10 su l'Adige e 'l Sebeto va cantando 11 or donne sante, or suoi cocenti amori, 12 or l'Antiochia vinta, in stil più arguto, 13 or false corti ed ingrate abiurando. 14 Che fiano i frutti suoi? Questi son fiori. 127 Sonetto al signor principe di Bisignano. 1 D'Italia e Spagna e dell'altro emispero 2 presso e Filippo, monarca sovrano, 3 primo signor è quel di Bisignano, 4 per cui l'affanno mio parmi leggiero. 5 Ch'essendo stato un uom di tanto impero, 6 diece e diece anni, senza colpa, invano, 7 sol per sua larga e generosa mano, 8 nel carcer, dov'io sto, dolente e fiero; 9 pur, quando piacque al Ciel il suo ritorno 10 di dolce libertà all'amata luce, 11 privo degli anni e di prudenza adorno, 12 cessò ragion di Stato, che produce 13 a Dio nemici, a noi danno, al Re scorno. 14 Gran forza e speme tanto esempio adduce! 128 Sonetto in lode del signor Troiano Magnati. 1 Glorioso signor, ch'il nome porti 2 del cavallo TROIAN, dove i MAGNATI 3 suoi Grecia ascose pronti, apparecchiati 4 sovra Asia a vendicar gli antichi torti, 5 il valor di Diomede dentro apporti, 6 d'Ulisse il senno e quegli accenti grati, 7 di Menelao il sembiante e i modi ornati 8 ed ogn'altra virtù degli altri forti. 9 Del che m'avveggo io come Laocoonte, 10 ma non con l'odio suo, non col destino; 11 ché ammiro ed amo le tue virtù c¢nte. 12 Anzi umilmente pregando m'inchino: 13 apra il fianco fatal, vendichi l'onte 14 fatte a tanti virtuosi e a me meschino. 129 Sonetto alla signora donn'Ippolita Cavaniglia. 1 Per conquistar d'Ausonia il più bel regno, 2 e poi adornarlo, Alfonso ne traspianta 3 da Valenza la ricca e nobil pianta, 4 cui Ferdinando die' luoco più degno. 5 Qui tai frutti apportò, ch'umano ingegno, 6 qual sovra gli altri meglio scrive o canta, 7 di poter raccontarli non si vanta. 8 Che farò io, che puoca virtù tegno? 9 Ippolita, germoglio più gentile 10 de' Cavanigli rami, tu mi dona 11 di Petrarca o Maron l'invitto stile, 12 o pur del Sannazzaro, che l'intuona 13 tant'altamente, ch'il mio verso umile 14 sol le tue grazie in me tante risuona. 130 Sonetto alla medesima. 1 Ippolita magnanima, in cui serba 2 l'alto valor de' Cavanigli tuoi 3 della virtù i tesori, e amor gli suoi, 4 come in un seme suo sta tutt'un'erba; 5 hai presenza degnissima e superba, 6 che sembra armato esercito d'eroi; 7 maestosa bellezza, donde puoi 8 saldar ogni dolore e piaga acerba. 9 Generosa pietà, man liberale 10 al Sommo Ben ti fan simil cotanto, 11 che nata contro al mal ti giurarei. 12 Libero conversar, animo hai santo, 13 favellar grazioso e celestiale. 14 L'altre, femine son; tu donna sei. 131 Madrigale alla signora donna Ippolita. 1 Bastava che pietosa 2 le mie doglie mirassi a ricrearmi, 3 onde tuo servo eterno ne restassi, 4 o donna generosa; 5 ma mille grazie e benefizi farmi 6 volesti ancor. Felici ferri e sassi, 7 che stringete i miei passi, 8 ringraziar non poss'io, 9 né gioir del sol mio: 10 ringrazio voi, e di voi più non mi doglio. 11 Sol non poter servirla ho gran cordoglio. 132 Sonetto alla signora Olimpia. 1 Donna, ch'Olimpia, dal monte onde Giove 2 e 'l cielo stesso il suo nome riceve, 3 degnamente sei detta, il camin greve 4 di tanta altezza a disperar mi muove. 5 Poi dal tuo sommo un dolce fonte piove 6 d'umanità, che fa agevole e breve 7 l'impresa immensa e la mia voglia lieve: 8 onde m'accingo a far le prime prove. 9 Picciolo don ti mando, ma ben pegno 10 d'animo grande, onde virtù n'è vaga 11 tanto più, quando Amor ha nel suo regno. 12 Sul monte Olimpo un picciol ramo paga 13 d'oliva i vincitor, trionfal segno: 14 tu, ch'in te vinci me, così t'appaga. 133 Sonetto alla signora donn'Anna. 1 Se agli altri sei, con sincopata voce, 2 donna Anna, domina anima a me sei, 3 che signoreggi tutti i pensier miei 4 e rendi il viver mio tardo e veloce. 5 Dominio, ahi, tirannesco! ahi, vita atroce! 6 ché, volendo bearmi, non mi bei. 7 Bellezza e nobiltà, ch'agli alti dèi 8 converrebbe, hai superba, ch'a me nòce. 9 Superba, no, magnanima, appellarte, 10 ond'a picciol valor forse non miri, 11 dovevo, e saggia per natura ed arte; 12 pur, benché tal virtù tant'alto aspiri, 13 dalla vera clemenza non si parte, 14 ond'anche spero requie ai miei sospiri. 134 Invitato a cantar le laudi di Cesare, cantò così. 1 In stile io canterei forse non basso, 2 e farei molli i più rigidi cori, 3 signor Aurelio, se tempi migliori 4 lo spirto avesse, tormentato e lasso. 5 Ma a me non lice più gire in Parnasso, 6 né d'olive adornarmi, né d'allori, 7 che in atra tomba piango i miei dolori, 8 sol pianto rimbombando il ferro e 'l sasso. 9 Dite or, ch'io ascolto voi, canoro cigno, 10 cui avvien che in pene e pure in morte canti 11 Cesare invitto e vincitor benigno? 12 Troppo lungi son io dai pregi e vanti 13 d'uom sì felice, a cui tutto è maligno 14 quanto adopran qua giù le stelle erranti. 135 [A un popolo di devoti recatisi a visitare il Santo Sepolcro.] 1 Populo, che di Dio la sepultura 2 venisti a visitar, pria visitato 3 da lui nel petto, dove sta serrato 4 lo spirto tuo, com'in pregion oscura, 5 di pianger il tuo fallo prendi cura, 6 per cui nell'Inferno egli è penetrato, 7 ma libero di morte e di peccato, 8 dove la tua salvezza opra e procura. 9 Di sospiri e di lagrime confuse 10 nel tuo volto fontana oggi si scerna, 11 populo ingrato; non usar più scuse; 12 sìeti dolce onorar questa caverna, 13 piangendo amaramente, ove s'inchiuse 14 chi solo ti può dar la vita eterna. 136 [All'Ostia sacra.] 1 Titulo di vittoria, pan di vita, 2 d'uom vero e vero Dio sostanza e segno 3 della gloria immortal, donato in pegno 4 ad ogn'alma di te quaggiù nutrita, 5 non potea ritrovar la via infinita 6 delli seculi eterni umano ingegno 7 senza l'aiuto tuo, senza il sostegno: 8 tanto la perdizion l'avea impedita. 9 Chi a te s'accosta, sente alzarsi a volo 10 (secreto dei miracoli divini!), 11 gustando te, fin al celeste suolo. 12 Degno sei, Signor mio, ch'a te s'inchini 13 il ciel, la terra e 'l Tartaro; ché, solo 14 vincitor, passi tutti i lor confini. 137 [Grecia e Italia.] 1 Grecia, tre spanne di mar, che, di terra 2 cinto, superbia non potea mostrare, 3 solcò per l'aureo vello conquistare 4 e Troia con più inganni e puoca guerra. 5 Poi di menzogne e favole ne atterra 6 tutte le nazion per inalzare 7 sue false laudi. Or, standola a mirare, 8 contra sé Italia e contra Dio quanto erra! 9 Ella, che trionfò del mondo tutto 10 con senno ed armi sotto la gran Roma, 11 dove anco ha Dio suo tribunal costrutto; 12 ella, che novi mondi trova, e doma 13 dell'Ocean vago ogni tremendo flutto 14 (impresa che trascende ogni gran soma)! 15 Né pur s'ammira o noma 16 Cristofaro Colombo, il cui sagace 17 valor sapientissimo ed audace 18 ne schernisce e disface 19 di fisici, teologi e poeti 20 i libri, e i matematici decreti, 21 Erculi, Giovi e Teti, 22 veggendo e' più con la corporea salma 23 che col pensier veloce altri dell'alma, 24 degno d'eterna palma. 25 Ad un mondo dài nome tu, Americo, 26 del nido a' buon scrittor cotanto amico; 27 ma il favoloso intrico 28 de' falsi eroi e de' bugiardi dèi 29 fa che senza poema ancor tu sei. 30 Quanti dir ne potrei! 31 Il gran dottor della legislatura, 32 Pittagora, e 'l suo Numa, chi l'oscura? 33 Italia, sepoltura 34 dei lumi suoi, d'esterni candeliere, 35 onde il gran Cosentin oggi non chiere, 36 e lo Stilense fere 37 di nuovi affanni, di cui sol l'aurora 38 gli antichi occupa, e quella patria onora, 39 che poi lui disonora. 40 Colpa e vergogna della nostra gente, 41 che al proprio mal, all'altrui ben consente, 42 né pur anche si pente! 43 Privata invidia ed interesse ammaga 44 Italia mia, né mai più si dismaga 45 di servir chi la paga 46 d'ignoranza, discordia e servitute, 47 sempre contrarie alla commun salute! 48 Ahi! nascosta virtute 49 a te medesma, e nota a tutto il mondo, 50 sotto l'imperio soave e giocondo 51 del Lazio almo e fecondo 52 di prole generosa, poich'e' solo 53 in lettere ed in arme fe' più stuolo 54 che l'universo insieme 55 con verità, ch'or sotto il falso geme. 138 Sonetto fatto al signor Petrillo. 1 Bellissimo fanciullo oggi è comparso, 2 qual luce all'oscurissima mia vita, 3 temperando la mia doglia infinita, 4 in sue domande onestamente scarso. 5 Ché, veggendo il mio senno vano e sparso, 6 ch'a nuovo carme inabile s'addita, 7 il vecchio canto a ripigliar m'invita: 8 proposta veramente d'Anacarso. 9 Glorioso garzon, che 'l cor mi pungi, 10 di castissimo amor usando l'arco, 11 e nuovo senno al mio perduto aggiungi, 12 carme ti rendo, d'ogni gusto parco, 13 ch'esce da bocca di dolcezza lungi, 14 ch'agli ultimi sospiri è fatta varco. 139 Sonetto secondo fatto al medesimo. 1 Spirto ben nato, la bellezza è un fiore 2 dell'interno valor, ch'in noi riluce 3 per la massa corporea, onde produce 4 a chi vi mira stimoli d'amore. 5 Presso a puoch'anni, quel ch'appar di fuore, 6 ritorna dentro al suo primiero Duce, 7 s'a lui apportò ben con la sua luce; 8 se non, del tutto poi svanisce e more. 9 Dunque veggiate di donarla a cambio 10 con chi vi dà virtù, bontate e senno, 11 non frivole novelle in contracambio; 12 le quai, send'ombra, deleguar si denno, 13 pria che proviate in sì noioso scambio 14 quanti rei tradimenti vi si fenno. Rime amorose 140 Sonetto fatto dall'autore sopra il giuoco di dadi applicandolo a se stesso. 1 Segnando sua fortuna sopra un punto, 2 guadagnar sempre il giocator si vede, 3 ché quei gli arride in faccia, e sopra siede 4 al segno opposto il dado al giuoco assunto. 5 Travolgendosi poi, resta compunto 6 di danno e scorno, e quanto manco cede 7 tanto più perde, e 'l miser non s'avvede, 8 finché tutt'il suo aver riman consunto. 9 Così, avend'io delle mie estreme imprese 10 nella mia vaga dea fisso la sorte, 11 sto bene, ho nunzi buon, se m'è cortese: 12 se mi si asconde o fa le ciglia torte, 13 novelle ho male e sento mille offese, 14 ostinato a seguirla insino a morte.
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