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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Poesie

Di: TOMMASO CAMPANELLA

(29-56)

  (1-28)                    57-84

 

29
  Della Bellezza, segnal del bene, oggetto d'amore.
  1      L'Amor essenzial, cui son radici
  2 Senno e Valor nativi, donde in terzo
  3 s'integra ogni esser, si conserva e chiama
  4 bontà, verità e vita: a grande scherzo,
  5 in voglie accidental, diffonditrici
  6 dell'essere, come arbor, si dirama,
  7 o perché in sé l'ha a perdere, o per mostra
  8 di suo' beni a bear altri chi s'ama.
  9 Talché un Cupido in Ciel di Copia nasce
 10 gioiendo; e con ambasce
 11 qui d'Inopia un, che pasce
 12 pur letizia di vincere la giostra
 13 contra il morire in questa bassa chiostra.
 14 Or fra le cose ancor, che tutte buone
 15 a sé, al mondo e a Dio, perché salute
 16 sono all'altre o fatal destruzione,
 17 puose un gran segno la Prima Virtute.
 18     Bellezza dunque è l'evidente segno
 19 del bene, o proprio all'ente in cui risiede,
 20 o di ben ch'indi può avvenire a cui
 21 par bello, o d'ambi, e d'altri può far fede.
 22 Ecco, la luce del celeste regno,
 23 beltà semplice e viva, mostra a nui
 24 gran valor, che ci avviva e giova a tanti:
 25 sol brutta all'ombra, bel degli enti bui.
 26 Di serpi e draghi il fischio e la bravura
 27 e la varia pittura
 28 a noi ci fan paura,
 29 gli rendon brutti, e tra lor belli e santi.
 30 L'umiltà di cavalli e di elefanti,
 31 segnal di servitù e di poco ardire,
 32 fa brutta a loro, ma a noi bella vista
 33 del poter nostro e ben di lor servire.
 34 L'altrui virtù al tiranno è brutta e trista.
 35     Bella ogni casa è dove serve e quando,
 36 e brutta dov'è inutile o mal serve,
 37 e più s'annoia; e pur l'altrui bruttezze
 38 bello è vedere, e guerra in mar che ferve,
 39 perché tua sorte o virtù vai notando,
 40 impàri a spese altrui mire prodezze.
 41 Brutto è, s'augura a noi male o rimembra,
 42 vedere infermi, povertà ed asprezze.
 43 Il bianco, che del nero è ognor più bello,
 44 più brutto è nel capello,
 45 ché addita testé avello;
 46 pur bello appar, se prudenza rassembra.
 47 Belle in Socrate son le strane membra,
 48 note d'ingegno nuovo; ma in Aglauro
 49 sarìan laide. E negli occhi il color giallo,
 50 di morbo indicio, è brutto; e bel nell'auro,
 51 ch'ivi dinota finezza e non fallo.
 52     S'ella nota ogni ben, strano o natìo,
 53 e prìncipi son Senno, Amor e Forza,
 54 giocondi sempre ed utili ed onesti,
 55 cui le virtù son figlie e gli altri scorza;
 56 chi più senno, alta possa ed amor pio
 57 mostra, è beltà più illustre: ond'i gran gesti,
 58 spontanee morti e cortesie d'eroi
 59 paion sì belli, e mai non son infesti.
 60 Di savi le dottrine, leggi e carmi
 61 (ond'io posso eternarmi
 62 e l'altrui glorie e l'armi,
 63 e far gli altri prudenti a viver poi)
 64 son le più ampie bellezze fra noi.
 65 Bello è la nave o il cavalier armato
 66 veder, in cui più forze addoppia l'arte;
 67 ma più Archimede saggio opporsi al Fato,
 68 franger le navi e trasvolar, di Marte.
 69     L'arte divina negli enti rinchiusa,
 70 che natura appelliam, gli esempi prende
 71 da Dio per farli; e la nostra da lei.
 72 Però il soggetto brutti o bei non rende
 73 nostri artifìci; lo imitar gli accusa.
 74 Così degli aurei li marmorei dèi
 75 più bei puon dirsi, arte maggior mostrando,
 76 e più Tersite in scena che gli Atrei.
 77 E di Dante l'Inferno più bel pare,
 78 ch'e' più 'l seppe imitare,
 79 che 'l Paradiso. E care
 80 voci e sensi traslati enno, ampliando
 81 l'ingegno e 'l ben incognito illustrando;
 82 se no, fien vane, o bei drappi in Gabrina,
 83 che segnalano il mal del bene in loco,
 84 e fan bruttezza doppia tanto fina,
 85 quanto il papato a chi deve esser cuoco.
 86     Or, se beltade è di bontà apparenza,
 87 sarà oggetto a quei sensi sol, che lungi
 88 scorgono, come all'occhio ed all'udito,
 89 cui la ragione e i sensi interni aggiungi.
 90 Ma del gusto e del tatto alla potenza,
 91 e d'ogni senso, in quanto è [a] tatto unito,
 92 il bello è bene, e se, com'ella aspira,
 93 Sofia s'accoppia al Senno suo marito.
 94 Così beltà di ninfa, al vago in atto
 95 d'amor ristretta affatto,
 96 di dì o di notte fatto,
 97 passa in giocondo ben. Donde ella aspira
 98 bontà fruisce Amor, bellezza ammira.
 99 Bell'è la melodia, ma, quando s'ode
100 dentro al mobile spirto, si fa dolce,
101 se quel moto amplia, ond'e' vive e gode;
102 ma il strano offende, e lo sbatte, e non molce.
103     D'ogni ben che conserva in qualche foggia
104 l'essere in sé, ne' figli o nella fama,
105 beltà il segno si dice: ma la forma
106 per più propria beltà si pregia ed ama,
107 perché la virtù scuopre, ch'intra alloggia,
108 come la mole agli usi suoi conforma,
109 l'avviva e tempra con arte e possanza.
110 Ma, se mal serve all'uso di chi informa,
111 come goffo giubbon, fa laido volto,
112 segnal d'ingegno stolto,
113 o di poter non molto,
114 chi non poté o non seppe ben sua stanza
115 formar, onde è di vita rea speranza.
116 Ma, s'ella è brutta fuori e bella dentro,
117 come in Esopo, industria asconde e vita.
118 Peggio è, se è bello il cerchio e brutto il centro;
119 pessima è, quando è d'ambi mal fornita.
120     Beltà composta ne' corpi ricerca
121 procerità e di membri simmetria,
122 gagliarda agilitate e color vivi
123 di moti e gesti a tempo leggiadria.
124 Più i maschi che le femmine Dio merca
125 con ta' segni, onde son più belli e divi;
126 però più amati, e quelle amanti piue.
127 Dunque nani, egri, tronchi e goffi, privi
128 son parte di bellezza, e vecchi e smorti,
129 grossi, deboli e storti,
130 e pigri, male accorti.
131 Se brutto in nulla alcuno al mondo fue,
132 tenner tutte virtù le celle sue.
133 Pur ogni bello è fior di qualche bene,
134 e d'alcun bello è fior la venustate.
135 Di tutti quella e questa a mentir viene,
136 ché sta in note all'altrui gusto formate.
137     Giovane bella, sugosa e valente
138 promette lunga vita, e nutrimento
139 al seme, ed a noi gioia, onde può tanto.
140 Se poi non truovi sì dolce il contento,
141 com'ella addita, par brutta repente;
142 e se fraude, fierezza e stranio ammanto
143 l'infetta sì, che più nuoce che giuova,
144 par brutta come un simulato santo.
145 Ricchezze e onor, di virtù testimoni,
146 son be', ma più i demòni,
147 che que' dati a' non buoni,
148 ché di commun rovina son gran pruova.
149 Bello è il mentir, se a far gran ben si truova.
150 Or, s'ogni cosa in noi può, al mal soggetti,
151 bella in qualch'uso farsi, a Dio ed al mondo,
152 dove ha infiniti ognuna usi e rispetti,
153 quanto fien belle, e più l'Autor giocondo!
154     Guerre, ignoranze, tirannie ed inganni,
155 mortalità, omicidii, aborti e guai
156 son begli al mondo, come a noi la caccia,
157 giuochi di gladiatori e pazzi gai;
158 arbor uccider per far fuoco e scanni,
159 uova e polli onde il corpo si rifaccia;
160 far vigne, selve ed api, e tôr lor frutti,
161 reti, qual ragno che le mosche allaccia;
162 finger tragedia, se in vita anch'allegra,
163 passando ogni morte egra,
164 più parti al mondo allegra.
165 Ma più bello è che paian mali e brutti;
166 se non, in caos torneremmo tutti.
167 Alfin questa è comedia universale;
168 e chi filosofando a Dio s'unisce,
169 vede con lui ch'ogni bruttezza e male
170 maschere belle son, ride e gioisce.
171     Canzon, se volontario ogn'ente onora
172 bellezza per natura e non per legge,
173 di' ch'ella sia di quel, che 'l tutto regge,
174 trasparente splendor, ch'ogni bontate
175 derivamento è di divinitate,
176 che bea col bene e col bello innamora.
177 Ond'eretica invidia e stolta accora
178 gli sprezzator di quella,
179 ch'al gran Dio ne rappella
180 da' morti ed a man fatti simolacri,
181 mostrando in tutte cose
182 di Dio immaggini vive e tempii sacri,
183 quanto Senno e Possanza in farle puose.

30
  Canzon del sommo bene, oggetto d'amor naturale.
  1      Ogni cosa si dice bella o brutta,
  2 in quanto bene o male rappresenta.
  3 Ogni cosa si dice mala o buona,
  4 in quanto causa, dispone a fomenta
  5 immortal vita a morte, in parte o tutta.
  6 Ché sommo bene o sommo mal consona:
  7 quello oggetto final di tutti amori,
  8 e questo tutti gli odii muove e sprona.
  9 Ogni altro bello e ben or s'ama e prezza,
 10 ed or s'odia e disprezza,
 11 e par malia e bruttezza,
 12 o al medesmo o a diversi amatori,
 13 ch'al ben sommo ora spine ed or son fiori;
 14 che a nullo ente unqua annoia e sempre rape
 15 tutti, ch'è per sé buono sempre e solo.
 16 Quanto s'opra, si può, s'ama e si sape,
 17 s'indrizza a lui, sì come fuoco al polo.
 18     Cercar il cibo e prepararlo al ventre,
 19 Palla seguire e Venere in gran pena,
 20 e la propria sostanza in lei deporre;
 21 città abitar, che tanti gusti affrena;
 22 pugnar per lei, e ben far ad altri; mentre
 23 sommo ben non movesse il senno a tôrre
 24 tante briglie, vorria prenderle nullo.
 25 Ma il viver sempre, ch'indi viensi a côrre,
 26 in sé o nella fama o nelli figli,
 27 dolzor diede a' perigli
 28 ed agli agi scompigli.
 29 Così noi or la sferza, or il trastullo,
 30 perch'egli impari, usiamo col fanciullo.
 31 Palla dunque non ha, Venere a Bacco
 32 gioie per sé, ma a questo fin più altero:
 33 onde attuffan, s'è vòto a colmo il sacco;
 34 e spesso è lor preposto il dolor fiero.
 35     Se, di vivere in scambio, alcun s'uccide,
 36 se stesso o i figli a l'opre sue famose,
 37 lo fa per migliorar di vita, essendo
 38 il viver nostro e delle nostre cose
 39 morir continovo, che mai non side
 40 senza mutarsi, a mancando o crescendo
 41 ed ogni mutamento è qualche morte,
 42 una stato acquistando, altro perdendo
 43 d'atto, o di quale, o di quanto, o di essenza.
 44 E se con violenza
 45 si fa, reca doglienza;
 46 e gioia, fatto con natural sorte.
 47 Quel che fu o sarà a ciascun par forte
 48 e l'esser sol presente è certo e piace;
 49 e se repente a forza il muta, duolsi,
 50 sì che il morir comun manco gli spiace
 51 che 'l proprio; ch'è 'l mutar, com'io raccolsi.
 52     La servitute all'anima gentile
 53 morte propria è, che d'uom lo cangia in bruto,
 54 e i suoi studi ed azioni in pecorine.
 55 E per men mal Caton s'ammazza; e Bruto
 56 moria ne' figli tralignanti, vile
 57 fatto il suo gran sembiante; onde lor fine
 58 diè, qual Marone al suo libro dar volle,
 59 pieno d'error, di sua fama rovine.
 60 Viver per fama infame è vita amara,
 61 morte all'alma preclara,
 62 che, sprezzando, ripara
 63 più vera vita in gloria. Ove il Nil bolle
 64 s'uccise un elefante, e Neron molle,
 65 e di Siam le donne non volenti
 66 sopravivere al vago. A tai più propia
 67 par morte mutar stato che elementi.
 68 Pensa altri in fama o in Ciel vivere a copia.
 69     Ma nullo annicchilarsi unquanche intese,
 70 se non alcuni stolti di Narsinga,
 71 che solo in «niba» credono posarse
 72 senza affanni. Sentenza che lusinga
 73 chi sommo mal la doglia esser contese,
 74 che a noi guardiana della vita apparse,
 75 e di natura medicina e sferza.
 76 Così, se non si mangia per gustarse,
 77 né Venere per sé natura fece,
 78 ma per servar la spece,
 79 a noi stimar non lece
 80 la voluttà bontà prima, ma terza,
 81 che segue all'esser bene, e pria anche scherza
 82 con tal presagio il ben dell'universo,
 83 perch'ogni ente si serbi a lui e propaghi.
 84 Nel che, non d'arte errante, al buio immerso,
 85 ma di natura ogni senso n'appaghi.
 86     Ricchezze, sangue, onor, figli e vassalli
 87 per ben dà il Fato; e pur rovina a molti
 88 son al nome, alla patria ed al composto;
 89 e fan gli animi ansiosi, vili e stolti.
 90 Del corpo i ben, che 'l Ciel per meglio dàlli,
 91 sanità, robustezza e beltà, tosto
 92 si perdon anche, o perdon chi l'abusa,
 93 quando il ben grande al piccolo è posposto.
 94 Fra tutti beni le virtù dell'alma
 95 ottengono la palma;
 96 onde in corso ed in calma
 97 regge gli altri, e di mal mai non si accusa.
 98 D'esser virtute ogni potenza è esclusa
 99 senza il senno, di lor guida e misura;
100 né il suo senno tien l'ente che ha l'idea,
101 specifica bontà, in più e manco impura;
102 onde è a sé malo e strutto, e non si bea.
103     Il ben ch'all'altrui vivere s'applìca,
104 in sé o ne' discendenti, utile è detto
105 dall'uso; e dall'onore in fama, onesto.
106 D'essi appresi esce l'allegria, il diletto,
107 il ricco danno, e dolce la fatica.
108 S'alcun atto è nocivo e disonesto
109 e par giocondo, avvien ch'ivi fu misto
110 più ben con male; e quel nasconde questo.
111 Dunque ogn'onesto ed utile è gioioso
112 in che serba, e doglioso
113 in che strugge; e dir oso
114 che senz'essi piacer mai non fu visto.
115 Se piace l'acqua all'egro, onde è più tristo,
116 giova al spirto, o alla lingua ove ha angoscia;
117 ma, perché enno assai parti, se a più nòce,
118 s'ammalan tutte per consenso poscia;
119 ond'essa perde d'utile la voce.
120     La dolorosa vita non si fugge,
121 se non in quanto è morte: ch'essa doglia
122 senso è del mal, ch'almen morte minaccia,
123 o fa alla parte dov'è, benché soglia
124 tutte serbar, se 'l mal qui unito strugge.
125 Onde i dolori il senno accorto abbraccia
126 per gioire, e molto mal per più gran bene:
127 e 'l ben par mal, se più di mal procaccia.
128 Viver dunque secondo il senno insegna
129 felicità si tegna;
130 per cui saper convegna
131 tutte le cose che 'l manda contiene,
132 quanto fan di timor, quanto di spene.
133 Ma, perché manca ogni conservamento,
134 ché noi siam parti per lo tutto fatte,
135 e per Dio il tutto, il sennoamante, intento,
136 per farsi divo, a quanto può, combatte.
137     Canzon, dirai che l'uom sol fa beato
138 il senno, senza cui gli ben son mali,
139 né si sente il gioir; ma seco pure
140 il mal fia ben. Né senso han l'alme impure,
141 ma veggon con gli occhiali
142 le cose in altra guisa ch'elle stanno.
143 Né purità può aver chi non è nato
144 per sé, ma ad uso di que' che più sanno;
145 talché si fa felice
146 sol oprando quel che 'l saggio ci dice.
147 Assai sa chi non sa, se sa obbedire.
148 Tutto infelice fia chi non ascolta,
149 ma nacque per servire
150 in quel mal che ben fia di gente molta.
151 Forse fia in altre parti puro poi,
152 ché in varie forme s'occulta e rinasce,
153 e sol d'eternità l'esser si pasce;
154 ché il bene e 'l mal son dolci a' denti suoi.

31
  Del sommo bene metafisico.
  1      L'essere è il sommo ben, che mai non manca,
  2 e di nulla ha bisogno, e nulla pave.
  3 Amanlo tutti sempre; e' sol se stesso,
  4 perché non ha maggior né più soave.
  5 S'egli è infinito, noi di morte affranca,
  6 ché fuor non ha, né dentro a lui framesso
  7 puote il niente star. Né dunque alcuna
  8 cosa s'annulla, ma si cangia spesso.
  9 Lo spazio immenso all'esser d'ogni cosa
 10 è base in lui nascosa,
 11 che solo in sé riposa,
 12 da cui, per cui e in cui son tutte in una;
 13 e da cui lontanissima è ciascuna
 14 da infinito finita; e perché incinta
 15 e cinta, è vicinissima anche, stante
 16 in lui viva e per lui, s'è per noi estinta,
 17 come pioggia nel mar mai non mancante.
 18     Come lo spazio tutti enti penètra,
 19 locando, e d'essi insieme è penetrato;
 20 così Dio gli enti interna, e 'l spazio, e passa,
 21 non come luogo, né come locato,
 22 ma in modo preeminente; donde impetra
 23 lo spazio d'esser luogo, e 'l corpo massa,
 24 e l'agenti virtù d'esser attive,
 25 e gli composti in cui l'idea trappassa
 26 E perch'egli è, ogni ente è per seguela,
 27 qual splendor per candela;
 28 ma si occulta e rivela
 29 in varie fogge, in cui sempre si vive,
 30 come atomi nell'aria. In fiamme vive
 31 spiace a' legni mutarsi, e d'esser vampe
 32 godan poscia, ch'amor, virtute e senso
 33 dell'esser proprio han tutte le sue stampe,
 34 per quanto è d'uopo, dall'Autor immenso.
 35     L'uom fu bambino, embrione, seme e sangue,
 36 pane, erba ed altre cose, in cui godeva
 37 d'esser quel ch'era, e gli spiacea mutarsi
 38 in quel ch'è mo: e quel ch'ora gli aggreva,
 39 di farsi in fuoco, in terra, in topo, in angue,
 40 poi piaceralli; e crederà bearsi
 41 in quel che fia, ché in tutti enti riluce
 42 la idea divina, e pel dimenticarsi.
 43 Dunque nullo ama quel che amar gli pare:
 44 altro patire o fare,
 45 che 'l suo esser sa dare.
 46 Ch'un sia due, osta il tutto; e chi esser duce
 47 vuole, è, in quanto è simile, o produce
 48 imago, onde tal si ama; e non è, in quanto
 49 guastarsi in quel ch'è duca abborre, ed anco
 50 v'è quell'altro, talch'egli è un altro tanto;
 51 e 'l savio è tutti, ancor di morte franco.
 52     Non fece gli enti per vivere in loro,
 53 qual padre in figli o maestro ne' scolari;
 54 né per far mostra altrui delle sue pompe,
 55 ch'altri non vi era, e gli architetti rari
 56 non mostran a una polce un gran lavoro,
 57 né cerca onor chi in sé non si corrompe.
 58 Or chi dirà perché, se 'l Senno Eterno
 59 di tanto arcano il velame non rompe?
 60 S'e' fu sempre, il niente non fu mai;
 61 e tutti enti son rai
 62 del Primo, in cui trovai
 63 mondi, virtuti e idee, nel suo interno
 64 fatti e rifatti in più fogge ab aeterno,
 65 nuove agli enti rifatti, a' fatti antiche;
 66 figure ed ombre di sacre esistenze,
 67 chi nella Prima son una ed amiche,
 68 quantunque abbian tra lor varie apparenze.
 69     Se 'l fuoco fosse infinito, la terra
 70 non vi sarìa, o cosa confine e strana.
 71 Se Dio è infinito ben, non si può dire
 72 che vi sia morte o male o Stigia tana,
 73 se non per ben di chi e' per meglio serra.
 74 Rispetto è, non essenza, il mal, se mire
 75 dolce al capro, a noi amara la ginestra
 76 Se ta' rispetti averan da finire,
 77 il caos sol d'ogni gioia poi s'imbeve,
 78 come ferro riceve
 79 il fuoco, e 'l freddo neve.
 80 E questo è bello alla virtù maestra,
 81 com è bel che 'l distingua la sua destra.
 82 Che maraviglia s'alcuno s'ammazzi?
 83 Lo guida il Fato con occulto incanto
 84 per la gran vita, ove enno i mali e i pazzi
 85 semitoni e metafore al suo canto.
 86     L'alme, in sepolcri portatili ed adri
 87 chiuse, dubbie di morte fa ignoranza
 88 d'esser futuro e del passato obblio.
 89 Così più galeotti, per sconfidanza
 90 di miglior vita, e 'n prigion servi e ladri
 91 contentarsi, che uscir odian, vidi io.
 92 Or l'alma, che nel corpo opaca alberga,
 93 se stessa ignora, e l'altre vite, e Dio;
 94 onde per buchi stretti affaccia, e spia
 95 che cosa essa alma sia,
 96 come ivi e perché stia.
 97 Regge ella il corpo e nutre, e con sua verga
 98 guida; né sa in che modo il quieti e l'erga,
 99 ch'e' non traspare; ed essa è breve luce.
100 Così chi opera al buio, sé non vede
101 né l'opra sua; onde al balcon l'adduce,
102 e mira in altri, argomenta e rivede.
103     Se di piante e di bruti e gli uman spirti
104 formano al buio ospizi tanto adorni,
105 e gli reggon con arte a loro ignota,
106 è forza che tu, Dio, che in lor soggiorni,
107 gli guidi, e gli enti sien, per obbedirti,
108 come penna a scrittor, ch'è cieca, e nota;
109 o come è il corpo all'alma, e l'alme all'Ente
110 Primo, senza di cui non si fa iota.
111 Esser, poter, saper, amar, far, sono
112 passioni in noi e dono,
113 ed azioni in Dio buono,
114 che, amandose e sentendose, ama e sente
115 tutte cose, che 'n lui son conoscente.
116 Gode di lor comedia, ché la festa
117 fan dentro a lui; e da lor gioia non prende;
118 ma e', gioiendo, a lor la dona, e presta
119 senso ed amor, mentr'e' s'ama e s'intende.
120     Ma noi, finiti, anzi in prigion, prendiamo
121 di fuor, da chi ci batte le pareti,
122 ov'entra per vie strette, il saper corto
123 e falso, onde voi, falsi amor, nasceti.
124 Quinci aer, terra e sol morti stimiamo,
125 chi han libera il sentir, non, qual noi, morto;
126 e però amiam chi in carcere ci serba,
127 e chi ci rende al Cielo odiamo a torto.
128 Burle, onde 'l Fato i nostri e i solar fuochi
129 ritiene in stretti luochi,
130 quanto è uopo a' suoi giuochi.
131 Mai non si muore: godi, alma superba!
132 l'obblio d'antica ti fa sempr'acerba.
133 Oh, felice colui, che sciolto e puro
134 senso ha, per giudicar di tutte vite!
135 Che, unito a Dio, per tutto va sicuro,
136 senza temer di morte né di Dite.
137     Canzon, riconosciamo contra gli empi
138 l'Autor dell'Universo, confessando
139 belle, buone e felici l'opre sue
140 tutte, in quanto [ed] a lui sono ed al tutto
141 parti, rispetti e frutto
142 sì giusto, ch'un sol atomo mutando,
143 girìa in scompiglio. E sempre fia chi fue;
144 dal che farsi contento,
145 più che non sa volere, ogn'ente io sento:
146 come tutti direm con stupor, quando
147 di Lete aperto fia il gran sacramento.
32
  Della nobiltà e suo' segni veri e falsi.
  1      In noi dal senno e dal valor riceve
  2 esser la nobiltade; e frutta e cresce
  3 col ben oprare; e questa sol riesce
  4 di lei testimon ver, com'esser deve.
  5     Ma la ricchezza è assai fallace e lieve,
  6 se a luce da virtù propria non esce.
  7 Il sangue è tal, che a dirlo me n'incresce:
  8 ignorante, falsario, inerte e greve.
  9     Gli onor, che dar dovrebbon più contezza,
 10 con le fortune tu, Europa, misuri,
 11 con gran tuo danno, che 'l nemico apprezza.
 12     Giudicar l'arbor da' frutti maturi,
 13 non d'ombre, frondi e radici, sei avvezza:
 14 poi, perché tanta importanza trascuri?

33
  Della plebe.
  1      Il popolo è una bestia varia e grossa,
  2 ch'ignora le sue forze; e però stassi
  3 a pesi e botte di legni e di sassi,
  4 guidato da un fanciul che non ha possa,
  5     ch'egli potria disfar con una scossa:
  6 ma lo teme e lo serve a tutti spassi.
  7 Né sa quanta è temuto, ché i bombassi
  8 fanno un incanto, che i sensi gli ingrossa.
  9     Cosa stupenda! e' s'appicca e imprigiona
 10 con le man proprie, e si dà morte e guerra
 11 per un carlin quanti egli al re dona.
 12     Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra,
 13 ma nol conosce; e, se qualche persona
 14 di ciò l'avvisa, e' l'uccide ed atterra.

34
  Che la malizia in questa vita e nell'altra ancora è danno,
 e che la bontà bea qua e là.
  1      Seco ogni colpa è doglia, e trae la pena
  2 nella mente o nel corpo o nella fama:
  3 se non repente, a farsi pian pian mena
  4 la robba, il sangue o l'amicizia, grama.
  5     Se contra voglia seco ella non pena,
  6 vera colpa non fu: e se 'l tormento ama,
  7 ch'è amaro a Cecca e dolce a Maddalena,
  8 per far giustizia in sé, virtù si chiama.
  9     La coscienza d'una bontà vera
 10 basta a far l'uom beato; ed infelice
 11 la finta ed ignorante, ancor ch'altera.
 12     Ciò Simon Piero al mago Simon dice,
 13 quando volessim dir che l'alma pèra,
 14 ch'altre pur vite e sorti a sé predice.

35
  Che 'l principe tristo non è mente della repubblica sua.
  1      Mentola al comun corpo è quel, non mente,
  2 che da noi, membra, a sé tutte raccoglie
  3 sostanze e gaudi, e non fatiche e doglie:
  4 ch'esausti n'ha, come cicale spente.
  5     Almen, come Cupido, dolcemente
  6 ci burlasse, che 'n grembo della moglie
  7 getta il sangue e 'l vigor, che da noi toglie,
  8 struggendo noi, per far novella gente.
  9     Ma, con inganno spiacevole, in vaso
 10 li sparge o in terra, onde non puoi sperare
 11 alcuna ricompensa al mortal caso.
 12     Corpo meschin, cui mente ha da guidare
 13 piccola in capo piccolin, c'ha naso,
 14 ma non occhi, né orecchie, né parlare.

36
  Agl'Italiani, che attendono a poetar con le favole greche.
  1      Grecia, tre spanne di mar, che, di terra
  2 cinto, superbia non potea mostrare,
  3 solcò per l'aureo vello conquistare
  4 e Troia con più inganni e poca guerra;
  5 poi tutto 'l mondo atterra
  6 di favole, e di lui succhia ogni laude.
  7 Ma Italia, che l'applaude,
  8 contra se stessa e contra Dio quant'erra!
  9 Ella, che mari e terra, senza fraude,
 10 con senno ed armi in tutto il mondo ottenne,
 11 e del Cielo alle chiavi alfin pervenne!
 12     Cristoforo Colombo, audace ingegno,
 13 fa fra due mondi a Cesare ed a Cristo
 14 ponte, e dell'oceano immenso acquisto.
 15 Vince di matematici il ritegno,
 16 de' poeti il disegno,
 17 de' fisici e teologi, e le prove
 18 d'Ercol, Nettunno e Giove.
 19 E pur vil Tifi in ciel gli usurpa il regno,
 20 né par che a tanto eroe visto aver giove
 21 e corso più con la corporea salma,
 22 che col pensier veloce altri dell'alma.
 23     A un nuovo mondo dài nome, Americo,
 24 nato nel nido de' scrittori illustri,
 25 che tu, vie più che gli altri, adorni e illustri;
 26 né pur poeta hai di tua gloria amico.
 27 Ché 'l favoloso intrico
 28 de' falsi greci dèi e mentiti eroi
 29 tutti gli ha fatti suoi.
 30 Caton predisse questo velo antico
 31 che Grecia oppone, o Italia, agli occhi tuoi,
 32 che assicura gli barbari a predarne
 33 l'arme, la gloria, lo spirto e la carne.
 34 I gran dottor della legislatura
 35 Giano, Saturno, Pitagora e Numa,
 36 Vertunno, Lucumon, la dea di Cuma,
 37 Timeo e altri infiniti chi gli oscura?
 38 Italia, sepoltura
 39 de' lumi suoi, d'esterni candeliere;
 40 ond'oggi ancor non chiere
 41 il Consentin, splendor della natura,
 42 per amor d'un Schiavone; e sempre fere
 43 con nuovi affanni quel di cui l'aurora
 44 gli antichi occùpa, e Stilo ingrato onora.
 45     Privata invidia ed interesse infetta
 46 Italia mia; né di servir si smaga
 47 chi d'ignoranza e discordia la paga,
 48 e la propria salute le ha interdetta:
 49 virtù ascosta e negletta
 50 a te medesma, e nota a tutto 'l mondo
 51 sotto 'l bello e giocondo
 52 latino imperio, che di gente eletta
 53 fu in lettere ed in arme più fecondo
 54 che l'universo tutto quanto insieme
 55 con verità, ch'or sotto 'l falso geme.
 56     Locri, Tarento, Sibari e Crotone,
 57 Sannio, Capua, Firenze, Reggio e Chiuse,
 58 Genova e l'altre, di gloria deluse,
 59 fa da sé ognuna a Grecia paragone;
 60 Roma no, che s'oppone
 61 a tutto 'l mondo insieme, a tutte cose:
 62 ma pur le favolose
 63 o vere laudi greche a sé pospone
 64 Venezia, onor di virgini e di spose:
 65 nuota in mar, rugge in terra e vola in cielo,
 66 pesce, leon alato col Vangelo.
 67     Ercole e Giove rubba e gli altri dèi
 68 Grecia e lor gesti d'Assiria e d'Egitto:
 69 e poi l'imprese e nomi anc'have ascritto
 70 a vil Tebani, Cretensi ed Achei.
 71 Tu, che verace sei,
 72 Platon, ciò affermi; e le scienze, ch'ella
 73 falsamente sue appella,
 74 confusi i tempi e l'istorie da lei
 75 falsificate ammira; e sé, novella,
 76 mentir non dubbia aver principio e nome
 77 dato alle genti di canute chiome.
 78     Se l'altre nazion, con più vergogna
 79 spesso Italia a tal favole soscrisse;
 80 cui legge ed arti e sacrifici disse
 81 Noè, che Giano fu senza menzogna.
 82 Chi più intender agogna,
 83 sien Fabi o Scipi o altri, ecco una sola
 84 romulea famigliola
 85 di numero e virtude, a quanti sogna
 86 eroi Grecia cantando, sapravola.
 87 Generosi Latini, i vostri esempi
 88 sien vostra téma contra i falsi e gli empi.

37
  D'Italia.
  1      La gran donna, ch'a Cesare comparse
  2 sul Rubicon, temendo a sé rovina
  3 dall'introdotta gente pellegrina,
  4 onde 'l suo imperio pria crescer apparse:
  5     sta con le membra sue lacere e sparse
  6 e co' crin mozzi, in servitù meschina.
  7 Né già si vede per l'onor di Dina
  8 Simeone o Levi più vergognarse.
  9     Or, se Gierusalemme a Nazarette
 10 non ricorre, o ad Atene, ove ragione,
 11 o celeste o terrestre, prima stette,
 12     non fiorirà chi 'l primo onor le done;
 13 ché ogni Erode è straniero, e mal promette
 14 serbar il seme della redenzione.

38
  A Venezia.
  1      Nuova arca di Noè, che, mentre inonda
  2 l'aspro flagel del barbaro tiranno
  3 sopra l'Italia, dall'estremo danno
  4 serbasti il seme giusto in mezzo all'onda,
  5     qui di discordia e di servitù immonda
  6 inviolata, eroi chi ponno e sanno
  7 produci sempre: onde a ragion ti fanno
  8 vergine intatta e madre alma e feconda.
  9     Maraviglia del mondo, pia nepote
 10 di Roma, onor d'Italia e gran sostegno,
 11 de' prencipi orologio e saggia scuola,
 12     per mai non tramontar se', qual Boote,
 13 tarda in guidare il tuo felice regno
 14 di libertà portando il pondo, sola.

39
  A Genova.
  1      Le ninfe d'Arno e l'adriatica dea
  2 Grecia, che tenne l'insegne latine,
  3 le contrade siriache e palestine,
  4 e l'onda eusina e la partenopea,
  5     l'audace industria tua regger dovea,
  6 che superolle; e d'Asia ogni confine,
  7 d'Africa e d'America le marine,
  8 e ciò che senza te non si sapea.
  9     Ma tu, a te strana, le vittorie lasci
 10 per piccol premio ad altri, però c'hai
 11 debole il capo e le membra possenti;
 12     Genoa, del mondo donna, se rinasci
 13 di magnanima scuola, e non avrai
 14 schiave a' metalli le tue invitte genti.

40
  A Polonia.
  1      Sopra i regni, ch'erede fan la sorte
  2 di lor dominio, tu, Polonia, t'ergi,
  3 che, mentre 'l morto re di pianto aspergi,
  4 dal figlio ad altri lo scettro trasporte,
  5     dubbiosa che non sia quel saggio e forte;
  6 ma in più cieca fortuna ti sommergi,
  7 scegliendo, incerta s'aduni o dispergi,
  8 prencipe di ventura e ricca corte.
  9     Deh! cerca fuor di zelo in umil tende
 10 Caton, Minoi, Pompili e Trismegisti;
 11 ché Dio a tal fin non cessa mai di farne.
 12     Questi fan poche spese e molti acquisti,
 13 immortali intendendo che gli rende
 14 virtù e gran gesti, non gran sangue e carne.

41
  A Svizzeri e Grisoni.
  1      Se voi più innalza al cielo, o ròcche alpestre,
  2 libertà, don divin, che sito altero,
  3 perché occupa e mantien d'altri l'impero
  4 ogni tiranno con le vostre destre?
  5     Per un pezzo di pan di ampie finestre
  6 spargete il sangue, senza far pensero
  7 se a dritto o a torto uscite all'atto fero;
  8 onde il vostro valor poi si calpestre.
  9     Ogni cosa è de' liberi; alli schiavi
 10 nobile veste e cibo, come a voi
 11 la croce bianca e 'l prato, si contende.
 12     Deh! gite a liberarvi con gli eroi;
 13 gite omai, ritogliendo a' signor pravi
 14 il vostro, che sì caro vi si vende.

42
  Sonetto cavato dalla parabola di Cristo in san Luca,
 e da san Giacomo dicente: «Fides sine operibus mortua est»
, ecc., e da sant'Augustino: «Ostende de mihi fidem tuam,
 ostendam tibi opera mea».
  1      Da Roma ad Ostia un pover uom andando
  2 fu spogliato e ferito da' ladroni:
  3 lo vider certi monaci santoni
  4 e 'l cansâr, sul breviaro recitando.
  5     Passò un vescovo e, quasi nol mirando,
  6 sol gli fe' croci e benedizioni:
  7 ma un cardinal, fingendo affetti buoni,
  8 seguitò i ladri, lor preda bramando.
  9     Alfin giunse un Tedesco luterano,
 10 che nega l'opre ed afferma la fede:
 11 l'accolse, lo vestìo, lo fece sano.
 12     Chi più merita in questi? chi è più umano?
 13 Dunque al voler l'intelligenza cede,
 14 la fede all'opre, la bocca alla mano;

43
  Contra sofisti e ipocriti, eretici e falsi miracolari.
  1      Nessun ti venne a dir: - Io son tiranno -,
  2 né il sa dir; né dirà: - Son Anticristo -;
  3 ma chi è più fino, scelerato e tristo,
  4 per santità ti vende il proprio danno.
  5     Ma il baro, la puttana e 'l saccomanno,
  6 d'astuzie sì divote mal provvisto,
  7 si crede esser peggior, ché agli altri è visto;
  8 e poco è il male, in cui poco è l'inganno.
  9     Ti puoi guardar: son facili a piegarsi
 10 questi, e i Samaritani a' Farisei,
 11 che sé ingannano e gli altri, Dio prepose.
 12     Né a voce, né a' miracoli provarsi
 13 bontà si dèe, ma in fatti: tanti dèi
 14 questa falsa misura in terra pose.

44
  De' medesimi.
  1      Nessun ti verrà a dire: - Io son sofista -;
  2 ma di perfidie la scuola più fina
  3 larve e bugie sottil dà per dottrina,
  4 e vuol esser tenuta evangelista.
  5     Ma l'Aretino con sua setta trista,
  6 che bevetter di cinici in cantina,
  7 di sue ciarle mostrando fiori e spina,
  8 di bene e mal ci fa tutto una lista,
  9     per giuoco, non per fraude; ed ha a vergogna
 10 parer men tristo degli altri, c'han doglia
 11 che di tant'arte si scuopra la fogna;
 12     onde serran le bocche altrui, e si spoglia
 13 ognor il libro, e veste di menzogna,
 14 citato in testimon contro lor voglia.

45
  Contra gli ipocriti.
  1      Gli affetti di Pluton portan al cuore,
  2 il nome di Giesù segnano in fronte,
  3 perché non siano lor malizie c¢nte
  4 a chi gli guarda dalla scorza in fuore.
  5     O Dio, o Senno e sacrosanto Ardore,
  6 d'ogni possanza larghissimo fonte,
  7 dammi le forze, c'ho le voglie pronte,
  8 onde ognun vegga a chi fa tanto onore.
  9     Lo zel ch'io porto al tuo benigno nome
 10 ed alla verità sincera e pura,
 11 questo veggendo, fa ch'io mi dischiome.
 12     Chi può più comportar tanta sciagura,
 13 che sacrosanto e divino si nome
 14 chi spoglia pur gli morti in sepoltura?

46
  Il «Pater noster».
  Orazione di Giesù Cristo
  1      Padre, che stai nel Ciel, santificato
  2 perché sia il nome tuo, venga oramai
  3 il regno tuo; che in terra sia osservato
  4 il tuo voler, sì come in Ciel fatto hai.
  5 E 'l cibo all'alma ed al corpo pregiato
  6 danne oggi; e ci perdona obblighi e guai,
  7 come noi perdoniamo agli altri ancora.
  8 Né ci tentar; ma d'ogni mal siam fuora.

47
  Sonetto trigemino sopra il «Pater noster».
  1      Vilissima progenie, con che faccia
  2 del Padre, che sta in Ciel, vi fate figli,
  3 se, schiavi a' vizi, a' can sète, a' conigli,
  4 c'han scorza d'uom a guisa di lumaccia?
  5     Ché 'l pecoreccio per virtù si spaccia
  6 dagli astuti sofistici consigli,
  7 ché di tal bestie son gli aurati artigli,
  8 ciò al Sommo Padre insegnando che piaccia.
  9     Mira ben, ignorante, qual buon padre
 10 soggetta i figli a peggior, né a simìle;
 11 né pur al capro le caprigne squadre.
 12     Se angeli non avete, il vostro ovile
 13 regga il senno comun: perché idoladre
 14 dall'uom scorrete ad ogni cosa vile?

48
  Sonetto secondo del medesimo soggetto.
  1      Dov'è la libertà e 'l valor gentile,
  2 ch'a tanta figliolanza si conviene?
  3 Dell'uom figlio non è pulce, se bene
  4 nasce da lui, ma chi animo ha virile.
  5     Se Principe di grande o basso stile
  6 cosa comanda opposta al Sommo Bene,
  7 chi di voi la ricusa? o non si tiene
  8 felice a farla, e dimostrarsi umìle?
  9     Dunque, agli uomini, a' vizi ed a' metalli
 10 con l'animo e col sangue voi servendo,
 11 ma a Dio solo in parole e per usanza,
 12     siete d'idolatria nel golfo orrendo.
 13 Ahi! s'ignoranza indusse tanti falli,
 14 tornate al Senno per la figliolanza.

49
  Sonetto de l'istesso.
  1      Allor potrete orar con ogni istanza
  2 che venga il regno, ove il divin volere,
  3 come si fa nelle celesti sfere,
  4 si faccia in terra e frutti ogni speranza.
  5     Ché i poeti vedran l'età ch'avanza
  6 ogn'altra, come l'òr tutte minere;
  7 e 'l secolo innocente, che si chere
  8 ch'Adam perdéo, darà la pia possanza.
  9     Goderanno i filosofi quel stato
 10 che d'ottima repubblica han descritto,
 11 che in terra ancora mai non se trovato;
 12     e i profeti in Sion, fuor di dispitto
 13 lieto Israel da Babilon salvato,
 14 con più stupor che l'esito d'Egitto.

50
  Sonetto primo profetale.
  1      Mentre l'aquila invola e l'orso freme,
  2 rugge il leon e la cornacchia insana
  3 insulta l'agno, in cui si transumana
  4 nostra natura, e la colomba geme;
  5     mentre pur nasce la zizzania insieme
  6 col buon frumento nella terra umana,
  7 nutricasi la setta empia e profana,
  8 che 'l ben schernisce della nostra speme;
  9     ché 'l giorno vien che gli fieri giganti,
 10 famosi al mondo, tinti di sanguigno,
 11 a cui tu applaudi con finti sembianti,
 12     rasi di terra al Tartaro maligno
 13 fien chiusi teco negli eterni pianti,
 14 cinti di fuoco e d'orrido macigno.

51
  Sonetto secondo profetale.
  1      - La scuola inimicissima del vero,
  2 dal principio divino tralignante,
  3 pasciuta d'ombre e di menzogne tante
  4 sotto Taida, Sinon, Giuda ed Omero,
  5     - dice lo Spirto - a riveder l'impero
  6 tornando in terra il Senno trionfante,
  7 l'ampolla del quinto angelo, versante
  8 giusto sdegno, terribile e severo,
  9     di tenebre fia cinta; e l'impie labbia,
 10 le lingue disleal co' fieri denti
 11 stracceransi l'un l'altro per gran rabbia.
 12     In Malebolge gli animi dolenti,
 13 per maggior pena, dall'arsiccia sabbia
 14 vedran gli spirti pii, lieti e contenti. -

52
  Sonetto terzo profetale.
  1      Se fu nel mondo l'aurea età felice,
  2 ben essere potrà più ch'una volta,
  3 ché si ravviva ogni cosa sepolta,
  4 tornando 'l giro ov'ebbe la radice.
  5     Ma la volpe col lupo e la cornice
  6 negano questo con perfidia molta:
  7 ma Dio che regge, e 'l ciel che si trasvolta
  8 la profezia e 'l comun desir lo dice.
  9     Se, infatti, di «mio» e «tuo» sia 'l mondo privo
 10 nell'util, nel giocondo e nell'onesto,
 11 cangiarsi in Paradiso il veggo e scrivo,
 12     e 'l cieco amor in occhiuto e modesto,
 13 l'astuzia ed ignoranza in saper vivo,
 14 e 'n fratellanza l'imperio funesto.

53
  Invitato a scriver comedie, 
  rispose con questo sonetto pur profetico.
  1      Non piaccia a Dio che di comedie vane
  2 siam vaghi noi, ne' tragici lamenti
  3 studiosi, e nelle scuole di tormenti,
  4 del fine instante delle cose umane.
  5     Il giorno vien che le sètte mondane
  6 batte e riversa, e mette gli elementi
  7 sottosopra per far lieti e contenti
  8 gli spirti, vòlti alle rote sovrane.
  9     Vien l'altissimo Sire in Terrasanta
 10 a tener corte e sacro consistoro,
 11 come ogni salmo, ogni profeta canta.
 12     Ivi spander di grazie il suo tesoro
 13 vuol nel suo regno, proprio seggio e pianta
 14 del divin culto e dell'età dell'oro.

54
  Sopra i colori delle vesti.
  1      Convien al secol nostro abito negro,
  2 pria bianco, poscia vario, oggi moresco,
  3 notturno, rio, infernal, traditoresco,
  4 d'ignoranze e paure orrido ed egro.
  5     Ond'ha a vergogna ogni color allegro,
  6 ché 'l suo fin piange e 'l viver tirannesco,
  7 di catene, di lacci, piombo e vesco,
  8 di tetri eroi ed afflitte alme intègro.
  9     Dinota ancòra la stoltizia estrema,
 10 che ci fa ciechi, tenebrosi e grami,
 11 onde 'l più oscuro il manco par che prema
 12     Tempo veggo io ch'a candidi ricami,
 13 dove pria fummo, la ruota suprema,
 14 da questa feccia, è forza ne richiami.

55
  Sonetto secondo sopra i medesimi colori.
  1      Veggo in candida robba il Padre santo
  2 venir a tener corte, e i senatori
  3 con lui di simili abiti e colori,
  4 e 'l bianco Agno immortal sedergli a canto.
  5     E finir di Giovanni il lungo pianto,
  6 avendo il gran Leon giudeo gli onori
  7 d'aprir il fatal libro, uscendo fuori
  8 il bianco corridor del primo canto.
  9     Le prime anime belle in bianche stole
 10 incontran lui, che, su la bianca nube,
 11 vien cinto da' suo' bianchi cavalieri.
 12     Taccia il popol moresco, che non vuole
 13 udir il suon delle divine tube.
 14 L'alba colomba scaccia i corbineri.

56
  Sonetto sopra la congiunzion magna,
 che sarà l'anno 1603 a' 24 di dicembre.
  1      Già sto mirando i primi erranti lumi,
  2 sopra il settimo e nono centenario
  3 dopo alcuni anni, insieme in Sagittario
  4 raccozzarsi, a mutar legge e costumi.
  5     E te, Mercurio, che l'impresa assumi
  6 di promulgar, qual pronto segretario,
  7 quel che poi leggi nell'eterno armario
  8 già statuirsi ne' possenti numi;
  9     sul merigge d'Europa, nel tuo giorno,
 10 nella decima casa, eccovi in corte;
 11 e 'l sol vosco consente in Capricorno.
 12     Oh, voglia Dio ch'i' arrivi a sì gran sorte,
 13 di veder lieto quel famoso giorno
 14 c'ha a scompigliare i figli della morte!

 


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Ultimo Aggiornamento: 
13/07/05 22:28