I |
Come andò che maestro Ciliegia,
falegname, trovò un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino. |
|
C'era una volta... |
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. |
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. |
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli
che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per
riscaldare le stanze. |
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo
di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio,
se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era
sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. |
Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò
tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce: |
- Questo legno è capitato a tempo: voglio servirmene per fare una
gamba di tavolino. |
Detto fatto, prese subito l'ascia arrotata per cominciare a levargli la
scorza e a digrossarlo, ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col
braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile, che disse raccomandandosi: |
- Non mi picchiar tanto forte! |
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia! |
Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai
poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il banco, e nessuno;
guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guardò nel corbello dei
trucioli e della segatura, e nessuno; apri l'uscio di bottega per dare un'occhiata anche
sulla strada, e nessuno! O dunque?... |
- Ho capito; - disse allora ridendo e grattandosi la parrucca, - si
vede che quella vocina me la sono figurata io. Rimettiamoci a lavorare. |
E ripresa l'ascia in mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo
di legno. |
- Ohi! tu m'hai fatto male! - gridò rammaricandosi la solita vocina. |
Questa volta maestro Ciliegia resta di stucco, cogli occhi fuori del
capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù ciondoloni fino al mento,
come un mascherone da fontana. Appena riebbe l'uso della parola, cominciò a dire tremando
e balbettando dallo spavento: |
- Ma di dove sarà uscita questa vocina che ha detto ohi?... Eppure qui
non c'è anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere
e a lamentarsi come un bambino? Io non lo posso credere. Questo legno eccolo qui; è un
pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco, c'è da far
bollire una pentola di fagioli... O dunque? Che ci sia nascosto dentro qualcuno? Se c'è
nascosto qualcuno, tanto peggio per lui. Ora l'accomodo io! |
E cosi dicendo, agguantò con tutt'e due le mani quel povero pezzo di
legno e si pose a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza. |
Poi si messe in ascolto, per sentire se c'era qualche vocina che si
lamentasse. Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla! |
- Ho capito, - disse allora sforzandosi di ridere e arruffandosi la
parrucca, - si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io!
Rimettiamoci a lavorare. |
E perché gli era entrata addosso una gran paura, si provò a
canterellare per farsi un po' di coraggio. |
Intanto, posata da una parte l'ascia, prese in mano la pialla, per
piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in
giù, senti la solita vocina che gli disse ridendo: |
- Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo! |
Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde giù come fulminato.
Quando riaprì gli occhi, si trovò seduto per terra. |
Il suo viso pareva trasfigurato, e perfino la punta del naso, di
paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura. |
II |
Maestro Ciliegia regala il pezzo di
legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino maraviglioso
che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali. |
In quel punto fu bussato alla porta. |
- Passate pure, - disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi
in piedi. |
Allora entrò in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva
nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le
furie, lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla che
somigliava moltissimo alla polendina di granturco. |
Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito
una bestia e non c'era più verso di tenerlo. |
- Buon giorno, mastr'Antonio, - disse Geppetto. - Che cosa fate costì
per terra? |
- Insegno l'abbaco alle formicole. |
- Buon pro vi faccia! |
- Chi vi ha portato da me, compar Geppetto? |
- Le gambe. Sappiate, mastr'Antonio, che son venuto da voi, per
chiedervi un favore. |
- Eccomi qui, pronto a servirvi, - replicò il falegname, rizzandosi su
i ginocchi. |
- Stamani m'è piovuta nel cervello un'idea. |
- Sentiamola. |
- Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un
burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con
questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di
vino; che ve ne pare? |
- Bravo Polendina! - gridò la solita vocina, che non si capiva di dove
uscisse. |
A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto diventò rosso come un
peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito: |
- Perché mi offendete? |
- Chi vi offende? |
- Mi avete detto Polendina!... |
- Non sono stato io. |
- Sta un po' a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi. |
- No! |
- Si! |
- No! |
- Si! |
E riscaldandosi sempre più, vennero dalle parole ai fatti, e
acciuffatisi fra di loro, si graffiarono, si morsero e si sbertucciarono. |
Finito il combattimento, mastr'Antonio si trovò fra le mani la
parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accorse di avere in bocca la parrucca
brizzolata del falegname. |
- Rendimi la mia parrucca! - gridò mastr'Antonio. |
- E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace. |
I due vecchietti, dopo aver ripreso ognuno di loro la propria parrucca,
si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita. |
- Dunque, compar Geppetto, - disse il falegname in segno di pace fatta,
- qual è il piacere che volete da me? |
- Vorrei un po' di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date? |
Mastr'Antonio, tutto contento, andò subito a prendere sul banco quel
pezzo di legno che era stato cagione a lui di tante paure. Ma quando fu lì per
consegnarlo all'amico, il pezzo di legno dette uno scossone e sgusciandogli violentemente
dalle mani, ando a battere con forza negli stinchi impresciuttiti del povero Geppetto. |
- Ah! gli è con questo bel garbo, mastr'Antonio, che voi regalate la
vostra roba? M'avete quasi azzoppito!... |
- Vi giuro che non sono stato io! |
- Allora sarò stato io!... |
- La colpa è tutta di questo legno... |
- Lo so che è del legno: ma siete voi che me l'avete tirato nelle
gambe! |
- Io non ve l'ho tirato! |
- Bugiardo! |
- Geppetto, non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!... |
- Asino! |
- Polendina! |
- Somaro! |
- Polendina! |
- Brutto scimmiotto! |
- Polendina! |
A sentirsi chiamar Polendina per la terza volta, Geppetto perse il lume
degli occhi, si avvento sul falegname; e lì se ne dettero un sacco e una sporta. |
A battaglia finita, mastr'Antonio si trovo due graffi di piu sul naso,
e quell'altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si
strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita. |
Intanto Geppetto prese con se il suo bravo pezzo di legno, e
ringraziato mastr'Antonio, se ne tornò zoppicando a casa. |
|
III |
Geppetto, tornato a casa, comincia
subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. prime monellerie del
burattino. |
La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un
sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto
poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col
fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c'era dipinta una pentola che
bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero. |
Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a
intagliare e a fabbricare il suo burattino. |
- Che nome gli metterò? - disse fra sé e sé. - Lo voglio chiamar
Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di
Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la
passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l'elemosina. |
Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a
lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. |
Fatti gli occhi, figuratevi la sua maraviglia quando si accorse che gli
occhi si muovevano e che lo guardavano fisso fisso. |
Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di legno, se n'ebbe
quasi per male, e disse con accento risentito: |
- Occhiacci di legno, perché mi guardate? |
Nessuno rispose. |
Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto,
cominciò a crescere: e cresci, cresci, cresci diventò in pochi minuti un nasone che non
finiva mai. |
Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e
lo scorciva, e più quel naso impertinente diventava lungo. |
Dopo il naso, gli fece la bocca. |
La bocca non era ancora finita di fare, che cominciò subito a ridere e
a canzonarlo. |
- Smetti di ridere! - disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al
muro. |
- Smetti di ridere, ti ripeto! - urlò con voce minacciosa. |
Allora la bocca smesse di ridere, ma cacciò fuori tutta la lingua. |
Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e
continuò a lavorare. |
Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, le spalle, lo stomaco,
le braccia e le mani. |
Appena finite le mani, Geppetto senti portarsi via la parrucca dal
capo. Si voltò in su, e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino. |
- Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca! |
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per
sé, rimanendovi sotto mezzo affogato. |
A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e
melanconico, come non era stato mai in vita sua, e voltandosi verso Pinocchio, gli disse: |
- Birba d'un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a
mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! |
E si rasciugò una lacrima. |
Restavano sempre da fare le gambe e i piedi. |
Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un
calcio sulla punta del naso. |
- Me lo merito! - disse allora fra sé. - Dovevo pensarci prima! Ormai
è tardi! |
Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in terra, sul
pavimento della stanza, per farlo camminare. |
Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto
lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l'altro. |
Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a
camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò
nella strada e si dette a scappare. |
E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere,
perché quel birichino di Pinocchio andava a salti come una lepre, e battendo i suoi piedi
di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da
contadini. |
- Piglialo! piglialo! - urlava Geppetto; ma la gente che era per la
via, vedendo questo burattino di legno, che correva come un barbero, si fermava incantata
a guardarlo, e rideva, rideva e rideva, da non poterselo figurare. |
Alla fine, e per buona fortuna, capitò un carabiniere, il quale,
sentendo tutto quello schiamazzo e credendo si trattasse di un puledro che avesse levata
la mano al padrone, si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada,
coll'animo risoluto di fermarlo e di impedire il caso di maggiori disgrazie. |
Ma Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere che barricava
tutta la strada, s'ingegnò di passargli, per sorpresa, frammezzo alle gambe, e invece
fece fiasco. |
Il carabiniere, senza punto smoversi, lo acciuffò pulitamente per il
naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai
carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di
correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d'orecchi. Ma figuratevi come rimase
quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché?
Perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli. |
Allora lo prese per la collottola, e, mentre lo riconduceva indietro,
gli disse tentennando minacciosamente il capo: |
- Andiamo a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i
nostri conti! |
Pinocchio, a questa antifona, si buttò per terra, e non volle più
camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far
capannello. |
Chi ne diceva una, chi un'altra. |
- Povero burattino! - dicevano alcuni, - ha ragione a non voler tornare
a casa! Chi lo sa come lo picchierebbe quell'omaccio di Geppetto!... |
E gli altri soggiungevano malignamente: |
- Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno coi ragazzi!
Se gli lasciano quel povero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pezzi!... |
Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimise in
libertà Pinocchio e condusse in prigione quel pover'uomo di Geppetto. Il quale, non
avendo parole lì per lì per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell'avviarsi
verso il carcere, balbettava singhiozzando: |
- Sciagurato figliuolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un
burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!... |
Quello che accadde dopo, è una storia da non potersi credere, e ve la
racconterò in quest'altri capitoli. |
|
IV |
La storia di Pinocchio col
Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere
da chi ne sa più di loro. |
Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto
senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del
carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene
a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi
pieni d'acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito
dai cacciatori. Giunto dinanzi a casa, trovò l'uscio di strada socchiuso. Lo spinse,
entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra,
lasciando andare un gran sospirone di contentezza. |
Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno
che fece: |
- Crì -crì -crì ! |
- Chi è che mi chiama? - disse Pinocchio tutto impaurito. |
- Sono io! |
Pinocchio si voltò e vide un grosso Grillo che saliva lentamente su su
per il muro. |
- Dimmi, Grillo: e tu chi sei? |
- Io sono il Grillo-parlante, ed abito in questa stanza da più di
cent'anni. |
- Oggi però questa stanza è mia, - disse il burattino, - e se vuoi
farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro. |
- Io non me ne anderò di qui, - rispose il Grillo, - se prima non ti
avrò detto una gran verità. |
- Dimmela e spicciati. |
- Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che
abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno mai bene in questo mondo; e
prima o poi dovranno pentirsene amaramente. |
- Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani,
all'alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene
a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola e per amore o per forza mi
toccherà studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia e mi
diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli
uccellini di nido. |
- Povero grullerello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da
grande un bellissimo somaro e che tutti si piglieranno gioco di te? |
- Chetati. Grillaccio del mal'augurio! - gridò Pinocchio. Ma il
Grillo, che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa impertinenza,
continuò con lo stesso tono di voce: |
- E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un
mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane? |
- Vuoi che te lo dica? - replicò Pinocchio, che cominciava a perdere
la pazienza. - Fra tutti i mestieri del mondo non ce n'è che uno solo, che veramente mi
vada a genio. |
- E questo mestiere sarebbe?... |
- Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina
alla sera la vita del vagabondo. |
- Per tua regola, - disse il Grillo-parlante con la sua solita calma, -
tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono sempre allo spedale o in prigione. |
- Bada, Grillaccio del mal'augurio!... se mi monta la bizza, guai a te! |
- Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!... |
- Perché ti faccio compassione? |
- Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa
di legno. |
A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt'infuriato e preso sul
banco un martello di legno lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva
nemmeno di colpirlo: ma disgraziatamente lo colse per l'appunto nel capo, tanto che il
povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì -crì -crì , e poi rimase lì stecchito e
appiccicato alla parete. |
|
V |
Pinocchio ha fame, e cerca un uovo per
farsi una frittata; ma sul più bello, la frittata gli vola via dalla finestra. |
Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi che non
aveva mangiato nulla, senti un'uggiolina allo stomaco, che somigliava moltissimo
all'appetito. |
Ma l'appetito nei ragazzi cammina presto; e di fatti dopo pochi minuti
l'appetito diventò fame, e la fame, dal vedere al non vedere, si converti in una fame da
lupi, una fame da tagliarsi col coltello. |
Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c'era una pentola
che bolliva e fece l'atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro, ma la
pentola era dipinta sul muro. Figuratevi come restò. Il suo naso, che era già lungo, gli
diventò più lungo almeno quattro dita. |
Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le
cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po' di pane, magari un po' di pan secco,
un crosterello, un osso avanzato al cane, un po' di polenta muffita, una lisca di pesce,
un nocciolo di ciliegia, insomma di qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, il
gran nulla, proprio nulla. |
E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre: e il povero Pinocchio
non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare: e faceva degli sbadigli cosi lunghi,
che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi. E dopo avere sbadigliato,
sputava, e sentiva che lo stomaco gli andava via. |
Allora piangendo e disperandosi, diceva: |
- Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio
babbo e a fuggire di casa... Se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di
sbadigli! Oh! che brutta malattia che è la fame! |
Quand'ecco gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa
di tondo e di bianco, che somigliava tutto a un uovo di gallina. Spiccare un salto e
gettarvisi sopra, fu un punto solo. Era un uovo davvero. |
La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela
figurare. Credendo quasi che fosse un sogno, si rigirava quest'uovo fra le mani, e lo
toccava e lo baciava, e baciandolo diceva: |
- E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata?... No, è meglio
cuocerlo nel piatto!... O non sarebbe più saporito se lo friggessi in padella? O se
invece lo cuocessi a uso uovo da bere? No, la più lesta di tutte è di cuocerlo nel
piatto o nel tegamino: ho troppa voglia di mangiarmelo! Detto fatto, pose un tegamino
sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d'olio o di burro, un
po' d'acqua: e quando l'acqua principiò a fumare, tac!;.. spezzò il guscio dell'uovo, e
fece l'atto di scodellarvelo dentro. |
Ma invece della chiara e del torlo, scappò fuori un pulcino tutto
allegro e complimentoso, il quale, facendo una bella riverenza, disse: |
- Mille grazie, signor Pinocchio, d'avermi risparmiata la fatica di
rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa! |
Ciò detto distese le ali e, infilata la finestra che era aperta, se ne
volò via a perdita d'occhio. |
Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi,
colla bocca aperta e coi gusci delI'uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo
sbigottimento, cominciò a piangere, a strillare, a battere i piedi in terra, per la
disperazione, e piangendo diceva: |
- Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di
casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh! che brutta
malattia che è la fame!... |
E perché il corpo gli seguitava a brontolare più che mai, e non
sapeva come fare a chetarlo, pensò di uscir di casa e di dare una scappata al paesello
vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole che gli avesse fatto
l'elemosina di un po' di pane. |
|
VI |
IPinocchio si addormenta coi piedi sul
caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati. |
Per l'appunto era una nottataccia d'inferno. Tuonava forte forte,
lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone,
fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e
cigolare tutti gli alberi della campagna. Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei
lampi: se non che la fame era più forte della paura: motivo per cui accostò l'uscio di
casa, e presa la carriera, in un centinaio di salti arrivò fino al paese, colla lingua
fuori e col fiato grosso, come un cane da caccia. |
Ma trova tutto buio e tutto deserto. Le botteghe erano chiuse; le porte
di casa chiuse; le finestre chiuse; e nella strada nemmeno un cane. Pareva il paese dei
morti. |
Allora Pinocchio, preso dalla disperazione e dalla fame, si attaccò al
campanello d'una casa, e cominciò a suonare a distesa, dicendo dentro di sé: |
- Qualcuno si affaccierà. |
Difatti si affacciò un vecchino, col berretto da notte in capo, il
quale gridò tutto stizzito: |
- Che cosa volete a quest'ora? |
- Che mi fareste il piacere di darmi un po' di pane? |
- Aspettami costì che torno subito, - rispose il vecchino, credendo di
aver da fare con qualcuno di quei ragazzacci rompicollo che si divertono di notte a
suonare i campanelli delle case, per molestare la gente per bene, che se la dorme
tranquillamente. |
Dopo mezzo minuto la finestra si riaprì e la voce del solito vecchino
gridò a Pinocchio: |
- Fatti sotto e para il cappello. |
Pinocchio si levò subito il suo cappelluccio; ma mentre faceva l'atto
di pararlo, sentì pioversi addosso un'enorme catinellata d'acqua che lo annaffiò tutto
dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di giranio appassito. |
Tornò a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e
dalla fame e perché non aveva più forza di reggersi ritto, si pose a sedere, appoggiando
i piedi fradici e impillaccherati sopra un caldano pieno di brace accesa. |
E lì si addormentò; e nel dormire, i piedi che erano di legno, gli
presero fuoco e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere. |
E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, come se i suoi piedi
fossero quelli d'un altro. Finalmente sul far del giorno si svegliò, perché qualcuno
aveva bussato alla porta. |
- Chi è? - domandò sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. |
- Sono io, - rispose una voce. |
Quella voce era la voce di Geppetto. |
|
VII |
Geppetto torna a casa, rifà i piedi
al burattino e gli dà la colazione che il pover'uomo aveva portata con sé. |
Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s'era
ancora avvisto dei piedi, che gli si erano tutti bruciati: per cui appena sentì la voce
di suo padre, schizzò giù dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma invece,
dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto lungo disteso sul pavimento. |
E nel battere in terra fece lo stesso rumore, che avrebbe fatto un
sacco di mestoli. cascato da un quinto piano. |
- Aprimi! - intanto gridava Geppetto dalla strada. |
- Babbo mio, non posso, - rispondeva il burattino piangendo e
ruzzolandosi per terra. |
- Perché non puoi? |
- Perché mi hanno mangiato i piedi. |
- E chi te li ha mangiati? |
- Il gatto, - disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine
davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno. |
- Aprimi, ti dico! - ripetè Geppetto, - se no quando vengo in casa, il
gatto te lo do io! |
- Non posso star ritto, credetelo. O povero me! povero me che mi
toccherà a camminare coi ginocchi per tutta la vita!... |
Geppetto, credendo che tutti questi piagnistei fossero un'altra
monelleria del burattino, pensò bene di farla finita, e arrampicatosi su per il muro,
entrò in casa dalla finestra. |
Da principio voleva dire e voleva fare: ma poi quando vide il suo
Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sentì intenerirsi; e
presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille carezze e mille moine, e,
coi luccioloni che gli cascavano giù per le gote, gli disse singhiozzando: |
- Pinocchiuccio mio! Com'è che ti sei bruciato i piedi? |
- Non lo so, babbo, ma credetelo che è stata una nottata d'inferno e
me ne ricorderò fin che campo. Tonava, balenava e io avevo una gran fame e allora il
Grillo-parlante mi disse: "Ti sta bene; sei stato cattivo, e te lo meriti", e io
gli dissi: "Bada, Grillo!...", e lui mi disse: "Tu sei un burattino e hai
la testa di legno" e io gli tirai un martello di legno, e lui morì ma la colpa fu
sua, perché io non volevo ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace
accesa del caldano, ma il pulcino scappò fuori e disse: "Arrivedella... e tanti
saluti a casa" e la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto
da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: "Fatti sotto e para il cappello"
e io con quella catinellata d'acqua sul capo, perché il chiedere un po' di pane non è
vergogna, non è vero? me ne tornai subito a casa, e perché avevo sempre una gran fame,
messi i piedi sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati
bruciati, e intanto la fame l'ho sempre e i piedi non li ho più! Ih!... ih!... ih!...
ih!... |
E il povero Pinocchio cominciò a piangere e a berciare così forte,
che lo sentivano da cinque chilometri lontano. |
Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una cosa
sola, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre
pere, e porgendogliele, disse: |
- Queste tre pere erano per la mia colazione: ma io te le do
volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia. |
- Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle. |
- Sbucciarle? - replicò Geppetto meravigliato. |
- Non avrei mai creduto, ragazzo, mio, che tu fossi così boccuccia e
così schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi
abboccati e a saper mangiare di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I
casi son tanti!... |
- Voi direte bene, - soggiunse Pinocchio, - ma io non mangerò mai una
frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. |
E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di
santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola. |
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece
l'atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli: |
- Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo. |
- Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... - gridò il burattino,
rivoltandosi come una vipera. |
- Chi lo sa! I casi son tanti!... - ripetè Geppetto, senza
riscaldarsi. |
Fatto sta che i tre torsoli, invece di essere gettati fuori dalla
finestra, vennero posati sull'angolo della tavola in compagnia delle bucce. |
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un
lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando: |
- Ho dell'altra fame! |
- Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti. |
- Proprio nulla, nulla? |
- Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera. |
- Pazienza! - disse Pinocchio, - se non c'è altro, mangerò una
buccia. |
E cominciò a masticare. Da principio storse un po' la bocca; ma poi,
una dietro l'altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce, anche i
torsoli, e quand'ebbe finito di mangiare ogni cosa, si battè tutto contento le mani sul
corpo, e disse gongolando: |
- Ora sì che sto bene! |
- Vedi dunque, - osservò Geppetto, - che avevo ragione io quando ti
dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro
mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!... |
|
VIII |
Geppetto rifa i piedi a Pinocchio e
vende la propria casacca per comprargli l'Abbecedario. |
Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a
bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi. |
Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta lo lasciò piangere e
disperarsi per una mezza giornata: poi gli disse: |
- E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo
da casa tua? |
- Vi prometto, - disse il burattino singhiozzando, - che da oggi in poi
sarò buono... |
- Tutti i ragazzi, - replicò Geppetto, - quando vogliono ottenere
qualcosa, dicono così. |
- Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore... |
- Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la
medesima storia. |
- Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti e
dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un'arte e che sarò la
consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. |
Geppetto che, sebbene facesse il viso di tiranno, aveva gli occhi pieni
di pianto e il cuore grosso dalla passione di vedere il suo povero Pinocchio in quello
stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere
e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno. |
E in meno d'un'ora, i piedi erano bell'e fatti; due piedini svelti,
asciutti e nervosi, come se fossero modellati da un artista di genio. |
Allora Geppetto disse al burattino: |
- Chiudi gli occhi e dormi! |
E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che
si fingeva addormentato, Geppetto con un po' di colla sciolta in un guscio d'uovo gli
appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così bene, che non si vedeva
nemmeno il segno dell'attaccatura. |
Appena il burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla
tavola dove stava disteso, e principiò a fare mille sgambetti e mille capriole, come se
fosse ammattito dalla gran contentezza. |
- Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me, - disse Pinocchio al
suo babbo, - voglio subito andare a scuola. |
- Bravo ragazzo! |
- Ma per andare a scuola ho bisogno d'un po' di vestito. |
Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli
fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza di albero e un
berrettino di midolla di pane. |
Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d'acqua e
rimase così contento di sé, che disse pavoneggiandosi: |
- Paio proprio un signore! |
- Davvero, - replicò Geppetto, - perché, tienlo a mente, non è il
vestito bello che fa il signore. ma è piuttosto il vestito pulito. |
- A proposito, - soggiunse il burattino, - per andare alla scuola mi
manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio. |
- Cioè? |
- Mi manca l'Abbecedario. |
- Hai ragione: ma come si fa per averlo? |
- è facilissimo: si va da un libraio e si compra. |
- E i quattrini? |
- Io non ce l'ho. |
- Nemmeno io, - soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo. |
E Pinocchio, sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece tristo
anche lui: perché la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i
ragazzi. |
- Pazienza! - gridò Geppetto tutt'a un tratto rizzandosi in piedi; e
infilatasi la vecchia casacca di fustagno, tutta toppe e rimendi, uscì correndo di casa. |
Dopo poco tornò: e quando tornò aveva in mano l'Abbecedario per il
figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche di camicia, e
fuori nevicava. |
- E la casacca, babbo? |
- L'ho venduta. |
- Perché l'avete venduta? |
- Perché mi faceva caldo. |
Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l'impeto
del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso. |
|
IX |
Pinocchio vende l'Abbecedario per
andare a vedere il teatrino dei burattini. |
Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo
sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava
nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell'altro. |
E discorrendo da sé solo diceva: |
- Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi
imparerò a scrivere e domani l'altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità,
guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito
fare al mio babbo una bella casacca di panno. |
Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d'argento e d'oro, e coi
bottoni di brillanti. E quel pover'uomo se la merita davvero: perché, insomma, per
comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi
freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!... |
Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza
una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì pì pì zum, zum, zum, zum. |
Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una
lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia
del mare. |
- Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se
no... |
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una
risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi. |
- Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a
scuola c'è sempre tempo, - disse finalmente quel monello facendo una spallucciata. |
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre
a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della
grancassa: pì pì |
pì.. zum, zum, zum, zum. |
Quand'ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la
quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori. |
- Che cos'è quel baraccone? - domandò Pinocchio, voltandosi a un
ragazzetto che era lì del paese. |
- Leggi il cartello, che c'è scritto, e lo saprai. |
- Lo leggerei volentieri, ma per l'appunto oggi non so leggere. |
- Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel
cartello a lettere rosse come il fuoco c'è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI... |
- è molto che è incominciata la commedia? |
- Comincia ora. |
- E quanto si spende per entrare? |
- Quattro soldi. |
Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni
ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale parlava: |
- Mi daresti quattro soldi fino a domani? |
- Te li darei volentieri, - gli rispose l'altro canzonandolo, - ma oggi
per l'appunto non te li posso dare. |
- Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta, - gli disse allora il
burattino. |
- Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci
piove su, non c'è più verso di cavartela da dosso. |
- Vuoi comprare le mie scarpe? |
- Sono buone per accendere il fuoco. |
- Quanto mi dai del berretto? |
- Bell'acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C'è il caso
che i topi me lo vengano a mangiare in capo! |
Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un'ultima offerta: ma
non aveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse: |
- Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo? |
- Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi, - gli rispose il
suo piccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui. |
- Per quattro soldi l'Abbecedario lo prendo io, - gridò un rivenditore
di panni usati, che s'era trovato presente alla conversazione. |
E il libro fu venduto lì sui due piedi. E pensare che quel pover'uomo
di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare
l'Abbecedario al figliuolo! |
|
X |
I burattini riconoscono il loro
fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il
burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine. |
Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto
che destò mezza rivoluzione. |
Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia era già
incominciata. |
Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra
di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all'altro di scambiarsi un carico
di schiaffi e di bastonate. |
La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel
sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d'ogni vitupero
con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due persone di questo
mondo. |
Quando all'improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di
recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla
platea, comincia a urlare in tono drammatico: |
- Numi del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù è
Pinocchio!... |
- è Pinocchio davvero! - grida Pulcinella. |
- è: proprio lui! - strilla la signora Rosaura, facendo capolino di
fondo alla scena. |
- è: Pinocchio! è Pinocchio! - urlano in coro tutti i burattini,
uscendo a salti fuori delle quinte. |
è Pinocchio! è il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio. |
- Pinocchio, vieni quassù da me, - grida Arlecchino, - vieni a
gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno! |
A questo affettuoso invito Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla
platea va nei posti distinti; poi con un altro salto, dai posti distinti monta sulla testa
del direttore d'orchestra, e di lì schizza sul palcoscenico. |
è: impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i
pizzicotti dell'amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio
ricevè in mezzo a tanto arruffio dagli attori e dalle attrici di quella compagnia
drammatico-vegetale. |
Questo spettacolo era commovente, non c'è che dire: ma il pubblico
della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s'impazientì e prese a
gridare: |
- Vogliamo la commedia, vogliamo la commedia! |
Tutto fiato buttato via, perché i burattini, invece di continuare la
recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle spalle, se lo
portarono in trionfo davanti ai lumi della ribalta. |
Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva
paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d'inchiostro, e
tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra: basta dire che, quando camminava, se
la pestava coi piedi. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due
lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro, e con le mani faceva schioccare una
grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme. |
All'apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti:
nessuno fiatò più. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini, maschi e
femmine, tremavano tutti come tante foglie. |
- Perché sei venuto a mettere lo scompiglio nel mio teatro? - domandò
il burattinaio a Pinocchio, con un vocione d'Orco gravemente infreddato di testa. |
- La creda, illustrissimo, che la colpa non è stata mia!... |
- Basta cosi! Stasera faremo i nostri conti. |
Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in
cucina, dov'egli s'era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente infilato
nello spiedo. E perché gli mancavano la legna per finirlo di cuocere e di rosolare,
chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro: |
- Portatemi di qua quel burattino che troverete attaccato al chiodo. Mi
pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che, a buttarlo sul
fuoco, mi darà una bellissima fiammata all'arrosto. |
Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da
un'occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo poco tornarono in cucina, portando
sulle braccia il povero Pinocchio, il quale, divincolandosi come un'anguilla fuori
dell'acqua, strillava disperatamente: |
- Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, non voglio morire!... |
|
XI |
Mangiafoco starnutisce e perdona a
Pinocchio, il quale poi difende dalla morte il suo amico Arlecchino. |
Il burattinaio Mangiafoco che (questo era il suo nome) pareva un uomo
spaventoso, non dico di no, specie con quella sua barbaccia nera che, a uso grembiale, gli
copriva tutto il petto e tutte le gambe; ma nel fondo poi non era un cattiv'uomo. Prova ne
sia che quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, che si dibatteva per ogni
verso, urlando "Non voglio morire, non voglio morire!", principiò subito a
commuoversi e a impietosirsi e, dopo aver resistito un bel pezzo, alla fine non ne poté
più, e lasciò andare un sonorissimo starnuto. |
A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e
ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso, e chinatosi verso
Pinocchio, gli bisbigliò sottovoce: |
- Buone nuove, fratello. Il burattinaio ha starnutito, e questo è
segno che s'è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo. |
Perché bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini, quando si sentono
impietositi per qualcuno, o piangono o per lo meno fanno finta di rasciugarsi gli occhi,
Mangiafoco, invece, ogni volta che s'inteneriva davvero, aveva il vizio di starnutire. Era
un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore. |
Dopo aver starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero,
gridò a Pinocchio: |
- Finiscila di piangere! I tuoi lamenti mi hanno messo un'uggiolina in
fondo allo stomaco... Sento uno spasimo, che quasi quasi... ~ |
Etcì etcì~ - e fece altri due starnuti. |
- Felicità! - disse Pinocchio. |
- Grazie! E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? - gli
domandò Mangiafoco. |
- Il babbo, sì la mamma non l'ho mai conosciuta. |
- Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti
facessi gettare fra quei carboni ardenti! Povero vecchio! lo compatisco!.. Etcì etcì
etcì - e fece altri tre starnuti. |
- Felicità! - disse Pinocchio. |
- Grazie! Del resto bisogna compatire anche me, perché, come vedi, non
ho più legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verità, in questo
caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma oramai mi sono impietosito e ci vuol pazienza.
Invece di te, metterò a bruciare sotto lo spiedo qualche burattino della mia Compagnia...
Olà, giandarmi! |
A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi
lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano. |
Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa: |
- Pigliatemi lì quell'Arlecchino, legatelo ben bene, e poi gettatelo a
bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene! |
Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe
gli si ripiegarono e cadde bocconi per terra. |
Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi
ai piedi del burattinaio e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli
della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole: |
- Pietà, signor Mangiafoco!... |
- Qui non ci son signori! - replicò duramente il burattinaio. |
- Pietà, signor Cavaliere!... |
- Qui non ci son cavalieri! |
- Pietà, signor Commendatore!... |
- Qui non ci son commendatori! |
- Pietà, Eccellenza!... |
A sentirsi chiamare Eccellenza il burattinaio fece subito il bocchino
tondo, e diventato tutt'a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio: |
- Ebbene, che cosa vuoi da me? |
- Vi domando grazia per il povero Arlecchino!... |
- Qui non c'è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che
faccia mettere sul fuoco lui, perché io voglio che il mio montone sia arrostito bene. |
- In questo caso, - gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando
via il suo berretto di midolla di pane, - in questo caso conosco qual è il mio dovere.
Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta
che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me!... |
Queste parole, pronunziate con voce alta e con accento eroico, fecero
piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi,
sebbene fossero di legno, piangevano come due agnellini di latte. |
Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di
ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti
quattro o cinque starnuti, aprì affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio: |
- Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me e dammi un bacio. |
Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la
barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso. |
- Dunque la grazia è fatta? - domandò il povero Arlecchino, con un
fil di voce che si sentiva appena. |
- La grazia è fatta! - rispose Mangiafoco: poi soggiunse sospirando e
tentennando il capo: - Pazienza! Per questa sera mi rassegnerò a mangiare il montone
mezzo crudo, ma un'altra volta, guai a chi toccherà!... |
Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul
palcoscenico e, accesi i lumi e i lampadari come in serata di gala, cominciarono a saltare
e a ballare. Era l'alba e ballavano sempre. |
|
XII |
Il burattinaio Mangiafoco regala
cinque monete d'oro a Pinocchio, perché le porti al suo babbo Geppetto: e Pinocchio,
invece, si lascia abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne va con loro. |
Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli
domandò: |
- Come si chiama tuo padre? |
- Geppetto. |
- E che mestiere fa? |
- Il povero. |
- Guadagna molto? |
- Guadagna tanto, quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in
tasca. Si figuri che per comprarmi l'Abbecedario della scuola dovè vendere l'unica
casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga. |
- Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete
d'oro. Vai subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia. |
Pinocchio, com'è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il
burattinaio, abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia, anche i
giandarmi: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua. |
Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada
una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt'e due gli occhi, che se ne andavano
là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe che era zoppa,
camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla
Volpe. |
- Buon giorno, Pinocchio, - gli disse la Volpe, salutandolo
garbatamente. |
- Com'è che sai il mio nome? - domandò il burattino. |
- Conosco bene il tuo babbo. |
- Dove l'hai veduto? |
- L'ho veduto ieri sulla porta di casa sua. |
- E che cosa faceva? |
- Era in maniche di camicia e tremava dal freddo. |
- Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!... |
- Perché? |
- Perché io sono diventato un gran signore. |
- Un gran signore tu? - disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso
sguaiato e canzonatore: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere, si
pettinava i baffi colle zampe davanti. |
- C'è poco da ridere, - gridò Pinocchio impermalito. - Mi dispiace
davvero di farvi venire l'acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono
cinque bellissime monete d'oro. |
E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco. |
Al simpatico suono di quelle monete la Volpe, per un moto involontario,
allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt'e due gli occhi, che
parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, tant'è vero che Pinocchio non si
accorse di nulla. |
- E ora, - gli domandò la Volpe, - che cosa vuoi farne di codeste
monete? |
- Prima di tutto, - rispose il burattino, - voglio comprare per il mio
babbo una bella casacca nuova, tutta d'oro e d'argento e coi bottoni di brillanti: e poi
voglio comprare un Abbecedario per me. |
- Per te? |
- Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a
buono. |
- Guarda me! - disse la Volpe. - Per la passione sciocca di studiare ho
perduto una gamba. |
- Guarda me! - disse il Gatto. - Per la passione sciocca di studiare ho
perduto la vista di tutti e due gli occhi. |
In quel mentre un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe
della strada, fece il solito verso e disse: |
- Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te
ne pentirai! |
Povero Merlo, non l'avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran
salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ~ohi~ se lo
mangiò in un boccone, con le penne e tutto. |
Mangiato che l'ebbe e ripulitasi la bocca, chiuse gli occhi daccapo e
ricominciò a fare il cieco, come prima. |
- Povero Merlo! - disse Pinocchio al Gatto, - perché l'hai trattato
così male? |
- Ho fatto per dargli una lezione. Così un'altra volta imparerà a non
metter bocca nei discorsi degli altri. |
Erano giunti più che a mezza strada, quando la Volpe, fermandosi di
punto in bianco, disse al burattino: |
- Vuoi raddoppiare le tue monete d'oro? |
- Cioè? |
- Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila? |
- Magari! E la maniera? |
- La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti
venire con noi. |
- E dove mi volete condurre? |
- Nel paese dei Barbagianni. |
Pinocchio ci pensò un poco, e poi disse risolutamente: |
- No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio
andarmene a casa, dove c'è il mio babbo che m'aspetta. Chi lo sa, povero vecchio, quanto
ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e
il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva: "I ragazzi disobbedienti non possono
aver bene in questo mondo". E io l'ho provato a mie spese, Perché mi sono capitate
dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo... Brrr! mi
viene i bordoni soltanto a pensarci! |
- Dunque, - disse la Volpe, - vuoi proprio andare a casa tua? Allora
vai pure, e tanto peggio per te! |
- Tanto peggio per te! - ripetè il Gatto. |
- Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna. |
- Alla fortuna! - ripetè il Gatto. |
- I tuoi cinque zecchini, dall'oggi al domani sarebbero diventati
duemila. |
- Duemila! - ripetè il Gatto. |
- Ma com'è mai possibile che diventino tanti? - domandò Pinocchio,
restando a bocca aperta dallo stupore. |
- Te lo spiego subito, - disse la Volpe. - Bisogna sapere che nel paese
dei Barbagianni c'è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai
in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d'oro. Poi
ricuopri la buca con un po' di terra: l'annaffi con due secchie d'acqua di fontana, ci
getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto,
durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata,
ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell'albero carico di tanti zecchini d'oro,
quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno. |
- Sicché dunque, - disse Pinocchio sempre più sbalordito, - se io
sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci
troverei? |
- è un conto facilissimo, - rispose la Volpe, - un conto che puoi
farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento
zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque e la mattina dopo ti trovi in tasca duemila
cinquecento zecchini lampanti e sonanti. |
- Oh che bella cosa! - gridò Pinocchio, ballando dall'allegrezza. -
Appena che questi zecchini gli avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri
cinquecento di più li darò in regalo a voi altri due. |
- Un regalo a noi? - gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa.
- Dio te ne liberi! |
- Te ne liberi! - ripetè il Gatto. |
- Noi, - riprese la Volpe, - non lavoriamo per il vile interesse: noi
lavoriamo unicamente per arricchire gli altri. |
- Gli altri! - ripetè il Gatto. |
- Che brave persone! - pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi
lì sul tamburo, del suo babbo, della casacca nuova, dell'Abbecedario e di tutti i buoni
proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto: |
- Andiamo pure. Io vengo con voi. |
|
XIII |
L'osteria del Gambero Rosso. |
Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono
stanchi morti all'osteria del Gambero Rosso. |
- Fermiamoci un po' qui, - disse la Volpe, - tanto per mangiare un
boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere domani,
all'alba, nel Campo dei miracoli. |
Entrati nell'osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di
loro aveva appetito. |
Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté
mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa
alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre
volte a chiedere il burro e il formaggio grattato! |
La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma
siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dovè contentarsi di una
semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di
galletti di primo canto. Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di
pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d'uva paradisa; e poi non
volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla
alla bocca. |
Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di
noce e un cantuccino di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliuolo col
pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli, aveva preso un'indigestione anticipata di
monete d'oro. |
Quand'ebbero cenato, la Volpe disse all'oste: |
- Dateci due buone camere, una per il signor Pinocchio e un'altra per
me e per il mio compagno. Prima di ripartire schiacceremo un sonnellino. Ricordatevi però
che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio. |
- Sissignori, - rispose l'oste e strizzò l'occhio alla Volpe e al
Gatto, come dire: "Ho mangiata la foglia e ci siamo intesi!...". |
Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addormentò a colpo e
principiò a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo
era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini
d'oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano ~zin, zin, zin~, quasi volessero dire:
"Chi ci vuole venga a prenderci". Ma quando Pinocchio fu sul più bello, quando,
cioè, allungò la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e mettersele in
tasca, si trovò svegliato all'improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di
camera. |
Era l'oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era suonata. |
- E i miei compagni sono pronti? - gli domandò il burattino. |
- Altro che pronti! Sono partiti due ore fa. |
- Perché mai tanta fretta? |
- Perché il Gatto ha ricevuto un'imbasciata, che il suo gattino
maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita. |
- E la cena l'hanno pagata? |
- Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate perché facciano
un affronto simile alla signoria vostra. |
- Peccato! Quest'affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! - disse
Pinocchio, grattandosi il capo. Poi domandò: |
- E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici? |
- Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno. |
Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi
compagni, e dopo partì. |
Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell'osteria
c'era un buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì. Nella campagna all'intorno
non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccellacci notturni, traversando la
strada da una siepe all'altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale,
facendo un salto indietro per la paura, gridava: - Chi va là? - e l'eco delle colline
circostanti ripeteva in lontananza: - Chi va là? chi va là? chi va là? |
Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo
animaletto che riluceva di una luce pallida e opaca, come un lumino da notte dentro una
lampada di porcellana trasparente. |
- Chi sei? - gli domandò Pinocchio. |
- Sono l'ombra del Grillo-parlante, - rispose l'animaletto, con una
vocina fioca fioca, che pareva venisse dal mondo di là. |
- Che vuoi da me? - disse il burattino. |
- Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro
zecchini, che ti sono rimasti, al tuo povero babbo che piange e si dispera per non averti
più veduto. |
- Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro
zecchini diventeranno duemila. |
- Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco
dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me,
ritorna indietro. |
- E io, invece, voglio andare avanti. |
- L'ora è tarda!... |
- Voglio andare avanti. |
- La nottata è scura... |
- Voglio andare avanti. |
- La strada è pericolosa... |
- Voglio andare avanti. |
- Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di loro capriccio e a modo
loro, prima o poi se ne pentono. |
- Le solite storie. Buona notte, Grillo. |
- Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli
assassini! |
Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un
tratto, come si spenge un lume soffiandoci sopra, e la strada rimase più buia di prima. |
XIV |
Pinocchio, per non aver dato retta ai
buoni consigli del Grillo-parlante, s'imbatte negli assassini. |
- Davvero, - disse fra sé il burattino rimettendosi in viaggio, - come
siamo disgraziati noialtri poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti
ci danno consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri
babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perché io non ho
voluto dar retta a quell'uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi
dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che agli assassini
io non ci credo, né ci ho creduto mai. Per me gli assassini sono stati inventati apposta
dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andare fuori la notte. E poi se anche li
trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse soggezione? Neanche per sogno. Anderei loro
sul viso, gridando: "Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che
con me non si scherza! Se ne vadano dunque per i fatti loro, e zitti!". A questa
parlantina fatta sul serio, quei poveri assassini, mi par di vederli, scapperebbero via
come il vento. Caso poi fossero tanto ineducati da non voler scappare, allora scapperei
io, e così la farei finita... |
Ma Pinocchio non poté finire il suo ragionamento, perché in quel
punto gli parve di sentire dietro di sé un leggerissimo fruscio di foglie. |
Si voltò a guardare e vide nel buio due figuracce nere tutte
imbacuccate in due sacchi da carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta
di piedi, come se fossero due fantasmi. |
- Eccoli davvero! - disse dentro di sé: e non sapendo dove nascondere
i quattro zecchini, se li nascose in bocca e precisamente sotto la lingua. |
Poi si provò a scappare. Ma non aveva ancor fatto il primo passo, che
sentì agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili e cavernose, che gli dissero: |
- O la borsa o la vita! |
Pinocchio non potendo rispondere con le parole, a motivo delle monete
che aveva in bocca, fece mille salamelecchi e mille pantomime per dare ad intendere a quei
due incappati, di cui si vedevano soltanto gli occhi attraverso i buchi dei sacchi, che
lui era un povero burattino, e che non aveva in tasca nemmeno un centesimo falso. |
- Via, via! Meno ciarle e fuori i denari! - gridavano minacciosamente i
due briganti. |
E ii burattino fece col capo e colle mani un segno come dire: "Non
ne ho". |
- Metti fuori i denari o sei morto, - disse l'assassino più alto di
statura. |
- Morto! - ripetè l'altro. |
- E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre! |
- Anche tuo padre! |
- No, no, no, il mio povero babbo no! - gridò Pinocchio con accento
disperato: ma nel gridare così, gli zecchini gli suonarono in bocca. |
- Ah! furfante! Dunque i denari te li sei nascosti sotto la lingua?
Sputali subito! |
E Pinocchio, duro! |
- Ah! tu fai il sordo? Aspetta un poco, che penseremo noi a farteli
sputare! |
Difatti, uno di loro afferrò il burattino per la punta del naso e
quell'altro lo prese per la bazza, e lì cominciarono a tirare screanzatamente, uno per in
qua e l'altro per in là, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso.
La bocca del burattino pareva inchiodata e ribadita. |
Allora l'assassino più piccolo di statura, cavato fuori un
coltellaccio, provò a conficcarglielo, a guisa di leva e di scalpello, fra le labbra: ma
Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzannò la mano coi denti, e dopo avergliela con un
morso staccata di netto, la sputò; e figuratevi la sua maraviglia quando, invece di una
mano, si accorse di aver sputato in terra uno zampetto di gatto. |
Incoraggiato da questa prima vittoria, si liberò a forza dalle unghie
degli assassini e, saltata la siepe della strada, cominciò a fuggire per la campagna. E
gli assassini a correre dietro a lui, come due cani dietro una lepre: e quello che aveva
perduto uno zampetto correva con una gamba sola, né si è saputo mai come facesse. |
Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva più.
Allora, vistosi perso, si arrampicò su per il fusto di un altissimo pino e si pose a
sedere in vetta ai rami. Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro, ma giunti a
metà del fusto sdrucciolarono e, ricascando a terra, si spellarono le mani e i piedi. |
Non per questo si dettero per vinti: che anzi, raccolto un fastello di
legna secche a piè del pino, vi appiccarono il fuoco. In men che non si dice, il pino
cominciò a bruciare e a divampare, come una candela agitata dal vento. Pinocchio, vedendo
che le fiamme salivano sempre più, e non volendo far la fine del piccione arrosto,
spiccò un bel salto di vetta all'albero, e via a correre daccapo attraverso ai campi e ai
vigneti. E gli assassini dietro, sempre dietro, senza stancarsi mai. |
Intanto cominciava a baluginare il giorno e si rincorrevano sempre;
quand'ecco che Pinocchio si trovò sbarrato il passo da un fosso largo e profondissimo,
tutto pieno di acquaccia sudicia, color del caffè e latte. Che fare? "Una, due,
tre!" gridò il burattino, e slanciandosi con una gran rincorsa, saltò dall'altra
parte. E gli assassini saltarono anche loro, ma non avendo preso bene la misura,
~patatunfete!~... cascarono giù nel bel mezzo del fosso. Pinocchio che sentì il tonfo e
gli schizzi dell'acqua, urlò ridendo e seguitando a correre: |
- Buon bagno, signori assassini. |
E già si figurava che fossero bell'e affogati, quando invece,
voltandosi a guardare, si accorse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati
nei loro sacchi e grondanti acqua come due panieri sfondati. |
XV |
Gli assassini inseguono Pinocchio; e,
dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande. |
Allora il burattino, perdutosi d'animo, fu proprio sul punto di
gettarsi in terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all'intorno vide fra
mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la
neve. |
- Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei
salvo, - disse dentro di sé. |
E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera
distesa. E gli assassini sempre dietro. |
E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato
arrivò alla porta di quella casina e bussò. |
Nessuno rispose. |
Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il
rumore dei passi e il respiro grosso e affannoso dè suoi persecutori. |
Lo stesso silenzio. |
Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per
disperazione a dare calci e zuccate nella porta. Allora si affacciò alla finestra una
bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi
chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con
una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: |
- In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. |
- Aprimi almeno tu! - gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi. |
- Sono morta anch'io. |
- Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra? |
- Aspetto la bara che venga a portarmi via. |
Appena detto così, la bambina disparve, e la finestra si richiuse
senza far rumore. |
- O bella bambina dai capelli turchini, - gridava Pinocchio, - aprimi
per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass... |
Ma non poté finir la parola, perche sentì afferrarsi per il collo, e
le solite due vociaccie che gli brontolarono minacciosamente: |
- Ora non ci scappi più! |
Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso
da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di
legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua. |
- Dunque? - gli domandarono gli assassini, - vuoi aprirla la bocca, |
sì o no? Ah! non rispondi?... Lascia fare: ché questa volta te la
faremo aprir noi!... |
E cavato fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, |
~zaff...~ gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni. |
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d'un legno durissimo, motivo
per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col
manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia. |
- Ho capito, - disse allora uno di loro, - bisogna impiccarlo!
Impicchiamolo! |
- Impicchiamolo, - ripetè l'altro. |
Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle e passatogli un nodo
scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la
Quercia grande. |
Poi si posero là, seduti sull'erba, aspettando che il burattino
facesse l'ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti,
la bocca chiusa e sgambettava più che mai. |
Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli
dissero sghignazzando: |
- Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la
garbatezza di farti trovare bell'e morto e con la bocca spalancata. |
E se ne andarono. |
Intanto s'era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e
mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo
dondolare violentemente come il battaglio di una campana che suona a festa. E quel
dondolio gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più
alla gola, gli toglieva il respiro. |
A poco a poco gli occhi gli si appannavano; e sebbene sentisse
avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento all'altro sarebbe capitata
qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non compariva
nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo... e balbettò
quasi moribondo: |
- Oh babbo mio! se tu fossi qui!... |
E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca,
stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito. |
XVI |
La bella Bambina dai capelli turchini
fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo
o morto. |
In quel mentre che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un
ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo, la bella Bambina dai capelli
turchini si affacciò daccapo alla finestra, e impietositasi alla vista di quell'infelice
che, sospeso per il collo, ballava il trescone alle ventate di tramontana, battè per tre
volte le mani insieme, e fece tre piccoli colpi. |
A questo segnale si sentì un gran rumore di ali che volavano con foga
precipitosa, e un grosso falco venne a posarsi sul davanzale della finestra. |
- Che cosa comandate, mia graziosa Fata? - disse il Falco abbassando il
becco in atto di reverenza (perché bisogna sapere che la Bambina dai capelli turchini non
era altro, in fin dei conti, che una buonissima Fata, che da più di mill'anni abitava
nelle vicinanze di quel bosco): |
- Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia
grande? |
- Lo vedo. |
- Orbene: vola subito laggiù: rompi col tuo fortissimo becco il nodo
che lo tiene sospeso in aria e posalo delicatamente sdraiato sull'erba a piè della
Quercia. |
Il Falco volò via e dopo due minuti tornò dicendo: |
- Quel che mi avete comandato, è fatto. |
- E come l'hai trovato? Vivo o morto? |
- A vederlo, pareva morto, ma non dev'essere ancora morto perbene,
perché, appena gli ho sciolto il nodo scorsoio che lo stringeva intorno alla gola, ha
lasciato andare un sospiro, balbettando a mezza voce: "Ora mi sento meglio!". |
Allora la Fata, battendo le mani insieme, fece due piccoli colpi, e
apparve un magnifico Can-barbone, che camminava ritto sulle gambe di dietro, tale e quale
come se fosse un uomo. |
Il Can-barbone era vestito da cocchiere in livrea di gala. Aveva in
capo un nicchiettino a tre punte gallonato d'oro, una parrucca bianca coi riccioli che gli
scendevano giù per il collo, una giubba color di cioccolata coi bottoni di brillanti e
con due grandi tasche per tenervi gli ossi che gli regalava a pranzo la padrona, un paio
di calzoni corti di velluto cremisi, le calze di seta, gli scarpini scollati, e di dietro
una specie di fodera da ombrelli, tutta di raso turchino, per mettervi dentro la coda,
quando il tempo cominciava a piovere. |
- Su da bravo, Medoro! - disse la Fata al Can-barbone; - Fai subito
attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Arrivato
che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso sull'erba un povero burattino mezzo
morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari su i cuscini della carrozza e portamelo qui.
Hai capito? |
Il Can-barbone, per fare intendere che aveva capito, dimenò tre o
quattro volte la fodera di raso turchino, che aveva dietro, e partì come un barbero. |
Di lì a poco, si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color
dell'aria, tutta imbottita di penne di canarino e foderata nell'interno di panna montata e
di crema coi savoiardi. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il
Can-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un
vetturino quand'ha paura di aver fatto tardi. |
Non era ancora passato un quarto d'ora, che la carrozzina tornò, e la
Fata, che stava aspettando sull'uscio di casa, prese in collo il povero burattino, e
portatolo in una cameretta che aveva le pareti di madreperla, mandò subito a chiamare i
medici più famosi del vicinato. |
E i medici arrivarono subito, uno dopo l'altro: arrivò, cioè, un
Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante. |
- Vorrei sapere da lor signori, - disse la Fata, rivolgendosi ai tre
medici riuniti intorno al letto di Pinocchio, - vorrei sapere da lor signori se questo
disgraziato burattino sia morto o vivo!... |
A quest'invito, il Corvo, facendosi avanti per il primo, tastò il
polso a Pinocchio: poi gli tastò il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand'ebbe
tastato ben bene, pronunziò solennemente queste parole: |
- A mio credere il burattino è bell'e morto: ma se per disgrazia non
fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo! |
- Mi dispiace, - disse la Civetta, - di dover contraddire il Corvo, mio
illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia
non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero! |
- E lei non dice nulla? - domandò la Fata al Grillo-parlante. |
- Io dico che il medico prudente quando non sa quello che dice, la
miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto. Del resto quel burattino lì non
m'è fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo!... |
Pinocchio, che fin allora era stato immobile come un vero pezzo di
legno, ebbe una specie di fremito convulso, che fece scuotere tutto il letto. |
- Quel burattino lì, - seguitò a dire il Grillo-parlante, - è una
birba matricolata... |
Pinocchio aprì gli occhi e li richiuse subito. |
- è un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo. Pinocchio si nascose
la faccia sotto i lenzuoli. |
- Quel burattino lì è un figliuolo disubbidiente, che farà morire di
crepacuore il suo povero babbo!... |
A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e di
singhiozzi. Figuratevi come rimasero tutti, allorché sollevati un poco i lenzuoli, si
accorsero che quello che piangeva e singhiozzava era Pinocchio. |
- Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione, - disse
solennemente il Corvo. |
- Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, - soggiunse
la Civetta, - ma per me, quando il morto piange è segno che gli dispiace a morire. |