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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Con gli occhi chiusi

di Federigo Tozzi

PARTE SESTA

Masa esciva ed entrava, dando un'occhiata a loro e una nel piazzale; per vedere se gli assalariati stessero lì a curiosare. Temeva più che mai le loro lingue; e non le pareva l'ora che Ghìsola se ne andasse, per riguardo al padrone.
Ella non si sentiva degna che la nipote doventasse la moglie di Pietro: era una cosa che aveva superato ogni sua pretesa! Non s'arrischiava né meno a ringraziarne Dio, perché temeva dovesse punirla della sua troppa contentezza; e poi, prima, ne voleva esser più sicura! Aveva detto altre volte: - Non si può chiedere a Dio una cosa, di cui non siamo degni.
Pietro porse a Ghìsola il pettine, poi le abbottonò il giacchetto lungo le spalle. Ella, dopo l'ultimo bottone, si volse, e si fece baciare un'altra volta.
E siccome c'era ancora molto tempo, si distese sul letto dove aveva dormito giovinetta. Il suo volto s'indurì, sino a prendere un'aria d'angoscia sinistra. Respinse tutte le carezze di Pietro; non volle esser più baciata, non gli rispose né meno; qualunque cosa egli tentasse di dire; con gli occhi accigliati e torbidi, la bocca gonfia di collera.
Masa disse: - Ti senti male? Che cosa hai?
Ella tirò la testa in dietro, quasi il collo s'irrigidisse. Pietro le prese le mani: - Non è niente. Ti passerà. Ma che cos'hai? Lasciatela fare, Masa.
Ghìsola li guardava ambedue, ora l'uno ora l'altra. Pietro la baciò su i piedi: ella li nascose sotto la sottana. Era il dispiacere d'andarsene? Ma somigliava ad altre volte; a quando s'era accontentato di toccare qualche cosa che le appartenesse: un nastro, uno spillo; e anche il suo braccialetto d'argento. E gli era impossibile ammettere che ella avesse potuto scambiare con un'altra persona uno dei suoi ninnoli!
Ghìsola avrebbe voluto non muoversi più: credeva di dover stare a quel modo un tempo indefinibile, forse per sempre.
Pietro e Masa, così intorno a lei, le facevano venire un brivido. E li avrebbe presi a pedate.
Quando Pietro la decise ad alzarsi, dicendole che altrimenti non sarebbe più stata in tempo alla diligenza, ella sentì rientrare la voglia immensa di parlare con tenerezza; e la sua bocca fece una smorfia cattiva ma graziosa.
Si quietò di mano in mano che s'avvicinava al luogo da dove doveva passare la diligenza. Camminava con le gambe che si ripiegavano, lasciando battere ad ogni passo il suo ombrellino da sole sopra un ginocchio. Appoggiata a Masa e a Pietro, prese un'aria di bambina.
Masa pensava ancora agli assalariati e alla casa lasciata aperta; e si volgeva indietro, storcendosi le labbra.
La diligenza tardava. Allora la vecchia, tenendo le mani insieme sul ventre, se ne andò, dopo aver detto: - Badiamo che tutto finisca bene!
Ma Ghìsola non la salutò né meno. E si discostò da Pietro, che non smetteva mai di guardarla.
Alle finestre del Palazzo dei Diavoli non c'era nessuno. Prima di giungervi, aveva veduto l'aia di un contadino tutta occupata da una mucchia di manne di grano. Ed era parso che dal tetto della casa grondasse giù la luce del sole e rimbalzasse in terra in un cerchio di fiamme.
Ma, da dove s'erano fermati, videro, in cima ad una collina alta, Vico Bello tra i suoi alberi fasciati da un muro: tutta la collina era verde di granturcheti, mentre gli olivi sembravano incolori e trasparenti. I filari delle viti ingrossati dalle proprie ombre.
Un mendicante si sedette su gli scalini della Cappella; alla cui meria erano anch'essi: se lo accennarono, sorridendo d'aver avuto lo stesso pensiero; e attesero che cominciasse a mangiar il pane che stringeva con tutte e due le mani.
La diligenza arrivò. Dentro, c'era una donna e un contadino dalla faccia smunta e la barba non rasata: un malato che la moglie aveva ripreso dall'ospedale. Egli reggeva accanto a sé un fazzoletto rosso, pieno di medicine; la moglie teneva su le ginocchia uno scialle bigio che gli avrebbe messo la sera. L'uomo aveva gli occhi velati, e pareva che si trovasse a disagio; come se avesse voluto che la diligenza non si fermasse, aspettandosi una cosa che li avrebbe disturbati.
Le tende, abbassate per parare il sole, ondeggiavano.
Il cavallo s'era arrestato con un movimento brusco, ripiegando le gambe di dietro. Era lungo e magro: uno di quei cavalli dalla testa alta e le mandibole enormi. Tra i finimenti, su cui luccicavano le borchie d'ottone, tutte le sue costole si dilatavano nel respiro. Un filo d'avena gli era rimasto tra le labbra grinzose, infilato sotto il morso. Si sorreggeva, appoggiandosi agli stanghini. Puzzava di sudore.
Pietro aprì lo sportello della carrozza, su la quale era dipinto lo stemma postale. Ghìsola salì, a capo basso. Poi fece comprendere che voleva essere baciata; e Pietro la baciò; ma le avrebbe detto: "Non sta bene qui!". Ella sorrise, a se stessa, di lui; mentre la diligenza si moveva.
Dopo aver dato un'occhiata ai due che le sedevano dinanzi, come se prima non se ne fosse né meno accorta, abbassò un'altra volta il capo e impallidì: aveva sentito una trafitta della maternità.
Pietro, con angoscia quasi mortale, aspettò invano che si volgesse.
Verso settembre, andò a trovarla a Radda.
Questo paese, il cui mucchio di case si continua a vedere, prima di arrivarci, per parecchi chilometri in fondo a un bosco, in cima a una collinetta, è così silenzioso che si ode parlare dentro le case dalla via.
Pietro era andato, fino alla Castellina, con la vettura di un suo conoscente che lo avrebbe atteso la sera per riportarlo a Siena.
Di lì a Radda, andò a piedi. Traversò tutto il bosco: tra i macigni e i cespugli di ginepri, tra le querci, sentiva di quando in quando l'odore lasciatovi da qualche gregge di pecore.
Vide il tabernacolo dipinto d'azzurro, sul margine della vecchia strada abbandonata; dietro tre cipressi smilzi, con i tronchi pieni di rigonfiature. E su gli avanzi del muro, che cominciava da quel tabernacolo, dopo pochi metri tutto caduto, l'edere insieme con un enorme biancospino.
Attorno, i bei boschi delle altre colline; sempre più chiusi e fitti, d'un colore che sbiadisce fino a divenire una trasparenza.
Incontrò Poggiarofani, un luogo dove si fermano i pecorai quando passano di lassù. Ivi la strada è più alta che altrove, tutta contorta, fatta di risvolte, di salite e discese; tra l'Appennino aretino e il Monte di Santa Fiora, ma così lontani che paion d'aria come l'orizzonte.
Gli uccelli, alzandosi all'improvviso dalle valli, che si aprono da ambedue le parti, lo rasentavano. E, quasi non sapessero poi dove drizzare il volo, dopo un tratto a sghembo, risparivano nelle profondità.
Quando giunse al paese, stanco e irritato, aveva un'esaltazione che di quando in quando diminuiva; e allora le cose avverse gli s'affacciavano all'anima. Sapeva che il padre l'avrebbe maltrattato e che quasi tutti avrebbero pensato ch'egli andasse a trovare Ghìsola perché gli si dava.
Dopo le prime case, lasciò passare avanti una carrozza così polverosa che era doventata bianca.
Ad una donna che, scortolo, non gli aveva più tolto gli occhi di dosso, mentre la sua brocca, sotto il rocchio di una fontana, traboccava, domandò di Ghìsola. E seppe che stava in casa di Lucia, la sorella maggiore che s'era maritata. Si fece indicare l'uscio; e, trovatolo, entrò; ma ridiscese per bussare.
Già tre altre donne, nella stradicciola, s'erano adunate per la curiosità di saper chi fosse. E, allora, per sottrarsi ai loro sguardi, salì senza attendere che gli fosse risposto.
Lucia, che l'aveva una volta conosciuto a Poggio a' Meli, gli andò incontro in cima alle scale. Ed egli, senza né meno salutarla, domandò: - Ghìsola dov'è?
Se Lucia non fosse stata la sorella, si sarebbe adirato perché subito, quasi non sapesse niente del bene che le voleva, non glielo aveva già detto.
Allora Lucia, visto il suo desiderio, rispose: - È di sopra.
Egli le disse con collera: - Chiamala... anzi, la chiamo io.
Ma Ghìsola si fece innanzi da sé, dopo aver prima sentito le sue parole.
In pochi giorni s'era fatta più bruna; e aveva una sottana sdrucita che toccava il pavimento.
E siccome ambedue se ne stavano in silenzio a guardarsi, Lucia tornò in cucina a far da mangiare.
- Perché non sei a casa dei tuoi genitori?
Ella lo guardò ancora, senza rispondere. Poi gli chiese con una meraviglia sincera: - Mi vuoi sempre bene?
Ma egli s'inquietò e le disse: - Perché mi chiedi così? Perché non ti dovrei amare?
E fece l'atto di torcerle un polso: ella con gli occhi fissi a terra, lo lasciò fare, senza curarsene.
- Tu non devi stare con questa veste... Se ti vede qualcuno?
E ripeté, per sapere com'ella rispondesse: - Se ti vede qualcuno?
E siccome Ghìsola taceva come offesa, Pietro se ne pentì, come quando s'è percosso un animale e poi ci s'accorge che s'è fatto senza ragione.
- Ti si vedono le gambe... la sottana è anche aperta.
Quelle parole che non avrebbe voluto dire, lo facevano quasi piangere. E per evitare la tentazione sensuale, le prese un braccio spingendola nella sua stanza. Ghìsola si trasse indietro, perché la lasciasse: allora la veste finì di rompersi; ed egli le vide un fianco. Ella arrossì. Egli le nascose il volto abbracciandola, perché non si vergognasse di lui!
- Ti ho vista... ma non volevo.
Ella chiuse con una mano la sdrucitura, pronta invece a togliersi tutta la veste; e gli disse: - Lasciami.
- Perché, dunque, stai così?
Domandò Pietro, pentito d'averla accarezzata in quel momento.
- Io faccio il comodo mio. Perché sei venuto a Radda? Sei venuto proprio per me? Ci sono altre ragazze! Anche tu l'hai con me?
- Devi tacermi qualche cosa oggi!
- Io ho sempre qualche cosa, dici tu, da tacere.
- Forse non è vero? Ti ho mai rimproverata senza alcuna ragione?
La gola gli si schiudeva, ed egli stesso aveva voglia di smettere.
- Ma se non mi vuoi così, perché...
- Perché ti voglio bene, non è vero?
Ella, allora, si mise a ridere, sempre più lasciva. Egli riprese, con le labbra che doventavano sempre più aride: - Se non ti volessi bene, non ti dispiacerebbe forse?
E sorpreso del suo silenzio, aggiunse: - Ti perdono. Dammi un bacio.
Ella si volse verso di lui con un atto lento e pudico, quasi avesse temuto di concedere troppo. Poi, quando furono per baciarsi, si ritrasse. Pietro le alzò il volto piegato in giù con forza, con tutta la sua volontà; e le disse: - Non piangere.
Egli temeva di vedere quel tremolio interno delle labbra, per cui sembra che il pianto giunga come una sorgente profonda. Tenendole ancora le mani sopra le tempie, disse, più remissivo, quasi raccomandandosi, con disperazione: - Ascolta.
Ella lo guardò.
- Forse non vuoi esser più la mia sposa?
Ella lo guardò ancora; poi, come gli riesciva bene, fece l'atto d'inghiottire le lacrime. E perché non pianse gli parve così buona da commoverlo.
Allora s'abbassò e le baciò tutta la gola, l'obbligò a guardarlo, affascinandosi degli occhi.
- Perché dovresti aver bisogno di tradirmi?
E disse la frase con la gola strozzata dalla repugnanza, con tutta la sua avversione morale.
Ella, al sospetto, tacque.
Pietro allora le riprese il volto con ambedue le mani, il suo volto rigido come la selce, glielo piegò in modo ch'ella dovette guardarlo: si torceva come il ramarro quando svolta e fugge.
- Tu hai pensato di non farti veder più!
Ella gli disse che aveva indovinato; svincolò le mani dalle sue, gli volse le spalle.
Egli l'esaminò così a lungo, impacciato.
Ma ella avendo paura ch'egli fosse capace di vendicare, gli si fece docile; e gli sorrise. Egli l'abbracciò e la baciò. Ed ella gli disse: - Ma tu non ami proprio me.
Egli non comprese; e si abbatté su di lei, chiedendole: - Perché dici sempre così?
Gli venne il sudore freddo; ma procurò di calmarsi, accarezzandola e dicendole: - Non amo te, dunque?
Allora ella disse con calma, senza nessun sentimento: - Tu sposerai un'altra.
Egli impallidì; ma ebbe la forza di fare alcuni passi verso l'uscio. Ghìsola, allora, gridò, per offenderlo: - Mi vuoi bene così?
Per prima gli offrì la bocca; egli esitò, poi lasciò venire a sé tutta quella sensazione che lo ubriacava.
E Ghìsola, che voleva darglisi per fargli credere poi di essere restata incinta, gli chiese: - Perché mi accarezzavi dianzi?
Pietro non glielo voleva dire. Ma Ghìsola esclamò: - Lo so. Ho indovinato... Ora mi accarezzi in un altro modo! Anche tu mi desideri. È impossibile che tu possa farne a meno. Del resto, se tu vuoi, io son tua.
Ma Lucia chiamò dalla cucina, e mangiarono tutti e tre insieme: il marito della sorella era fuori di Radda.
Due ore dopo mezzogiorno, Pietro doveva già pensare a tornarsene via; e lo disse a Ghìsola. Ma ella, che se n'era dimenticata, esclamò tutta allegra: - Dormi a casa nostra.
Mio padre m'aspetta. Tu sai che doventerebbe più cattivo anche contro di te.
Ghìsola insisté: - Dormi qui. Io verrò a baciarti come feci l'altra volta a Siena.
Egli temette, allora, che avrebbero anche potuto dormire insieme; e rifiutò. Ghìsola, indovinandolo, chiese: - Ci stiamo insieme di giorno, senza far niente di male?
E, con un'aria innocente, disse: - Ti giuro che tu mi rispetterai, perché tu non vuoi...
- No; prima devi essere la mia sposa. Sono io stesso che te lo dico, perché ti voglio bene.
Ma ella, con la carne imbevuta di voluttà, come una spugna d'olio, entrò in un'altra stanza, chiudendosi l'uscio dietro. Ricomparve quasi subito, mentr'egli non sapeva più se aspettarla o andarsene. Egli le disse, con voce quasi piagnucolosa, imitando la sua: - Staremo insieme in seguito. Ora facciamo questo sacrificio. Dobbiamo.
La scosse, tenendola per la vita: - Rispondi.
Ghìsola nascose il volto nel grembiule, fingendosi di un candore così naturale che avrebbe ingannato chiunque.
- Perché ti nascondi? Non ti nascondere. Non voglio.
Scesero, tenendo le mani intrecciate; e siccome ella aveva un'aria timida e pudica, egli n'ebbe compassione, e gli parve impossibile d'essere stato capace di rimproverarla.
In fondo alle scale, Ghìsola si appoggiò alla soglia. Egli mise un piede nella strada, ed attese qualche parola; ma siccome sembrava che a lui non ci pensasse ne meno più, non le disse altro, e s'avviò a passi lenti fuori del paese; e più d'una volta avrebbe voluto tornare a dietro.
Ghìsola si riscosse, e guardò nel posto dov'egli era stato; e con le mani, che teneva insieme appoggiate allo spigolo della soglia, spinse innanzi tutto il corpo, discostandosi. Poi, rientrò in casa.
Con la sorella non disse né meno una parola su Pietro.
L'amore di Pietro era stato per Ghìsola il ritorno della coscienza. Ella sentiva che doveva ingannarlo, perché egli non la umiliasse. Più grande e folle era quell'amore e più ella si trovava nella necessità di difendersi; non perché lo desiderasse o perché volesse riabilitarsi, ma perché doveva impedire che Pietro sapesse tutto. Voleva essere la più forte, facendosi accettare com'era; per sentire anche lui in quella colpevolezza morale, che ella non aveva saputo respingere.
Se dopo partorito, fosse riescita a farsi sposare, era sicura di avere un sopravvento assoluto sul suo carattere; era certa di fargli credere quel che voleva!
Ma, in fondo, si stimava molto migliore e più desiderabile di quand'era soltanto una contadina sciocca e vestita male. Si sentiva anche più intelligente e più astuta; e l'orgoglio non le permetteva di riconoscere la delusione dolorosa che avrebbe provato Pietro.
Ella voleva approfittarsi di lui soltanto perché era abbastanza ricco e poteva toglierla dalla sua condizione sempre malsicura. Aveva timore d'invecchiare prima d'aver trovato un vero affetto. E perciò l'ostilità contro l'esigenza di Pietro che si fosse conservata onesta, doventava quasi odio; quando aveva paura d'essere scoperta.
Sentiva che anche l'ingenuità di lui era un contrasto serio; non una debolezza di cui potesse sorridere tranquillamente. Ed ogni giorno più si sentiva mancare il terreno, perché Pietro era sempre lo stesso; pronto con la sua adorazione ad offenderla, senza ch'egli se n'avvedesse.
Lo considerava egoista; giustamente da un certo punto; perché non l'avrebbe mai scusata se fosse trapelato qualche cosa. Doveva dunque non esser contenta ch'egli l'amasse in quel modo; ma, per rifarsi della continua umiliazione, non pensava affatto di cambiare vita finché non ci fosse costretta. Sentiva solo una specie di rimorso, che le faceva simpatico Pietro.
È vero, però, che non pensò mai che avrebbe dovuto fin dal primo giorno parlargli più chiaro, finché avesse capito!
Pensò, invece, che non l'aveva ingannato fino al punto da dargli a intendere ch'era incinta per colpa sua!
Ma aveva anche da vendicarsi con Domenico: far perdere così la testa al suo figliolo era un piacere maligno.
Inoltre, la pretesa di Pietro la faceva ridere come un'insipida sciocchezza; che un giovine non avrebbe né meno dovuto avere.
Ma che andava cercando? Perché, dunque, amava lei e non qualche signorina di Siena, una signorina della sua condizione?
È vero, però, ch'ella se ne teneva per i suoi nonni e per tutti gli altri parenti. Era capace di doventare una signora, e di vivere senza lavorare; quindi, dovevano tenerla molto in conto. E, poi, ella non aveva fatto niente per piacere in quel modo a Pietro e perché egli si ricordasse di lei: Domenico, dunque, doveva stare zitto. Era piuttosto il figliolo che s'approfittava di lei, perché era stata la loro assalariata; era lei che doveva fidarsi del suo figliolo!
E, nello stesso tempo, ricordava molte cose del tempo ch'era stata a Poggio a' Meli. Ci s'era affezionata; e, tornataci, le piaceva di sentire i complimenti che le assalariate le facevano; complimenti, è vero, un poco ambigui perché le lasciavano capire che non avevano per lei la fiducia di Pietro; e né meno quella compiacente di Giacco e Masa.
A Radda i suoi genitori non avevano osato dirle niente; perché ella, la prima sera, entrando in casa, disse che sarebbe tornata via subito e che a loro non doveva importare niente delle chiacchiere sentite sul suo conto anche perché non erano vere.
Ma gli stessi suoi genitori se ne tenevano che fosse vestita meglio perfino della figliola del sindaco, ch'era ricchissimo. Le sorelle ne sentivano invidia, e dentro di sé dicevano ch'era molto più furba di loro. E siccome le volevano bene, i parenti erano i primi a difenderla.
Borio era morto d'una polmonite; e quel fattore suo rivale s'era fatto vecchio anzi tempo; e, a Ghìsola, quando la vide due o tre volte, dette del lei arrossendo e levandosi il cappello.
Anche in paese, non la giudicarono troppo male; e, del resto, si sparse subito la voce che doveva sposare il figliolo del padrone del Pesce Azzurro.
Tutti si ricordavano del tempo passato, ma ci ridevano senza cattive intenzioni; trovando perfino ch'era sempre stata una buona ragazza, benché avesse dato qualche scandalo. E, poi, portavano rispetto ai suoi genitori piuttosto poveri.
Ma Ghìsola, dopo che l'amico di Badia a Ripoli l'aveva lasciata, sentì una certa paura di se stessa.
I mesi di Badia a Ripoli le tornavano a mente spesso; perché là si era divertita a esser libera e sola, e sicura che tutte le sere il signor Alberto tornava a casa.
È vero che doveva star fuori di Firenze, piuttosto in campagna; ma non le mancava mai niente. E a Firenze, purché accompagnata, ci poteva andare quando avesse voluto.
Aveva la camera che dava in quel giardino, di cui Pietro aveva avuto paura; e la stanza da pranzo su la strada, senza che ci fossero altre case davanti.
C'era invece un muricciolo ch'era più basso delle spighe del grano, e un cipresso che d'estate si copriva di convolvoli. Sul muricciolo, coperto e riempito sopra a calcina sola, nascevano le primole e quell'erba che fa i fiori gialli.
Più discosto, un rigagnolo chiaro che luccicava, dove lavavano i panni e poi li tendevano sul prato del campo; accanto a un cancello tra due pilastri quadrati, sopra i quali due cani di terracotta si guardavano.
Il grano s'impolverava, e i cenci ad asciugare volavano per aria; come gli aquiloni che i ragazzi lasciavano venire dal Campo di Marte.
Da un balcone della cucina, s'affacciava per chiamare la fruttivendola; e di là su ordinava quel che voleva, perché le ceste delle frutta erano esposte proprio sotto. Un poco più in là, c'era un pizzicagnolo che vendeva anche il vino; e quando veniva il vento da quella parte, si sentivano gli odori della sua bottega. Nelle altre case più vicine, ci stavano famiglie d'impiegati piuttosto ricchi, e qualche ortolano. E siccome ella viveva per conto suo, nessuno aveva pensato a scandalizzarsi.
Ora doveva guadagnare giorno per giorno; ma, più affondava e si corrompeva nella sua vita, e più era in grado d'apprezzare Pietro; appunto perché si sentiva addirittura incapace di essere almeno un'ora come voleva lui. Perciò gliene importava sempre meno; e non aveva più quel disagio morale, che le dava fastidio i primi mesi.
Era, ormai, a quel modo; e ogni giorno ci si rassegnava sempre di più; anche perché era inutile smettere.
Le lettere di Pietro le facevano l'effetto ch'egli le pensasse per qualche fidanzata ingenua e buona. E lo compativa, sorridendo.
A settembre egli tornò a Firenze con il pretesto degli esami di riparazione; quantunque si dolesse di perdere il tempo inevitabilmente, trovando giusto, come un castigo, di star lontano dai suoi libri, dai sui compagni che non lo salutavano né meno più. Gli faceva l'effetto di nascondersi, e di compromettersi verso tutti. Ma quella volontà d'inabissarsi, che nasceva da un'angoscia, gli faceva gonfiare il cuore: il cuore gli batteva in un altro modo!
Dalla sua casa di Via Cimabue, non esciva ormai che per mangiare. Ma non gli era possibile altrimenti, sebbene gliene rincrescesse e fosse tentato di vincersi.
Ghìsola, già a Firenze prima di lui, stava in una di quelle case che si chiamano private; dove guadagnava molto bene. E, informata da una lettera di Pietro, respinta da Radda, andò subito da lui: anche per allontanare qualunque sospetto.
Quando la padrona, che l'aveva fatta passare, si mosse per chiamarlo, ella fece cenno di no; e, camminando senza farsi udire, batté con la punta delle dita alla porta della camera. Egli, indovinando ch'era lei, balzò in piedi ed aprì.
Ghìsola finse di non voler entrare. Egli la portò dentro: e la baciò, tremando tutto. Ella disse, sorridendo e schermendosi: - Non voglio più!
Poi si sedé; dopo essersi tolto il cappello, che mise su le ginocchia. Ma egli ebbe un tuffo caldo al cuore, e sentì arrossarsi la faccia perché non poté fare a meno di chiederle: - Perché eri già venuta via da Radda senza avermelo scritto?
Ed ella, con il suo bel viso che talvolta pigliava una purezza assoluta, rispose senza badare a quel che diceva: - Sono arrivata ora. Ha voluto, per forza, che tornassi la mia padrona di Badia a Ripoli. E a Radda non ho potuto a nessuno dettare la lettera per te, perché non volevo far sapere che ci vediamo. Non ho agito bene?
- Tanto. Ti riprende lei, dunque?
- Sì.
- Allora sono contento. Ma non puoi almeno per oggi restare con me?
- Ho già pensato a chiederle il permesso.
Egli, credendole, l'abbracciò in un impeto di riconoscenza.
Escirono subito insieme; e andarono a spasso per Firenze. Mangiarono; e, poi, si trattennero a parlare in uno di quei sedili del giardinetto di Piazza San Marco, dove vendono i brigidini e i semi di zucca ai soldati e agli oziosi.
La sera ella gli disse, ridendo: - Devo andarmene, perché, se faccio troppo tardi, un'altra volta non mi lascerebbero libera.
E si lasciarono: egli non pensò né meno di curarsi dove andava.
L'attese tre giorni sempre chiuso in casa; imaginandosi di confidarle tutto degli esami; e non sapeva se a Ghìsola gliene importasse o no. E questo proposito gli dava un godimento quasi voluttuoso.
Gli erano insopportabili i rumori, anche lievi; trovando rimedio nel lasciarsi assopire sul letto. E allora gli pareva che le tempie battessero con meno fatica; e che il cuore gli si gonfiasse senza ch'egli ne sentisse la gonfiezza. Ma le sue mani fredde gli facevano un senso di pena e di paura, ricordandogli la sua vita a Siena.
Se non avesse temuto di far dispiacere a Ghìsola, l'avrebbe pregata, con tutta la dolcezza che ne provava, ad uccidersi con lui.
Ma quando Ghìsola tornò a trovarlo, tutto cambiò. L'avrebbe trattato da pazzo, ridendogli in faccia, con quel suo riso di cui egli aveva spavento, benché la facesse più bella!
Stettero insieme un altro giorno intero, come l'altra volta; e, poi, non si videro più.
A Siena, Pietro inventò che gli esami erano andati male.
Egli si sentiva sempre di più una vittima di quelle ingiustizie, contro le quali tutti avrebbero dovuto insorgere d'accordo.
Domenico gridò: - Che hai fatto? Se tu avessi studiato... Sei convinto che non sei nato per la scuola?
La collera gli parve meritata, ma gli bastava che egli non facesse alcuna allusione a Ghìsola.
Il suo malumore e la sua ansia si riaprirono; e, questa volta, peggio, perché l'amore per Ghìsola cresceva sempre. Tutte le altre cose non lasciavano traccia, come se non lo riguardassero né meno.
Sentiva d'esser caduto dentro un vuoto, dal quale non sarebbe più uscito. Ma doveva incolparne Ghìsola? No: soltanto se stesso; anzi, si credette perduto dinanzi a lei. Ma pensava, ogni mattina, destandosi: "Se non ci fosse Ghìsola, io mi ucciderei!". E vedeva ritrarsi tutta la tranquillità morale, a cui s'era soltanto avvicinato.
Domenico non manifestò subito l'impazienza che aveva di veder Pietro occuparsi degli affari. Ma come le conversazioni doventavano di quell'affabilità affettata, che cela in sé gli scoppi della collera, così anche evitarono di parlarsi. Tutti tenevano dalla parte del Rosi, e si aspettavano una leticata. Pietro lo capì, fingendo di non accorgersi di quello che pensasse suo padre quando lo guardava quasi di sfuggita.
Domenico talvolta si stimava un uomo semplice e rozzo dinanzi a un raffinato ed un cattivo. E allora temeva d'averne la peggio.
Che cosa erano valsi i lunghi sforzi, di cui aveva riempito tutta la vita? Morendo, non avrebbe consegnato al figliolo ciò che aveva potuto strappare con il lavoro e l'astuzia? E proprio il figliolo non l'apprezzava? Proprio il figliolo voleva mandare in rovina il patrimonio?
Allora si accorse dell'errore che aveva fatto, accordandogli troppo anche a riguardo di Ghìsola. Egli stesso l'aveva accolta in casa! Ed ora, la disonesta, glielo metteva contro, insegnandogli ad odiarlo!
Gli parve un tradimento cercato: il seminario, l'accademia di belle arti, la scuola tecnica, l'istituto tecnico, i maestri privati, tutto!
Questi pensieri li aveva avuti tante volte, che stimava essere il momento di non lasciarsi sopraffare.
Seduto su la sedia che gli serviva da più di venti anni, lo seguiva con lo sguardo, tenendo le mani in tasca dei calzoni e appoggiando al muro il capo già calvo. Ma non diceva niente, procurando di distrarsi con i servi e con qualche cliente che andava a salutarlo.
Pietro pensava a tutte le cose famigliari che avrebbe voluto possedere per sé e per Ghìsola.
Pensava al lume così quieto e sempre eguale, con la campana di latta. Pensava alla poltrona della mamma, sotto il cui guanciale era una specie di cassetto di legno, dov'ella aveva tenuto i gomitoli delle lane e i suoi due soli libri, due romanzi a dispense illustrate. Pensava ai quattro guanciali a cui ella s'appoggiava; i quali si erano deformati ciascuno in modo riconoscibile. Pensava all'odore dell'acqua di Colonia, alle boccette antisteriche, ad una crocettina d'oro consunto.
Prima d'addormentarsi nel suo letto duro, ricordava tutte le cose più note; alle quali portava un'affezione intensa per quanto incosciente. Gli pareva di dover dare un'altra impronta e un altro significato a tali cose. Ghìsola sarebbe stata la rinnovatrice. Ed egli provava la stessa dolcezza che aveva provato stando insieme con lei.
Spenta la candela, si voltava dalla parte del muro e dormiva.
Domenico, verso la mezzanotte, attraversava la camera, con in mano la lucerna d'ottone. E allora Piero si destava e gli veniva voglia d'alzare il capo. Ma l'altra porta si richiudeva; ed egli rimaneva con quello scontento di quando è interrotta una disposizione d'animo.
La mattina, Domenico esciva prestissimo senza dir niente a lui, che si provava a dare un'altra intonazione a quei sogni che si hanno durante il dormiveglia quando pare che siamo in grado di smettere o di continuare il sonno.
Si sedeva al suo tavolino, senza far niente, con i ginocchi appuntati sotto il cassetto. Gli pareva impossibile che tutte le cose si disinteressassero di lui; mentre la sua memoria sensuale gli produceva una sovreccitazione inebriante.
Si commoveva, dunque, d'esser destinato soltanto a soffrire: "Perché io non posso vedere Ghìsola? Nessuno è costretto come me a rinunciare a tutto. E nessuno se ne immischia. Non so spiegarmi come agli altri sia possibile avere qualche occupazione ch'io non avrò mai: il vetturino frusta il cavallo per far più presto; gli spazzini annaffiano".
Ma evitava d'entrare nella bottega, fino all'ora del pranzo. E doveva aspettare il momento opportuno, perché anche il cuoco non gli rispondesse male; accontentandosi di quello che gli davano, e prendendo da se stesso il pane e le posate nella dispensa.
Egli che aveva amato idealmente gli altri, provava ora uno struggimento amaro. Ma c'era caso che suo padre gli dicesse: - Non stare nel mezzo, mentre passano i camerieri. Tu non lavori!
Poi esciva di bottega, perché non volesse obbligarlo a lavorare. "È possibile ch'io sia costretto a correre dal pizzicagnolo, a comprare il formaggio? Oppure a prendere una sporta e farla riempire di pane? Oppure discutere con qualcuno che vuole scemare il conto? Ghìsola, del resto, non acconsentirebbe più a sposarmi."
Un giorno, ricevette una lettera. La calligrafia della busta gli dette subito il senso di un avvenimento inevitabile. Non voleva aprirla. E lesse: "Ghìsola lo tradisce. Se vuole averne la prova, vada in via della Pergola...".
Vi era il numero della casa, e un nome di donna; forse, falso.
Gli parve che queste parole risolvessero una cosa inspiegabile. Egli pensò: "Vi deve essere un vero motivo".
E tutte le avversità dolorose gli comparvero l'una dopo l'altra, provando meraviglia della compassione che una persona ignota aveva avuto di lui.
Poi rifletté al modo di trovarsi i denari per andare a sorprendere Ghìsola. Rebecca non glieli voleva prestare, rimproverandolo che non le avesse restituiti né meno gli altri. Ma Pietro insisté: - Come vuoi che possa chiederli a mio padre?
- Se li faccia dare da qualche suo amico.
Intanto si mosse verso il canterano, determinata di prestarglieli perché appurasse l'innocenza della nipote. Ma innanzi prese una pezza pulita per il suo bambino, che teneva in collo. La distese sopra il letto, buttò quella sporca sotto l'armadio; e pareva che il bambino, piangendo, le facesse dimenticare il denaro.
Tenne ancora il capo giù, come per riflettere; se fosse valso, sarebbe andata invece di lui da Domenico; ma per quello scopo non c'era da immischiarsene. Gli disse: - Non può fare a meno d'andare subito domattina?
Egli rispose: - È possibile dopo che ho ricevuto questa lettera?
Ella comprese e sospirò. Egli, aspettando un poco, disse: - Dammeli.
- Quanti gliene occorrono?
- Più dell'altra volta.
- Dio mio, come faccio a trovarli! Perché non pensa a metterli da parte un pochi per settimana?
Egli sì rammaricò di non averci mai pensato; e gli parve inspiegabile: - Farò così da qui innanzi. Questa volta... dammeli tu.
Se avesse dovuto attendere ancora, non avrebbe avuto l'animo d'insistere; ma Rebecca, credendo alla sua promessa, cedette.
Pietro contò da sé i denari; mentre ella, appoggiandosi al cassetto aperto, lo guardava in viso.
Le sorrise e la ringraziò.
Rebecca, accompagnandolo in cima alle scale, gli raccomandò ancora: - Pensi che me li deve restituire.
Era vero che Ghìsola si faceva spedire le lettere a Badia a Ripoli, ma non poteva darsi che avesse cambiato dimora soltanto da pochi giorni? Di che cosa poteva trattarsi?
Si sforzò di definire tutte le specie di dubbii; ma poiché non ne teneva nessun conto, gli fu impossibile rispondersi. Per la prima volta, tutto il cumulo delle cose tristi gli parve lontano da sé e che gli fosse possibile distruggerlo. Tutte le sofferenze gli parvero esteriori, provando una piccola felicità che non somigliava a nessun'altra. Pensò: "Perché ho creduto subito alla lettera?".
Durante il viaggio, gli sembrò d'essere in uno stato d'incoscienza e con la febbre. Ma aveva fretta di giungere.
Il treno correva vicino all'Arno, la cui acqua luccicava come se migliaia di specchi vi si rompessero insieme; oltrepassava le pinete a picco, acuminate, ancora sparse d'ombre violacee, tra i pioppi bianchi e tremuli, dietro i pali telegrafici; i cipressi a fasci, cipressi come rinchiusi dagli altri cipressi. Andava verso la città sovra la quale si raccoglieva una dolcezza d'azzurro, tra le colline l'una più soave dell'altra. Quella bellezza meravigliosa l'umiliava. Mentre l'amore, che fino allora aveva portato a Ghìsola, gli pareva un'indegnità abominevole senza saper perché: "E possibile che io non la debba amare?".
Entrò nell'uscio indicato dalla lettera, passando tra alcune donne che non si scansarono. La scala era buia e sudicia, con odore di lezzo e di cipria.
Al primo piano, dalla porta aperta un poco, scorse, con una vestaglia rosea, una prostituta; che lo guardò quasi ironicamente.
Al secondo piano era un altro appartamento aperto lo stesso. Si soffermò per ascoltare: udiva alcune voci allegre di donne; una canticchiava. Se ne dette la peggiore spiegazione e poi la migliore. Ma rabbrividì: "È possibile che Ghìsola si trovi in mezzo a tale gente?". E, come per fuggire, salì più in fretta gli altri scalini.
Si fermò, con il respiro mozzato, all'ultimo piano. Vi era un salotto con una tavola ovale in mezzo: la vista gli si offuscò. Allora intravide, confusamente, una donna distesa in un canapè, che conversava con un soldato; il cui berretto era distante da loro, sopra una sedia.
Questa donna ebbe paura di Pietro, che la fissò stravolto. Toccò con una mano il ginocchio del soldato, ed ambedue gli posero gli occhi addosso. Egli fece un altro passo, ma gli pareva di non avere più gambe: era come dinanzi ad un incubo improvviso; a cui non voleva credere. Balbettò qualche cosa, ma la donna non rispose. Allora egli si convinse d'averla offesa e stava per andarsene. Ma in quel momento, Ghìsola s'avanzò da un uscio aperto. Scorgendolo, si arrestò subito; impallidì fino quasi a svenire; ma poi tornò a dietro, sorreggendosi con un gomito lungo il muro, come torna indietro un topo mezzo schiacciato dal colpo avuto.
Per non soccombere alla sensazione che Pietro aveva di perdere l'equilibrio, dopo essersi sentito afferrare come da una forza, la seguì a caso in una stanza di cui vide soltanto la finestra.
Ella si era già tolta la giacchetta troppo sporca, quando egli entrò; ma aveva dovuto sedersi, perché fosse meno visibile il profilo della gravidanza.
Egli si curvò a baciarla, quasi piangendo: - Perché stai così?
Ella non sapeva quel che rispondere: "S'è accorto che sono gravida? E quando glielo devo dire? Mi aspettavo che avvenisse questo". Poi parlò: - Sono tutte donne qui.
Egli, istantaneamente, non le credette più, e rispose: - Ma io non voglio. Rivestiti. Perché hai questo livido nel braccio?
Ella temeva d'imbrogliarsi, ma rispose: - Mi son morsa da me.
Egli pensò che poteva esser vero. Poi, dopo una pausa, nella quale sperò che tutto si dissipasse, le disse: - Andiamo via di qui, ti voglio parlare.
- Stiamo qui. Io non esco oggi.
Ci fu un'altra pausa, che gli fece pensare: "Perché non ho chiesto di quale specie è il tradimento suo? Così non mi accerterò mai di niente. Che posso dirle?".
- Non mi piace questa casa. E che cosa è?
- Te lo dirò; non c'è niente di male.
Ella aveva deliberato più d'una volta di confessargli la gravidanza; ma ora le parve impossibile; e voleva nasconderla proprio davanti alla sorpresa. Egli si decise a parlare più in fretta: - Alzati.
Entrò la padrona dell'abitazione: una donna robusta e tarchiata, con una cintola di cuoio bianco intorno alla vita; una levatrice che teneva a retta le partorienti.
Pietro si volse a lei intimorito dell'effetto che i suoi sospetti avrebbero potuto produrle. Cercò di spiegarle perché si trovasse lì. La donna, che sapeva tutto, non vide nessun riparo per Ghìsola; e temette ch'egli l'avrebbe uccisa.
Ghìsola guardava la finestra, per buttarvisi; con un impulso isterico, reso più possibile dalla sua gravidanza.
La donna s'indugiò, accomodando il lavamano, ripiegando una salvietta, vigilando Pietro con la coda dell'occhio e cercando di chiedere a Ghìsola quel che dovesse fare.
Pietro aspettava ch'ella se ne andasse, mentre tutti i suoi gesti lo impazientivano. In fine, con grande sforzo, le disse: - Voglio restare solo con Ghìsola.
E Ghìsola, avendo nel frattempo infilata un'altra camicetta, senza alzarsi dal canapè e senza che egli vedesse niente, rispose: - Vada pure... Ci penso io.
Ma il suo terrore non diminuiva; e le pareva che avrebbe dovuto inginocchiarsi subito.
La donna escì con circospezione; e non chiuse l'uscio, ponendosi ad origliare. Pietro, accorgendosene, prima di chiedere qualche spiegazione, volle chiuderlo; ma non riuscì a spingere il chiavistello. Nondimeno non avrebbe voluto offendere Ghìsola, con le domande che doveva fare, più propenso ad attendere ancora.
Ella si alzò: - Non chiudere... Non ci ode nessuno.
Allora egli, voltandosi a lei con uno sguardo pieno di pietà e di affetto, vide il suo ventre.
Quando si riebbe dalla vertigine violenta che l'aveva abbattuto ai piedi di Ghìsola, egli non l'amava più.

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Ultimo Aggiornamento: 01/03/99 0.45