CECRI |
Vieni, o fida Euricléa: sorge ora appena
l'alba; e sí tosto a me venir non suole
il mio consorte. Or, della figlia nostra
misera tanto, a me narrar puoi tutto.
Giá l'afflitto
tuo volto, e i mal repressi
tuoi sospiri, mi annunziano... |
EURICLÉA |
Oh regina!...
Mirra infelice, strascina una vita
peggio assai d'ogni morte. Al re non oso
pinger suo stato orribile: mal puote
un padre intender
di donzella il pianto;
tu madre, il puoi. Quindi a te vengo; e
prego,
che udir mi vogli. |
CECRI |
È ver, ch'io da gran tempo di sua rara beltá languire il fiore
veggo: una muta, una ostinata ed alta
malinconia
mortale appanna in lei
quel sí vivido sguardo: e, piangesse
ella!...
Ma, innanzi a me, tacita stassi; e sempre
pregno ha di pianto, e asciutto sempre ha
il ciglio.
E invan l'abbraccio; e le chieggo, e
richieggo,
invano ognor, che
il suo dolor mi sveli:
niega ella il duol; mentre di giorno in
giorno
io dal dolor strugger la veggio. |
EURICLÉA |
A voi ella è
di sangue figlia; a me, d'amore;
ch'io, ben sai, l'educava: ed io men vivo
in lei soltanto;
e il quarto lustro è quasi
a mezzo giá, che al seno mio la stringo
ogni dí fra mie braccia... Ed or, fia
vero,
che a me, cui tutti i suoi pensier solea,
tutti affidar fin da bambina, or chiusa
a me pure si
mostri? E s'io le parlo
del suo dolore, anco a me il niega, e
insiste,
e contra me si adira... Ma pur, meco
spesso, malgrado suo, prorompe in pianto. |
CECRI |
Tanta mestizia, in quel cor giovenile,
io da prima
credea, che figlia fosse
del dubbio, in cui su la vicina scelta
d'uno sposo ella stavasi. I piú prodi
d'Asia e di Grecia principi possenti,
a gara tutti concorreano in Cipro,
di sua bellezza
al grido: e appien per noi
donna di se quanto alla scelta ell'era.
Turbamento non lieve in giovin petto
dovean recare i varj, e ignoti, e tanti
affetti. In questo, ella il valor
laudava;
dolci modi, in
quello: era di regno
maggiore l'un; con maestá beltade
era nell'altro somma: e qual piaceva
piú agli occhi suoi, forse temea che al
padre
piacesse meno. Io, come madre e donna,
so qual battaglia
in cor tenero e nuovo
di donzelletta timida destarsi
per tal dubbio dovea. Ma, poiché tolta
ogni contesa ebbe Peréo, di Epíro
l'erede; a cui, per nobiltá, possanza,
valor, beltade,
giovinezza, e senno,
nullo omai si agguagliava; allor che
l'alta
scelta di Mirra a noi pur tanto piacque;
quando in se stessa compiacersen ella
lieta dovea; piú forte in lei tempesta
sorger vediamo, e
piú mortale angoscia
la travaglia ogni dí?... Squarciar mi
sento
a brani a brani a una tal vista il core. |
EURICLÉA |
Deh, scelto pur non avesse ella mai!
Dal giorno in poi, sempre il suo mal piú
crebbe:
e questa notte,
ch'ultima precede
l'alte sue nozze, (oh cielo!) a lei la
estrema
temei non fosse di sua vita. Io
stava
tacitamente immobil nel mio letto,
che dal suo non è lungi; e, intenta
sempre
ai moti suoi, pur
di dormir fea vista:
ma, mesi e mesi son, da ch'io la veggo
in tal martír, che dal mio fianco antico
fugge ogni posa. Io del benigno Sonno,
infra me tacitissima, l'aíta
per la figlia
invocava: ei piú non stende
da molte e molte notti l'ali placide
sovr'essa. I suoi sospiri eran da
prima
sepolti quasi; eran pochi; eran rotti:
poi (non udendomi ella) in sí feroce
piena crescean,
che al fin, contro sua voglia,
in pianto dirottissimo, in singhiozzi
si cangiavano, ed anco in alte strida.
Fra il lagrimar, fuor del suo labro
usciva
una parola sola: «Morte... morte;»
e in tronchi
accenti spesso la ripete.
Io balzo in piedi; a lei corro,
affannosa:
ella, appena mi vede, a mezzo taglia
ogni sospiro, ogni parola e pianto;
e, in sua regal fierezza ricomposta,
meco addirata
quasi, in salda voce
mi dice: «A che ne vieni? or via, che
vuoi?...»
Io non potea risponderle; io piangeva,
e l'abbracciava, e ripiangeva... Al fine
riebbi pur lena, e parole. Oh, come
io la pregai, la
scongiurai, di dirmi
il suo martír, che rattenuto in petto,
me pur con essa uccideria!... Tu madre,
con piú tenero e vivo amor parlarle
non potevi, per certo. Ella il sa
bene
s'io l'amo; ed
anche, al mio parlar, di nuovo
gli occhi al pianto schiudeva, e mi
abbracciava,
e con amor mi rispondea. Ma, ferma
sempre in negar, dicea; ch'ogni donzella,
per le vicine nozze, alquanto è oppressa
di passeggera
doglia; e a me il comando
di tacervelo dava. Ma il suo male
sí radicato è addentro, egli è
tant'oltre,
ch'io tremante a te corro; e te scongiuro
di far sospender le sue nozze: a morte
va la donzella,
accertati. Sei madre;
nulla piú dico. |
CECRI |
... Ah!... pel
gran pianto,... appena...
parlar poss'io. Che mai, ch'esser
può mai?...
Nella sua etade giovanil, non altro
martíre ha loco, che d'amor martíre.
Ma, s'ella accesa
è di Peréo, da lei
spontanea scelto, onde il lamento, or
ch'ella
per ottenerlo sta? se in sen racchiude
altra fiamma, perché scegliea fra tanti
ella stessa Peréo? |
EURICLÉA |
... D'amor non
nasce
il disperato
dolor suo; tel giuro.
Da me sempr'era custodita; e il core
a passíon nessuna aprir potea,
ch'io nol vedessi. E a me lo avria pur
detto;
a me, cui tiene (è ver) negli anni
madre,
ma in amore,
sorella. Il volto, e gli atti,
e i suoi sospiri, e il suo silenzio, ah!
tutto
mel dice assai, ch'ella Peréo non ama.
Tranquilla almen, se non allegra, ella
era
pria d'aver scelto: e il sai, quanto
indugiasse
a scegliere. Ma
pur, null'uomo al certo
pria di Peréo le piacque: è ver, che
parve
ella il chiedesse, perché elegger uno
era, o il credea, dovere. Ella non l'ama;
a me ciò pare: eppur, qual altro amarne
a paragon del
gran Peréo potrebbe?
D'alto cor la conosco; in petto fiamma,
ch'alta non fosse, entrare a lei non
puote.
Ciò ben poss'io giurar: l'uom ch'ella
amasse,
di regio sangue ei fora; altro non fora.
Or, qual ve
n'ebbe qui, ch'ella a sua posta
far non potesse di sua man felice?
D'amor non è dunque il suo male. Amore,
benché di pianto e di sospir si pasca,
pur lascia ei sempre un non so che di
speme,
che in fondo al
cor traluce; ma di speme
raggio nessuno a lei si affaccia: è
piaga
insanabil la sua; pur troppo!... Ah!
morte,
ch'ella ognor chiama, a me deh pria
venisse!
Almen cosí, struggersi a lento fuoco
non la vedrei!... |
CECRI |
Tu mi disperi... Ah! queste
nozze non vo', se a noi pur toglier ponno
l'unica figlia... Or va; presso lei
torna;
e non le dir, che favellato m'abbi.
Colá verrò, tosto che asciutto il
ciglio
io m'abbia, e in calma ricomposto il
volto. |
EURICLÉA |
Deh! tosto vieni. Io torno a lei; mi tarda
di rivederla. Oh ciel! chi sa, se mentre
io cosí a lungo teco favellava
chi sa, se nel feroce impeto stesso
di dolor non
ricadde? Oh! qual pietade
mi fai tu pur, misera madre!... Io volo;
deh! non tardare; or, quanto indugi meno,
piú ben farai... |
CECRI |
Se l'indugiar mi
costi,
pensar tu il
puoi: ma in tanto insolit'ora,
né appellarla vogl'io, né a lei
venirne,
né turbata mostrarmele. Non vuolsi
in essa incuter né timor, né doglia:
tanto è pieghevol, timida, e modesta,
che nessun mezzo
è mai benigno troppo,
con quella nobil indole. Su, vanne;
e posa in me, come in te sola io poso. |
|
CINIRO |
Non pianger donna. Udito in breve ho il
tutto;
Euricléa di svelarmelo costrinsi
Ah! mille volte pria morir vorrei,
che all'adorata nostra unica figlia
far forza io mai.
Chi pur creduto avrebbe,
che trarla a tal dovessero le nozze
chieste da lei? Ma, rompansi. La vita
nulla mi cal, nulla il mio regno, e nulla
la gloria mia pur anco, ov'io non vegga
felice appien la nostra unica prole. |
CECRI |
Eppur, volubil mai Mirra non era.
Vedemmo in lei preceder gli anni il
senno;
saggia ogni brama sua; costante, intensa
nel prevenir le brame nostre ognora.
Ben ella il sa,
se di sua nobil scelta
noi ci estimiam beati: ella non puote
quindi, no mai, pentirsene. |
CINIRO |
Ma pure,
s'ella in cor sen pentisse? Odila,
o donna:
tutti or di madre i molli affetti adopra
con lei; fa
ch'ella al fine il cor ti schiuda,
sin che n'è tempo. Io t'apro il mio
frattanto;
e dico, e giuro, che il pensier mio primo
è la mia figlia. È ver, che amico farmi
d'Epíro il re mi giova: e il giovinetto
Peréo suo
figlio, alla futura spene
d'alto reame, un altro pregio aggiunge,
agli occhi miei maggiore. Indole umana,
e cuor, non men che nobile, pietoso
ei mostra. Acceso, in oltre, assai lo
veggio
di Mirra.
A far felice la mia figlia,
scer non potrei piú degno sposo io mai;
certo egli è di sue nozze; in lui, nel
padre,
giusto saria lo sdegno, ove la data
fe si rompesse; e a noi terribil anco
esser può l'ira
loro: ecco ragioni
molte, e possenti, d'ogni prence agli
occhi;
ma nulle ai miei. Padre, mi fea natura;
il caso, re. Ciò che ragion di stato
chiaman gli altri miei pari, e a cui son
usi
pospor l'affetto
natural, non fia
nel mio paterno seno mai bastante
contra un solo sospiro della figlia.
Di sua sola letizia esser poss'io,
non altrimenti, lieto. Or va; gliel
narra;
e dille in un,
che a me spiacer non tema,
nel discoprirmi il vero: altro non tema,
che di far noi con se stessa infelici.
Frattanto udir vo' da Peréo, con arte,
se riamato egli s'estima; e il voglio
ir preparando a
ciò che a me non meno
dorria, che a lui. Ma pur, se il vuole il
fato,
breve omai resta ad arretrarci l'ora. |
CECRI |
Ben parli: io volo a lei. Nel dolor
nostro,
gran sollievo mi arreca il veder, ch'uno
voler concorde, e un amor solo, è in
noi. |
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