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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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De l'Infinito, Universo e Mondi
di: Giordano Bruno

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 BD14868_.GIF (419 byte) DIALOGO PRIMO   BD14868_.GIF (419 byte)

 

BD14868_.GIF (419 byte) INTERLOCUTORI BD14868_.GIF (419 byte)

 
Elpino, Filoteo, Fracastorio, Burchio.  
 
 
 
 BD14868_.GIF (419 byte) Elpino. Come è possibile che l'universo sia infinito?
Filoteo. Come è possibile che l'universo sia finito?
Elpino. Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine?
Filoteo. Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine?
Elpino. Che dilatazione è questa?
Filoteo. Che margine è questa?
Fracastorio. Ad rem, ad rem, si iuvat; troppo a lungo ne avete tenuto suspesi.
Burchio. Venite presto a qualche raggione, Filoteo, perché io mi prenderò spasso de ascoltar questa favola o fantasia.
Fracastorio. Modestius, Burchio: che dirai, se la verità ti convincesse al fine?
Burchio. Questo ancor che sia vero, io non lo voglio credere; perché questo infinito non è possibile che possa esser capito dal mio capo, né digerito dal mio stomaco; benché, per dirla, pure vorrei che fusse cossì come dice Filoteo, perché se, per mala sorte, avenesse che io cascasse da questo mondo, sempre trovarei di paese.
Elpino. Certo, o Filoteo, se noi vogliamo far il senso giudice o pur donargli quella prima che gli conviene per quel che ogni notizia prende origine da lui, trovaremo forse che non è facile di trovar mezzo per conchiudere quel che tu dici, più tosto che il contrario. Or, piacendovi, cominciate a farmi intendere.
Filoteo. Non è senso che vegga l'infinito, non è senso da cui si richieda questa conchiusione; perché l'infinito non può essere oggetto del senso; e però chi dimanda di conoscere questo per via di senso, è simile a colui che volesse veder con gli occhi la sustanza e l'essenza; e chi negasse per questo la cosa, perché non è sensibile o visibile, verebe a negar la propria sustanza ed essere. Però deve esser modo circa il dimandar testimonio del senso; a cui non doniamo luogo in altro che in cose sensibili, anco non senza suspizione, se non entra in giudizio gionto alla raggione. A l'intelletto conviene giudicare e render raggione de le cose absenti e divise per distanza di tempo ed intervallo di luoghi. Ed in questo assai ne basta ed assai sufficiente testimonio abbiamo dal senso per quel, che non è potente a contradirne e che oltre fa evidente e confessa la sua imbecillità ed insufficienza per l'apparenza de la finitudine che caggiona per il suo orizonte, in formar della quale ancora si vede quanto sia incostante. Or, come abbiamo per esperienza, che ne inganna nella superficie di questo globo in cui ne ritroviamo, molto maggiormente doviamo averlo suspetto quanto a quel termine che nella stellifera concavità ne fa comprendere.
 Elpino. A che dunque ne serveno gli sensi? Dite.
 Filoteo. Ad eccitar la raggione solamente, ad accusare, ad indicare e testificare in parte, non a testificare in tutto, né meno a giudicare, né a condannare. Perché giamai, quantunque perfetti, son senza qualche perturbazione. Onde la verità, come da un debile principio, è da gli sensi in picciola parte, ma non è nelli sensi.
 Elpino. Dove dunque?
 Filoteo. Ne l'oggetto sensibile come in un specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell'intelletto per modo di principio o di conclusione, nella mente in propria e viva forma.
 Elpino. Su dunque, fate vostre raggioni.
 Filoteo. Cossì farò. Se il mondo è finito ed estra il mondo è nulla, vi dimando: ove è il mondo? ove è l'universo? Risponde Aristotele: è in se stesso. Il convesso del primo cielo è loco universale; e quello, come primo continente, non è in altro continente, perché il loco non è altro che superficie ed estremità di corpo continente; onde chi non ha corpo continente, non ha loco. - Or che vuoi dir tu, Aristotele, per questo, che <<il luogo è in se stesso?>>, che mi conchiuderai per <<cosa estra il mondo?>>. Se tu dici che non v'è nulla; il cielo, il mondo, certo, non sarà in parte alcuna; -
 Fracastorio. Nullibi ergo erit mundis. Omne erit in nihilo.
 Filoteo. - il mondo sarà qualcosa che non si trova. Se dici (come certo mi par che vogli dir qualche cosa, per fuggir il vacuo ed il niente) che estra il mondo è uno ente intellettuale e divino, di sorte che Dio venga ad esser luogo di tutte le cose, tu medesimo sarai molto impacciato per farne intendere come una cosa incorporea, intelligibile e senza dimensione possa esser luogo di cosa dimensionata. Che se dici quello comprendere come una forma ed al modo con cui l'anima comprende il corpo, non rispondi alla questione dell'estra ed alla dimanda di ciò che si trova oltre e fuor de l'universo. E se tu vuoi escusare con dire, che dove è nulla e dove non è cosa alcuna, non è anco luogo, non è oltre, né extra, per questo non mi contentarai; perché queste sono paroli ed iscuse che non possono entrare in pensiero. Perché è a fatto impossibile che con qualche senso o fantasia (anco se si ritrovassero altri sensi ed altre fantasie) possi farmi affirmare, con vera intenzione, che si trove tal superficie, tal margine, tal estremità, extra la quale non sia o corpo o vacuo: anco essendovi Dio, perché la divinità non è per impire il vacuo, e per conseguenza non è in raggione di quella, in modo alcuno, di terminare il corpo; perché tutto lo che se dice terminare, o è forma esteriore, o è corpo continente. Ed in tutti i modi che lo volessi dire, sareste stimato pregiudicatore alla dignità della natura divina ed universale.
 Burchio. Certo, credo che bisognarebe dire a costui che, se uno stendesse la mano oltre quel convesso, che quella non verrebe essere in loco, e non sarebe in parte alcuna, e per consequenza non arebe l'essere.
 Filoteo. Giongo a questo qualmente non è ingegno che non concepa questo dire peripatetico come una implicata contradizione. Aristotele ha definito il loco, non come corpo continente, non come certo spacio, ma come una superficie di continente corpo; e poi il primo e principal e massimo luogo è quello a cui meno ed a fatto niente conviene tal diffinizione. Quello è la superficie convessa del primo cielo, la quale è superficie di corpo; e di tal corpo, il quale contiene solamente, e non è contenuto. Or a far che quella superficie sia luogo, non si richieda che sia di corpo contenuto, ma che sia di corpo continente. Se è superficie di corpo continente, e non è gionta e continuata a corpo contenuto, è un luogo senza locato; atteso che al primo cielo non conviene esser luogo, se non per la sua su[per]ficie concava, la qual tocca la convessa del secondo. Ecco, dunque, come quella definizione è vana e confusa ed interemptiva di se stessa. Alla qual confusione si viene per aver quell'inconveniente, che vuol che estra il cielo sia posto nulla.
 Elpino. Diranno i peripatetici che il primo cielo è corpo continente per la superficie concava, e non per la convessa; e, secondo quella, è luogo.
Fracastorio. Ed io soggiongo che dunque si trova superficie di corpo continente la quale non è loco.
 Filoteo. In somma, per venir direttamente al proposito, mi par cosa ridicola il dire che estra il cielo sia nulla, e che il cielo sia in se stesso, e locato per accidente, e loco per accidente, idest per le sue parti. Ed intendasi quel che si voglia per il suo per accidente; che non può fuggir che non faccia de uno doi; perché sempre è altro ed altro quel che è continente e quel che è contenuto; e talmente altro ed altro che, secondo lui medesimo, il continente è incorporeo ed il contenuto è corpo; il continente è inmobile, il contenuto è mobile; il continente matematico, il contenuto fisico. Or sia che si voglia di quella superficie, constantemente dimandarò: che cosa è oltre quella? Se si risponde che è nulla, questo dirò io esser vacuo, essere inane; e tal vacuo e tal inane che non ha modo, né termine alcuno olteriore; terminato però citeriormente. E questo è più difficile ad imaginare, che il pensar l'universo essere infinito ed immenso. Perché non possiamo fuggire il vacuo, se vogliamo ponere l'universo finito. Veggiamo adesso, se conviene che sia tal spacio in cui sia nulla. In questo spacio infinito si trova questo universo (o sia per caso o per necessità o per providenza, per ora non me ne impaccio). Dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio che sia oltre.
 Fracastorio. Certo mi par che non; perché dove è nulla, non è differenza alcuna; dove non è differenza, non è altra ed altra aptitudine: e forse manco è attitudine alcuna dove non è cosa alcuna.
 Elpino. Né tampoco inepzia alcuna. E delle due più tosto quella che questa.
 Filoteo. Voi dite bene. Cossì dico io che, come il vacuo ed inane (che si pone necessariamente con questo peripatetico dire) non ha aptitudine alcuna a ricevere, assai meno la deve avere a ributtare il mondo. Ma di queste due attitudini noi ne veggiamo una in atto, e l'altra non la possiamo vedere a fatto, se non con l'occhio della raggione. Come dunque in questo spacio, equale alla grandezza del mondo (il quale da platonici è detto materia), è questo mondo, cossì un altro può essere in quel spacio ed in innumerabili spacii oltre questo equali a questo.
 Fracastorio. Certo, più sicuramente possiamo giudicar in similitudine di quel che veggiamo e conoscemo, che in modo contrario di quel che veggiamo e conoscemo. Onde, perché per il nostro vedere ed esperimentare l'universo non si finisce, né termina a vacuo ed inane e di quello non è nuova alcuna, raggionevolmente doviamo conchiuder cossì; perché, quando tutte l'altre raggioni fussero equali, noi veggiamo che l'esperimento è contrario al vacuo e non al pieno. Con dir questo, saremo sempre iscusati; ma con dir altrimente, non facilmente fugiremo mille accusazioni ed inconvenienti. Seguitate, Filoteo.
 Filoteo. Dunque, dal canto del spacio infinito, conosciamo certo che è attitudine alla recepzione di corpo, e non sappiamo altrimente. Tutta volta mi bastarà avere che non ripugna a quella; almeno per questa caggione, che dove è nulla, nulla oltraggia. Resta ora vedere se è cosa conveniente che tutto il spacio sia pieno, o non. E qua, se noi consideriamo tanto in quello che può essere quanto in quello che può fare, trovaremo sempre non sol raggionevole, ma ancora necessario, che sia. Questo acciò sia manifesto, vi dimando se è bene che questo mondo sia.
 Elpino. Molto bene.
 Filoteo. Dunque è bene che questo spacio, che è equale alla dimension del mondo (il quale voglio chiamar vacuo, simile ed indifferente al spacio, che tu direste esser niente oltre la convessitudine del primo cielo), sia talmente ripieno.
 Elpino. Cossì è.
 Filoteo. Oltre, te dimando: credi tu che sicome in questo spacio si trova questa machina, detta mondo, che la medesima arebe possuto o potrebe essere in altro spacio di questo inane?
 Elpino. Dirò de sì, benché non veggio come nel niente e vacuo possiamo dire differenza di altro ed altro.
 Fracastorio. Io son certo che vedi, ma non ardisci di affirmare, perché ti accorgi dove ti vuol menare.
 Elpino. Affirmatelo pur sicuramente; perché è necessario dire ed intendere che questo mondo è in un spacio; il quale, se il mondo non fusse, sarebe indifferente da quello che è oltre il primo vostro mobile.
 Fracastorio. Seguitate.
 Filoteo. Dunque, sicome può ed ha possuto ed è necessariamente perfetto questo spacio per la continenza di questo corpo universale, come dici; niente meno può ed ha possuto esser perfetto tutto l'altro spacio.
 Elpino. Il concedo; che per questo? Può essere, può avere: dunque è? dunque ha?
 Filoteo. Io farò che, se vuoi ingenuamente confessare, che tu dica che può essere e che deve essere e che è. Perché come sarebe male che questo spacio non fusse pieno, cioè che questo mondo non fusse; non meno, per la indifferenza, è male che tutto il spacio non sia pieno; e per consequenza l'universo sarà di dimensione infinita e gli mondi saranno innumerabili.
 Elpino. La causa perché denno essere tanti, e non basta uno?
 Filoteo. Perché, se è male che questo mondo non sia o che questo pieno non si ritrove, è al riguardo di questo spacio o di altro spacio equale a questo?
 Elpino. Io dico che è male al riguardo di quel che è in questo spacio, che indifferentemente si potrebe ritrovare in altro spacio equale a questo.
 Filoteo. Questo, se ben consideri, viene tutto ad uno; perché la bontà di questo essere corporeo che è in questo spacio o potrebe essere in altro equale a questo, rende raggione e riguarda a quella bontà conveniente e perfezione che può essere in tale e tanto spacio, quanto è questo, o altro equale a questo, e non ad quella che può essere in innumerabili altri spacii, simili a questo. Tanto più che, se è raggione che sia un buono finito, un perfetto terminato; improporzionalmente è raggione che sia un buono infinito; perché, dove il finito bene è per convenienza e raggione, l'infinito è per absoluta necessità.
 Elpino. L'infinito buono certamente è, ma è incorporeo.
 Filoteo. In questo siamo concordanti, quanto a l'infinito incorporeo. Ma che cosa fa che non sia convenientissimo il buono, ente, corporeo infinito? O che repugna che l'infinito, implicato nel simplicissimo ed individuo primo principio, non venga esplicato più tosto in questo suo simulacro infinito ed interminato, capacissimo de innumerabili mondi, che venga esplicato in sì anguste margini, di sorte che par vituperio il non pensare che questo corpo, che a noi par vasto e grandissimo, al riguardo della divina presenza non sia che un punto, anzi un nulla?
 Elpino. Come la grandezza de Dio non consiste nella dimensione corporale in modo alcuno (lascio che non li aggionge nulla il mondo), cossì la grandezza del suo simulacro non doviamo pensare che consista nella maggiore e minore mole di dimensioni.
 Filoteo. Assai bene dite, ma non rispondete al nervo della raggione; perché io non richiedo il spacio infinito, e la natura non ha spacio infinito, per la dignità della dimensione o della mole corporea, ma per la dignità delle nature e specie corporee; perché incomparabilmente meglio in innumerabili individui si presenta l'eccellenza infinita, che in quelli che sono numerabili e finiti. Però, bisogna che di un inaccesso volto divino sia un infinito simulacro, nel quale, come infiniti membri, poi si trovino mondi innumerabili, quali sono gli altri. Però, per la raggione de innumerabili gradi di perfezione, che denno esplicare la eccellenza divina incorporea per modo corporeo, denno essere innumerabili individui, che son questi grandi animali (de quali uno è questa terra, diva madre che ne ha parturiti ed alimenta e che oltre non ne riprenderà), per la continenza di questi innumerabili si richiede un spacio infinito. Nientemeno dunque è bene che siano, come possono essere, innumerabili mondi simili a questo, come ha possuto e può essere ed è bene che sia questo.
 Elpino. Diremo che questo mondo finito, con questi finiti astri, comprende la perfezione de tutte cose.
 Filoteo. Possete dirlo, ma non già provarlo; perché il mondo che è in questo spacio finito, comprende la perfezione di tutte quelle cose finite che son in questo spacio; ma non già dell'infinite che possono essere in altri spacii innumerabili.
 Fracastorio. Di grazia, fermiamoci, e non facciamo come i sofisti li quali disputano per vencere, e mentre rimirano alla lor palma, impediscono che essi ed altri non comprendano il vero. Or io credo che non sia perfidioso tanto pertinace, che voglia oltre calunniare, che per la raggion del spacio che può infinitamente comprendere, e per la raggione della bontà individuale e numerale de infiniti mondi che possono essere compresi niente meno che questo uno che noi conosciamo, hanno ciascuno di essi raggione di convenientemente essere. Perché infinito spacio ha infinita attitudine, ed in quella infinita attitudine si loda infinito atto di existenza; per cui l'efficiente infinito non è stimato deficiente, e per cui l'attitudine non è vana. Contentati dunque, Elpino, di ascoltar altre raggioni, se altre occorreno a Filoteo.
 Elpino. Io veggio bene, a dire il vero, che dire il mondo, come dite voi l'universo, interminato non porta seco inconveniente alcuno, e ne viene a liberar da innumerabili angustie nelle quali siamo avilupati dal contrario dire. Conosco particolarmente che ne bisogna con i peripatetici tal volta dir cosa che nella nostra intenzione non tiene fondamento alcuno: come, dopo aver negato il vacuo, tanto fuori quanto dentro l'universo, vogliamo pur rispondere alla questione che cerca dove sia l'universo; e dire quello essere ne le sue parti, per tema di dire che lo non sia in loco alcuno; come è dire nullibi, nusquam. Ma non si può togliere che in quel modo è bisogno di dire le parti ritrovarsi in qualche loco, e l'universo non essere in loco alcuno né in spacio; il qual dire, come ognun vede, non può essere fondato sopra intenzione alcuna, ma significa espressamente una pertinace fuga, per non confessar la verità con ponere il mondo ed universo infinito, o con ponere il spacio infinito; da le quali ambe posizioni séguita gemina confusione a chi le tiene. Affermo dunque che, se il tutto è un corpo, e corpo sferico, e per consequenza figurato e terminato, bisogna che sia terminato in spacio infinito; nel quale, se vogliamo dire che sia nulla, è necessario concedere che sia il vero vacuo: il quale, se è, non ha minor raggione in tutto che in questa parte che qua veggiamo capace di questo mondo; se non è, deve essere il pieno, e consequentemente l'universo infinito. E non meno insipidamente siegue il mondo essere alicubi, avendo detto che estra quello è nulla, e che vi è nelle sue parti, che se uno dicesse Elpino essere alicubi, perché la sua mano è nel suo braccio, l'occhio nel suo volto, il piè nella gamba, il capo nel suo busto. Ma, per venire alla conclusione e per non portarmi da sofista fissando il piè su l'apparente difficoltadi, e spendere il tempo in ciancie, affermo quel che non posso negare: cioè, che nel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo universo stendesse la sua capacità e comprensione di molti corpi, come son questi, nomati astri; ed ancora che (o simili o dissimili che sieno questi mondi) non con minor raggione sarebe bene a l'uno l'essere che a l'altro; perché l'essere de l'altro non ha minor raggione che l'essere de l'uno, e l'essere di molti non minor che de l'uno e l'altro, e l'essere de infiniti che di molti. Là onde, come sarebe male la abolizione ed il non essere di questo mondo, cossì non sarebe buono il non essere de innumerabili altri.
 Fracastorio. Vi esplicate molto bene, e mostrate di comprender bene le raggioni e non esser sofista, perché accettate quel che non si può negare.
 Elpino. Pure vorei udire quel che resta di raggione del principio e causa efficiente eterna: se a quella convegna questo effetto di tal sorte infinito, e se per tanto in fatto tale effetto sia.
 Filoteo. Questo è quel che io dovevo aggiongere. Perché, dopo aver detto l'universo dover essere infinito per la capacità ed attitudine del spacio infinito, e per la possibilità e convenienza dell'essere di innumerabili mondi, come questo; resta ora provarlo e dalle circostanze dell'efficiente che deve averlo produtto tale, o, per parlar meglio, produrlo sempre tale, e dalla condizione del modo nostro de intendere. Possiamo più facilmente argumentare che infinito spacio sia simile a questo che veggiamo, che argumentare che sia tale quale non lo veggiamo né per essempio né per similitudine né per proporzione né anco per imaginazione alcuna la quale al fine non destrugga se medesima. Ora, per cominciarla: perché vogliamo o possiamo noi pensare che la divina efficacia sia ociosa? perché vogliamo che la divina bontà la quale si può communicare alle cose infinite e si può infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astrengersi in niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito è niente? perché volete quel centro della divinità, che può infinitamente in una sfera (se cossì si potesse dire) infinita amplificarse, come invidioso, rimaner più tosto sterile che farsi comunicabile, padre fecondo, ornato e bello? voler più tosto comunicarsi diminutamente e, per dir meglio, non comunicarsi, che secondo la raggione della gloriosa potenza ed esser suo? perché deve esser frustrata la capacità infinita, defraudata la possibilità de infiniti mondi che possono essere, pregiudicata la eccellenza della divina imagine che deverebe più risplendere in uno specchio incontratto e secondo il suo modo di essere infinito, immenso? perché doviamo affirmar questo che, posto, mena seco tanti inconvenienti e, senza faurir leggi, religioni, fede o moralità in modo alcuno, destrugge tanti principii di filosofia? Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto a l'operazione e quanto a l'effetto (che in lui son medesima cosa), sia determinato, e come termino della convessitudine di una sfera, più tosto che, come dir si può, termino interminato di cosa interminata? Termino, dico, senza termine, per esser differente la infinità dell'uno da l'infinità dell'altro: perché lui è tutto l'infinito complicatamente e totalmente, ma l'universo è tutto in tutto (se pur in modo alcuno si può dir totalità, dove non è parte né fine) explicatamente, e non totalmente; per il che l'uno ha raggion di termine, l'altro ha raggion di terminato, non per differenza di finito ed infinito, ma perché l'uno è infinito e l'altro è finiente secondo la raggione del totale e totalmente essere in tutto quello che, benché sia tutto infinito, non è però totalmente infinito; perché questo ripugna alla infinità dimensionale.
 Elpino. Io vorrei meglio intender questo. Però mi farete piacere di esplicarvi alquanto per quel che dite essere tutto in tutto totalmente, e tutto in tutto l'infinito e totalmente infinito.
 Filoteo. Io dico l'universo tutto infinito, perché non ha margine, termino, né superficie; dico l'universo non essere totalmente infinito, perché ciascuna parte che di quello possiamo prendere, è finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello.
 Elpino. Io intendo. Or seguite il vostro proposito.
 Filoteo. Per tutte le raggioni, dunque, per le quali se dice esser conveniente, buono, necessario questo mondo compreso come finito, deve dirse esserno convenienti e buoni tutti gli altri innumerabili; a li quali, per medesima raggione, l'omnipotenza non invidia l'essere; e senza li quali quella, o per non volere o per non possere, verrebe ad esser biasimata per lasciar un vacuo o, se non vuoi dir vacuo, un spacio infinito; per cui non solamente verrebe suttratta infinita perfezione dello ente, ma anco infinita maestà attuale allo efficiente nelle cose fatte se son fatte, o dependenti se sono eterne. Qual raggione vuole che vogliamo credere, che l'agente che può fare un buono infinito, lo fa finito? E se lo fa finito, perché doviamo noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere ed il fare tutto uno? Perché è inmutabile, non ha contingenzia nella operazione, né nella efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo effetto inmutabilmente; onde non può essere altro che quello che è; non può esser tale quale non è; non può posser altro che quel che può; non può voler altro che quel che vuole; e necessariamente non può far altro che quel che fa; atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose mutabili.
 Fracastorio. Certo, non è soggetto di possibilità o di potenza quello che giamai fu, non è e giamai sarà; e veramente, se il primo efficiente non può voler altro che quel che vuole, non può far altro che quel che fa. E non veggo come alcuni intendano quel che dicono della potenza attiva infinita, a cui non corrisponda potenza passiva infinita, e che quello faccia uno e finito che può far innumerabili ne l'infinito ed inmenso, essendo l'azion sua necessaria, perché procede da tal volontà quale, per essere inmutabilissima, anzi la immutabilità istessa, è ancora la istessa necessità; onde sono a fatto medesima cosa libertà, volontà, necessità, ed oltre il fare col volere, possere ed essere.
 Filoteo. Voi consentite, e dite molto bene. Adunque, bisogna dir una de due: o che l'efficiente, possendo dependere da lui l'effetto infinito, sia riconosciuto come causa e principio d'uno inmenso universo che contiene mondi innumerabili; e da questo non siegue inconveniente alcuno, anzi tutti convenienti, e secondo la scienza e secondo le leggi e fede; o che, dependendo da lui un finito universo, con questi mondi (che son gli astri) di numero determinato, sia conosciuto di potenza attiva finita e determinata, come l'atto è finito e determinato; perché quale è l'atto, tale è la volontà, tale è la potenza.
Fracastorio. Io completto ed ordino un paio di sillogismi in questa maniera. Il primo efficiente, se volesse far altro che quel che vuol fare, potrebe far altro che quel che fa; ma non può voler far altro che quel che vuol fare; dunque non può far altro che quel che fa. Dunque, chi dice l'effetto finito, pone l'operazione e la potenza finita. Oltre (che viene al medesimo): il primo efficiente non può far se non quel che vuol fare; non vuol fare se non quel che fa; dunque, non può fare se non quel che fa. Dunque, chi nega l'effetto infinito, nega la potenza infinita.
 Filoteo. Questi, se non son semplici, sono demostrativi sillogismi. Tutta volta lodo che alcuni degni teologi non le admettano; perché, providamente considerando, sanno che gli rozzi popoli ed ignoranti con questa necessità vegnono a non posser concipere come possa star la elezione e dignità e meriti di giusticia; onde, confidati o desperati sotto certo fato, sono necessariamente sceleratissimi. Come talvolta certi corrottori di leggi, fede e religione, volendo parer savii, hanno infettato tanti popoli, facendoli dovenir più barbari e scelerati che non eran prima, dispreggiatori del ben fare ed assicuratissimi ad ogni vizio e ribaldaria, per le conclusioni che tirano da simili premisse. Però non tanto il contrario dire appresso gli sapienti è scandaloso e detrae alla grandezza ed eccellenza divina, quanto quel che è vero, è pernicioso alla civile conversazione e contrario al fine delle leggi, non per esser vero, ma per esser male inteso, tanto per quei che malignamente il trattano, quanto per quei che non son capaci de intenderlo senza iattura di costumi.
 Fracastorio. Vero. Non si è trovato giamai filosofo, dotto ed uomo da bene che, sotto specie o pretesto alcuno, da tal proposizione avesse voluto tirar la necessità delli effetti umani e destruggere l'elezione. Come, tra gli altri, Platone ed Aristotele, con ponere la necessità ed immutabilità in Dio, non poneno meno la libertà morale e facultà della nostra elezione; perché sanno bene e possono capire, come siano compossibili questa necessità e questa libertà. Però alcuni di veri padri e pastori di popoli toglieno forse questo dire ed altro simile per non donare comodità, a scelerati e seduttori nemici della civilità e profitto generale, di tirar le noiose conclusioni abusando della semplicità ed ignoranza di quei che difficilmente possono capire il vero e prontissimamente sono inclinati al male. E facilmente condonaranno a noi di usar le vere proposizioni, dalle quali non vogliamo inferir altro che la verità della natura e dell'eccellenza de l'autor di quella; e le quali non son proposte da noi al volgo, ma a sapienti soli che possono aver accesso all'intelligenza di nostri discorsi. Da questo principio depende che gli non men dotti che religiosi teologi giamai han pregiudicato alla libertà de filosofi; e gli veri, civili e bene accostumati filosofi sempre hanno faurito le religioni; perché gli uni e gli altri sanno che la fede si richiede per l'instituzione di rozzi popoli che denno esser governati, e la demostrazione per gli contemplativi che sanno governar sé ed altri.
 Elpino. Quanto a questa protestazione è detto assai. Ritornate ora al proposito.
 Filoteo. Per venir, dunque, ad inferir quel che vogliamo, dico che, se nel primo efficiente è potenza infinita, è ancora operazion da la quale depende l'universo di grandezza infinita e mondi di numero infinito.
 Elpino. Quel che dite, contiene in sé gran persuasione, se non contiene la verità. Ma questo che mi par molto verisimile, io lo affermarò per vero, se mi potrete risolvere di uno importantissimo argomento per il quale è stato ridutto Aristotele a negar la divina potenza infinita intensivamente, benché la concedesse estensivamente. Dove la raggione della negazione sua era che, essendo in Dio cosa medesima potenza e atto, possendo cossì movere infinitamente, moverebbe infinitamente con vigore infinito; il che se fusse vero, verrebe il cielo mosso in istante; perché, se il motor più forte muove più velocemente, il fortissimo muove velocissimamente, l'infinitamente forte muove istantaneamente. La raggione della affirmazione era, che lui eternamente e regolatamente muove il primo mobile, secondo quella raggione e misura con la quale il muove. Vedi dunque per che raggione li attribuisce infinità estensiva - ma non infinità absoluta - ed intensivamente ancora. Per il che voglio conchiudere che, sicome la sua potenza motiva infinita è contratta all'atto di moto secondo velocità finita, cossì la medesima potenza di far l'inmenso ed innumerabili è limitata dalla sua voluntà al finito e numerabili. Quasi il medesimo vogliono alcuni teologi, i quali, oltre che concedeno la infinità estensiva con la quale successivamente perpetua il moto dell'universo, richiedeno ancora la infinità intensiva con la quale può far mondi innumerabili, muovere mondi innumerabili, e ciascuno di quelli e tutti quelli insieme muovere in uno istante: tutta volta, cossì ha temprato con la sua voluntà la quantità della moltitudine di mondi innumerabili, come la qualità del moto intensissimo. Dove, come questo moto, che procede pure da potenza infinita, nulla obstante, è conosciuto finito, cossì facilmente il numero di corpi mondani potrà esser creduto determinato.
 Filoteo. L'argumento in vero è di maggior persuasione ed apparenza che altro possa essere; circa il quale è detto già a bastanza per quel, che si vuole che la volontà divina sia regolatrice, modificatrice e terminatrice della divina potenza. Onde seguitano innumerabili inconvenienti, secondo la filosofia al meno; lascio i principii teologali, i quali con tutto ciò non admetteranno che la divina potenza sia più che la divina volontà o bontà, e generalmente che uno attributo secondo maggior raggione convegna alla divinità che un altro.
 Elpino. Or perché dunque hanno quel modo di dire, se non hanno questo modo di intendere?
 Filoteo. Per penuria di termini ed efficaci resoluzioni.
 Elpino. Or dunque voi, che avete particular principii, con gli quali affermate l'uno, cioè che la potenza divina è infinita intensiva ed estensivamente; e che l'atto non è distinto dalla potenza, e che per questo l'universo è infinito e gli mondi sono innumerabili; e non negate l'altro, che in fatto ciascuno de li astri o orbi, come ti piace dire, vien mosso in tempo e non in instante; mostrate con quai termini e con che risoluzione venete a salvar la vostra, o togliere l'altrui persuasioni, per le quali giudicano, in conclusione, il contrario di quel che giudicate voi.
 Filoteo. Per la risoluzion di quel che cercate, dovete avertire prima che, essendo l'universo infinito ed immobile, non bisogna cercare il motor di quello. Secondo che, essendo infiniti gli mondi contenuti in quello, quali sono le terre, li fuochi ed altre specie di corpi chiamati astri, tutti se muoveno dal principio interno, che è la propria anima, come in altro loco abbiamo provato; e però è vano andar investigando il lor motore estrinseco. Terzo che questi corpi mondani si muoveno nella eterea regione non affissi o inchiodati in corpo alcuno più che questa terra, che è un di quelli, è affissa; la qual però proviamo che dall'interno animale instinto circuisce il proprio centro, in più maniere, e il sole. Preposti cotali avertimenti secondo gli nostri principii, non siamo forzati a dimostrar moto attivo né passivo di vertù infinita intensivamente; perché il mobile ed il motore è infinito, e l'anima movente ed il corpo moto concorreno in un finito soggetto; in ciascuno, dico, di detti mondani astri. Tanto, che il primo principio non è quello che muove; ma, quieto ed immobile, dà il posser muoversi a infiniti ed innumerabili mondi, grandi e piccoli animali posti nell'amplissima reggione de l'universo, de quali ciascuno, secondo la condizione della propria virtù, ha la raggione di mobilità, motività ed altri accidenti.
 Elpino. Voi siete fortificato molto, ma non già per questo gittate la machina delle contrarie opinioni. Le quali tutte hanno per famoso e come presupposto, che l'Optimo Massimo muove il tutto. Tu dici che dona il muoversi al tutto che si muove; e però il moto accade secondo la virtù del prossimo motore. Certo, mi pare più tosto raggionevole di vantaggio che meno conveniente questo tuo dire che il comune determinare; tutta volta, - per quel che solete dire circa l'anima del mondo e circa l'essenza divina, che è tutta in tutto, empie tutto ed è più intrinseca alle cose che la essenzia propria de quelle, perché è la essenzia de le essenzie, vita de le vite, anima de le anime, - però non meno mi par che possiamo dire lui movere il tutto, che dare al tutto il muoversi. Onde il dubio già fatto par che anco stia su li suoi piedi.
 Filoteo. Ed in questo facilmente posso satisfarvi. Dico, dunque, che nelle cose è da contemplare, se cossì volete doi principii attivi di moto: l'uno finito secondo la raggione del finito soggetto, e questo muove in tempo; l'altro infinito secondo la raggione dell'anima del mondo, overo della divinità, che è come anima de l'anima, la quale è tutta in tutto e fa esser l'anima tutta in tutto; e questo muove in
istante. La terra dunque ha dui moti.  

 

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Cossì tutti gli corpi che si muoveno, hanno dui principii di moto; de quali il principio infinito è quello che insieme insieme muove ed ha mosso; onde, secondo quella raggione, il corpo mobile non meno è stabilissimo che mobilissimo. Come appare nella presente figura, che voglio significhe la terra; che è mossa in instante in quanto che ha motore di virtù infinita. Quella, movendosi con il centro da A in E, e tornando da E in A, e questo essendo in uno instante, insieme insieme e in A ed in E ed in tutti gli luoghi tramezzanti; e però insieme insieme è partita e ritornata; e questo essendo sempre cossì, aviene che sempre sia stabilissima. Similmente, quanto al suo moto circa il centro, dove è il suo oriente I, il mezzo giorno V, l'occidente K, il merinozio O; ciascuno di questi punti circuisce per virtù di polso infinito; e però ciascuno di quelli insieme insieme è partito ed è ritornato; per consequenza è fisso sempre, ed è dove era. Tanto che, in conclusione, questi corpi essere mossi da virtù infinita è medesimo che non esser mossi; perché movere in instante e non movere è tutto medesimo ed uno. Rimane, dunque, l'altro principio attivo del moto, il quale è dalla virtù intrinseca, e per conseguenza è in tempo e certa successione; e questo moto è distinto dalla quiete. Ecco, dunque, come possiamo dire Dio muovere il tutto; e come doviamo intendere, che dà il muoversi al tutto che si muove.

Elpino.Or che tanto alta ed efficacemente mi hai tolta e risoluta questa difficoltà, io cedo a fatto al vostro giudizio, e spero oltre sempre da voi ricevere simili resoluzioni; perché, benché in poco sin ora io v'abbia pratticato e tentato, ho pur ricevuto e conceputo assai; e spero di gran vantaggio più; perché, benché a pieno non vegga l'animo vostro, dal raggio che diffonde scorgo che dentro si rinchiude o un sole oppure un luminar maggiore. E da oggi in poi, non con speranza di superar la vostra sufficienza, ma con dissegno di porgere occasione a vostre elucidazioni, ritornarò a proporvi, se vi dignarete di farvi ritrovar per tanti giorni alla medesima ora in questo loco, quanti bastaranno ad udir ed intender tanto che mi quiete a fatto la mente.
Filoteo. Cossì farò.
Fracastorio. Sarai gratissimo, e vi saremo attentissimi auditori.
Burchio. Ed io, quantunque poco intendente, se non intenderò li sentimenti, ascoltarò le paroli; se non ascoltarò le paroli, udirò la voce. Adio!  BD14868_.GIF (419 byte)

Fine del primo dialogo.

 

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