XXI Aggiungo qui la lettera che diressi in quella notte a Fosca:
"Vi scrivo appena arrivato qui. Siete il mio primo pensiero,
benché il piú doloroso. Vi scrivo col cuore lacerato. Se il sagrifizio di dieci anni
della mia vita potesse evitare a me il dolore di mandarvi questa lettera, e a voi quello
di riceverla, vi giuro che accetterei questo rimedio con gioia. Procurate di ascoltare con
calma quello che sto per dirvi.
Io non posso amarvi perché il mio cuore non è piú mio; non posso
ingannarvi perché né io ne sono capace, né voi lo meritate. Il rispetto che ho per voi
è piú potente della pietà che mi domandate, e mi impone di essere sincero. Un inganno
vi umilierebbe, umilierebbe me stesso. Io amo perdutamente, io sono perdutamente riamato.
Se aggiungessi parole a descrivere la mia felicità, apparirei troppo crudele verso di
voi; nondimeno è necessario che vi facciate unidea dellintensità del mio
amore per averne una dellimponenza de miei doveri. Sappiate soltanto che il
mio amore non ha, come il suo, né limite, né nome, né esempio; giudicate di ciò che io
debbo a lei, di ciò che ella deve a me, di ciò che noi dobbiamo al nostro affetto e a
noi stessi.
Prima di confessarmi il vostro amore, mi avevate richiesto della mia
amicizia; ora che io debbo respingere questo secondo legame, reclamerete ancora i diritti
di quella prima offerta? Credete che la pura amicizia non è possibile tra noi, come non
lo è mai tra un uomo e una donna giovani. Essa non farebbe che rendere la nostra
posizione piú imbarazzante, piú equivoca, piú pericolosa. È necessario che noi ci
separiamo interamente. Consideriamo la nostra conoscenza come una sventura; tentiamo di
sopportarla con forza, e di rimediarvi con coraggio.
Voi avete avuto marito, mi diceste; voi sapete dunque che cosa è un
dovere, lasciate che io lo compia. Voi sapete anche che cosa è la felicità, lasciate che
provi anchio ad essere felice non lo sono mai stato!
La ragione vi offre un mezzo assai facile per riconciliarvi col mio
rifiuto. Supponete che la donna che io amo foste voi, come giudichereste il mio abbandono?
Una viltà, una bassezza, un delitto. Mi disprezzereste. Ora, dareste voi il vostro amore
ad un uomo cui aveste dato il vostro disprezzo? La necessità della nostra separazione è
evidente, altrettanto che inesorabile.
Comprenderete che se ho insistito per avere un vostro indirizzo e per
scrivervi, era allo scopo di farvi conoscere il piú presto possibile questi miei
sentimenti e di sottrarmi ad una situazione piena di pericoli. Se questa mia promessa ha
creato in voi delle illusioni che ho dovuto togliervi, perdonatemi, perché non avrei
potuto fare altrimenti.
Sentite, e chiamo il cielo in testimonio della veracità delle
mie parole se il mio cuore fosse stato libero, non vi avrei forse amata di tutto il
mio amore, perché credo che la natura non abbia posto delle leggi di simpatia assai
tenaci tra noi, ma vi avrei nondimeno amata. Il vostro cuore e il vostro talento mi vi
avrebbero resa assai cara, piú ancora le vostre sventure. Avrei accettato con gioia il
mandato di proteggervi e di confortare la vostra esistenza di qualche piacere. Ora è
troppo tardi; io non appartengo piú a me stesso. Debbo essere crudele per essere giusto;
e voi non potete disconoscerlo.
Siete anzi voi che mi dovete secondare in unopera cosí difficile.
È necessario che io conservi la mia stima, voi la vostra pace, ella le sue illusioni.
Faccio appello alla vostra generosità, al vostro cuore. Non vi è miglior mezzo di
guarire dellamore, che amando. Non mi dovete odiare, perché non lho meritato.
Il bene chiama il bene: stimandomi, avrete cara la mia stima, e vi adoprererete a
meritarla.
Io non posso cessare di frequentare la vostra casa, lo sapete; la mia
lontananza creerebbe dei sospetti pericolosi alla vostra tranquillità. Fate che io non vi
debba essere motivo di afflizioni, che possa vedervi con sicurezza, e stringervi la mano
senza timore. Ogni altro rapporto tra noi è impossibile.
Se questa lettera vi pare fredda, è segno che sono riuscito a
nascondervi il dolore che mi lacera il cuore. Si è ingrati di tutto al mondo, mai però
di un affetto, perché è il solo beneficio che non ci umilia, e che lusinga la nostra
vanità. Potete dunque calcolare sulla mia gratitudine.
Voi avete pronunciato nel lasciarmi delle parole che mi hanno fatto
piangere perché mi hanno fatto conoscere il vostro cuore. Lasciate che io le ripeta ora
per voi: Siate benedetta, siate benedetta!".
Uscii io stesso dopo la mezzanotte ad impostare quella lettera. Sentiva
che era stato ben crudele nella mia stessa pietà. Affrettarmi tanto a
disingannarla!
I sentimenti che aveva espressi in quelle pagine erano sinceri, ma io
li aveva attinti dal mio egoismo piú che dalla mia compassione.
Ciò che mi stava a cuore era la mia felicità, era togliere di mezzo
quellostacolo che ne aveva minacciate le dolcezze.
Non so se la felicità abbia potere di renderci egoisti, o se
legoismo sia una condizione assoluta della felicità. Ma come mi sentiva mutato
dacché era felice!
XXII
Vorrei aggiungere qui alcune altre pagine del mio giornale, su cui ho
voluto ricordare le gioie del mio primo incontro con Clara.
Ma perché ritornare su quella parte del mio passato? Esso è sepolto
assai profondamente. E poi, io non amo piú quelle gioie, io le odio. Sono esse che mi
hanno ingannato sulla natura e sui fini della vita. Una vita tutta di dolori mi avrebbe
conservato pio, severo, inflessibile; avrebbe almeno riempiuto dorgoglio questo
cuore, che ora è ripieno di nulla. Quelle gioie ne hanno invece oscurate le virtú,
perché unesistenza virtuosa non può essere altro che una serie di sacrifici non
interrotta. Le dolcezze del mondo sono bandite da una vita veramente utile, e veramente
benefica. Gli alberi che dànno frutti hanno fiori modesti e spesso inodori; i grandi
fiori, quelli ricchi di petali e di profumi, non sbocciano quasi mai che sulle piante
sterili e velenose.
La virtú non ha fiori, ma ha frutti.
XXIII
La felicità di cui aveva goduto in quei tre giorni aveva infuso in me
ordinariamente sí timido un poco di quella baldanza, di quella fiducia di
se stessi che hanno tutti gli uomini prosperi. Sapevo che allindomani del mio arrivo
non avrei potuto evitare di trovarmi solo con Fosca, e me le presentai con coraggio.
Adesso non so dire come ella fosse mutata, ma allora lo comprendeva. Il
pallore e la magrezza del suo volto erano già tali che parevano non poter aumentare, pure
in quel giorno mi colpirono piú vivamente del solito. Gli occhi la sola beltà di
quel viso erano come arrossati dal piangere e dal vegliare, e un cerchio
orribilmente livido pareva ingrandirne le orbite. Le labbra quasi pavonazze aggiungevano
qualche cosa di spaventevole alla sua fisionomia. Del resto non vera alcun disordine
nel suo acconciamento, che era come sempre elegante e accurato. Le sue fattezze erano
riposate, e quasi sorridenti.
Ho ricevuto la vostra lettera, e vi ringrazio mi disse
ella con calma.
E porgendomi la destra, aggiunse:
Spero che mi sarà almeno lecito di stringervi la mano.
Diamine! Non abbiamo cessato di essere amici, e poi
Oh, interruppe ella sorridendo voi vi dimenticate
già di ciò che mi avete scritto: "Credete che la pura amicizia non è possibile tra
noi
"
Allora si trattava daltra cosa. Ora
Io intendo
lamicizia nel senso convenzionale della parola; un legame che non ha diritto ad
alcuna intimità, e si limita a pochi rapporti superficiali.
In questo senso, va bene.
Accettereste dunque sinceramente questa specie di amicizia?
Sinceramente.
Grazie!
Sempreché riprese ella dopo qualche momento non
aveste a mutar consiglio da oggi a domani, e ad evitare di trovarvi solo con me, come
avete fatto dopo il nostro primo abboccamento. Anche allora mi avevate fatto una promessa
simile a questa.
Era unaltra questione io dissi. Comprenderete
che io prevedeva allora ciò che è successo, e che quel contegno non aveva altro scopo
che di evitarlo.
Voi non sapete come ne sono mortificata.
Di che?
Di ciò che è successo.
Perché? Non ne è il caso. La vostra simpatia mi onora, e la
vostra sensibilità non forma che lelogio del vostro cuore.
Quanto siete indulgente! dissella con un sorriso
pieno di ironia.
Era disgustato di quella freddezza. Comprendeva che essa voleva
mostrarsi indifferente al mio rifiuto, e che il suo amor proprio umiliato gliene dava
tutti i diritti; pure, mi faceva pena il vederla irridere a quellaffetto che aveva
creduto sí serio e sí veemente.
Vi siete divertito a Milano?
Assai.
E lo dissi apposta con enfasi.
Confessate che quella donna, lei
la mia rivale,
riprese essa marcando queste parole con un sorriso, abita a Milano, e che vi siete
andato per rivederla.
Era facile indovinarlo. Non è cosa che indichi in voi una
penetrazione molto profonda.
Sono sí ingenua sul conto vostro! E vi ritornerete?
Prestissimo.
Se ne avrete licenza.
Sintende.
Ah! ah! esclamò ella sorridendo dirò io una
parola a mio cugino. Dipenderà tutto da lui. Scommetto che avrete bisogno della opera
mia.
Signora! io dissi vivacemente non comprendo le
intenzioni che vi consigliano a farmi questa offerta, e mi astengo dal rispondervi.
Rifiutereste perfino la mia mediazione?
Non vi avrei creduta capace di offrirmela!
Siete geloso della mia dignità! Ciò mi piace. Ma avrei fatto
volontieri una bassezza per voi. Che volete? È un capriccio. Amate molto quella donna?
Ve lho detto, alla follia.
È bella?
Un angelo.
È buona?
Un angelo.
Perché non la sposate?
Ha marito.
Ah! E la stimate?
La stima è una condizione dellamore.
Non è vero, ma non importa. Vi renderà dunque molto felice?
Tanto che temo morirne.
Sono contenta dissella.
Tacemmo per qualche istante tutti e due. Essa lacerava colle dita
lestremità di un fazzolettino di garza che sera annodato al collo, e guardava
fisso a terra senza batter palpebra.
Sentite, le dissi io dopo qualche momento io soglio
porre in tutte le mie azioni una franchezza con cui mi vanto di non aver mai avuto la
debolezza di transigere. Questo dialogo pieno di ironia mi umilia, questo ferirsi
scambievolmente non è né leale, né onesto, soprattutto è indegno di noi. La nostra
situazione è ora ben definita. È necessario che non torniamo piú su questo argomento.
È ciò che io desiderava.
Ne sono felice. Spero che non avremo piú motivo di parlare di
noi.
Potete anche sperare che non ci vedremo piú.
Sia, dissio esitando sarebbe affliggente, ma
utile.
Ella si alzò, sinchinò freddamente, ed uscí senza guardarmi.
Non lavrei io realmente piú veduta? Ne dubitava.
XXIV
Però, ripensandoci, era lieto di queste spiegazioni. Esse mi davano
almeno il diritto di dimenticarla, e mi scioglievano da quel debito di pietà che mi
pareva aver contratto verso di lei. Buona, mite, soffrente, lavrei avuta cara e
compianta; fredda, ironica, sprezzante, non avrei piú sentito per essa che
dellindifferenza. Ciò che mi teneva in pensiero era limpossibilità di darmi
ragione della mutabilità del suo contegno, dellincoerenza della sua condotta. Per
quanto mi arrovellassi non poteva comprendere la natura di quel carattere, non riusciva a
metterlo bene in luce. Fino a quel momento era stato incerto tra lammirazione e il
disprezzo gli estremi della sua condotta esigevano apprezzamenti estremi
dopo quel dialogo, freddo, caustico, artificioso, non sentiva nemmeno piú il bisogno di
giudicarla essa mi era perfettamente indifferente.
Perciò alla sera, quando mi fu detto che ella era ammalata, ascoltai
quella notizia con freddezza, e labitudine di non vederla piú per molti giorni fu
causa che me ne dimenticassi interamente.
Avrebbe ella serbato la sua promessa? Incominciava a crederlo. A tavola
non si apparecchiava nemmeno piú per lei, e nessuno ne riparlava. Il suo posto era stato
occupato da un nuovo commensale. Ella era andata ad abitare un altro appartamento lontano
dalla sala da pranzo; e siccome non vedevamo piú, come prima, entrarne ed uscirne i
medici e le cameriere, non vera piú nulla che potesse richiamarla al nostro
pensiero, e ciascuno di noi se ne era facilmente dimenticato.
Confesso qui di aver nutrito per essa un sentimento che mi sono
rimproverato assai spesso. Io odiava quasi quella donna. Allora ne attribuiva la cagione a
ciò, che mi pareva che ella avesse voluto farsi giuoco della mia sensibilità; piú tardi
compresi che le cause ne erano differenti. Vi è nulla di piú ridicolo di una emozione
non divisa. Nulla è piú atto a renderci inamabile una persona che non possiamo amare che
il vederla usare a nostro riguardo i modi e il linguaggio di un amore appassionato. La
nostra ripugnanza cresce in proporzione dello zelo che ella pone a superarla. Nessuna
legge in natura è piú inesorabile di quelle che reggono le simpatie e le antipatie. Non
è vero che lamore sia una questione di sentimenti, esso non è che una questione di
nervi, di fluidi, di armonie animali: lidentità dei caratteri, la stima lo
fortificano, non lo creano. Noi siamo spesso ingannati da queste cause apparenti, perché
lidentità del carattere non è che un effetto dellidentità della
costituzione.
Chi non vorrebbe dare allamore unorigine piú spirituale e
piú nobile? Ma non è possibile! Bensí egli può essere un impulso ad azioni nobili.
Lamicizia gli è superiore, perché non è esclusiva. Io, come qualunque altro uomo,
fui qualche volta preferito da donne giovani e avvenenti che non ho potuto riamare,
nemmeno damor fisico; aveva ripugnanza per ciò che avrebbe formato laltrui
felicità, e ne soffriva. Avrei potuto strapparmi il cuore, ma non avrei potuto sentir
nulla per esse.
Cosí era di Fosca se non che la sua bruttezza la poneva anche
fuori di questa legge.
XXV
Un giorno ne erano trascorsi piú di venti dacché laveva
veduta lultima volta suo cugino non comparve a tavola tutta la casa
era in disordine e i camerieri ci avvertirono che Fosca, peggiorata improvvisamente, si
trovava in pericolo di vita; ci fossimo perciò accontentati di un pranzo improvvisato
alla meglio.
Quella notizia mi giungeva cosí inattesa, e mi trovava cosí disarmato
da quella lunga dimenticanza, che mi sentii colto da un súbito terrore, quasi avessi
dovuto essere io la causa della sua morte. La mia debolezza mi induceva a credermi
colpevole, e mi creava dei rimorsi che non avrei dovuto sentire.
Sarebbe ella morta per me? Questo pensiero mi trapassava il cuore come
una lama di coltello. |