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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

 

FIRENZE VECCHIA

STORIA - CRONACA ANEDDOTICA - COSTUMI

(1799-1859)

 

di: Giuseppe Conti

  

VII

Il Comune Fiorentino dal 1799 al 1814

Prima del 24 marzo 1799 - Per l'arrivo dei francesi - Imbarazzi finanziari - Spese per la festa della libertà - Il trattamento di tavola del generale Gaultien - 13 uniformi nuove - Nuovi debiti e nuovi imbarazzi - Richiesta di 140 cavalli - In cerca di denaro - Gratificazioni alla truppa austriaca - Indennità per bestie requisite dai francesi - Nuovo imprestito di diecimila scudi - Vendita delle 13 uniformi - Imposizione del Governo francese di 2 milioni e mezzo di franchi - Umiliazioni e preghiere - Riduzione della imposizione e pegno di garanzia per 300 mila franchi di gioie - Il marchese Catellini prigioniero in casa sua - Nuova imposizione di 100 mila franchi - Minaccia d'arresto del Magistrato - Te Deum per il ringraziamento dell'anno - Cittadini che non possono più pagare - Il Governo sospende il Magistrato perché impone le gravezze - Murat a Firenze - Pace conclusa fra l'Imperatore e Napoleone - Ossequi a Murat - Spese per le feste di San Giovanni - Illuminazioni e fuochi per la nascita d'una principessa d'Etruria - Spese in altre feste e illuminazioni - Grilli o locuste - E ancora illuminazioni – L’apparato della "Loggia de'Lanzi" - Cavalli che non corrono - Te Deum e illuminazioni per un nuovo cambio di Governo - Spese per la residenza del generale De Moulin - 30 doti a trenta ragazze - La grazia di poter parlare italiano - Istituzione delle Rosiere - Nuove spese per la granduchessa Baciocchi - Offerta di 50 cavalieri - Indirizzo a Napoleone - La Biblioteca Riccardiana - Ricostituzione della Magistratura civica - Con Ferdinando III si torna alla calma.

Per necessità storica si son dovuti finora riguardare gli avvenimenti dal 1799 al 1814 soltanto dal lato politico; ma non meno interessante, anzi sotto certi rispetti forse anche di più, sono quegli avvenimenti dal lato amministrativo. Perciò un breve riassunto della vita del Comune fiorentino in quei quindici anni, come documento di storia novissima, desunta dalle testuali deliberazioni del "Magistrato civico" servirà a dare, con maggiore evidenza, la caratteristica dì quel periodo così disastroso e turbolento che traversò Firenze.

Fino al 24 marzo 1799 la "Comunità di Firenze" non aveva voce in capitolo che per far le spese occorrenti per le feste di San Giovanni, per la processione del Corpus Domini e altre; doveva provvedere alle strade, alle fogne, agli stabbioli dei maiali fuori di porta alla Croce, alla nomina del primo norcino oppure alla pensione di uno spazzino pubblico che aveva servito per cinquantacinque anni "con fedeltà, energia e zelo" come se si fosse trattato di un ministro di Stato. Ma andato via Ferdinando III fu tutt’un’altra cosa. Da una vita tranquilla ed apatica, si passò a un tratto a una vita d'agitazione, e di scombussolìo generale. Per cominciar bene, il 25 marzo 1799 il magistrato civico s'adunò in fretta e furia, essendo presenti il brigadiere Orazio Morelli gonfaloniere, Luigi Rilli Orsini, l'auditore Giovanni Brichieri - della prima Borsa, cioè dei priori nobili - Giuseppe Fallani, Giuseppe Borri - della seconda Borsa cioè dei cittadini - Francesco Gherardi, Ulivo Giannassi e Giuseppe Gherardini - priori della terza Borsa cioè dei possidenti. Tutti questi signori convennero, che "stante l'imminente arrivo in questa dominante, di un corpo di truppe francesi, si rendeva necessario di devenire all'elezione di più deputati, all'effetto che dai medesimi venissero prontamente procurati i quartieri per l'ufizialità e stato maggiore".

A quest'uopo elessero una commissione di dodici persone sotto la presidenza del gonfaloniere, e ne nominarono un'altra di nove per soprintendere alla distribuzione delle razioni per la truppa francese.

Le due commissioni, che furono avvertite dai priori delle tre borse, che non avrebbero "potuto astenersi dall'accettare la suddetta deputazione", vennero altresì incaricate di render noto ai proprietari di case di dover dare alloggio a quegli ufficiali che avrebbero presentato il biglietto della deputazione, a tal fine istituita.

Gli stessi priori elessero, tanto per gli alloggi quanto per soprintendere alla distribuzione delle razioni, il signor Giuseppe Panzanini.

La deliberazione più curiosa però, fu quella presa il giorno seguente, 26 marzo "dopo pranzo" - come è scritto nel protocollo - con la quale prevedendo i signori priori - sempre di tutt'e tre le borse - la urgente necessità nella quale si trovava "la Comunità" di esser provvista di denaro per le spese occorrenti, ordinarono "farsi intendere al provveditore dell'Azienda dei Presti" che passasse immediatamente alla cassa comunale tutto il denaro esistente nelle casse dei rispettivi presti, niuna esclusa né eccettuata.

Elessero quindi i signori Silvestro Aldobrandini, Marco Bartoli, Giuseppe Baldovinetti, Vincenzo Gondi e Scipione Ganucci, perché "con le loro buone maniere" istruissero il pubblico sulla rettitudine delle intenzioni del Magistrato civico nell'emanare tali disposizioni; e ciò perché non restasse deluso da sinistre interpetrazioni affatto aliene dei "provvedimenti pubblicati per la quiete e tranquillità di ciascheduno". Considerando poi "i signori adunati" che per provvedere con prontezza alle richieste dell'armata francese non poteva supplire la sola cassa della loro Comunità affatto "esausta di denaro"; incaricarono i cancellieri Domenico Baretti cassiere della Comunità, ed il dottore Stefano Compostoff "secondo ministro della medesima" di presentarsi "al cittadino ministro Reinhard" per ottenere da lui la facoltà di far contribuire, per una somma almeno di quarantamila scudi, le casse della zecca, della depositeria, dei lotti, della dogana "e con più analogia quella della Camera delle Comunità in cui passano tutte le rendite degli altri comuni per dipendenza della tassa di redenzione" onde supplire a tutti i bisogni inerenti all'approvvisionamento dell'armata francese "stanziata nella dominante".

Il 28 marzo si adunò di nuovo il Magistrato ed elesse "i cittadini" - poiché avevan già fatto l'orecchio a chiamarsi così - Ippolito Venturi, dottor Giovacchino Cambiagi, Angelo Mezzeri, avvocato Giuseppe Giunti, Giuseppe Borri e Francesco Pauer, allo scopo di presentarsi "a nome di tutta la Comune" dal cittadino generale Gaultier per fargli conoscere che i corpi delle guardie, tanto a piedi che a cavallo, stati disarmati dai francesi al loro arrivo, e mandati nelle fortezze come composti di persone delle quali inutili, non se ne faceva più nulla, volesse rilasciarli nella sua piena libertà, essendo quei corpi "composti di cittadini da rendersi utili in altri servizi, alla patria ed alla cultura delle campagne" tanto più che si trattava di una truppa volontaria "senza il benché minimo ingaggio".

Incaricarono altresì il cittadino gonfaloniere di rappresentare al governo francese, che la sola Comunità di Firenze non poteva sopportare le spese dell'approvvigionamento delle truppe; e che essendo tali spese dirette "alla pubblica sicurezza universale, dovessero essere ripartite sul censo di tutte le altre comunità".

Frattanto elessero "col carattere di fornitore generale dei viveri in servizio dell'armata francese", il cittadino Giovanni Paolini sotto la immediata dipendenza del Gonfaloniere, e "col peso di dare idonei mallevadori per l'amministrazione di tale commissione".

Per lusingare poi i nuovi venuti, il Magistrato civico facendosi onore col sol di luglio, giacché era costretto ad obbedire, deliberò con la massima disinvoltura, e come se lo facesse di spontanea volontà, di dare. al governo francese, "che aveva stabilito il buon ordine in tutta la dominante, un riscontro di riconoscenza e di gradimento universale con quelle dimostrazioni solite praticarsi da tutte le altre nazioni costituite nello stato di libertà". Decretarono perciò di solennizzare il dì 7 aprile di quell'anno 1799, "con una festa nazionale di giubbilo nella Piazza del Pubblico - come il Comune battezzò per proprio conto la Piazza della Signoria - con l'apposizione dell'albero della Libertà, incaricando per la buona riuscita i seguenti soggetti: Filippo Guadagni, Angiolo Mezzeri, e Giovanni Baldi col carattere di deputati", Carlo Mengoni "coi carattere di oratore per un'allocuzione al popolo"; e col carattere. di poeti "per una raccolta" i cittadini Vincenzio Pieracci, Gonnella e Falugi.

Il cittadino Giuseppe Manetti, fu eletto col carattere "di architetto alla festa": e con quello di operatori, i cittadini Castellan e Seignorett.

Con la speranza poi che il governo francese venisse in aiuto alla cassa del Comune mercè il concorso di quella della Camera delle comunità, scialarono alla grande, stanziando dodici doti, di dieci zecchini l'una (112 franchi) "a dodici zittelle" che avessero pronta occasione di maritarsi, sebbene poi i matrimoni fossero diciotto, perché sei coppie non pretesero dote.

Tanto zelo però fu raffreddato alquanto da un ordine del cittadino generale Gaultier "imponente il trattamento di tavola, ec., da farsi ad esso e suo seguito dalla Municipalità di Firenze".

I cittadini priori dovettero striderci; e con partito di dieci voti tutti favorevoli "autorizzarono il loro gonfaloniere per una giornaliera prestazione" per il trattamento dell'egregio generale e suo seguito, e deputarono il cittadino Vittorio Hassiè d'eseguire un tal ordine a richiesta, e di fare tutte le spese occorrenti "con quella decenza e proprietà" che si richiedeva a riguardo di tali persone.

Ma giacché doveva la Comunità pensare a dar da mangiare al generale ed al seguito, credettero bene i cittadini priori di spender qualcosa anche a vantaggio loro; perciò nel giorno stesso stabilirono, che dovendo essi prender parte alla festa nazionale col loro cancelliere e primo coadiutore, non era conveniente di presentarsi "con la veste solita usarsi nel passato governo; ma di intervenirvi" con quella uniforme democratica ammessa dagli altri governi in simili funzioni, da farsi a spese della comunità per dieci residenti unicamente al loro assessore ed ai due ministri sopraindicati, "da unirsi alle altre spese" che accorrerebbero per la festa. Fu stabilito però che le tredici uniformi sarebbero appartenute sempre

alla Comunità e passate in consegna al cittadino magazziniere Bernardino Pratellesi, per servire in altre simili eventualità; o alienarsi a profitto della medesima, nel caso di dover cambiar daccapo padrone. I cittadini priori eran previdenti!

Per provvedere a queste spese, pensarono "di moderare" l'entusiasmo per la festa nazionale, riducendo a sei zecchini la dote già deliberata per le dodici zittelle che avessero nel giorno della festa nazionale pronta occasione di matrimonio.

E per maggiore economia stabilirono che l'abito uniforme bianco e la cuffia di cui dovevano esser fornite le spose a spese della Comunità, dopo la cerimonia del matrimonio attorno all'albero, dovessero essere restituite.

Nel dì 30 aprile poi, a cose finite, il Magistrato civico "considerando che il cittadino Pietro Feroni" nell'occasione della festa della libertà "si distinse con una dotta ed elegante allocuzione fatta al pubblico, e considerando ugualmente come articolo di precisa convenienza, di contestare al medesimo un atto di pubblica gratitudine" deputarono il cittadino gonfaloniere Giuseppe Morelli, a contentarsi di indirizzare all'eloquente oratore un biglietto di ringraziamento "che contesti al medesimo la riconoscenza del pubblico".

Il Comune si trovò poi in serio imbarazzo per il cambio, e dovette ricorrere alla creazione di un cambio forzato con quel frutto che fu poi stabilito coi "creditori cambisti, per la concorrente quantità di quindicimila novecento scudi, da repartirsi fra diversi possidenti più facoltosi"; i quali però eran sempre quelli che si ritenevano per giacobini. Gli austriacanti per quanto gravati anch'essi, lo eran però un po' meno.

In nuovi e gravi imbarazzi si trovò pure la Comunità alla fine di maggio del 1799, per non avere essa da far fronte agli impegni del prestito stato ordinato da Ferdinando III nel dicembre del 1798 al quale dovevan concorrere lo "Scrittoio delle fabbriche" lo Spedale di Santa Maria Nuova, e "diversi particolari".

Ma siccome lo Scrittoio delle fabbriche non aveva denaro, lo Spedale avanzava invece dalla Comunità, e i particolari erano in parte creditori, ed in parte livellari del Comune, così il Magistrato pensò bene di gravar la mano su questi ultimi, sequestrando loro le pigioni dei fondi, ed altri beni che potessero possedere.

C'è da credere se il malcontento era giustificato!

La Comunità era ridotta a tali strettezze, che non avendo nemmeno da pagare al setaiolo Pacini e C., i drappi per i palii di San Giovanni, di San Pietro e di San Vittorio, nella somma di poco più di quattromila lire, i priori furon costretti a stabilire il 25 maggio 1799 di dargli un acconto "di mille lire, da pagarsi però quando la cassa della Comunità sarebbe stata in grado di sopportare tale aggravio" che era quanto dire che per il momento non c'era furia!

Per uscire un po' d'impiccio, e tanto per andare avanti meno peggio e vivere giorno per giorno, fu anticipata la scadenza delle rate della tassa fondiaria; e quando nella cassa cominciò a sentirsi il suono di qualche solitario scudo, piombò come un fulmine a ciel sereno un ordine "del cittadino Macdonald, generale in capite dell'armata di Napoli" in data 2 giugno 1799 "per la pronta somministrazione dalla Comunità di Firenze di settanta cavalli da sella, e settanta cavalli o muli da tiro".

Il cittadino gonfaloniere "per la piena e sollecita esecuzione degli ordini ricevuti" non vide altro mezzo che di fare una nota, al solito, di centotrenta cittadini più facoltosi, che andavano diventando invece, a forza d'aggravi, i più miserabili, i quali dovessero somministrare altrettante bestie.

E il Magistrato approvò con nove voti, tutti favorevoli!

Per render sempre più floride le condizioni del Comune gli egregi cittadini Rutilio e M. Ranieri Orlandini che avevano dato a cambio alla Comunità la somma di 2506 scudi, vedendo che le cose andavano di male in peggio, nel 13 giugno domandarono l’immediato rimborso della somma da essi data in prestito, o l'aumento del frutto. Ed il Magistrato preso così per il collo, dové portare dal quattro al sei per cento il frutto del capitale medesimo!

Tutte risorse coteste, che rendevan sempre più facile e simpatico il nuovo regime dei liberatori.

Quando poi si allontanarono le truppe francesi, per assicurare "la tranquillità, la quiete e la sicurezza" della città il Comune fu costretto a provvedere, senza denari. E al solito se la cavò "con una deliberazione del 24 giugno 1799 dichiarando ipsofacto come descritti nel catalogo della truppa nazionale tutti i possidenti della città, senza elezione alcuna, e i loro figli capaci di portar l'arme".

Furono iscritti pure gli impiegati e i loro figli, e i pensionati.

Tutto questo "al fine di dimostrare alla nostra patria - servendo lo straniero - lo zelo, l'interesse, la fedeltà e l'attaccamento dì cui ciascheduno è debitore verso la medesima"! E siccome il Senato fiorentino, subentrato al governo francese, per fare onore alle deliziose truppe aretine ordinò uno spettacolo in onore di queste al teatro del Cocomero nella sera del dì 8 luglio, così la Comunità dové pagare a Gaetano Grazzini, impresario di quel teatro, la somma di cinque zecchini per la spesa dell'illuminazione del teatro.

E la Comunità, che andava sempre più in rovina, si vide costretta ad incaricare il cancelliere Domenico Baretti di adoprarsi col signor - non si diceva di già più cittadino - Giovanni Marcantelli, all'effetto di raccogliere delle somme da darsi a prestito alla Comunità stessa, rivolgendosi "al signor Francesco Baldi, al signor Donato Orsi e ad altri banchieri di credito".

Ma nessuno correva a prestare al Comune; il quale fu costretto nientemeno che ad implorare, con partito dell'11 luglio, dall'inclito Senato, l'autorizzazione di impegnare a favore di una persona da nominarsi che si era offerta di fare un prestito di- mille scudi, "il fondo che serviva di residenza al Magistrato comunitativo"! cioè il palazzo della parte guelfa in Piazza San Biagio.

E benché si trovasse il Comune in queste misere condizioni, pur nonostante il gonfaloniere Orazio Morelli, che a quanto pare, odiava i francesi ma amava i tedeschi - come se questi non fossero stranieri - ebbe il coraggio di proporre "di accordare agli individui della cavalleria tedesca una gratificazione di cinque paoli a testa per i comuni, ed un mese di paga per ciascheduno degli ufiziali, essendo stato considerato il merito della predetta truppa non meno che la riconoscenza di cui è debitrice la città di Firenze alla loro sollecitudine e al disagio da essa sofferto nel pronto viaggio che ha intrapreso per giungere prontamente in Firenze".

Cose che fanno ira soltanto a leggerle!

Il 18 luglio cadde un altro tegolo sulla testa del Magistrato civico con le istanze presentate da alcuni vetturali i quali esponevano di essere stati requisiti "con un respettivo loro numero di muli e cavalli in servizio dell'armata francese, e da questa città condotti a forza in varie parti dell'Italia". Quindi, di essere stati obbligati dai francesi ad abbandonare le dette bestie, e a ritornare "raminghi e desolati alle loro abitazioni". Perciò facevano istanza di essere indennizzati della perdita fatta. Dopo avere accertata la verità dei fatti esposti dagli otto vetturali ricorrenti il Comune fu costretto a pagare, "per indennizzazione delle rispettive bestie loro requisite con i legni e finimenti perdute, ucciseli e tolteli, nel servizio forzato dell'armata francese", e segnatamente in occasione della battaglia della Trebbia, la somma di franchi 13.585,74 pari alla moneta d'allora a 2310 scudi, di cui novecento ai signori Fratelli Fenzi.

Il signor Orazio Morelli tutto propenso per i tedeschi (ed al quale sarebbe stato bene, se non sembrasse un po' volgare l'augurio, un attestato di riconoscenza scrivendoglielo dove eran soliti di scriverlo loro col bastone di nocciuolo) nell'adunanza dei Magistrato dello stesso dì 18 luglio, domandò "se piaceva ai signori adunati di eleggere due soggetti della loro Comunità con l'espressa condizione di presentarsi ai piedi di S. A. R. Nostro Signore - cioè Ferdinando III - per contestargli i sentimenti del giubilo universale" dimostrato dal popolo fiorentino per i fausti avvenimenti delle armi austro - imperiali, e per le cure che si era dato di sollevarlo dal giogo pesante delle armi straniere che avevano barbaramente invaso la Toscana. Ma la proposta del signor Orazio non andò a genio; e quando fu girato il partito "tornò negato": che era quanto dire che se qualcuno voleva andare a presentarsi ai piedi del Sovrano, ci andasse lui perché "i signori adunati" non si sarebbero mossi per ringraziarlo d'un cambio di stranieri.

Per non perder l'uso di farsi prestar denaro, il Magistrato nella seduta del dì 8 agosto incaricò il signor gonfaloniere di prendere a prestito da una o più persone la somma di diecimila scudi "al frutto più discreto della piazza" e ciò in vista degli urgenti, bisogni "e segnatamente per provvedere le armate austro – russe". Perché il bello era questo, che tutte le migliaia di scudi che si macinavano, tutti gli imprestiti che il Comune era costretto a concludere facendosi anche strozzare, servivano sempre per mantenere gli stranìeri che spadroneggiavano in casa nostra, oltre poi al ringraziarli e dar loro le gratificazioni per lo zelo col quale accorrevano e per la noncuranza con cui affrontavano i disagi del viaggio!

Dovevano stare a casa loro, e così non si sarebbero strapazzati. Il male era che ci avevan conosciuto!...

Per vedere di realizzare qualche soldo, i priori della prima, della seconda e della terza borsa, stabiliron di procedere, senza la solennità dell'incanto ma privatamente, alla vendita di tutti gli abiti uniformi serviti in occasione della festa "così detta nazionale". Avevan durato poco!

Fra tanti rincalzi, la Comunità ebbe anche la disdetta di una eccessiva mortalità nelle "truppe imperiali" stanziate in Firenze; poiché dal 25 settembre 1799 al 23 aprile 1800 "i cadaveri estratti dagli spedali militari dell'armata austriaca" ascesero a 1812. Per conseguenza "conguagliati a 115 cadaveri il mese" furono dovute sborsare dalla esausta cassa comunale, con platonica protesta di rivalsa verso l'amministrazione militare, venti scudi per il pagamento del trasporto di quei cadaveri nel cimitero di Trespiano, per parte del cottimante Niccola Martini, che li portava lassù sui carri come i maiali al mercato.

Per cercare di fare economia in tutto, il Magistrato civico si sarebbe attaccato ai rasoi: lo provi il fatto, che per l'illuminazione comprava due o tre barili d'olio per volta; e di più, per non spender tanto nella rena che si spargeva nelle vie, per tutto il corso delle carrozze e dei barberi in occasione di feste fu deciso che dopo la festa fosse ammassata dagli spazzini "e depositata in una buca da farsi nell'area del Prato per quivi conservarla".

Di fronte a tanta miseria, capitò come un disastro più grande il ritorno dei francesi; i quali per non perder tempo imposero con decreto del 19 ottobre 1800 emanato dal general Dupont, comandante in Toscana, alla città di Firenze una contribuzione di due milioni e mezzo di franchi. Ma il magistrato, "persuaso dell'impossibilità di poter collettare dagli abitanti della città, estensivamente anche ad ogni ceto, la detta somma", incaricarono il nuovo gonfaloniere marchese Francesco Catellini da Castiglione, ed altri sette rispettabili soggetti "di presentarsi in corpo in forma di Deputazione pubblica" al luogotenente generale Dupont e fargli presente "con l'esposizione di tutti i fatti antecedenti, la povertà del paese, le luttuose circostanze in cui si ritrovava da molto tempo la decadenza del commercio, la scarsità delle raccolte, e per conseguenza l'impossibilità assoluta di supplire alla detta richiesta, pregandolo instantemente a volerla moderare più equitativamente".

E il gonfaloniere coi "sette soggetti" si presentò al generale Dupont, il quale prese tempo a rispondere. Ventiquattro ore dopo il Magistrato civico ricevé una lettera del generale di brigata Gobert "capo dello stato maggiore dell'ala diritta", con la quale si manteneva ferma l'imposizione di due milioni e mezzo da repartirsi fra le seguenti classi, e cioè: sulle case più opulente della nobiltà, del clero, e del commercio; sul corpo della nazione ebrea, sulle proprietà della corona, le commende di Malta, l'Arcivescovado, i capitoli, le abbazie e conventi della città.

E daccapo "si ingiunse" al gonfaloniere ed ai sette soggetti di presentarsi al generale Gobert per dimostrare al solito anche a lui le circostanze luttuose della città, gli aggravi da essa sofferti nel corso di pochi anni, ed insistere per la diminuzione della imposizione.

Finalmente, dopo tante umiliazioni e preghiere, a chi veniva ad invader di nuovo il paese, la contribuzione fu ridotta a un milione e centomila franchi "con la condizione però che per garanzia dell'esito di tale imposta venisse effettuato un deposito in gioie, per la somma di trecentocinquantamila franchi". Varii gioiellieri si prestarono a fare il detto deposito, "con le debite solennità" con la condizione però che per la garanzia dei loro depositi oltre all'obbligazione dei beni della Comunità, fossero ipotecati "tutti gli effetti e i beni della R. Corona". Ma il Magistrato non essendo autorizzato "a procedere, al passo doloroso" della ipotecazione dei beni della corona, rappresentarono al generale Dupont che gli piacesse di farglielo accordare per poterlo portare alla debita esecuzione.

Mentre il Comune imponeva le quote dell'imposizione ai cittadini indicati nell'elenco dei facoltosi - come per ironia si seguitava a chiamarli, - molti di essi badavano a tempestar di domande il Magistrato per essere esonerati da un aggravio che non potevano affatto sopportare.

Ma il generale Dupont chiedeva alla Comunità la nota dei contribuenti tassati con l'intimazione ai morosi dell'arresto e dell'esecuzione militare. Questa terribile minaccia, fu poi commutata nella contribuzione doppia!

Come Dio volle, il milione e i centomila franchi furon raccolti; ma "per le laboriose operazioni" ci vollero dodici donzelli che furono impiegati in tutte le ore, anche non compatibili, e perfino di notte; e fecero un così attivo servizio, che il Magistrato nel dì 11 novembre 1800 stanziò a loro favore centoventi zecchini. Ma il Comune ebbe a spendere anche quarantanove scudi per far trasportar i denari raccolti "alle case di abitazione del commissario di guerra e del tesoriere delle contribuzioni". E di più, occorse la spesa di seicentodue lire spese dal gonfaloniere per il mantenimento di sei granatieri francesi "attesa l'esecuzione militare da esso sofferta nella casa di propria abitazione posta in Via Ghibellina". Con tutta la sua buona volontà, il marchese Catellini fu tenuto come prigioniero in casa sua, finché non fosse coperta la somma del prestito, e di più ebbe a pagare i soldati che gli fecero la guardia! Nessuno era mai stato bene come allora, coi liberatori in casa!

Avuti i denari, il governo provvisorio francese per certe circostanze piuttosto gravi, che ne minacciavano la sicurezza, pensò bene di prendere un po'il largo e di ritirarsi in luogo più cauto e sicuro.

E intanto il Comune si trovò a dovere organizzare, lì per lì, un battaglione di guardie di sicurezza agli ordini del maggiore Vaccà.

I guai pareva che cominciassero allora, e sempre più gravi.

Mentre la Comunità nel 28 dicembre 1800 si trovava nella dolorosa condizione di dover chiudere lo Spedale di Santa Maria Nuova per mancanza d’assegnamenti, giungeva il giorno stesso una lettera del generale Miollis, tornato a Firenze coi suoi francesi, imponendo l'immediato sborso di centomila franchi con la minaccia della carcere a tutto il Magistrato nel caso di non adempimento!...

Una città così tartassata, così oppressa, non aveva nemmeno la forza di ribellarsi, perché tutta la gioventù valida era sotto le armi, indossando la divisa degli oppressori, e si trovava sparpagliata chi sa dove, ad esporre la vita per essi!

Non essendo affatto possibile alla Comunità, nonostante il raddoppiamento e l'anticipazione della riscossione dei dazi, di pagare la somma domandata, ebbe a ricorrere ad alcuni mercanti per mettere insieme un acconto, non avendo nella cassa che 7250 franchi che offrì tutti alla cupidigia del generale Miollis, rimanendo il Comune senza un soldo.

E quei "mercanti" che furono i fratelli Salvetti, il dottor Cesare Lampronti, Francesco Morrocchi, Lorenzo Baldini, i Fratelli Fenzi ed Ezechia Baraffael, spremendo alla loro volta le proprie casse, riuscirono a mettere insieme la meschina somma di novemila ottocento franchi. Milledugento - non avendo altro - ne diede la depositeria e per essa il signor Francesco De Cambray Digny.

Cosicché raggranellata alla meglio con tanti stenti e tante umiliazioni la somma di diciottomila lire, ebbero anche a implorare che venissero accettate come. acconto, versando quella somma nelle mani del cittadino Delmar, tesoriere particolare del governo provvisorio.

E s'era anche ridotta la Comunità a pagare a sgoccioli anche i giandarmi, passando al loro comandante Carlo Trieb ogni quattro giorni la paga per gli uomini, se c'eran però i quattrini in cassa.

E nonostante, il buon Magistrato civico la sera del 31 dicembre 1800 si riunì nella canonica di San Lorenzo "di dove si portò assieme al Magistrato supremo nella chiesa di detto Santo" per assistere al solenne Te Deum per il ringraziamento dell'anno!

Erano andate bene le cose!...

Il nuovo anno 1801, lo cominciò anche meglio la Comunità. Dové sborsare al libraio Giovanni Nesti quarantacinque scudi e cinque lire per un conto di carta, penne, ceralacca e fattura di libri bianchi, occorsi per il servizio delle truppe francesi. E per seguitare anche meglio, pervennero il primo gennaio due lettere, una del cittadino Delmain, e l'altra dell'aiutante Vincenzo Brihes "comandante e capo dello stato maggiore" dirette al ritiro della somma di centomila franchi esclusa ogni speranza della minima dilazione!

Come se poi non bastassero tante angustie, la Comunità doveva far buon viso e pagare le spese superflue ed inutili imposte dal governo francese. Così dové, facendo proprio alla meglio e chiedendo anche scusa, assegnare sole quaranta lire toscane ai custodi della Libreria Magliabechi, "per le fatiche da essi sofferte in occasione della festa data dal governo francese in morte della poetessa Corilla Olimpica".

E poi il 5 gennaio ebbe a sborsare tremila scudi per compra di cavalli da sella in servizio delle truppe francesi; e di più pagare dieci cambiali per la somma di altri milledugentoventiquattro scudi, occorsi nella precedente compra di ventotto cavalli sempre per le medesime truppe.

Ed avendo la Comunità ordinato un nuovo imprestito ai mercanti, tutti fecero domanda di esserne esonerati; ed i primi furono Cesare Graziadio Ginettau, imposto per trecento scudi, e Gabbriello Bollaffi per egual somma.

Fecero anche una simile istanza la prima delle suore del Conservatorio della Pietà, in Via del Mandorlo - dove oggi sorge l'istituto tecnico, - Maria Anna Silvani vedova Neri, Isabella Nerli vedova Almeni, Lorenzo Adami già Lami, fratelli Niccolini e Ubaldo Maggi; ma queste istanze poste a partito vennero tutte rigettate.

Vedendo poi i cittadini priori che essi facevano come l'asino, che porta il vino e beve l'acqua, pensarono "di avanzare una rappresentanza al governo, diretta ad ottenere una gratificazione in ricompensa delle maggiori incombenze, particolari commissioni, ed in vista pure delle quotidiane adunanze".

Girato il partito, fu approvato con nove voti favorevoli ed uno contrario.

Una cosa veramente strana e curiosa fu quella che il governo provvisorio con un avviso al pubblico in data 5 gennaio 1801, disapprovava e condannava come ingiusta ed eccessiva, la nuova imposizione fatta dal Magistrato ai possidenti, in ragione di lire diciotto per fiorino. Ma il Magistrato ribatté nell'adunanza del giorno stesso quell'accusa, con le stesse parole del Presidente del Buon governo quando questi parlò in nome del Governo provvisorio, allorché era stato costretto il 15 dicembre 1800 a ritirarsi in più pacifica stazione.

Il Presidente del Buon governo aveva scritto al Magistrato civico in questi termini; "Voi siete pertanto autorizzati a prendere tutte quelle misure necessarie per far fronte alle spese imperiose delle circostanze, le quali resteranno sempre da me approvate col mio Visto. Non mancate però di renderne parte al governo".

Oltre a questo, il Magistrato medesimo rifacendo tutta la storia della imposizione improvvisa di centomila franchi, che furon per forza dovuti sborsare in pochi giorni, deliberò "premessa solenne protesta di rispetto e di venerazione (poiché si era ridotti a tanto avvilimento)" di estendersi una memoria ragionata dalla quale resultasse che trovandosi il magistrato oltremodo aggravato nella sua rappresentanza col citato avviso a stampa del 5 gennaio 1801, e nella circostanza di dover corrispondere al pubblico sul punto interessantissimo della sua amministrazione, domandava in linea di giustizia un riparo all’offesa ed aggravio fatto al Magistrato, eleggendo a questo effetto l'avvocato Giuseppe Poschi con facoltà di presentarsi ovunque occorresse.

E intanto continuavano a piover le domande di coloro che chiedevano d'essere esonerati dalla contribuzione al prestito di centomila lire.

La risposta del governo provvisorio non si fece aspettare: ed infatti l'assessore della Comunità, avvocato Pier Maria Tantini, adunato il Magistrato comunicò ai signori priori la immediata loro sospensione dall'ufficio per ordine del governo; e la destituzione del cancelliere dottor Vincenzo Scrilli nominando a succedergli il signor Orazio Bassi, già cancelliere a Montepulciano.

Non mancava altro che farli fucilare!

Il Magistrato "per non restare ulteriormente compromesso nell'opinione del pubblico" decise di presentare una supplica al prepotente governo per manifestargli il più sensibile rincrescimento di avere incontrata la disapprovazione del governo nella creazione di una deputazione diretta a procurare i vantaggi possibili alla comunità, e dimostrare le sue innocenti intenzioni, implorando la riabilitazione all'esercizio delle sue funzioni!

Per scontare quella specie di eroica deliberazione, il Magistrato fu costretto a prenderne un'altra un po’ più umile; e fu quella del 22 gennaio 1801, con la quale, dopo aver sentito che era già arrivato in Firenze "il cittadino generale Murat" in sostituzione del Miollis, "per non mancare in veruna parte a quei doveri ai quali può obbligarli la loro rappresentanza" i signori priori deputarono il loro gonfaloniere marchese Francesco Catellini da Castiglione, insieme ad altri "soggetti" di presentarsi in forma pubblica davanti al generale Murat "a congratularsi del di lui felice arrivo in Toscana" e passar seco i più rispettosi offici di commissione e dipendenza; premessi i quali dovevano assicurarlo della venerazione che professava tutta la città alla repubblica francese, ed alle sue vittoriose armate; raccomandargli la quiete e la tranquillità, esortarlo a non permettere che fossero capricciosamente licenziati i vecchi impiegati; l'economia nelle spese e nella erogazione di nuovi impieghi per non aggravare di più la disastrata finanza.

Il 28 gennaio stabilì il Magistrato di mandare una nuova deputazione a Murat, per scongiurarlo a limitare le spese, atteso "lo stato veramente calamitoso della città per il languore delle arti, del commercio e degli aggravi inseparabili dalle attuali circostanze".

Dopo tante e così umilianti preghiere, e come misura politica, il governo fece affiggere un editto col quale si accordava ai reclamanti contro l'imposizione del prestito, aggravati e molestati dal passato governo per opinioni politiche, la condonazione della metà fino a nuove determinazioni.

E questo fu un po' di sollievo a tante angherie, fino allora continuamente sofferte.

Le cose a poco a poco parvero calmarsi con la pace conchiusa fra l'imperatore e la Repubblica francese. La mattina del 3 marzo 1801, per ordine dell'avvocato regio Bernardo Lessi, i rappresentanti della Comunità, guidati dal gonfaloniere Niccolò Arrighi, si recarono alla Metropolitana per assistere all'inno ambrosiano, in ringraziamento della "fausta notizia ricevuta dal generale Berthier" della conclusa pace.

Il Gonfaloniere e i priori intervennero alla cerimonia "in abito magistrale" ma non comparvero né il cancelliere Scrilli, né il marchese Girolamo Bartolommei e Averardo Medici "benché intimati".

Tutte le deliberazioni successive, prese in seguito dal Magistrato, lo furono senza l'intervento del cancelliere, contrarissimo ai francesi, essendo, a quanto pare, un codino numero uno!

Il 28 marzo, il Magistrato deliberò di eleggere quattro soggetti, perché in nome della Comunità si presentassero "a S. E. il signor generale in capo Murat, per contestarle i sentimenti di venerazione, di rispetto e di gratitudine con i quali il pubblico avrebbe sempre conservato la memoria di un soggetto che si era meritata la comune estimazione".

I quattro "soggetti" prescelti, furono Niccolò Arrighi nuovo gonfaloniere, il marchese Girolamo Bartolommei (che non era andato al Te Deum) il tenente Antonio Pratesi, ed il signor Cipriano Carniani; e fu "ingiunto ai medesimi di adempire alla commissione con la maggior decenza e decoro possibile, per corrispondere all'importanza dell'oggetto".

A leggere queste parole della deliberazione, pare che il Magistrato invece di quattro persone distinte, avesse eletto quattro facchini!

Il 9 aprile il dottor Vincenzo Scrilli fu "ristabilito nel suo impiego di cancelliere della Comunità civica di Firenze" e quello fu il segno che i tempi stavan per cambiar daccapo. Infatti, nel giorno stesso, il Magistrato approvava una lettera preparata fino dal 3 aprile, da inviarsi al generale Murat per fargli "sentire l'universal gradimento per la ripristinazione del Governo provvisorio granducale, all'esercizio delle sue funzioni". Ecco perché era tornato lo Scrilli!

Un'altra promessa di Murat fu quella comunicata dalla "R. Segreteria di Finanza" il 23 aprile 1801, con la quale si assicurava che d'allora in poi la Toscana, eccettuato il soldo alle truppe francesi da esser pagato mensualmente al tesoriere dell'armata, "sarebbe stata esente da ogni specie di requisizione, e da ogni altro aggravio relativo alle forniture di vestiario".

Migliorate un poco le cose, il Comune in quell'anno pensò anche alle feste di San Giovanni, che non erano state fatte l'anno avanti; e fu nientemeno in grado di pagare al signor Ottavio Codibò dieci scudi, per aver dipinto con oro e argento le striscie delle tre bandiere per i palii di San Giovanni, di San Pietro e di San Vittorio.

Il 2 agosto 1801 il Gonfaloniere coi priori del ceto nobile, e i quattro della borsa dei cittadini, con l'intervento del Senato si riunirono nel salone di Palazzo Vecchio "volgarmente detto di Leone X" per la solenne proclamazione del possesso del Granducato di Toscana, che diventava regno d'Etruria, presa dal marchese di Gallinella in nome di S. M. il Re Lodovico I Infante di Spagna e Principe ereditario di Parma, ecc.

I priori della borsa dei possidenti, che erano stati troppo bene con tutti i cambiamenti avvenuti, non intervennero a quella funzione.

Cessate le spese per le imposizioni francesi, si cominciò a spendere e spandere per far le feste all'arrivo del nuovo re. Fu stabilito di far corse di barberi, di cocchi, e incendiar fuochi sulla torre di Palazzo Vecchio; quindi di ossequiare e inchinare il nuovo sovrano, e andare a varii Te Deum, a messe cantate per l'onomastico del Re, per il suo arrivo a Firenze; poi per il viaggio della real famiglia a Barcellona, e quindi per la nascita della Principessa, avvenuta appunto durante quel viaggio; per la qual fausta circostanza nelle sere del dì 18, 19 e 20 ottobre 1802 fu illuminata la cupola del Duomo e fatti i soliti fuochi di gioia sulla torre di Palazzo Vecchio.

E nuove messe cantate e Te Deum e fuochi e illuminazione della cupola furon ripetute per il ritorno in Firenze dei sovrani e via discorrendo, spendendo centinaia di scudi, come se le casse del Comune rigurgitassero di monete.

Nel 5 gennaio 1803 il Magistrato civico, preoccupato delle "pubbliche dimostrazioni di giubbilo da esternarsi in occasione del ritorno e dell'ingresso nella città delle Loro Maestà" e della degnazione del gradimento che dimostrarono per le filiali premure esternate loro dal Magistrato medesimo, ordinarono, che in aumento delle dimostrazioni di gioia fosse illuminata la porta a San Frediano e per un tratto fosse illuminato altresì il Borgo medesimo per mezzo di lampioni, padelle ed altri vetri a riflesso, disposti in quella forma che fosse giudicata più conveniente dall'architetto Giuseppe Del Rosso.

E perché la cosa riuscisse più decorosa, invitarono ad una volontaria sovvenzione tutti i ceti della città, eleggendo col "carattere di collettori" alcuni canonici nella classe del clero, altri signori nella classe dei nobili, quattro avvocati per il ceto dei curiali, due soggetti per il ceto degli impiegati, quattro negozianti per il ceto dei mercanti e due israeliti per la nazione ebrea.

Ma con tutto questo, le spese furono piuttosto copiose. Ciò che si spendeva prima per le continue esorbitanti imposizioni del governo francese, non solo andava ora in feste, in fuochi di discutibile gioia, e nei frutti dei passati imprestiti e imposizioni, ma vi si aggiungeva la spesa per gli alloggi delle truppe spagnuole, e l'indennità in contanti per la pigione agli ufficiali ammogliati, ciò che minacciava un deficit vistoso nell'amministrazione comunale. Tant'è vero, che la Comunità deliberò nel 3 luglio 1806 di fare istanza alla Regina reggente di valersi della imposizione straordinaria di centomila scudi, esonerando la Comunità stessa dal rimettere l'importare al Monte comune.

E siccome le disgrazie non vengono mai sole, alla calamità delle truppe spagnuole da mantenere, poiché pareva proprio che la Toscana dal 1799 in poi dovesse sempre far le spese alla gente di fuori, sopraggiunse la invasione delle cavallette.

Ed il Magistrato, con una deliberazione piuttosto stizzosa, poiché la pazienza gli cominciava a scappare, protestò "di non poter pagare alcuna somma per l'estirpazione dei grilli o locuste; perché essendo il Comune circoscritto dalle mura, le locuste non avrebbero dato noia anche se fossero entrate in città. Perciò fu fatta istanza alla reggente d'essere esonerati da qualunque spesa per estirpare i grilli o cavallette che si volessero chiamare.

Il Magistrato, per non sembrare ostile alla serenissima reggente, era costretto però ad afferrare tutte le occasioni che gli si presentavano per protestare la sua devozione e l'inalterabile attaccamento tanto a lei che al suo degnissimo ragazzo, che aveva il titolo di re d'Etruria, ereditato da quel portento ch'era stato suo padre Lodovico. Perciò, nel 12 giugno 1807, cogliendo "la fausta circostanza" del ritorno delle Loro Maestà la Regina reggente ed il piccolo re, la Comunità stabilì di ordinare, come aveva fatto nel 10 maggio 1806 quando le stesse Loro Maestà tornarono da Livorno, che per dare un qualche contrassegno di pubblico gradimento e letizia fosse decentemente illuminata la porta a San Frediano per mezzo di lampioni e padelle ardenti, come ancora il Borgo a San Frediano con simili padelle o fanali a proporzionali distanze a spese della Comunità, questo s'intende. Soltanto fu risparmiata la spesa di 6851 lire, occorse nel 10 maggio 1806 per l'arco trionfale alla porta a San Frediano, che nel 1807 fu risparmiata, in vista forse che questi ritorni eran troppo frequenti.

E per rendere ancor più splendida e possibilmente più spontanea la dimostrazione, il Magistrato invitò, o meglio, intimò (come si usava di dire allora) i cittadini che avevan la fortuna di abitare dalla porta a San Frediano fino a'Pitti, di illuminare le loro case, se il ritorno delle preziose Loro Maestà fosse avvenuto di sera; e ad ornare le finestre se accadesse di giorno. Di Più, i Priori deputarono il Gonfaloniere marchese Tommaso Guadagni, il duca Ferdinando Strozzi, il cavalier Vincenzo Gondi Cerretani ed il signor Luigi Pratesi, perché si portassero al Palazzo Pitti la sera dell'arrivo, per felicitare in nome pubblico le Loro Maestà di essersi restituite alla capitale!

Pareva proprio che il Magistrato civico temesse che si perdessero per la strada!

Lo sfarzo della Corte dopo la morte di Lodovico Borbone aggravava sempre più la Comunità. Basti fra tanti esempi, quello che la Regina reggente "con biglietto della Sua Real segreteria intima del dì 22 giugno 1807" partecipò al dipartimento delle Finanze la sua approvazione "al progetto di apparato della Loggia dei Lanzi per la Festa degli Omaggi" proposto dal Consigliere Guardaroba maggiore, ordinando nel tempo stesso che la Comunità di Firenze rimborsasse la R. Guardaroba della spesa occorsa per l'esecuzione dell'apparato medesimo, e ricevere in consegna "tutte le macchine che la compongono per conservarsi ed adoprarsi in ogni successiva simile occasione".

Ma i signori Gonfaloniere e Priori non intendevano, nell'interesse pubblico, di addossarsi questo nuovo aggravio che ascendeva alla somma di 21,534 lire; perciò deliberarono di farne "delle umili dimostranze a Sua Maestà" che tale festa non riguardava la sola Comunità, "ma bensì l'universalità dello Stato"; e tanto era vero, che nel Motuproprio del 26 marzo 1782 tra gli spettacoli pubblici affidati alla Soprintendenza della Comunità con l'assegno d’un’annua prestazione, non si fa menzione dell'ornato e apparato della Loggia dei Lanzi. Tali spese restarono sempre a carico della R. Guardaroba, non avendo la Comunità sopportata altro che quella "dell'ossatura dei trono" e dei parapetti davanti alla Loggia. Perciò imploravano da S. M. la degnazione di ordinare che dette spese tornassero a far carico, come in passato, alla R. Guardaroba. Se poi S. M. insisteva nel voler gravare la Comunità di questa nuova spesa, sarebbe convenuto alla Comunità stessa di "devenire ad un supplemento d'imposizione sopra la massa dei possidenti".

E siccome il Magistrato non poteva senza regia autorizzazione procedere a tale aggravio, così pregava la Maestà Sua, se desiderava la pronta esecuzione dell'ordine dato, di autorizzare la Comunità ad eseguire il detto supplemento d'imposizione.

Pendente il ricorso del Magistrato, questi, per dimostrare lo zelo nell'onorare la reggente ed ingrazionirsi presso di lei, prese il 2 luglio 1807 questa terribile deliberazione:

"I Priori, ecc.; sentito che il maestro di posta, in occasione della corsa del palio dei cocchi mandò un paro di cavalli non atti al detto servizio, ma inviziati di restìo, con grande indecenza ed insulto al pubblico, e con pericolo d'inconvenienti, nonostante gli avvertimenti datigli precedentemente di cambiarli, allorché furono riconosciuti incapaci nelle prove, non essendovi memoria che siasi fatta una corsa più indecente, con mancar di rispetto mediante un tale atto del pubblico di vari ceti ivi accorso allo spettacolo;

Ordinarono rappresentarsi un tal fatto all'Ill.mo signor Presidente del Buon Governo, perché voglia degnarsi di far dare dal detto postiere di questa dominante al pubblico quella soddisfazione che crederà conveniente, ed intanto, sospesero il solito pagamento del nolo dei cavalli posti alla corsa predetta".

E il Presidente del Buon Governo ordinò al "Ministro della Posta" Lorenzo Cappelli di presentarsi alla prima adunanza dei Priori, ciò che avvenne il 16 luglio, ed introdotto alla loro presenza "fece le ordinate scuse e avvertito a non incorrere altra volta in simile mancanza" fu licenziato.

Quindi, per sfoggiare sempre più in uno smaccato zelo, il 4 novembre 1807 i "signori Priori sì riunirono col Magistrato supremo nelle stanze del Bigallo, e si portarono nella chiesa Metropolitana ove assistettero alla messa cantata Per la ricorrenza del nome di Sua Maestà il re nostro Signore". Dicevan proprio così, i Priori, parlando d'un fanciullo straniero!

Ma la sincerità di queste esagerate e sleali dimostrazioni fu smentita senza alcun riguardo nell'adunanza del 21 gennaio 1808 (poco più di due mesi dopo), nella quale "dal signor Gonfaloniere fu rappresentato che le Comunità provinciali si erano distinte con feste pubbliche, sacre e profane, nella fausta circostanza di esser passata la Toscana sotto il dominio dell'Augusto Imperatore dei Francesi, Re d'Italia e Protettore della confederazione del Reno, onde sembrava opportuno che anche la loro comunità esternasse i sentimenti di gioia e di pubblica soddisfazione per un tale avvenimento".

E dopo "maturo colloquio" si deliberò che nella mattina del 2 febbraio 1808, fosse cantata una solenne messa con Te Deum in rendimento di grazie all'Altissimo, "per la conservazione e prosperità dell'Augusta Persona e famiglia del prelodato Monarca e nostro Sovrano, nella Chiesa Basilica della SS. Annunziata, con l'intervento delle Magistrature solite comparire a simili solenni funzioni" e con l'invito "del militare tanto francese, che dei cacciatori urbani per rendere la funzione più decorosa".

Fu pure deliberato che la sera antecedente alla festa fossero incendiate le solite macchine di fuochi d'artifizio alla Torre di Palazzo Vecchio nel modo che si pratica la vigilia di San Giovan Battista, con fare ardere le solite fastella sulla Piazza detta del Granduca. Che fossero invitati l'Opera del Duomo, i Corpi religiosi e rettori di chiese, ad illuminare la cupola del Duomo, i campanili e torri in detta sera. Fu disposto altresì perché alla "sacra solenne funzione" fosse invitato il Magistrato supremo ed altre Magistrature; e che fossero fatte premure al Generale comandante della Piazza, affinché egli intervenisse personalmente e con l'ufizialità di Stato maggiore, alla funzione stessa e di dare gli ordini per l'intervento, sulla Piazza della SS. Annunziata nel tempo della funzione, della truppa tanto francese che urbana "in quel numero, forma e modo che ad esso signor Generale parrà e piacerà".

E per dare un po' d'amaro dopo tutto quel dolce, il Magistrato tornò subito sull'affare del padiglione della "Loggia de'Lanzi" ordinato dalla già Regina reggente per la Festa degli Omaggi, onde cercare d'intenerire il nuovo governo francese ad esonerare la Comunità da quella spesa. La risposta non si fece aspettare, e fu breve e chiara. "Si stia all'ordine del 25 giugno 1807 (quello della reggente) ed il senatore soprassindaco ne procuri il pronto adempimento". Stette fresco il Magistrato!

Poi, per amore o per forza, si cominciò di nuovo a spendere per gli alloggi delle truppe francesi, che eran tornate a occupare Firenze. E come se queste maggiori spese non bastassero, vi fu quella dei lavori occorrenti al Palazzo Riccardi, che fu scelto come sede dal generale De Moulin; 77 scudi ai fratelli Salvetti, chincaglieri, per quattro paia di candelabri a tre lumi di plaqué d'argento per uso del generale; altri 4 scudi a Giovan Pietro Peratoner per cinque dozzine di foglie per candelieri, sempre in servizio del generale.

Il 20 marzo 1808 fu comunicato al Magistrato un ordine dell'Amministratore generale della Toscana, Dauchy, di riunirsi in Palazzo Vecchio per recarsi col generale di divisione Fiorella, comandante la truppa toscana, in compagnia del decano ed auditori dell'Alma Ruota Fiorentina, del Magistrato superiore, di quello de'Pupilli, dei Presidenti del Buon Governo, del Supremo tribunale di giustizia e di otto individui scelti fra la classe degli avvocati per portarsi sotto la Loggia de'Lanzi ad assistere alla lettura del Decreto Imperiale relativo alla pubblicazione da farsi in Toscana del Codice Napoleone, da andare in vigore il 1° maggio. La promulgazione del detto Codice fu fatta solennemente per mezzo d'uno dei pubblici banditori, montato sopra un pulpito, alla presenza di numeroso popolo e dei corpi militari sì di cavalleria che d'infanteria schierati su detta piazza. Il 22 marzo i signori Priori in nome del Magistrato si riunirono "nel Palazzo del loro signor Gonfaloniere" per dare una dimostrazione di giubbilo per l'arrivo in questa città di S. E. il Prefetto del Dipartimento e di tutte le primarie autorità costituite, "in segno dell'esultanza e del rispetto che il Magistrato medesimo professava a detto signor Prefetto". Fu altresì ordinato che in detta sera fosse illuminato il teatro della Pergola a spese della Comunità qualora l'Accademia dei signori Immobili "non volesse prestarsi a tale spesa". Stanziarono 240 scudi per trenta doti di 8 scudi l'una ad altrettante ragazze, e di più si assunsero la spesa occorrente "per il vestiario uniforme" da farsi a ciascuna di dette ragazze in occasione della pubblica comparsa che dovevano fare sotto la Loggia dei Lanzi e del pubblico pranzo che dovevano "ricevere in detto luogo in un giorno da destinarsi".

E siccome la Comunità spendeva tanti denari inutili, per la falsa "dimostrazione di giubbilo" di un cambiamento che subiva ma che non aveva desiderato, così, fu ordinato "che gli alloggi anco dei semplici soldati fossero a carico degli abitanti (a meno che non preferissero di pagar la quota loro spettante in contanti) con quelli utensili e provviste che devono accordarsi a tutti i militari, concedendo ai medesimi tutte le opportune facoltà di eseguire quanto sopra, nel miglior modo possibile".

Dal 17 maggio 1808 non si parla più del gonfaloniere Guadagni, perché la Comunità fu riformata alla francese.

La prima adunanza del nuovo Consiglio comunale ebbe luogo il 28 ottobre 1808, nella sala dei Dugento in Palazzo Vecchio.

Il 24 marzo 1809 il Consiglio comunale si adunò "per affari interessanti". In quell'adunanza fu data lettura d'una lettera del Prefetto che invitava il signor Maire "a far costruire (sic) nel Consiglio municipale un ringraziamento a S. M. I. e R. per il favor segnalato fatto alla Toscana riunendo i tre nuovi dipartimenti in Granducato, affidandone il Governo alla sua augusta sorella, la principessa Elisa".

Ma siccome non si vedevano che manifesti, editti e lettere scritte in francese, questa cosa urtò la suscettibilità della popolazione, che per mezzo di don Neri Corsini, residente toscano a Parigi, fece sentire, remissivamente, le sue lagnanze "con la veduta di favorire la quinta impressione del Vocabolario di nostra armoniosa favella". L'effetto di questa rimostranza, fu la emanazione di un decreto di Napoleone, datato dal Palazzo delle Tuileries, 9 aprile 1809, col quale si stabiliva come una grazia speciale di poter parlare nella nostra lingua.

Il decreto diceva:

"La lingua italiana potrà essere impiegata in Toscana a concorrenza colla lingua francese, nei tribunali, negli atti passati davanti notari e nelle scritture private".

E per abbondare nella benevolenza continuava:

"Noi abbiamo fondato e fondiamo col presente decreto - diceva Napoleone, che con quel decreto pareva facesse miracoli - un premio annuale di 500 napoleoni, i di cui fondi saranno fatti dalla nostra lista civile e che verrà dato secondo il rapporto che ci sarà fatto, agli autori le cui opere contribuiranno con maggiore efficacia a mantenere la lingua italiana in tutta la sua purezza".

Nell'adunanza del 20 ottobre 1809 fu stabilito che per solennizzare ogni anno l'anniversario della incoronazione di S. M. l'imperatore e della battaglia d'Austerlitz, venisse stanziata la somma di 600 franchi per dotarsi una fanciulla onesta e povera, affinché potesse scegliersi lo sposo a imitazione della Rosière de'Salency. E nel 25 novembre "fu nominata Rosiera" a pieni voti la fanciulla onesta Maria Antonia Corti, d’anni 23, orfana, domiciliata in Firenze in Borgo Tegolaia, di professione tessitrice di nastri e felpe.

Questa istituzione a causa degli eventi, non durò che cinque anni; e così nel 1810 fu nominata Rosiera Maria Luisa Caterina del fu Andrea Papi, del popolo di San Lorenzo, domiciliata in Firenze in via Faenza, al n. 4709;

nel 1811 la fanciulla Barbera Allori, del popolo di San Frediano, domiciliata in via dell'Orto, al n. 3205;

nel 1812 la fanciulla Ester Paoletti, dimorante in Borgo San Frediano, al n. 3293;

nel 1813 Regina Maria Maddalena Mandò, dimorante in piazza di Sant'Ambrogio, al n. 7017.

Il 15 dicembre fu deliberato di stanziare la somma di dodicimila franchi per dare "una festa da ballo nel gran salone di Palazzo Vecchio" per solennizzare la fausta ricorrenza del giorno onomastico di S. A. I. e R. la Granduchessa di Toscana. E per riconoscenza di tale dimostrazione, una delle prime spese imposte alla Comunità dalla granduchessa Baciocchi, fu quella, pareva oramai una fatalità!, di 21,000 franchi per l'addobbo della loggia dell'Orcagna in occasione della Festa degli Omaggi, come si continuava a chiamare con una certa ostentazione, la festa di San Giovanni.

Pareva proprio che le donne destinate da Napoleone all'onore del trono, si dessero la mano per far sprecare tanti denari nel padiglione sotto il quale sfoggiavano la loro autorità!

La signora Baciocchi però, per quanto risguardava le leggi, non aveva facoltà di modificarne o di promulgarne alcuna. Certe cose le faceva da sé il suo augustissimo fratello, il quale, di quando in quando, lusingava l'amor proprio dei fiorentini perché stessero zitti. Uno di questi colpi di scena Napoleone lo fece il 9 gennaio 1811 col decreto che ristabiliva l'antica Accademia della Crusca "particolarmente incaricata della revisione del dizionario della lingua italiana, e della conservazione della purità della lingua medesima".

Per gli accademici fu stabilito un assegno annuo di 800 franchi; di 1000 franchi agli incaricati della compilazione del dizionario; e di 1200 al segretario.

11 22 gennaio 1813 alcuni membri del Consiglio Comunale per richiamare alla memoria i fatti inseriti nel pubblico giornale del Dipartimento usarono queste parole: "che la capitale dell'Impero, penetrata da giusta indignazione contro il tradimento del generale prussiano, e sviluppando nelle attuali circostanze di una guerra contro i nemici del riposo d'Europa i sentimenti di amore verso il nostro Augusto Sovrano, aveva offerto un reggimento di 500 uomini di cavalleria e con vero patriottico entusiasmo ha dichiarato che verun sacrifizio non le sarebbe costoso per sostenere l'onore nazionale, lusingandosi non senza ragione che il di lei esempio sarebbe seguitato da tutte le buone e fedeli città dell'impero, per rimettere in piede una imponente cavalleria volontaria in riparo della perdita occasionata dalle intemperie del clima". Dicevano inoltre, che Firenze, come una delle buone città, non poteva essere delle ultime ad imitare il luminoso esempio della buona città di Parigi, e a dimostrare il suo zelo ed attaccamento verso l'eroe, che in tanti incontri aveva contraddistinta la sua affezione con segnalati benefizi, domandavano che si facesse un indirizzo a S. M. I. e R. supplicandola ad accettare l'offerta di cinquanta cavalieri armati ed equipaggiati.

Il sottoprefetto, incaricato dal prefetto dell'Arno di presiedere il "Corpo municipale di Firenze" prese la parola per dimostrare agli adunati tutto il piacere che provava di trovarsi in mezzo ad essi "i di cui lumi (diceva enfaticamente il sottoprefetto) vi hanno sempre distinto nel quadro dei cittadini più scelti"!

Quindi, dopo aver dimostrato che se la capitale della Toscana "era meno ricca e meno popolosa di quella immensa metropoli che è Parigi, non l'avrebbe ceduta ad essa in devozione verso S. M., ed avrebbe saputo mostrare di essere degna di far parte " di quella gran famiglia che il più grande di tutti gli eroi ha salutato il primo col titolo di grande Nazione"!

"Fiorentini! - esclamò più che mai incalorito il sottoprefetto come se credesse a quanto egli stesso diceva - Fiorentini! Voi che siete distinti e sì celebri per le arti e per le scienze... Voi, che per sì illustri titoli siete stati chiamati gli ateniesi dell'Italia, ecco l'occasione in cui potete mostrare di meritare questo nome sul rapporto ancora del valore e dell'onore nazionale".

Dopo aver tirato in ballo perfino Lorenzo de'Medici, il sottoprefetto conchiuse: "La città di Firenze cosa può far meno che dare in tale occasione cinquanta cavalieri equipaggiati"? E come se nelle condizioni in cui si trovava il Comune l'equipaggiare lì per lì cinquanta cavalieri per mostrarsi i fiorentini i veri ateniesi d'Italia fosse una cosa da nulla, con la solita burbanza il sottoprefetto disse che, quella offerta era da considerarsi "come la più debole espressione dell'attaccamento il più inviolabile" che Firenze nutriva per il suo Sovrano!

Per colmo di gentilezza, il sottoprefetto esclamò: "Nella mia qualità di Presidente propongo che sia nominata una Commissione a seduta permanente, la quale componga un indirizzo a S. M. onde supplicarla ad accettare il numero precitato di cinquanta cavalli"!

Fu sul momento nominata una Commissione composta dello stesso sottoprefetto, del maire Angiolo Mezzeri, Pietro Torrigiani, Spinello Spinelli, Amerigo Marzi Medici e Alberti con l'incarico di redigere lo spontaneo manifesto che il sottoprefetto aveva proposto, e anche per trovare il modo di pagare l'equipaggiamento dei cinquanta cavalieri.

L'adunanza fu sospesa per riprendersi la sera, onde compilare il famoso indirizzo. Il sottoprefetto però mise fuori lui il progetto d'indirizzo che aveva già preparato, se non gli venne direttamente da Parigi, e che lesse agli adunati i quali, non c'è bisogno di dirlo, lo applaudirono e l'approvarono mezzi pazzi dalla gioia, non fosse altro per vedersi risparmiata la fatica di compilarlo, nonostante che fossero stati nominati apposta!

L'indirizzo fu questo, che val la pena di riprodurre tale e quale, come documento del tempo.

Sire!

Non presagivano, o Sire, i Vostri nemici, cui più assai che il valore del braccio e i calcoli profondi e combinati del genio accordò un'ombra di fuggitiva vittoria, l'aver per alleati un suolo ospitale e deserto, un Cielo tetro ed inclemente. No! che nella Loro stolta e cieca ferocia non presagivano che questa sarebbe stata l'epoca del Vostro più splendido e più gradito trionfo.

E qual altro momento, Sire, aveste giammai più caro e più bello pel Vostro cuore di quello, in cui l'onore dei Vostri sudditi, assiepandosi intorno a quel Trono incrollabile, che il Vostro valore inalzò, che il Vostro genio trascendente sostiene con uno slancio universale e spontaneo, sembra chiedervi a grandi grida il diritto di sviluppare senza conoscere misure o confini, tutte quante pur sono le forze immense del Vostro Impero di offrirvi tutti gli inesausti suoi mezzi, e di sottoporsi, ove l'uopo lo chiegga, anche a tutti i sacrifizi, che il Vostro cuore vorrebbe pur risparmiare, onde fare alta, pronta ed immancabile vendetta dei disastri, cui per l'inclemenza della stagione e del clima, e per la barbarie inconcepibile e rivoltante di un nemico, che festeggia ed illumina i suoi trionfi con l'incendio delle sue capitali, la Vostra Nordica armata non ha guari soggiacque!

Questa Epoca grandiosa, perché gravida certamente di nuove Glorie per Voi, schiude agli occhi di V. M. uno spettacolo commovente per un lato ed imponente per l'altro, lo spettacolo cioè dell'amore che meritate, della forza che possedete. In mezzo a questo toccante e sublime spettacolo, i Vostri occhi Paterni non ricercheranno indarno i Vostri sudditi Toscani.

La Vostra buona Città di Firenze, su cui versaste a piene mani i favori, cui conservaste l'antico non deturpato tesoro della sua lingua, avrebbe creduto di essere ingrata se fosse stata l'ultima a comparire e distinguersi in questa gara di sforzi e di amore a farvi conoscere da quale alto e profondo senso di sdegno è stata all'Istoria dei Nordici tradimenti compresa, e a domandarvi, insomma, di dividere con le altre buone Vostre Città l'onore di offrirvi un drappello di eletti Cavalieri, che somiglino in valore quelli, che Ella formava nei tempi, in cui Ella era l'Atene di Italia, non meno pella cultura delle Lettere, che pello splendore delle sue Vittorie.

Armando il braccio di questi Giovani Cavalieri, Noi diremo Loro quanta messe di gloria possano, da Voi guidati, raccogliere, ed esigeremo da Essi sull'Altare della Patria il Sacramento Solenne di spargere tutto il Loro sangue per Voi, e per vendicare e punire l'onta e l'obbrobrio del più vile, del più inaspettato dei tradimenti, che l'Istoria dei Generali ribelli abbia offerto giammai.

Se il Vostro braccio formidabile e poderoso, operando con piccoli mezzi talvolta grandissimi fatti, ha sbalordito i contemporanei con una serie prolungata d'inauditi prodigi, che potranno per avventura sembrare ai posteri favolosi, quali auspicati successi non dobbiamo dal Vostro Olimpico genio sperare oggi, che la tenera devozione dei Vostri sudditi tante forze, e tanti mezzi a Vostra disposizione dispiega!

Ah sì! questi augurii, o Sire, che sono su i labbri e nel cuore di tutti quelli che governate, non torneranno vani. Le Nostre speranze, i Nostri voti, come il Nostro amore, sono tutti in Voi e per Voi, che spingendoci agli alti destini, cui le Vostre sublimi concezioni vi chiamano, fiaccherete in istanti il burbante effimero orgoglio d'uno sciame insolente di schiavi e di Sciti, e mostrerete con nuove meraviglie all'Europa e alla perfida e dispettosa Albione, che sotto la guida di un abile Capitano e di un Gran Monarca, potente pell'amore dei suoi sudditi, ugualmente che per la forza immensa delle sue Armi, una perdita momentanea non fa che preparare dei Trionfi brillanti e durevoli.

Non s'è mai sentito nulla di più tronfio, di più esagerato, di più fanfarone!

E i rappresentanti della città non ebbero a far altro che chinar la testa, figurar d'esser contenti come pasque, e firmarlo!

Una delle pochissime deliberazioni prese dal Magistrato nel vero interesse di Firenze, fu quella del 17 marzo 1813, risguardante il pubblico incanto della Biblioteca Riccardiana, la quale, con sentenza del tribunale del dì 3 marzo, era stata aggiudicata ad una società di librai per il prezzo di novantottomila franchi.

Il Magistrato, restò impressionato, e non a torto, da questo fatto, che toglieva a Firenze "il prezioso deposito di libri e manoscritti che arricchiscono la detta Biblioteca", come aveva già deplorato il Corpo municipale fino dal 6 luglio 1812; e sentito che la società dei librai Molini, Landi, Piatti, Pagani e Tondini si contentava di un guadagno di diecimila franchi, e così la spesa totale sarebbe ascesa fra carte, spese di registro e di tribunale a franchi110,698, "il Consiglio, considerando che non vi può essere un mezzo più plausibile ed efficace per assicurare alla città di Firenze i monumenti di scienza a vantaggio dell'istruzione pubblica desiderati tanto dall'Imperiale Accademia della Crusca quanto dal voto generale dei dotti e letterati, stabilì di proporre al Ministero dell'Interno l'acquisto (che fu poi debitamente e legalmente approvato) della Biblioteca Riccardiana, impegnando i fondi disponibili sul bilancio del 18I2".

Quindi, come se l'unica cosa fatta proprio nell'interesse di Firenze dovesse esser subito scontata, il Consiglio, nell'adunanza del 13 maggio, fu costretto a considerare che essendo la città di Firenze il centro della Toscana, e che la residenza della Corte di S. A. I. e R. Madama la Granduchessa e di molte principali autorità che non esistono in altri dipartimenti sono tutte ragioni che l'obbligano ad un'attiva ed estesa polizia, fu stanziata la somma di 19,000 franchi per l'esercizio di una polizia vigilante.

Ma intanto il tempo passava e il corpo di cinquanta cavalieri equipaggiati da offrirsi all'Imperatore non si metteva assieme, perché nessuno correva ad arruolarsi volontario. E nella seduta del 21 maggio si fu costretti a imporre un supplemento di 3500 franchi per provvedere a completare l'equipaggiamento dei cinquanta cavalieri e il reparto della spesa fu fatto tra i soliti contribuenti "descritti nei ruoli primitivi" vale a dire quelli stessi che in tutte le occasioni, quando si trattava di pagare, eran sempre cercati. Il più bello fu, che per mettere insieme i cinquanta guerrieri bisognò ricorrere ai coscritti!…

Finalmente, tutto questo tramestìo di governi, di regnanti, di invasioni, d'oppressioni, di soperchieria, di insolenze e d'umiliazioni, che aveva sdegnato anche i più liberali, ebbe il suo termine; e pur troppo tutti si sentirono riavere al ritorno di Ferdinando III. Si tornò al Gonfaloniere che fu il marchese Girolamo Bartolommei, il quale, convocata il 6 luglio 1814 "la Magistratura civica di Firenze" notificò ad essa l'editto del 27 giugno precedente, col quale veniva ordinata la soppressione delle mairies e la ricostituzione della Magistratura civica.

  

  

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Ultimo Aggiornamento: 05/01/99 0.58