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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Filippo

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

 Isabella

Desio, timor, dubbia ed iniqua speme,

fuor del mio petto omai. – Consorte infida

io di Filippo, di Filippo il figlio

oso amar, io?... Ma chi 'l vede, e non l'ama?

Ardito umano cor, nobil fierezza,

sublime ingegno, e in avvenenti spoglie

bellissim'alma; ah! perché tal ti fero

natura e il cielo?... Oimè! che dico? imprendo

cosí a strapparmi la sua dolce immago

dal cor profondo? Oh! se palese mai

fosse tal fiamma ad uom vivente! Oh! s'egli

ne sospettasse! Mesta ognor mi vede...

Mesta, è vero, ma in un dal suo cospetto

fuggir mi vede; e sa che in bando è posta

da ispana reggia ogni letizia. In core

chi legger puommi? Ah! nol sapess'io, come

altri nol sa! Cosí ingannar potessi,

sfuggir cosí me stessa, come altrui!...

Misera me! sollievo a me non resta

altro che il pianto; ed il pianto è delitto. –

Ma, riportare alle piú interne stanze

vo' il dolor mio; piú libera... Che veggio?

Carlo? Ah! si sfugga: ogni mio detto o sguardo

tradir potriami: oh ciel! sfuggasi.

SCENA SECONDA

 

Carlo, Isabella

 

CARLO

Oh vista! –

Regina, e che? tu pure a me t'involi?

Sfuggi tu pure uno infelice oppresso?

ISABELLA

Prence...

CARLO

Nemica la paterna corte

mi è tutta, il so; l'odio, il livor, la vile

e mal celata invidia, entro ogni volto

qual maraviglia fia se impressa io leggo,

io, mal gradito al mio padre e signore?

Ma tu, non usa a incrudelir; tu nata

sotto men duro cielo, e non per anche

corrotta il core infra quest'aure inique;

sotto sí dolce maestoso aspetto

crederò che nemica anima alberghi

tu di pietade?

ISABELLA

Il sai, qual vita io tragga,

in queste soglie: di una corte austera

gli usi, per me novelli, ancor di mente

tratto non mi hanno appien quel dolce primo

amor del suol natio, che in noi può tanto.

So le tue pene, e i non mertati oltraggi

che tu sopporti; e duolmene...

CARLO

Ten duole?

Oh gioja! Or ecco, ogni mia cura asperge

di dolce oblio tal detto. E il dolor tuo

divido io pure; e i miei tormenti io spesso

lascio in disparte; e di tua dura sorte

piango; e vorrei...

ISABELLA

Men dura sorte avrommi,

spero, dal tempo: i mali miei non sono

da pareggiarsi a' tuoi; dolor sí caldo

dunque non n'abbi.

CARLO

In me pietá ti offende,

quando la tua mi è vita?

ISABELLA

In pregio hai troppo

la mia pietá.

CARLO

Troppo? ah! che dici? E quale,

qual havvi affetto, che pareggi, o vinca

quel dolce fremer di pietá, che ogni alto

cor prova in se? che a vendicar gli oltraggi

val di fortuna; e piú nomar non lascia

infelici color, che al comun duolo

porgon sollievo di comune pianto?

ISABELLA

Che parli?... Io, sí, pietá di te... Ma... oh cielo!...

Certo, madrigna io non ti son: se osassi

per l'innocente figlio al padre irato

parlar, vedresti...

CARLO

E chi tant'osa? E s'anco

pur tu l'osassi, a te sconviensi. Oh dura

necessità!... d'ogni sventura mia

cagion sei tu, benché innocente, sola:

eppur, tu nulla a favor mio...

ISABELLA

Cagione

io delle angosce tue?

CARLO

Sí: le mie angosce

principio han tutte dal funesto giorno,

che sposa in un data mi fosti, e tolta.

ISABELLA

De! che rimembri?... Passeggera troppo

fu quella speme.

CARLO

In me cogli anni crebbe

parte miglior di me: nudriala il padre;

quel padre sí, cui piacque romper poscia

nodi solenni...

ISABELLA

E che?...

CARLO

Suddito, e figlio

di assoluto signor, soffersi, tacqui,

piansi, ma in core; al mio voler fu legge

il suo volere: ei ti fu sposo: e quanto

io del tacer, dell'obbedir, fremessi,

chi 'l può saper, com'io? Di tal virtude

(e virtude era, e piú che umano sforzo)

altero in cor men giva, e tristo a un tempo.

Innanzi agli occhi ogni dover mio grave

stavami sempre; e s'io, pur del pensiero,

fossi reo, sallo il ciel, che tutti vede

i piú interni pensieri. In pianto i giorni,

le lunghe notti in pianto io trapassava:

che pro? l'odio di me nel cor del padre,

quanto il dolore entro al mio cor, crescea.

ISABELLA

L'odio non cape in cor di padre, il credi;

ma il sospetto bensí. L'aulica turba,

che t'odia, e del tuo spregio piú si adira

quanto piú il merta, entro al paterno seno

forse versò il sospetto...

CARLO

Ah! tu non sai,

qual padre io m'abbia: e voglia il ciel, che sempre

lo ignori tu! gli avvolgimenti infami

d'empia corte non sai: né dritto cuore

creder li può, non che pensarli. Crudo,

piú d'ogni crudo che dintorno egli abbia,

Filippo è quei che m'odia; egli dà norma

alla servil sua turba; ei d'esser padre,

se pure il sa, si adira. Io d'esser figlio

giá non oblio perciò; ma, se obliarlo

un dí potessi, ed allentare il freno

ai repressi lamenti; ei non mi udrebbe

doler, no mai, né dei rapiti onori,

né della offesa fama, e non del suo

snaturato inaudito odio paterno;

d'altro maggior mio danno io mi dorrei...

Tutto ei mi ha tolto il dí, che te mi tolse.

ISABELLA

Prence, ch'ei t'è padre e signor rammenti

sí poco?...

CARLO

Ah! scusa involontario sfogo

di un cor ripieno troppo: intera aprirti

l'alma pria d'or, mai nol potea..

ISABELLA

Né aprirla

tu mai dovevi a me; né udir...

CARLO

T'arresta;

deh! se del mio dolore udito hai parte,

odilo tutto. A dir mi sforza...

ISABELLA

Ah! taci;

lasciami.

CARLO

Ahi lasso! Io tacerò; ma, ho quanto

a dir mi resta! Ultima speme...

ISABELLA

E quale

speme ha, che in te non sia delitto?

CARLO

... Speme,...

che tu non m'odj.

ISABELLA

Odiarti deggio, e il sai,...

se amarmi ardisci.

CARLO

Odiami dunque; innanzi

al tuo consorte accusami tu stessa...

ISABELLA

Io profferire innanzi al re il tuo nome?

CARLO

Sí reo m'hai tu?

ISABELLA

Sei reo tu solo?

CARLO

In core

dunque tu pure?...

ISABELLA

Ahi! che diss'io?... Me lassa!...

O troppo io dissi, o tu intendesti troppo.

Pensa, deh! chi son io; pensa, chi sei.

L'ira del re mertiamo; io, se ti ascolto;

tu, se prosiegui.

CARLO

Ah! se in tuo cor tu ardessi,

com'ardo e mi struggo io; se ad altri in braccio

ben mille volte il dí l'amato oggetto

tu rimirassi: ah! lieve error diresti

lo andar seguendo il suo perduto bene;

e sbramar gli occhi; e desiar talvolta,

qual io mi fo, di pochi accenti un breve

sfogo innocente all'affannato core.

ISABELLA

Sfuggimi, deh!... Queste fatali soglie,

fin ch'io respiro, anco abbandona; e fia

per poco...

CARLO

Oh cielo! E al genitor sottrarmi

potrei cosí? Fallo novel mi fora

la mal tentata fuga: e assai giá falli

mi appone il padre. Il solo, ond'io son reo,

nol sa.

ISABELLA

Nol sapess'io!

CARLO

Se in ciò ti offesi,

ne avrai vendetta, e tosto. In queste soglie

lasciami: a morte se il duol non mi tragge,

l'odio, il rancor mi vi trarrá del padre,

che ha in se giurato, entro al suo cor di sangue,

il mio morire. In questa orribil reggia,

pur cara a me poiché ti alberga, ah! soffri,

che l'alma io spiri a te dappresso...

ISABELLA

Ahi vista!...

Finché qui stai, per te pur troppo io tremo.

Presaga in cor del tristo tuo destino

una voce mi suona... – Odi; la prima,

e in un di amor l'ultima prova è questa,

ch'io ti chieggio, se m'ami; al crudo padre

sottratti.

CARLO

Oh donna!... ell'è impossibil cosa.

ISABELLA

Sfuggi me dunque, or piú di pria. Deh! serba

mia fama intatta, e serba in un la tua.

Scolpati, sí, delle mentite colpe,

onde ti accusa invida rabbia: vivi,

io tel comando, vivi. Illesa resti

la mia virtú con me: teco i pensieri,

teco il mio core, e l'alma mia, mal grado

di me, sian teco: ma de' passi miei

perdi la traccia; e fa', ch'io piú non t'oda,

mai piú. Del fallo è testimon finora

soltanto il ciel; si asconda al mondo intero;

a noi si asconda: e dal tuo cor ne svelli

fin da radice il sovvenir,... se il puoi.

CARLO

Piú non mi udrai? mai piú?....([1])


([1]) Volendola seguire; ella assolutamente glie lo vieta.

SCENA TERZA

 

 Carlo.

Me lasso!... Oh giorno!...

Cosí mi lascia?... Oh barbara mia sorte!

Felice io sono, e misero, in un punto...

SCENA QUARTA

Carlo, Perez. 

 

PEREZ

Su l'orme tue, signor... Ma, oh ciel! turbato

donde sei tanto? oh! che mai fia? sei quasi

fuor di te stesso... Ah! parla; al dolor tuo

mi avrai compagno. – Ma, tu taci? Al fianco

non ti crebb'io da' tuoi piú teneri anni?

Amico ognor non mi nomasti?...

CARLO

Ed osi

in questa reggia profferir tal nome?

Nome ognor dalle corti empie proscritto,

bench'ei spesso vi s'oda. A te funesta,

a me non util, fora omai tua fede.

Cedi, cedi al torrente; e tu pur segui

la mobil turba; e all'idolo sovrano

porgi con essa utili incensi e voti.

PEREZ

Deh! no, cosí non mi avvilir: me scevra

dalla fallace turba: io... Ma che vale

giurar qui fe? qui, dove ogni uom la giura,

e la tradisce ogni uomo. Il cor, la mano

poni a piú certa prova. Or di'; qual debbo

per te affrontar periglio? ov'è il nemico

che piú ti offende? parla.

CARLO

Altro nemico

non ho, che il padre; che onorar di un tanto

nome i suoi vili or non vogl'io, né il deggio.

Silenzio al padre, agli altri sprezzo oppongo.

PEREZ

Ma, non sa il vero il re: non giusto sdegno

contro a te quindi in lui si accende; e ad arte

altri vel desta. In alto suono, io primo,

io gliel dirò per te...

CARLO

Perez, che parli?

Piú che non credi, il re sa il ver; lo abborre

piú ch'ei nol sa: né in mio favore egli ode

voce nessuna...

PEREZ

Ah! di natura è forza,

ch'ei l'oda.

CARLO

Chiuso inaccessibil core

di ferro egli ha. Le mie difese lascia

alla innocenza; al ciel, che pur talvolta

degnarla suol di alcun benigno sguardo.

Intercessor, s'io fossi reo, te solo

non sdegnerei: qual di amistade prova

darti maggior poss'io?

PEREZ

Del tuo destino

(e sia qual vuolsi) entrar deh! fammi a parte;

tant'io chieggo, e non piú: qual altro resta

illustre incarco in cosí orribil reggia?

CARLO

Ma il mio destin, (qual ch'egli sia) nol sai,

ch'esser non può mai lieto?

PEREZ

Amico tuo,

non di ventura, io sono. Ah! s'è pur vero,

che il duol diviso scemi, avrai compagno

inseparabil me d'ogni tuo pianto.

CARLO

Duol, che a morir mi mena, in cor rinserro;

alto dolor, che pur mi è caro. Ahi lasso!...

Che non tel posso io dire?... Ah! no, non cerco,

né v'ha di te piú generoso amico:

e darti pur di amistá vera un pegno,

coll'aprirti il mio core, oh ciel! nol posso.

Or va; di tanta, e sí mal posta fede,

che ne trarresti? Io non la merto: ancora

tel ridico, mi lascia. Atroce fallo

non sai, ch'è il serbar fede ad uom, cui serba

odio il suo re?

PEREZ

Ma, tu non sai, qual sia

gloria, a dispetto d'ogni re, il serbarla.

Ben mi trafiggi, ma non cangi il core,

col dubitar di me. Tu dentro al petto

mortal dolor, che non puoi dirmi, ascondi?

Saper nol vo'. Ma s'io ti chieggio, e bramo,

che a morir teco il tuo dolor mi tragga,

duramente negarmelo potresti?

CARLO

Tu il vuoi, tu dunque? ecco mia destra; infausto

pegno a te dono di amistade infausta.

Te compiango; ma omai del mio destino

piú non mi dolgo; e non del ciel, che largo

m'è di sí raro amico. Oh quanto io sono,

quanto infelice io men di te, Filippo!

Tu, di pietá piú che d'invidia degno,

tra pompe vane e adulazion mendace,

santa amistá non conoscesti mai.


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 23.55

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