CARLO |
Oh vista!
Regina, e che? tu pure a me t'involi?
Sfuggi tu pure uno infelice oppresso? |
ISABELLA |
Prence... |
CARLO |
Nemica la paterna
corte
mi è tutta, il so; l'odio, il livor, la
vile
e mal celata invidia, entro ogni volto
qual maraviglia fia se impressa io leggo,
io, mal gradito al mio padre e signore?
Ma tu, non usa a incrudelir; tu nata
sotto men duro cielo, e non per anche
corrotta il core infra quest'aure inique;
sotto sí dolce maestoso aspetto
crederò che nemica anima alberghi
tu di pietade? |
ISABELLA |
Il sai, qual
vita io tragga,
in queste soglie: di una corte austera
gli usi, per me novelli, ancor di mente
tratto non mi hanno appien quel dolce
primo
amor del suol natio, che in noi può
tanto.
So le tue pene, e i non mertati oltraggi
che tu sopporti; e duolmene... |
CARLO |
Ten duole?
Oh gioja! Or ecco, ogni mia cura asperge
di dolce oblio tal detto. E il dolor tuo
divido io pure; e i miei tormenti io
spesso
lascio in disparte; e di tua dura sorte
piango; e vorrei... |
ISABELLA |
Men dura sorte
avrommi,
spero, dal tempo: i mali miei non sono
da pareggiarsi a' tuoi; dolor sí caldo
dunque non n'abbi. |
CARLO |
In me pietá ti
offende,
quando la tua mi è vita? |
ISABELLA |
In pregio hai
troppo
la mia pietá. |
CARLO |
Troppo? ah! che dici? E quale,
qual havvi affetto, che pareggi, o vinca
quel dolce fremer di pietá, che ogni
alto
cor prova in se? che a vendicar gli
oltraggi
val di fortuna; e piú nomar non lascia
infelici color, che al comun duolo
porgon sollievo di comune pianto? |
ISABELLA |
Che parli?... Io, sí, pietá di te... Ma...
oh cielo!...
Certo, madrigna io non ti son: se osassi
per l'innocente figlio al padre irato
parlar, vedresti... |
CARLO |
E chi tant'osa? E
s'anco
pur tu l'osassi, a te sconviensi. Oh dura
necessità!... d'ogni sventura mia
cagion sei tu, benché innocente, sola:
eppur, tu nulla a favor mio... |
ISABELLA |
Cagione
io delle angosce tue? |
CARLO |
Sí: le mie
angosce
principio han tutte dal funesto giorno,
che sposa in un data mi fosti, e tolta. |
ISABELLA |
De! che rimembri?... Passeggera troppo
fu quella speme. |
CARLO |
In me cogli anni
crebbe
parte miglior di me: nudriala il padre;
quel padre sí, cui piacque romper poscia
nodi solenni... |
ISABELLA |
E che?... |
CARLO |
Suddito, e
figlio
di assoluto signor, soffersi, tacqui,
piansi, ma in core; al mio voler fu legge
il suo volere: ei ti fu sposo: e quanto
io del tacer, dell'obbedir, fremessi,
chi 'l può saper, com'io? Di tal virtude
(e virtude era, e piú che umano sforzo)
altero in cor men giva, e tristo a un
tempo.
Innanzi agli occhi ogni dover mio grave
stavami sempre; e s'io, pur del pensiero,
fossi reo, sallo il ciel, che tutti vede
i piú interni pensieri. In pianto i
giorni,
le lunghe notti in pianto io trapassava:
che pro? l'odio di me nel cor del padre,
|
ISABELLA |
L'odio non cape in cor di padre, il credi;
ma il sospetto bensí. L'aulica turba,
che t'odia, e del tuo spregio piú si
adira
quanto piú il merta, entro al paterno
seno
forse versò il sospetto... |
CARLO |
Ah! tu non sai,
qual padre io m'abbia: e voglia il ciel,
che sempre
lo ignori tu! gli avvolgimenti infami
d'empia corte non sai: né dritto cuore
creder li può, non che pensarli. Crudo,
piú d'ogni crudo che dintorno egli
abbia,
Filippo è quei che m'odia; egli dà
norma
alla servil sua turba; ei d'esser padre,
se pure il sa, si adira. Io d'esser
figlio
giá non oblio perciò; ma, se obliarlo
un dí potessi, ed allentare il freno
ai repressi lamenti; ei non mi udrebbe
doler, no mai, né dei rapiti onori,
né della offesa fama, e non del suo
snaturato inaudito odio paterno;
d'altro maggior mio danno io mi dorrei...
|
ISABELLA |
Prence, ch'ei t'è padre e signor rammenti
sí poco?... |
CARLO |
Ah! scusa
involontario sfogo
di un cor ripieno troppo: intera aprirti
l'alma pria d'or, mai nol potea.. |
ISABELLA |
Né aprirla
tu mai dovevi a me; né udir... |
CARLO |
T'arresta;
deh! se del mio dolore udito hai parte,
odilo tutto. A dir mi sforza... |
ISABELLA |
Ah! taci;
lasciami. |
CARLO |
Ahi lasso! Io
tacerò; ma, ho quanto
a dir mi resta! Ultima speme... |
ISABELLA |
E quale
speme ha, che in te non sia delitto? |
CARLO |
... Speme,...
che tu non m'odj. |
ISABELLA |
Odiarti deggio, e
il sai,...
se amarmi ardisci. |
CARLO |
Odiami dunque;
innanzi
al tuo consorte accusami tu stessa... |
ISABELLA |
Io profferire innanzi al re il tuo nome? |
CARLO |
Sí reo m'hai tu? |
ISABELLA |
Sei reo tu solo? |
CARLO |
In core
dunque tu pure?... |
ISABELLA |
Ahi! che
diss'io?... Me lassa!...
O troppo io dissi, o tu intendesti
troppo.
Pensa, deh! chi son io; pensa, chi sei.
L'ira del re mertiamo; io, se ti ascolto;
tu, se prosiegui. |
CARLO |
Ah! se in tuo
cor tu ardessi,
com'ardo e mi struggo io; se ad altri in
braccio
ben mille volte il dí l'amato oggetto
tu rimirassi: ah! lieve error diresti
lo andar seguendo il suo perduto bene;
e sbramar gli occhi; e desiar talvolta,
qual io mi fo, di pochi accenti un breve
sfogo innocente all'affannato core. |
ISABELLA |
Sfuggimi, deh!... Queste fatali soglie,
fin ch'io respiro, anco abbandona; e fia
per poco... |
CARLO |
Oh cielo! E al
genitor sottrarmi
potrei cosí? Fallo novel mi fora
la mal tentata fuga: e assai giá falli
mi appone il padre. Il solo, ond'io son
reo,
nol sa. |
ISABELLA |
Nol sapess'io! |
CARLO |
Se in ciò ti
offesi,
ne avrai vendetta, e tosto. In queste
soglie
lasciami: a morte se il duol non mi
tragge,
l'odio, il rancor mi vi trarrá del
padre,
che ha in se giurato, entro al suo cor di
sangue,
il mio morire. In questa orribil reggia,
pur cara a me poiché ti alberga, ah!
soffri,
che l'alma io spiri a te dappresso... |
ISABELLA |
Ahi vista!...
Finché qui stai, per te pur troppo io
tremo.
Presaga in cor del tristo tuo destino
una voce mi suona... Odi; la
prima,
e in un di amor l'ultima prova è questa,
ch'io ti chieggio, se m'ami; al crudo
padre
sottratti. |
CARLO |
Oh donna!...
ell'è impossibil cosa. |
ISABELLA |
Sfuggi me dunque, or piú di pria. Deh!
serba
mia fama intatta, e serba in un la tua.
Scolpati, sí, delle mentite colpe,
onde ti accusa invida rabbia: vivi,
io tel comando, vivi. Illesa resti
la mia virtú con me: teco i pensieri,
teco il mio core, e l'alma mia, mal grado
di me, sian teco: ma de' passi miei
perdi la traccia; e fa', ch'io piú non
t'oda,
mai piú. Del fallo è testimon finora
soltanto il ciel; si asconda al mondo
intero;
a noi si asconda: e dal tuo cor ne svelli
fin da radice il sovvenir,... se il puoi. |
CARLO |
Piú non mi udrai? mai piú?....([1]) |
([1]) Volendola
seguire; ella assolutamente glie lo vieta.
|
PEREZ |
Su l'orme tue, signor... Ma, oh ciel!
turbato
donde sei tanto? oh! che mai fia? sei
quasi
fuor di te stesso... Ah! parla; al dolor
tuo
mi avrai compagno. Ma, tu taci? Al
fianco
non ti crebb'io da' tuoi piú teneri
anni?
Amico ognor non mi nomasti?... |
CARLO |
Ed osi
in questa reggia profferir tal nome?
Nome ognor dalle corti empie proscritto,
bench'ei spesso vi s'oda. A te funesta,
a me non util, fora omai tua fede.
Cedi, cedi al torrente; e tu pur segui
la mobil turba; e all'idolo sovrano
porgi con essa utili incensi e voti. |
PEREZ |
Deh! no, cosí non mi avvilir: me scevra
dalla fallace turba: io... Ma che vale
giurar qui fe? qui, dove ogni uom la
giura,
e la tradisce ogni uomo. Il cor, la mano
poni a piú certa prova. Or di'; qual
debbo
per te affrontar periglio? ov'è il
nemico
che piú ti offende? parla. |
CARLO |
Altro nemico
non ho, che il padre; che onorar di un
tanto
nome i suoi vili or non vogl'io, né il
deggio.
Silenzio al padre, agli altri sprezzo
oppongo. |
PEREZ |
Ma, non sa il vero il re: non giusto sdegno
contro a te quindi in lui si accende; e
ad arte
altri vel desta. In alto suono, io primo,
io gliel dirò per te... |
CARLO |
Perez, che
parli?
Piú che non credi, il re sa il ver; lo
abborre
piú ch'ei nol sa: né in mio favore egli
ode
voce nessuna... |
PEREZ |
Ah! di natura è
forza,
ch'ei l'oda. |
CARLO |
Chiuso
inaccessibil core
di ferro egli ha. Le mie difese lascia
alla innocenza; al ciel, che pur talvolta
degnarla suol di alcun benigno sguardo.
Intercessor, s'io fossi reo, te solo
non sdegnerei: qual di amistade prova
darti maggior poss'io? |
PEREZ |
Del tuo destino
(e sia qual vuolsi) entrar deh! fammi a
parte;
tant'io chieggo, e non piú: qual altro
resta
illustre incarco in cosí orribil reggia? |
CARLO |
Ma il mio destin, (qual ch'egli sia) nol
sai,
ch'esser non può mai lieto? |
PEREZ |
Amico tuo,
non di ventura, io sono. Ah! s'è pur
vero,
che il duol diviso scemi, avrai compagno
inseparabil me d'ogni tuo pianto. |
CARLO |
Duol, che a morir mi mena, in cor rinserro;
alto dolor, che pur mi è caro. Ahi
lasso!...
Che non tel posso io dire?... Ah! no, non
cerco,
né v'ha di te piú generoso amico:
e darti pur di amistá vera un pegno,
coll'aprirti il mio core, oh ciel! nol
posso.
Or va; di tanta, e sí mal posta fede,
che ne trarresti? Io non la merto: ancora
tel ridico, mi lascia. Atroce fallo
non sai, ch'è il serbar fede ad uom, cui
serba
odio il suo re? |
PEREZ |
Ma, tu non sai,
qual sia
gloria, a dispetto d'ogni re, il
serbarla.
Ben mi trafiggi, ma non cangi il core,
col dubitar di me. Tu dentro al petto
mortal dolor, che non puoi dirmi,
ascondi?
Saper nol vo'. Ma s'io ti chieggio, e
bramo,
che a morir teco il tuo dolor mi tragga,
duramente negarmelo potresti? |
CARLO |
Tu il vuoi, tu dunque? ecco mia destra;
infausto
pegno a te dono di amistade infausta.
Te compiango; ma omai del mio destino
piú non mi dolgo; e non del ciel, che
largo
m'è di sí raro amico. Oh quanto io
sono,
quanto infelice io men di te, Filippo!
Tu, di pietá piú che d'invidia degno,
tra pompe vane e adulazion mendace,
santa amistá non conoscesti mai. |
|