C. Passiamo dunque al terzo quesito.
Divisione, e dichiarazione delle lingue
Quesito terzo
V. Delle lingue alcune sono nate in quel luogo proprio,
nel quale elle si favellano e queste chiameremo originali;
e alcune non vi sono nate, ma vi sono state portate
d'altronde; e queste chiameremo non originali. Delle
lingue alcune si possono scrivere; e queste chiameremo
articolate; e alcune non si possono scrivere; e queste
chiameremo non articolate. Delle lingue alcune sono
vive, e alcune sono non vive. Le lingue non vive sono di
due maniere, l'una delle quali chiameremo morte affatto,
e l'altra mezze vive. Delle lingue alcune sono nobili, e
alcune sono non nobili. Delle lingue alcune sono natie, e
queste chiameremo proprie, o nostrali; e alcune sono non
natie, e queste chiameremo aliene, e forestiere. Le lingue
forestiere sono di due ragioni; la prima chiameremo altre,
e la seconda diverse. Le lingue altre si dividono in due
spezie; la prima delle quali chiameremo semplicemente
altre, e la seconda non semplicemente altre. Le lingue
diverse si dividono medesimamente in due spezie; la
prima chiameremo diverse eguali, e la seconda diverse
diseguali.
C. Io vorrei lodare questa vostra divisine, ma non la
intendendo a mio modo, non posso a mio modo lodarla:
però arei caro, me lo dichiaraste, come avete fatto la
diffinizione, e più, se più potete.
V. Quelle lingue, le quali hanno avuto il Principio, e
origine loro in alcuna città, o regione, di maniera che non
vi sia memoria né quando, né come, né donde, né da chi
vi siano state portate, si chiamano originali di quella città,
o di quella regione, come dicono della lingua Greca,
e molti ancora della Latina: quelle poi, le quali si favellano
in alcun luogo, dove elle non abbiano avuto l'origine,
e principio loro, ma si sappia che vi siano state portate
d'altronde, si chiamano non originali, come fu non solo
alla Toscana, e a tutta Italia, dal Lazio in fuori, ma ancora
alle Spagne, e alla Francia la Lingua Latina, mentreche
non solo i Toscani, e gl'Italiani, ma i Franzesi ancora, e
gli Spaguoli favellavano nelle loro provincie Latinamente.
Lingue articolate si chiamano tutte quelle, che scrivere
si possono, le quali sono infinite: inarticolate quelle,
le quali scrivere non si possono, come ne sono molte
tra le nazioni barbare, e alcune tra quelle, che barbare
non sono, come quella, che usano nella Francia i Brettoni
Brettonanti, chiamati così, perché non hanno mai preso
la lingua Franzese, come gli altri Brettoni, ma si sono
mantenuti la loro antica, la quale si portarono in Brettagna,
chiamata poi Inghilterra, donde furono cacciati
coll'arme; e come nell'Italia la pura Genovese. Lingue
vive si chiamano tutte quelle, le quali da uno, o più popoli
naturalmente si favellano, come la Turca, la Schiavona,
l'Inghilese, la Fiamminga, la Francesca, la Spagnuola,
l'Italiana, e altre innumerabili. Lingue non vive si chiamano
quelle, le quali più da popolo nessuno naturalmente
non si favellano; e queste sono di due guise, perciocché
alcune non solo non si favellano più in alcun luogo
naturalmente, ma né ancora accidentalmente, non si potendo
elleno imparare, perché o non si trovano scritture
in esse, non essendo di loro altro rimaso che la memoria;
o se pure se ne truova alcune, non s'intendono, come è
avvenuto nella lingua Toscana antica, chiamata Etrusca,
la quale fu già tanto celebre; e queste chiameremo, come
nel vero sono, morte affatto. Alcune altre, sebbene non si
favellano naturalmente da alcun popolo in luogo nessuno,
si possono nondimeno imparare o da' maestri, o da'
libri, e poi favellarle, o scriverle, come sono la Greca, e
la Latina, e ancora la Provenzale; e queste così fatte chiameremo
mezze vive, perché dove quelle prime sono morte
e nella voce, e nelle scritture, non si favellando più, e
non s'intendendo, queste seconde sono morte nella vo-
ce solamente, perché se non si favellano, s'intendono da
chi apparare le vuole. Lingue nobili si chiamano quelle,
le quali non pure hanno scrittori o di prosa, o di versi, o
piuttosto dell'una, e degli altri, ma tali scrittori, che andando
per le mani, e per le bocche degli nomini, le rendono
illustri, e chiare, come fra le antiche furono la Greca,
e la Latina, e fra le moderne massimamente l'Italiana.
Non nobili si chiamano quelle le quali o non hanno scrittori
di sorte nessuna, o se pure n'hanno, non gli hanno
tali, che le facciano famose, e conte, e sieno non solo letti,
e lodati, ma ammirati, e imitati. Lingue natie, le quali
chiamiamo proprie, e nostrali, sono quelle le quali naturalmente
si favellano, cioè s'imparano senza porvi altro
studio, e quasi non se ne accorgendo, nel sentire favellare
le balie, le madri, i padri, e l'altre genti della contrada,
e quelle insomma, le quali si suol dire, che si succiano col
latte, e s'apprendono nella culla. Le lingue non natie, le
quali noi chiamiamo aliene, ovvero forestiere, sono quelle
le quali non si favellano naturalmente, ma s'apprendono
con tempo, e fatica, o da chi le insegna, o da chi le favella,
o da' libri; e queste sono di due guise, perciocché alcune
sono altre, e alcune sono diverse. Lingue altre si chiamano
tutte quelle, le quali noi non solo non favelliamo naturalmente,
ma né ancora l'intendiamo, quando le sentiamo
favellare; e tali sono a noi la Turca, l'Inghilese, la Tedesca,
e altre infinite, e queste sono di due ragioni, perciocché
alcune si chiamano semplicemente altre, e alcune,
non semplicemente altre: le semplicemente altre sono tutte
quelle, le quali non solamente non sono né favellate da
noi, né intese, quando altri le favella, ma né ancora hanno
che fare cosa del mondo colle nostre natie, come, oltra
le pur testé raccontate, l'Egizia, l'Indiana, l'Arabica, e
altre senza novero: non semplicemente altre si chiamano
quelle le quali, sebbene noi non le favelliamo, né intendiamo
naturalmente, hanno però grande autorità, e maggioranza
sopra le nostre natie, perché se non hanno dato loro l'essere, sono state buone cagioni che elle siano; e
tale è la Greca verso la Latina, e la Latina verso la Toscana,
conciossiacosaché come la Latina si può dire d'essere
discesa dalla Greca, essendosi arricchita di molte parole,
e di molti ornamenti di lei, così, anzi molto più, la Toscana
dalla Latina, benché la Toscana, quasi di due madri
figliuola, è molto obbligata ancora alla Provenzale: e
perché la lingua Franzese moderna, come ancora la Spagnuola,
sono, nel medesimo modo che la Toscana, dalla
Latina derivate, si potrebbono, nonostanteché siano
semplicemente altre, anzi si doverebbono, per questa cagione
chiamare sorelle, se non di padre, almeno di madre,
cioè uterine. Lingue diverse finalmente si chiamano
quelle le quali, sebbene naturalmente non le favelliamo,
nondimeno, quando altri le favella, sono per lo più intese
da noi: e queste anch'esse sono di due sorti, perché
alcune sono diverse eguali, e alcune diverse diseguali: diverse
eguali si chiamano quelle, le quali, sebbene non si
favellano, s'intendono però per lo più naturalmente da
noi, e oltra questo sono della medesima, o quasi medesima
nobiltà, cioè hanno scrittori famosi, e di pari, o quasi
pari grido, e degnità, come erano già quelle quattro nella
Grecia tanto nominate, e tanto celebrate lingue, Attica,
Dorica, Eolica, e Gionica: le diverse diseguali sono quelle
lingue, le quali avvengadioché non si favellino naturalmente
da noi, s'intendono però per la maggior parte, ma
non hanno già né la medesima, né la quasi medesima nobiltà,
o per non avere scrittori, o per non gli aver tali che
possano loro dare fama, e riputazione, quali sono la Bergamasca,
la Bresciana, la Vicentina, la Padovana, la Viniziana,
e brevemente, quasi tutte l'altre lingue Italiche,
verso la Fiorentina. Ora ripigliando da capo tutta questa
divisione, e faccendone, perché meglio la comprendiate,
e più agevolmente la ritenghiate nella memoria, quasi un
albero, diremo: Che le lingue sono: o originali, o non
originali; articolate, o non articolate; vive, o non vive: e
le non vive sono o morte affatto, o mezze vive; nobili, o
non nobili; natie, ovvero proprie, e nostrali; non natie,
ovvero aliene, e forestiere; se forestiere, o altre, o diverse;
se altre, o semplicemente altre, o non semplicemente
altre; se diverse, o diverse eguali, o diverse diseguali.
C. Che direste voi, che egli mediante questa divisione
mi par d'avere in non so che modo molte conosciuto
delle sofisterie, e fallacie del Castelvetro? Ma io non
la vi voglio lodare, se voi prima alcuni dubbj non mi
sciogliete.
V. Voi me l'avete lodata purtroppo, e se volete, che io
da quì innanzi vi risponda, dimandatemi liberamente di
tutto quello, che vi occorre, senza entrare in altre novelle.
Ma quali sono questi vostri dubbj?
C. ll primo è, perché voi nel fare cotale divisione non
avete detto: Delle lingue alcune sono barbare, e alcune
no.
V. Questo nome barbaro è voce equivoca, cioè significa
più cose, perciocché, quando si riferisce all'animo, un
uomo barbaro vuol dire un uomo crudele, un uomo bestiale,
e di costumi efferati; quando si riferisce alla diversità,
o lontananza delle regioni, barbaro si chiama chiunche
non è del tuo paese, ed è quasi quel medesimo che
strano, o straniero; ma quando si referisce al favellare,
che fu il suo primo, e proprio significato, barbaro si dice
di tutti coloro, i quali non favellano in alcuna delle lingue
nobili, o se pure favellano in alcuna d'esse, non favellano
correttamente, non osservando le regole, e gli ammaestramenti
de' grammatici. E dovete sapere, che i Greci
stimavano tanto sè, e la favella loro, che tutte l'altre nazioni,
e tutte l'altre lingue chiamavano barbare; ma poiché
i Romani ebbero non solamente superato la Grecia
coll'armi; ma quasi pareggiatola colle lettere, tutti coloro
si chiamavano barbari i quali o in Greco, o in Latino
non favellavano, o favellando commettevano dintorno
alle parole semplici, e da sé sole considerate, alcuno
errore; onde oggi per le medesime ragioni parrebbe che
si dovesse dire, che tutti coloro, i quali non favellano o
Grecamente, o Latinamente, o Toscanamente, favellassono
barbaramente, e per conseguente, che tutte l'altre
lingue, fuori queste tre, fossero barbare; il che io non ho
voluto fare, perché la lingua Ebrea mai per mio giudizio
tenuta barbara non sarà, né la Franzese, parlando massimamente
della Parigina, né Spagnuola, parlando della
Castigliana, né anco (per quanto sento dire) la Tedesca,
e molte altre; e io nella mia divisione comprendo le lingue
barbare sotto quelle che sono non articolate, o non nobili.
C. Piacemi. Il secondo dubbio è, che voi mettendo in
dozzina la lingua Viniziana con molte altre che sottoposte
le sono, la chiamate verso la Fiorentina diversa diseguale,
e pure il Bembo, il quale voi lodate tanto, e che ha
tanti ornamenti alla lingua vostra arrecato, fu gentiluomo
Viniziano.
V. Se il Bembo, del quale io non dissi mai tanto che
molto non mi paresse dir meno di quello, che la bontà, e
dottrina sua meritarono, fu da Vinegia, egli non iscrisse
mica Vinizianamente, ma in Fiorentino, come testimonia
egli stesso tante volte; e sebbene Messere Sperone Speroni
è da Padova, e Messer Bernardo Tasso, da Bergamo,
e il Trissino fu da Vicenza, non per questo i componimenti
loro sono o Padovani, o Bergamaschi, o Vicentini,
ma Toscani, se non volete che io dica Fiorentini; e
tanti Signori Napoletani, e gentiluomini Bresciani, e tanti
spiriti pellegrini.di diversi luoghi, i quali hanno scritto,
e scrivono volgarmente, non hanno scritto, né scrivono
in altra lingua che nella Fiorentina, o volete che io dica,
nella Toscana.
C. Il Conte Baldassarre Castiglione, che fu quel
grand'uomo, che voi sapete, così nelle lettere, come
nell'armi, dice pure nel suo Cortegiano, che non si vuole
obbligare a scriver Toscanamente, ma Lombardo.
V. Vada per quelli, che scrivono Lombardo volendo
scrivere Toscanamente, perché, se io v'ho a dire il vero,
egli disse quello che egli non volea fare, o almeno che
egli non fece, perché chi vuole scrivere Lombardo, non
iscrive a quel modo. A me pare, che egli mettesse ogni
diligenza, ponesse ogni studio, e usasse ogni industria di
scrivere il suo Cortegiano, opera veramente ingegnosa, e
degna di viver sempre, più Toscanamente che egli poteva,
e sapeva, da alcune poche cose in fuori; non mi par
già che il suo stile sia a gran pezza tanto Fiorentino, né
da dovere essere tanto imitato, quanto scrivono alcuni.
C. Or che direte voi di Messer Girolamo, o come si
chiama, e vuole essere chiamato egli, Jeronimo Muzio,
il cui scrivere, secondoché ho più volte a voi medesimo
sentito dire, è molto puro, e Fiorentino? E pure dice
egli stesso che la lingua volgare, nella quale egli scrive,
come è, così si dee chiamare Italiana, non Toscana, o
Fiorentina.
V. Voi mi volete mettere alle mani, e in disgrazia di
tutti gli amici miei, anzi farmi malvolere a tutto il mondo.
Il Muzio la intende così per le ragioni, che egli allega, e
io l'intendo in un altro modo per le ragioni che io dirò
nel suo luogo.
C. Il terzo dubbio è questo. Voi diceste che quasi
tutte le lingue d'Italia sono verso la Fiorentina diverse
diseguali; ora io vorrei sapere perché voi diceste quasi
tutte, e non tutte assolutamente; ce n'è forse qualcuna
che non sia tale?
V. Eccene.
C. Quale?
V. La Nizzarda, la quale non è diversa diseguale dalla
Fiorentina, ma semplicemente altra.
C. Perché?
V. Perché quei da Nizza favellano con una lor lingua
particolare, la quale, come dice il Muzio, non è né Italiana,
né Francesca, né Provenzale.
C. Mi pare molto strano che una lingua si favelli naturalmente
da un popolo d'una città d'Italia, e non sia
Italiana.
V. Questo è non solamente molto strano, ma del tutto
impossibile, non si sappiendo la lingua de' Nizzardi favellare
in alcun luogo, né avere avuto l'origine sua altrove
che quivi; ma egli debbe voler dire che ella non è, come
l'altre d'Italia, le quali, se non si favellano dagli altri
Italiani, pure s'intendono, se non del tutto, almeno nella
maggior parte.
C. Come si può chiamare la lingua Volgare Italiana,
ed essere una lingua, se nella medesima Italia si truovano
delle lingue, le quali non si possono scrivere, e per
conseguenza sono barbare, e di quelle, che non solo non
si favellano dagli altri popoli d'Italia, ma ancora non
s'intendono, e per conseguenza sono semplicemente altre?
Questo è quasi come dire, secondo il poco giudizio
mio, come chi dicesse un uomo esser uomo, e non essere
uomo, cioè razionale, e non razionale, ovvero aver la
ragione, e mancar del discorso.
V. Voi cominciate a entrare per la via, ma di tutto si
favellerà al luogo suo.
C. Al nome di Dio sia. Il quarto, e ultimo dubbio è
questo. Voi tra le lingue moderne lodate più di ciascuna
altra l'Italiana mettendola innanzi a tutte, e Messer Lodovico
Castelvetro scrive nella sua divisione delle lingue
queste parole stesse: La lingua Spagnuola, e Francesca sono
pari d'autorità all'Italiana; e ne soggiugne la ragione
seguitando così: avendo esse i suoi scrittori famosi non
meno che s'abbia la Italiana i suoi.
V. Ecco l'altra da farmi tenere un presso che io non
dissi, e odiare eternalmente infino dagli Oltramontani;
ma poiché io sono entrato in danza, bisogna (come dice
il proverbio) che io balli. Io non so, se Messer Lodovico
cercò con sì poche parole di guadagnarsi, e farsi amiche
due provincie così grandi, e così onorate, o se pure
egli crede quello, che dice, come (per pigliare ogni cosa
nella parte migliore) voglio credere che egli creda, amando
io meglio d'esser tenuto troppo credulo, che troppo
schizzinoso; so bene che io infino a tanto che egli non
nomina quali sieno quegli scrittori o Franceschi, o Spagnuoli,
i quali possano stare a petto, e andare a paragone
di Dante, del Boccaccio, del Petrarca, e di tanti altri
Italiani, non gliele crederrò.
C. E manco io, perché non credo che si truovi scrittore
niuno né Spagnuolo, né Franzese, il quale sia tanto
letto, e nominato nell'Italia, per tacere degli altri luoghi,
quanto è Dante, il Boccaccio, e 'l Petrarca, o volete nelle
Spagne, o volete nella Francia.
V. Il più bello, e più lodato scrittore che abbia la lingua
Castigliana, che dell'altre non si tiene conto, è in versi
Giovanni di Mena, perché non favello de' moderni, e
in prosa quegli, che intitolò il suo libro: Amadis di Gaula,
il quale è stato da Messer Bernardo Tasso in ottava rima
tradotto, e in breve, secondoché mi scrisse egli medesimo,
si potrà vedere stampato; e in amendue questi Autori
gli Spagnuoli, i quali hanno lettere, e giudizio (che io
per me non intendo tanto oltra né della lingua Spagnuola,
né della Franzesa, che io possa giudicarne), notano, e
riprendono molte cose così d'intorno alla intelligenza, e
maestria dell'arte, come alla purità, e leggiadria delle parole,
delle quali io ve ne potrei raccontare non poche, ma
egli non mi giova né difendere alcuno, o mostrarlo grande
coll'offendere, e diminuire gli altri, né perdere il tempo
intorno a quelle cose, le quali tengo che sieno, e sieno
tenute da i più, o da' migliori manifeste per se medesime.
C. Dalle cose dettesi possono, oltra l'altre, cavare (se
io non m'inganno) tre conclusioni. La prima, che delle
lingue vive, o volgari, cioè, che si favellano naturalmente
da alcun popolo, l'Italiana, o piuttosto la Fiorentina,
avanza, e trapassa tutte l'altre.
V. Non pure si può dire, ma si dee, e anco aggiugnervi
di lunga pezza.
C. Guardate, che l'affezione non vi faccia mettere
troppa mazza, perché quelli, che Fiorentini non sono,
non direbbono per avventura così.
V. Eglino il doverrebbono dire, anzi lo direbbero, se
volessono dire il vero, anzi l'hanno detto. Udite, per vostra
fe, quello che preponendola alla sua natia Viniziana
ne scrisse il Bembo: Sicuramente dir si può, Messer Ercole,
la Fiorentina lingua essere non solamente della mia,
che senza contesa la si mette innanzi, ma ancora di tutte
l'altre volgari che a nostro conoscimento pervengono, di
gran luna primiera.
C. Bella, e piena loda è questa, Messer Benedetto, del
parlare Fiorentino, e come io stimo, ancora vera, poich'ella
da istrano, e giudizioso uomo gli viene data. La
seconda conclusione è, che tutti coloro, i quali vogliono
comporre lodevolmente, e acquistarsi fama, e grido
nella lingua volgare, deono, di qualunque patria si siano,
ancoraché Italiani, o Toscani, scrivere Fiorentinamente.
V. E questo ancora testimonia il Bembo, dicendo in
confermazione della sopraddetta sentenza: Il che si può
vedere ancora per questo, che con solamente i Viniziani
componitori di rime colla Fiorentina lingua scrivono, se
letti vogliono essere dalle genti, ma tutti gli altri Italiani
ancora.
C. Io per me non so come si potesse dirlo più specificatamente.
La terza, e ultima conclusione, che segue dalla
seconda, è che tutti gli altri parlari d'Italia, qualunque
sieno, sono verso il Fiorentino forestieri.
V. E anco questo conferma il medesimo Bembo nel
medesimo luogo, cioè non lungi alla fine del primo libro
delle sue Prose, con queste parole: Perché voi vi potete
tener contento, Giuliano, al quale ha fatto il Cielo natio e
proprio quel parlare, che gli altri Italiani uomini seguono,
ed è loro strano.
C. E' mi piace che voi non la corriate, poiché i forestieri
stessi confessano liberamente tutto quello, anzi molto
più che voi non ne dite; cosa che io non avrei creduta, e
certo se i Fiorentini avessono, e grossissimamente, salariato
il Bembo, già non arebbe egli in favore della vostra
lingua né più, né più chiaramente dire potuto.
V. La verità presso i giudiziosi uomini, e che non
sieno dal fumo accecati delle passioni, produce di questi
effetti.
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