Entrati
nella stanza da letto del conte F..., la regola generale vorrebbe che ne facessimo la
descrizione esatta, minuta, circostanziata, come si usava una volta dai romanzieri che
facevano l'esercizio comandati dal generale Walter Scott, o meglio, come si pratica negli
inventarj e negli atti di consegna. Noi però lasceremo una tale descrizione a chi vuol
fare uno studio di stile, e collocare a loro posto le parole registrate nel dizionario
domestico del chiaro professor Carena; e d'altra parte lasceremo ai pittori la libertà di
volteggiare con tutta la loro fantasia per rinvenire una degna cornice al signor conte
F..., per sua disgrazia gravemente ammalato, tanto gravemente che il dottor Gallaroli ebbe
e scrollare più volte la testa, e in fine a trovare la necessità di domandare un
consulto per togliersi dalle spalle l'intera responsabilità della troppo possibil morte
dell'illustrissimo suo cliente. Venuto al letto del quale, il dottor Moscati, che ci
vedeva poco e allora non ci vedeva punto perchè la stanza era fatta quasi buja dalle
persiane semichiuse e dalle tendine di seta verde, ordinò sgarbatamente alla vecchia
cameriera, che stava al capezzale, di aprire e di lasciar entrar nella stanza tutta la
luce che era disponibile.
I
tre dottori gettarono allora un'occhiata acuta e profonda sulla faccia dell'ammalato, che
la teneva sprofondata nel cuscino sovrapposto ad altri quattro, tutti messi a merletti e a
trine; ma i merletti e le trine facean parere più cruda l'antitesi di quella faccia
ossuta, gialla, solcata, distrutta.
I
tre medici, a questa prima esplorazione, si guardarono senza far motto, ma si compresero;
tanto che il Gallaroli, il dottor della cura:
-
Eppure, disse, non è decombente che da otto giorni.
Il
Moscati, vecchio cinico, bisbetico e senza prudenza, crollò la testa e passò a toccare
il polso dell'ammalato; atto che fu susseguito da un'altra scrollata di testa.
-
Che un tale stato, soggiunse poi, possa essere la conseguenza di una replezione, lo credo,
perchè lo dite voi; se foste un medico novizio vi direi che quello di toccar polsi non è
il vostro mestiere. Cosa m'avete detto ch'egli abbia mangiato?...
-
Anguilla di Comacchio, professore; un suo cibo prediletto. Ma egli è solito di mangiarne
a dismisura, per quanto io ne lo abbia tante e tante volte sconsigliato. Tutti i venerdì,
per sua degnazione, io pranzo qui... e tutti i venerdì mi è toccato dirgli: badi che è
troppo, e le farà male; e quel che previdi è avvenuto. Onde, che questo sia un caso
gravissimo di replezione, non è possibile negarlo, professore. Prima di pranzo il conte
stava bene, non è vero, conte?
Il
conte accennò di sì, e, facendo cenno al dottore che gli si accostasse, soggiunse a voce
bassa:
-
Tant'è vero che ho mangiato troppo, perchè credevo di poter mangiare.
-
Stia zitto, signor conte... Ma tornando a noi, egli stava bene prima di pranzo, e
continuò a star bene anche dopo; anzi vi dirò che, quando il cameriere che portava lo
sciampagna, entrò a dar la notizia che ci fece strabiliar tutti, che il lacchè
Galantino, catturato a Venezia e fatto viaggiare sotto buona scorta, era stato consegnato
un momento prima al Capitano di giustizia, il conte stava tanto bene che, a questa
notizia, balzò in piedi e disse: Sono assai contento di questo; da quella canaglia Dio sa
che sarà per saltar fuori adesso che è nelle mani della giustizia... Io poi ho uno
speciale interesse perchè parli e sia fatto parlare... - e qui bevve due o tre bicchieri
di sciampagna l'uno dopo l'altro, e si cacciò poscia a motteggiare e a ridere in modo
tale che non è del suo temperamento... Figuratevi, professore, quanto il conte stesse
bene... Se non che egli uscì, e alcuni momenti dopo... qui, questa donna entrò in sala
tutta scalmanata a dirmi: Venga un po' là, dottore, che il signor conte sta male, male
assai, e par che gli manchi il respiro e voglia morire. Io accorsi. Era gettato a
stramazzone sulla poltrona, fuggita la pupilla, fuggito il polso. Come vedono, signori
professori, non era il caso di una cacciata di sangue. Gli feci dunque servire una
limonata acidissima e tepida, dopo la quale, quando si riebbe, lo feci porre a letto, e
sebbene la giornata fosse calda per sè, provvidi a farlo ristorare con panni caldi; e
così attesi il beneficio del sonno e delle dodici ore della notte.
-
Ben pensato, ben provveduto. Non c'era a far altro...
Così
diceva il professore Patrini.
-
Tutto va bene, soggiungeva il Moscati, ma il giorno dopo, come lo avete trovato il giorno
dopo?
-
Peggio che mai. Era bensì tornato in sè stesso, ma accusava dolore profondo alla testa,
dolore insopportabile allo stomaco. Il polso era duro e inerte... Passammo a' purganti...
non se ne ottenne nulla. Ed ora sono scorsi otto giorni, e quasi son venuto in sospetto
che l'impedimento sia meccanico. In tanti anni di cura non mi è mai capitato un caso
tanto ribelle alla scienza... chè tutto quello che essa può consigliare fu amministrato.
Cosa ne pensa il professore Moscati?
-
Penso che bisognerebbe conoscere la causa per cui l'anguilla di Comacchio gli ostruì il
ventricolo.
-
La causa è il cibo medesimo mangiato, anzi divorato in eccesso.
-
Va bene... ma questa causa essendo conosciuta, non dovrebb'essere poi tanto intrattabile
alla mano risoluta della scienza. Secondo il mio parere, quando gli effetti sono
permanenti, e non si modificano nè in più nè in meno sotto al lavoro medico, è indizio
che la causa è ignota; ora il nostro studio dovrebb'essere di rintracciar questa causa,
per conoscere s'ella sia di tal natura da esser poi governata colla medicina.
Il
dottor Gallaroli e il chirurgo Patrini si guardarono in faccia come se non avessero ben
afferrato il concetto del professore Moscati.
Ma
a questo punto l'ammalato, con voce fonda e intercalata da riposi asmatici, e tuttavia
piena di fremito e d'ira:
-
Che cosa dunque si conchiude? disse, posso guarire o no? Di che natura è questa malattia?
-
Il dottor Gallaroli non ha sbagliato, rispose Moscati. La cura a cui ha sottoposta la
signoria vostra illustrissima era l'unica e ragionevole. Ma se il corpo del signor conte
non risponde ai trattamenti medici, i medici non possono fare miracoli. Tuttavia speri; e
qui tornò a tastargli il polso.
-
La febbre è feroce, soggiunse. Il dottor Gallaroli non può che continuare
nell'intrapresa cura. D'impedimenti meccanici non credo che sia nemmeno a parlare. Che ne
dice il professor Patrini?
-
Non c'è sintomo di sorta che accusi un tale impedimento; onde in questo caso non c'è
altro che attenersi ad una cura d'aspettativa.
Qui
il dottor Gallaroli scrisse una ricetta, toccò anch'esso un'altra volta il polso
dell'ammalato, lo tasteggiò alle regioni dello stomaco, poi conchiuse:
-
Tornerò sul finire della giornata. E partì insieme coi due medici consulenti.
Quando
aprirono l'uscio della stanza, urtarono in un gruppo di persone che stavan tutte
origliando, servitori e cameriere, e confuso con loro l'agente della casa, signor Rotigno.
- Il figlio del signor conte, giovinetto di vent'anni, che in casa era chiamato don
Alberico, passeggiava innanzi e indietro per quell'antisala, tristo in volto, ma vestito
con attillatura soverchia, e che certo contrastava e colla gravezza della circostanza e
col suo volto medesimo. Ma più di quella medesima attillatura, ciò che facea meraviglia
era la preoccupazione ch'esso aveva del proprio aspetto, fermandosi di tanto in tanto a
contemplare sè stesso nei due specchioni che dall'alto al basso ornavano due pareti della
sala.
Quando
i tre medici uscirono, il signor Rotigno tenne loro dietro.
-
E così? come si mette, dottore? chiese al Gallaroli.
-
Male, male assai.
-
Tanto male, soggiunse il dottor Moscati, che, per ogni buon conto, sarebbe opportuno
mandare pel prete.
Don
Alberico, che, intento a guardar l'effetto d'un neo applicato per la prima volta in quella
mattina dal parrucchiere all'angolo del suo occhio destro, non s'era accorto dei tre
consulenti ch'erano usciti in quel punto, fu scosso a quella parola prete, e si volse e
domandò:
-
Come dunque hanno trovato il conte mio padre?..
-
Fatevi coraggio, don Alberico, ma non a caso ha detto il dottor Moscati... che c'è
bisogno del prete.
Quando
i medici si trovaron soli sotto all'atrio del Palazzo:
-
Ora ci spiegherete, dottore, disse Patrini a Moscati, quel che avete voluto intendere
quando avete parlato della causa della malattia...
Il
dottor Moscati crollò allora la testa, e rispose:
-
Mi accorgo che nel libro della vita si legge meglio quanti più anni si hanno; e siccome
io sono ancora più vecchio di voi altri due, così mi sono accorto di ciò che voi non
avete intraveduto. Tuttavia, caro dottor Gallaroli, voi che siete della famiglia, avevate
l'obbligo di accorgervi di qualche cosa. Quando mi avete detto, che il malore scoppiò
subito dopo l'annuncio della cattura del lacchè, ho tosto compreso da che tutto deriva.
Il
dottor Gallaroli e Patrini tornarono a guardare in faccia al dottor Moscati con quell'atto
di chi non comprende nulla.
E
il Moscati:
-
Va benissimo che i preparati anatomici e le lezioni di chirurgia pratica e quelle di
medicina non ci devan lasciare il tempo di pensare alle cose di questo mondo. Ma il sole e
la luna si vedono, come il freddo e il caldo si sentono anche senza volerlo, perchè sono
essi medesimi che si fan vedere e sentire. E così è del fatto presente. Non sapete
dunque quel che si dice in tutta Milano, che cioè il lacchè Suardi deve aver trafugato
un testamento per insinuazione del... sì, signori, del conte?
-
Che? cosa dite?
-
Oibò!!...
-
Oibò? perchè oibò? vediamo. L'accusa per cui il lacchè Suardi è ora al Capitano di
giustizia, è precisamente ch'esso abbia rubate delle carte preziose al marchese defunto,
tra le quali un testamento, e un testamento a favore d'un suo figlio naturale. Questo
testamento a danno di chi era? Del conte. La scomparsa di questo testamento a vantaggio di
chi era? Del conte. Il lacchè a trafugare delle carte cosa poteva guadagnare per sè?
Niente. Qualcuno dunque lo dee avere istigato. Chi dunque? Colui solo che ci ha interesse.
E chi può essere questo colui? Il conte. Vi parrebbe ancora di sbagliare a credere che
non può essere che il conte?... Suvvia dunque... già io non vado dall'illustrissimo
signor capitano a ripetere queste parole, che del resto sono in bocca a tutta Milano. Nè
io voglio dire in giudizio che la causa per cui l'anguilla di Comacchio si fermò sullo
stomaco del signor conte, fu l'annuncio improvviso della cattura del lacchè, nel punto
precisamente che i fluidi gastrici lavoravano a manipolare il suo chilo. Fate che domani
il lacchè possa escire innocente o dichiarato tale dal Senato... e allora vi accorgerete
che siamo ancora in tempo a salvare la vita del signor conte; perchè tolta la causa
permanente che non gli lascia aver tregua, è salvo. Son morti degli uomini sul colpo per
un eccesso di paura, di collera, d'affanno. È dunque già molto che il conte sia ancor
vivo... perchè, colleghi miei carissimi, il caso è serio; e se il lacchè dà fuori il
nome del conte, vedete che scandalo, che onta, che vitupero!! Ma torniamo all'Ospedale il
quale in certi casi è più allegro del Capitano di giustizia e del Senato, e spesso un
forcipe fa meno paura d'un articolo delle istituzioni criminali.
Dicendo
questo, aprì lo sportello della sua carrozza, traendoselo dietro a richiudersi
romorosamente. Gli altri fecero lo stesso, e i cavalli si mossero con trotto dignitoso e
scientifico.
Entrati
nella stanza da letto del conte F..., la regola generale vorrebbe che ne facessimo la
descrizione esatta, minuta, circostanziata, come si usava una volta dai romanzieri che
facevano l'esercizio comandati dal generale Walter Scott, o meglio, come si pratica negli
inventarj e negli atti di consegna. Noi però lasceremo una tale descrizione a chi vuol
fare uno studio di stile, e collocare a loro posto le parole registrate nel dizionario
domestico del chiaro professor Carena; e d'altra parte lasceremo ai pittori la libertà di
volteggiare con tutta la loro fantasia per rinvenire una degna cornice al signor conte
F..., per sua disgrazia gravemente ammalato, tanto gravemente che il dottor Gallaroli ebbe
e scrollare più volte la testa, e in fine a trovare la necessità di domandare un
consulto per togliersi dalle spalle l'intera responsabilità della troppo possibil morte
dell'illustrissimo suo cliente. Venuto al letto del quale, il dottor Moscati, che ci
vedeva poco e allora non ci vedeva punto perchè la stanza era fatta quasi buja dalle
persiane semichiuse e dalle tendine di seta verde, ordinò sgarbatamente alla vecchia
cameriera, che stava al capezzale, di aprire e di lasciar entrar nella stanza tutta la
luce che era disponibile.
I
tre dottori gettarono allora un'occhiata acuta e profonda sulla faccia dell'ammalato, che
la teneva sprofondata nel cuscino sovrapposto ad altri quattro, tutti messi a merletti e a
trine; ma i merletti e le trine facean parere più cruda l'antitesi di quella faccia
ossuta, gialla, solcata, distrutta.
I
tre medici, a questa prima esplorazione, si guardarono senza far motto, ma si compresero;
tanto che il Gallaroli, il dottor della cura:
-
Eppure, disse, non è decombente che da otto giorni.
Il
Moscati, vecchio cinico, bisbetico e senza prudenza, crollò la testa e passò a toccare
il polso dell'ammalato; atto che fu susseguito da un'altra scrollata di testa.
-
Che un tale stato, soggiunse poi, possa essere la conseguenza di una replezione, lo credo,
perchè lo dite voi; se foste un medico novizio vi direi che quello di toccar polsi non è
il vostro mestiere. Cosa m'avete detto ch'egli abbia mangiato?...
-
Anguilla di Comacchio, professore; un suo cibo prediletto. Ma egli è solito di mangiarne
a dismisura, per quanto io ne lo abbia tante e tante volte sconsigliato. Tutti i venerdì,
per sua degnazione, io pranzo qui... e tutti i venerdì mi è toccato dirgli: badi che è
troppo, e le farà male; e quel che previdi è avvenuto. Onde, che questo sia un caso
gravissimo di replezione, non è possibile negarlo, professore. Prima di pranzo il conte
stava bene, non è vero, conte?
Il
conte accennò di sì, e, facendo cenno al dottore che gli si accostasse, soggiunse a voce
bassa:
-
Tant'è vero che ho mangiato troppo, perchè credevo di poter mangiare.
-
Stia zitto, signor conte... Ma tornando a noi, egli stava bene prima di pranzo, e
continuò a star bene anche dopo; anzi vi dirò che, quando il cameriere che portava lo
sciampagna, entrò a dar la notizia che ci fece strabiliar tutti, che il lacchè
Galantino, catturato a Venezia e fatto viaggiare sotto buona scorta, era stato consegnato
un momento prima al Capitano di giustizia, il conte stava tanto bene che, a questa
notizia, balzò in piedi e disse: Sono assai contento di questo; da quella canaglia Dio sa
che sarà per saltar fuori adesso che è nelle mani della giustizia... Io poi ho uno
speciale interesse perchè parli e sia fatto parlare... - e qui bevve due o tre bicchieri
di sciampagna l'uno dopo l'altro, e si cacciò poscia a motteggiare e a ridere in modo
tale che non è del suo temperamento... Figuratevi, professore, quanto il conte stesse
bene... Se non che egli uscì, e alcuni momenti dopo... qui, questa donna entrò in sala
tutta scalmanata a dirmi: Venga un po' là, dottore, che il signor conte sta male, male
assai, e par che gli manchi il respiro e voglia morire. Io accorsi. Era gettato a
stramazzone sulla poltrona, fuggita la pupilla, fuggito il polso. Come vedono, signori
professori, non era il caso di una cacciata di sangue. Gli feci dunque servire una
limonata acidissima e tepida, dopo la quale, quando si riebbe, lo feci porre a letto, e
sebbene la giornata fosse calda per sè, provvidi a farlo ristorare con panni caldi; e
così attesi il beneficio del sonno e delle dodici ore della notte.
-
Ben pensato, ben provveduto. Non c'era a far altro...
Così
diceva il professore Patrini.
-
Tutto va bene, soggiungeva il Moscati, ma il giorno dopo, come lo avete trovato il giorno
dopo?
-
Peggio che mai. Era bensì tornato in sè stesso, ma accusava dolore profondo alla testa,
dolore insopportabile allo stomaco. Il polso era duro e inerte... Passammo a' purganti...
non se ne ottenne nulla. Ed ora sono scorsi otto giorni, e quasi son venuto in sospetto
che l'impedimento sia meccanico. In tanti anni di cura non mi è mai capitato un caso
tanto ribelle alla scienza... chè tutto quello che essa può consigliare fu amministrato.
Cosa ne pensa il professore Moscati?
-
Penso che bisognerebbe conoscere la causa per cui l'anguilla di Comacchio gli ostruì il
ventricolo.
-
La causa è il cibo medesimo mangiato, anzi divorato in eccesso.
-
Va bene... ma questa causa essendo conosciuta, non dovrebb'essere poi tanto intrattabile
alla mano risoluta della scienza. Secondo il mio parere, quando gli effetti sono
permanenti, e non si modificano nè in più nè in meno sotto al lavoro medico, è indizio
che la causa è ignota; ora il nostro studio dovrebb'essere di rintracciar questa causa,
per conoscere s'ella sia di tal natura da esser poi governata colla medicina.
Il
dottor Gallaroli e il chirurgo Patrini si guardarono in faccia come se non avessero ben
afferrato il concetto del professore Moscati.
Ma
a questo punto l'ammalato, con voce fonda e intercalata da riposi asmatici, e tuttavia
piena di fremito e d'ira:
-
Che cosa dunque si conchiude? disse, posso guarire o no? Di che natura è questa malattia?
-
Il dottor Gallaroli non ha sbagliato, rispose Moscati. La cura a cui ha sottoposta la
signoria vostra illustrissima era l'unica e ragionevole. Ma se il corpo del signor conte
non risponde ai trattamenti medici, i medici non possono fare miracoli. Tuttavia speri; e
qui tornò a tastargli il polso.
-
La febbre è feroce, soggiunse. Il dottor Gallaroli non può che continuare
nell'intrapresa cura. D'impedimenti meccanici non credo che sia nemmeno a parlare. Che ne
dice il professor Patrini?
-
Non c'è sintomo di sorta che accusi un tale impedimento; onde in questo caso non c'è
altro che attenersi ad una cura d'aspettativa.
Qui
il dottor Gallaroli scrisse una ricetta, toccò anch'esso un'altra volta il polso
dell'ammalato, lo tasteggiò alle regioni dello stomaco, poi conchiuse:
-
Tornerò sul finire della giornata. E partì insieme coi due medici consulenti.
Quando
aprirono l'uscio della stanza, urtarono in un gruppo di persone che stavan tutte
origliando, servitori e cameriere, e confuso con loro l'agente della casa, signor Rotigno.
- Il figlio del signor conte, giovinetto di vent'anni, che in casa era chiamato don
Alberico, passeggiava innanzi e indietro per quell'antisala, tristo in volto, ma vestito
con attillatura soverchia, e che certo contrastava e colla gravezza della circostanza e
col suo volto medesimo. Ma più di quella medesima attillatura, ciò che facea meraviglia
era la preoccupazione ch'esso aveva del proprio aspetto, fermandosi di tanto in tanto a
contemplare sè stesso nei due specchioni che dall'alto al basso ornavano due pareti della
sala.
Quando
i tre medici uscirono, il signor Rotigno tenne loro dietro.
-
E così? come si mette, dottore? chiese al Gallaroli.
-
Male, male assai.
-
Tanto male, soggiunse il dottor Moscati, che, per ogni buon conto, sarebbe opportuno
mandare pel prete.
Don
Alberico, che, intento a guardar l'effetto d'un neo applicato per la prima volta in quella
mattina dal parrucchiere all'angolo del suo occhio destro, non s'era accorto dei tre
consulenti ch'erano usciti in quel punto, fu scosso a quella parola prete, e si volse e
domandò:
-
Come dunque hanno trovato il conte mio padre?..
-
Fatevi coraggio, don Alberico, ma non a caso ha detto il dottor Moscati... che c'è
bisogno del prete.
Quando
i medici si trovaron soli sotto all'atrio del Palazzo:
-
Ora ci spiegherete, dottore, disse Patrini a Moscati, quel che avete voluto intendere
quando avete parlato della causa della malattia...
Il
dottor Moscati crollò allora la testa, e rispose:
-
Mi accorgo che nel libro della vita si legge meglio quanti più anni si hanno; e siccome
io sono ancora più vecchio di voi altri due, così mi sono accorto di ciò che voi non
avete intraveduto. Tuttavia, caro dottor Gallaroli, voi che siete della famiglia, avevate
l'obbligo di accorgervi di qualche cosa. Quando mi avete detto, che il malore scoppiò
subito dopo l'annuncio della cattura del lacchè, ho tosto compreso da che tutto deriva.
Il
dottor Gallaroli e Patrini tornarono a guardare in faccia al dottor Moscati con quell'atto
di chi non comprende nulla.
E
il Moscati:
-
Va benissimo che i preparati anatomici e le lezioni di chirurgia pratica e quelle di
medicina non ci devan lasciare il tempo di pensare alle cose di questo mondo. Ma il sole e
la luna si vedono, come il freddo e il caldo si sentono anche senza volerlo, perchè sono
essi medesimi che si fan vedere e sentire. E così è del fatto presente. Non sapete
dunque quel che si dice in tutta Milano, che cioè il lacchè Suardi deve aver trafugato
un testamento per insinuazione del... sì, signori, del conte?
-
Che? cosa dite?
-
Oibò!!...
-
Oibò? perchè oibò? vediamo. L'accusa per cui il lacchè Suardi è ora al Capitano di
giustizia, è precisamente ch'esso abbia rubate delle carte preziose al marchese defunto,
tra le quali un testamento, e un testamento a favore d'un suo figlio naturale. Questo
testamento a danno di chi era? Del conte. La scomparsa di questo testamento a vantaggio di
chi era? Del conte. Il lacchè a trafugare delle carte cosa poteva guadagnare per sè?
Niente. Qualcuno dunque lo dee avere istigato. Chi dunque? Colui solo che ci ha interesse.
E chi può essere questo colui? Il conte. Vi parrebbe ancora di sbagliare a credere che
non può essere che il conte?... Suvvia dunque... già io non vado dall'illustrissimo
signor capitano a ripetere queste parole, che del resto sono in bocca a tutta Milano. Nè
io voglio dire in giudizio che la causa per cui l'anguilla di Comacchio si fermò sullo
stomaco del signor conte, fu l'annuncio improvviso della cattura del lacchè, nel punto
precisamente che i fluidi gastrici lavoravano a manipolare il suo chilo. Fate che domani
il lacchè possa escire innocente o dichiarato tale dal Senato... e allora vi accorgerete
che siamo ancora in tempo a salvare la vita del signor conte; perchè tolta la causa
permanente che non gli lascia aver tregua, è salvo. Son morti degli uomini sul colpo per
un eccesso di paura, di collera, d'affanno. È dunque già molto che il conte sia ancor
vivo... perchè, colleghi miei carissimi, il caso è serio; e se il lacchè dà fuori il
nome del conte, vedete che scandalo, che onta, che vitupero!! Ma torniamo all'Ospedale il
quale in certi casi è più allegro del Capitano di giustizia e del Senato, e spesso un
forcipe fa meno paura d'un articolo delle istituzioni criminali.
Dicendo
questo, aprì lo sportello della sua carrozza, traendoselo dietro a richiudersi
romorosamente. Gli altri fecero lo stesso, e i cavalli si mossero con trotto dignitoso e
scientifico.
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