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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La verità

ITALO SVEVO

Commedia in un atto

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SCENA SESTA

EMILIA e SILVIO

 

EMILIA (ridendo). Me l'hai conciato per le feste quel mio povero marito.

SILVIO. Ma è evidentemente un uomo di una leggerezza inconcepibile. Andar a dire che io abbia confessato tutto.

EMILIA. Sei un furbacchione, tu! Solo non capisco dove vuoi arrivare.

SILVIO. M'avete seccato con la vostra verità. Hai visto che con tutta ingenuità io l'ho provata e hai visto con quale risultato. Adesso regni assoluta la menzogna.

EMILIA. Sono curiosa di vederti all'opera.

SILVIO. Oh! Il mio sistema è pronto, organizzato in modo che ci vorrebbe ben altri che Fanny per difendersene. Buono che nello slancio di sincerità a cui m'induceste non distrussi gli elementi di prova che m'ero procurati con tanta fatica. Eccoli qua! Un cappello schiacciato ed un giornale. Per avere il giornale confezionato come vedrai, dovetti ricorrere ad altissime protezioni. In quanto al cappello non è mica facile schiacciare un cappello con tutte le regole. Qualche imbecille vi si sarebbe seduto sopra. A me invece le cose piacciono esatte. Lo schiacciai con un vero e proprio pugno sulla testa del mio servo. L'operazione mi costò due franchi ma se mia moglie invocasse l'assistenza di un perito in cappelli schiacciati acquisterebbe la certezza che questo cappello è stato schiacciato con un vero pugno sulla testa di un vero uomo… un po' bestia.

EMILIA. Mi lascierai assistere all'intervista che avrai con tua moglie?

SILVIO (pensieroso). Senti, Emilia, io ho anzi bisogno che tu vi assista.

EMILIA. Perché?

SILVIO. Perché ho bisogno del tuo concorso.

EMILIA (protestando). Oh! mai!

SILVIO. Rifletti, Emilia. Devi riconoscere - te l'ho già detto - che sei un poco tu la causa se mi trovo in tali frangenti. Devi aiutarmi.

EMILIA (risoluta). Io me ne vado.

SILVIO. Te ne prego, te ne supplico. Ti prometto che non ti farò dire che la verità o quasi ed io dirò tutte le bugie. Vediamo se possiamo intenderci su una cosa sola che mi preme tu abbia a dichiarare. Ricordi che quando ti facevo la corte ti raccontai ch'ero minacciato da una grave malattia che presto m'avrebbe tratto alla tomba?

EMILIA. Ma io non te lo credetti e indovinai subito che lo dicevi ad arte per destare la mia compassione.

SILVIO. Ma la verità vera è che io te lo dissi.

EMILIA. Sí! Una malattia di cuore.

SILVIO. Non di cuore ma di nervi.

EMILIA. Di cuore, lo ricordo benissimo.

SILVIO. Ebbene! Devi dimenticare che ti dissi fosse di cuore e devi confermare che si trattava di una malattia nervosa.

EMILIA (risoluta). No!

SILVIO. Non avrai da dire niente. Parlerò sempre io. Farai solo dei cenni col capo.

EMILIA. Io non voglio mentire neppure a cenni.

SILVIO. Curioso che sei d'accordo con tuo marito solo quando si tratta degli altri e non di te stessa.

EMILIA. Non ti capisco.

SILVIO. È un fatto che tuo marito non seppe nulla ch'io ti abbia fatta la corte. Eppure a me pare che sarebbe stato tuo dovere di dirglielo.

EMILIA. E tu vigliacco, minacci di andar a dirglielo tu.

SILVIO. Mi fai torto. Devi intendere anche tu che in un modo o nell'altro devo finire col convincere Fanny di ritornare a me. Perciò non posso seguire che due vie. Negare tutto e potrò farlo se tu mi presterai quel lieve aiuto che ti domando. Se ciò non mi riesce dovrò finire col prendere in seria considerazione il consiglio di tuo marito. Devo cioè aggiungere alla confessione completa di questo mio tradimento che mia moglie conosce troppo bene, l'esposizione sincera di qualche altra mia marachella. Solo cosí Fanny potrà credere alla sincerità del mio pentimento. Ora io debbo essere veritiero. Non posso andar a immaginare dei tradimenti che non commisi. Fuori di questo che mi costò tanto caro io non ne ricordo altro che di averti amata… e di amarti ancora. (Disgusto di Emilia.) Davvero che non ne ricordo altro. (Cercando di ricordare.) Non ve n'è altro. Tu non vorrai che facendo una simile confessione io menta ancora. Che gusto ci sarebbe di dire la verità a forza di bugie? A Fanny naturalmente dirò che tu non ne volesti sapere di me ad onta ch'io una volta ti proposi di fuggire con me.

EMILIA. Ma non ne avevi la vera intenzione, con tutti quei denari che dovevi abbandonare.

SILVIO. Fanny sarà meravigliata che tu non mi facesti allontanare da casa tua ma io le spiegherò che tu avevi la certezza di non correre alcun pericolo. Stimo io! Avevo tentato di tutto. Terminò che lasciai ogni speranza e che per quanto mi dolesse dovetti fingere indifferenza. Fu allora che cercai compensi. La donna con la quale Fanny mi sorprese ti somigliava perfettamente. Essa forse l'avrà osservato. Dovrò ricordarle anche questo e forse ciò sarà considerato come un'attenuante.

EMILIA. E la collaborazione che tu mi domandi dovrà limitarsi a fare da statuina chinese e dire sempre di sí?

SILVIO. Un lieve lievissimo cenno affermativo del capo ogni qualvolta ti tirerà in campo. E devi poi promettermi di restare seria.

EMILIA. Ho tanta poca voglia di ridere io.

SILVIO. Ti potrà venire te lo assicuro. Accetti dunque? (Porgendole la mano che essa esita di prendere.) Devi decidere subito perché io da bel principio devo farmi trovare pentito e confesso oppure offeso e negativo. (Suona il campanello e subito si ode il violento chiudersi di una porta. Irritato dirigendosi all'uscio Silvio esclama.) Quando la finirà dunque quei Luigi? Fanny non può ancora essere qui.

 

 

SCENA SETTIMA

FANNY e DETTI

 

SILVIO (stupefatto). Tu?

FANNY. Ebbene? (Sempre sulla soglia.)

SILVIO. Sei tu? (Con slancio.) Ah! Sei tu! Sei venuta finalmente! Non ti aspettavo piú. Dopo quanto m'aveva detto Alfonso non credevo che saresti venuta. Avevo dato ordine a Luigi di fare i miei bagagli. La casa è tua ed è troppo giusto che se uno di noi due ha da andarsene sia io quello.

FANNY (mitemente). Tu puoi restare qui.

SILVIO (vivamente). A che titolo? No! Io me ne vado. Ma hai fatto bene di venire. Dividiamoci pure ma dividiamoci da amici. Procuriamo che quest'ultimo nostro colloquio annulli non nelle conseguenze ma nel ricordo il fattaccio che ci divide e vi rimanga soltanto la rimembranza delle ore, dei giorni, degli anni in cui io vissi per renderti felice. Te ne prego, accomodati e parliamo. Tu permetti che Emilia assista al nostro colloquio? Amo di aver presente una persona di senno che possa giudicare fra me e te. Essa stette stupita a sentire la storia delle mie disgrazie e mi parve commossa.

FANNY. Alfonso m'ha detto…

SILVIO. Parliamo pure ancora per un istante di Alfonso. Capirai che trattandosi di tuo fratello io non pensai un solo istante - te lo giuro - che egli volesse raggirarmi. Ma tuttavia il suo contegno fu molto strano.

FANNY. Oh! Sii sicuro che ad Alfonso può avvenire di sbagliare ma non di ingannare. È la durezza in persona verso sé stesso e verso gli altri.

SILVIO. Io non accuso nessuno. Fa parte della mia sventura l'essere tanto infelice e il non poter trovare uno sfogo qualunque accusando gli altri. Del resto ormai posso tranquillarmi sul conto di Alfonso. Se egli fosse stato disonesto di proposito tu non saresti ora qui.

FANNY. M'ha imposto lui di venire qui ed anzi m'ha proibito di abitare in casa sua.

SILVIO. Fra pochi giorni avrai l'uso di tutta questa casa dalla quale avrò tolto l'unico impedimento.

FANNY. Ma intanto?

SILVIO. Potrai occupare una stanza lontana dalla mia. Io non t'assedierò mica con altre spiegazioni dopo di questa che ho desiderato tanto di darti. Le cose devono camminare fra di noi da loro o devono fermarsi. Non voglio niente per forza. Riavrò mia moglie buona, affettuosa, fiduciosa o non la riavrò affatto e ci divideremo da buoni amici. (Le prende una mano che trattiene nelle proprie.) Questa è la mano cosí cara! La mano che amavo tanto! Chi avrebbe potuto prevedere che si sarebbe levata per percuotermi?

FANNY (commossa molto, ritira la mano con dolcezza). Devi darne la colpa a te stesso.

EMILIA. Volete che me ne vada?

FANNY (piú dura). Non ve n'è assolutamente bisogno.

SILVIO (guarda lungamente in aria di rimprovero e di minaccia Emilia, poi a Fanny). Credi sia proprio mia la colpa? Tutti ne sono tanto convinti che comincio a convincermene anch'io. Ho tentato di convincere Alfonso della mia innocenza. Non ci fu verso. È partito burlandomi. (Tenta di riprenderle la mano.)

FANNY (ritirandola). Te ne prego.

SILVIO. Capisco! Vuoi evitare ogni contatto con me (Con affettazione si ritira molto lontano.) Parliamo allora. Parliamo calmi, sereni! Dacché sei partita è la prima volta che riesco ad ordinare le mie idee in modo da veder sino in fondo agli orribili fatti che mi sono avvenuti. Io ormai capisco tutto. Guarda, la tua presenza per quanto passeggera ha già servito a calmarmi. Sta ora a vedere se riuscirò a comunicare a te la stessa mia chiarezza.

FANNY. Io non desidero altro che di crederti. Parla francamente. Dimmi tutto. Darei qualche anno della mia vita per poter convincermi. Ma la verità, te ne prego! Quanto finora mi mandasti a dire aveva l'aspetto tanto evidente di bugia.

SILVIO. So! So! Sei andata anche in collera per una parola: Cumulo di circostanze! Ma come ho da chiamarlo questo… cumulo? Devi pur permettermi di usare le parole proprie!

FANNY. Provami tu che sono proprie e non andrò piú in collera.

SILVIO. Ebbene! Cercherò di provartelo. Procediamo con ordine ma però per farti entrare meglio nel viluppo degli avvenimenti andiamo a ritroso e cominciamo dalla fine. Esaminiamo perciò prima di tutto quello che avvenne a te. Almeno su quanto avvenne a te non posso mentire. Tu esci di casa. Vai diritta diritta in via Corsi N.4 1° piano a sinistra a scoprirmi in quello stato che sai. Dimmi! Sei stata tu avvisata che mi avresti trovato in quella stanza?

FANNY No. Ma la cosa è semplice. La mia sarta sta al primo piano stesso. (Piú violenta.) Non sbagliai neppure di quartiere perché tutto il piano appartiene alla mia sarta. Sbagliai soltanto la porta perché quella a sinistra non è destinata alle clienti. È il quartiere privato della mia sarta. Della mia sarta; capisci?

SILVIO (avvilito). Allora tu Emilia avevi ragione quando dicesti che quello era il quartiere della sua sarta. Può dire Emilia quale non fu la mia sorpresa all'apprenderlo. E credevo essa s'ingannasse perché ricordo che la tua sarta abitava in tutt'altra parte della città. Deve essere andata a stare in via Corsi da poco?

FANNY. Era la prima volta ch'io dava una commissione a quella sarta. (Guardandolo indagando in faccia.) Però essa veniva a lavorare in casa nostra. Ebbe non so da chi i denari per mettere su un laboratorio ed io fui la sua prima cliente.

SILVIO. Puoi dirmi quale aspetto avesse questa tua sarta?

FANNY. Una biondina… magra… alta… elegante…

SILVIO (urlando). E tu non hai visto la donna ch'era a me da canto?

FANNY (sdegnosa). No. Era oscuro ed io non mi degnai di esaminare una simile donna.

SILVIO (con rabbia). E cosí sono condannato. Non solo ti tradisco ma ti tradisco con la tua sarta. Tu non ti degnasti di guardare ma ti degni di condannare, di uccidere. Oh! Avessi tu guardato! Avresti visto che quella donna non era e non poteva essere la tua sarta. Né magra, né alta, né elegante. Un piccolo elefante. E non bionda…

FANNY. Bionda sí. Un raggio di luce pioveva nell'oscurità giusto sui suoi capelli ch'erano biondi, proprio biondi.

SILVIO. Neppur io la vidi tanto bene. Ma bionda non era. Devi pensare, Fanny, che ogni raggio di luce nell'oscurità è piuttosto biondo che bruno. Ammetto sia stata di un colore indeciso né biondo né bruno ma una bionda, una vera bionda, no! Cerca di ricordare, Fanny.

FANNY (indecisa). Ammetto che io possa essermi ingannata sul colore di quei capelli.

SILVIO (decisissimo). Dunque è evidente che non si trattava della tua sarta. E ne puoi avere un'altra prova. Va dalla tua sarta e fatti mostrare il suo quartiere. Vedrai ch'esso non ha che un ingresso a sinistra e che a destra abita tutt'altra gente.

FANNY. E come va che anche sulla porta a destra c'è il nome della sarta? Io distrattamente mi lasciai condurre da quel nome e sono entrata in quella stanza. Tant'è vero che aperta la porta e trovatami nell'oscurità guardai due volte quel nome prima di varcare la soglia.

SILVIO (stupefatto). Ma ne sei proprio sicura? Oh! Fanny! Cerca di ricordare. Hai tu visto quel nome e per di piú due volte?

FANNY (subito dubbiosa). Ma io credo di sí.

SILVIO. E non è possibile che tu abbia letto quel nome a destra, due o piú volte e sii entrata tuttavia a sinistra?

FANNY (accasciata). Io credo di no. Sarebbe stato un eccesso di distrazione. Io credo di averlo visto proprio a sinistra.

SILVIO. Eccesso di distrazione! Io ammetto qualsiasi eccesso di distrazione. Anche a proposito del posto a cui è situato quel nome, l'eccesso di distrazione c'è stato di sicuro, vale a dire che fosti tu a caderci od io. La tua sicurezza mi rende dubbioso. (Riflettendo.) Vuoi che facciamo quello che in questi frangenti è la cosa piú semplice e piú logica? Andiamo ad accertarcene! Vieni?

FANNY (freddamente). Oh! A quest'ora…

SILVIO (avvilito). Già! A quest'ora io mi sarei messo d'accordo con la tua sarta per trasportare a sinistra il nome che si trovava a destra.

FANNY. Non dico questo…

SILVIO. E allora perché non vuoi venire ad accertarti di un fatto che senza la tua diffidenza potrebbe essere verificato con sí piccola fatica? Se tu m'impedisci di provarti i fatti piú evidenti allora è vano ch'io tenti di convincerti della realtà di un viluppo ch'io stesso che ne sono stato l'eroe e la vittima stento di ammettere.

FANNY (impaziente). Già quel nome non ha tutta l'importanza che tu gli accordi.

SILVIO (esitante ricomincia l'esposizione). Ebbene! Dove eravamo rimasti? Io ti diceva… (S'arresta.) Non posso! M'è impossibile! Lasciamo stare. Io non mi difendo piú. Sono colpevole! Dal momento che ad ogni piè sospinto m'imbatto nella tua diffidenza, non posso difendermi. Mi hai condannato ed io mi rassegno. Lo dissi anche ad Emilia: La nostra felicità sarà anche maggiore di prima se sarà basata su di una fede assoluta. Se non altro per riconoscenza per la sua fede io l'adorerò piú di prima.

FANNY. Ma io ti credo a condizione che tu mi convinca di tutto il resto.

SILVIO (con fuoco). Ripensaci, Fanny. Cerca di ricordare ogni movimento che facesti prima di varcare quella soglia. Aiutami almeno cercando di ricordare ogni tuo gesto ogni tuo movimento in quell'istante. È certo che mentre afferrasti la maniglia guardasti dietro di te verso la porta di destra. Non è cosí, Fanny?

FANNY (pensierosa). Devo ammettere che possa essere stato cosí.

SILVIO. Ancora dubiti… Io, invece non ho piú dubbii di sorta. Quel nome non c'è a destra. La tua sarta non ha nulla da fare in quella casa ove abita, come sentirai, tutt'altra razza di gente. Ma io cominciai a parlarti solo di quanto facesti tu in quella giornata per dimostrarti che c'era in quel giorno campata in aria una specie di congiura contro di me. Ammettiamo pure per un momento che io sia stato colpevole. Non è un caso atroce che giusto in quel preciso istante tu ti sia pensata di andare dalla tua sarta? E non è anche piú meraviglioso che tu sii entrata in un quartiere dove la tua sarta non ha nulla a vederci?

FANNY. È infatti un caso…

SILVIO (interrompendola). Tanto meraviglioso ch'io i primi giorni pensai si sia trattato di un tranello di qualche nemico. La spiegazione piú semplice sarebbe stata infatti che qualche nemico m'abbia propinato un sonnifero, mi abbia adagiato in quella bella posizione che sai e sia poi corso a chiamarti. Ma tu mi assicuri che sei venuta da te e che nessuno t'ha chiamata…

FANNY. Oh! Certo! Nessuno m'ha chiamata.

SILVIO (guardandola). Dici la verità? Posso fidarmi? (Fanny protesta.) Perché se ci fosse un terzo, un nemico, tutto sarebbe facilmente spiegato. Ma già… anche cosí tutto si spiega e tutto s'è già spiegato… pur troppo! Devi però ammettere che si tratta di un vero e proprio cumulo di circostanze. Cumulo di circostanze tanto piú sorprendente quando si pensa che poche ore prima io parlai con Emilia qui presente raccontandole tutti i miei segreti. Essa subito mi disse che se nella stessa giornata io non t'avessi detto tutto essa sarebbe venuta da te a dirtelo lei perché essa riteneva non si dovesse tener celata una cosa simile ad una moglie. Pensa dunque che quello stesso giorno io sarei venuto da te a dirti tutto perché vi ero obbligato. Pensa! (Con ira.)

FANNY (spaventata). Ma di che cosa si tratta infine?

SILVIO. E pensa come le cose avrebbero camminato diversamente se io fossi venuto da te a confidarmi. Tu, quel giorno, non saresti certo andata dalla tua sarta. Certo, adesso è difficile di convincerti della mia innocenza.

FANNY. Ma, Emilia, parla tu levami di pensiero. È avvenuta qualche sventura che finora mi si celò?

SILVIO. Non inquietarti! La sventura tocca a me e non a te. Tu non c'entri!… Se ti fossi soffermata a guardar meglio le cose e le persone saresti arrivata da te stessa alle giuste conclusioni. Hai visto tanto male e esaminato tutto tanto superficialmente che per amore alla stessa verità dovresti cercare di dimenticare tutto e tutto apprendere dalla mia bocca. (Dopo una pausa.) Hai l'ostinazione impronta in faccia… Ma io debbo parlare… (Dopo un'altra pausa.) Non posso piú avere dei riguardi e debbo dirtelo: Io, come mi vedi, sono un uomo condannato… probabilmente.

FANNY. Non capisco.

SILVIO (quasi piangendo). Io sono un ammalato, un povero ammalato e probabilmente senza rimedio. Finché ho potuto te l'ho nascosto ma ora è impossibile.

FANNY. Malato? E me lo dici a questo proposito! Che c'entra?

SILVIO. Ti perdono la calma con la quale ricevi questa notizia perché capisco che non ci credi. Ma almeno di questo posso fornirti le prove. Oggi, dovendo partire, pagai questo conto del dottor Cirri. Centoventotto applicazioni elettriche. Eccolo. (Prende dal tavolo una carta e gliela dà.)

FANNY. Cirri non è quello ch'è stato all'Università con te?

SILVIO. No! Suo fratello. E del resto se anche fosse stato lui si sarebbe fatto pagare lo stesso! Nell'ultimo tempo avevo abbandonata l'elettricità. Diffidavo del Cirri e volevo avere la parola sicura di uno scienziato. Consultai il dottor Seppi, primario all'ospitale.

FANNY (spaventata). Ma che malattia hai dunque?

SILVIO. Finora nessuno lo sa. Non lo so io, non lo sa il Cirri e non lo sa il dottor Seppi che, come sai, è ora gravemente malato. Quest'ultimo dubitava si trattasse di una paralisi progressiva, incipiente però. Ciò significa che di qui a un mese o circa si saprà se la malattia farà il suo corso o no.

FANNY. Ed è per curarti della tua malattia ch'eri là in via Corsi N. 4? Ah! Ah! Ah! Rido per non piangere.

SILVIO (violentemente). Ebbene! Dividiamoci pure! Non piú spiegazioni! Dividiamoci! Tu fingi di non credermi perché vuoi arrivare al tuo scopo. Ho piacere di avere tenuta qui Emilia per testimonia. Essa può oramai giudicare fra di noi. Anche se essa dubitasse della mia innocenza darebbe certo torto a te e non a me. Ha visto un saggio del tuo amore. Apprendi la malattia incurabile di tuo marito e ti metti a ridere. (Sempre piú veemente.) Oh! Deploro di non averti tradita perché una donna amante come sei tu non merita di meglio. (Gridando.) E quando m'arrovello per convincerti, il mio male si ridesta. Lo sento camminare per tutto il corpo quasi volesse uscirne e gridare: Sí, è vero, egli è malato, sono io la causa di tutto. (Si getta esausto sulla sedia mentre Fanny lo guarda titubante; poi con voce fioca.) Te ne prego, Fanny. Lí su quel tavolo c'è una fiala e un bicchierino. Versane dieci goccie in un po' d'acqua. (Fanny eseguisce.) Presto, te ne prego. Ho la fronte sudata… sudori freddi. Presto.

FANNY (con un grido). Dio mio! Credo di aver versate quindici goccie in luogo di dieci.

SILVIO. Fa niente! Dammele tuttavia. Ne berrò la metà. (Fanny eseguisce.) Questo mi protegge per qualche ora almeno. Con l'affetto che tu mi dimostri non mi sarebbe mancato altro che di cominciare a farneticare. Avresti certo raccolto le mie parole, le avresti analizzate per farmi un secondo processo. Non posso continuare queste spiegazioni. Il tuo atteggiamento mi fa troppo male. Sai ferire, tu. Puoi vantartene.

FANNY (esitante). Io non volevo… Oh! mi dispiace di averti fatto tanto male. (Poi.) E il dottor Seppi ti diede buone speranze?

SILVIO (debole). A me in faccia, sí. Peccato che sia anche lui tanto ammalato. Altrimenti t'avrei pregata di andare da lui e ne avresti saputo piú di quanto ne so io. Un mese fa avevo veramente pregata Emilia di andarci lei. Ma essa si schermí dicendo che quello era l'ufficio della moglie e non della cognata.

FANNY. E aveva ragione. Ma ebbe torto di non avvisarmi subito, subito. (Con un'occhiata di rimprovero a Emilia che alza le spalle.) Perché non lo facesti? Vedi quanti dispiaceri mi risultarono dal non aver saputo il vero stato delle cose. (Quasi piangendo.)

SILVIO (fioco). Non sgridarla, poverina. Sono stato io ad impedirglielo. Credevo che tu mi amassi e non volevo procurarti un simile dolore. Speravo di poter dirtelo quando ogni pericolo fosse scomparso.

FANNY (sempre piú commossa). Ed io ti amo sí… ma…

SILVIO. Capisco. Lo capisco tanto bene che mi vedi qui affranto dallo sforzo di spiegarti tutto. Ma se mi schernisci io perdo la parola, il fiato. Non ti domando di credermi. Dispero anzi di farti credere. Io lo so: lo sforzo che faccio è del tutto vano. Avrei soltanto voluto che tu mi stessi ad ascoltare fino in fondo senza ridere, senza deridermi. Ora non credo che potrò piú proseguire.

FANNY (molto commossa). Io ti prometto di starti ad ascoltare. Ma non ora. Cerca di riposare, di rimetterti. Io sarò sempre a tua disposizione per starti a sentire.

SILVIO (calcola, poi). No! Neppur questo non va. È meglio che ne usciamo subito. Io non posso sopportare il pensiero di aver a dirti una cosa simile. (Si leva e cerca di rinfrancarsi.) Vuoi starmi ad ascoltare? Io ti dico tutto in poche parole. Poi toccherà a te. Allora riposerò e tu deciderai. Potrai indagare, recarti in quella casa, parlare con Cirri o con Seppi… pur troppo malato. Poi deciderai ed io non aprirò piú bocca per non influenzarti. (Lieve pausa per raccogliersi.) Soffersi molto, cara Fanny. Non della malattia che si limitava a una debolezza generale, a qualche forte male di capo, a una distrazione fatta di languore e a qualche rarissimo accesso, simile a quello cui poco mancò assistessi tu poco fa. Naturalmente il peggio di tutto era la preoccupazione. Sai! Si può essere attaccati piú o meno alla vita. Certo non fa piacere di morire. Ed io lo confesso volontieri. Avevo paura di morire. (Si commove.) Circondato da tutti gli agi e dal tuo amore non è meraviglia. Avevo anzi paura. Perché non dovrei chiamarla col suo vero nome? Ma non potevo supporre che l'insidiosa malattia prima di togliermi la vita m'avrebbe tolto il tuo affetto. Prima di proseguire devo domandarti un particolare che a me importa molto. Cerca di ricordare, Fanny: Quel giorno, uscendo di casa ti dissi che dovevo andare in via Corsi N. 34 a prendere un bagno?

FANNY. No! Non ricordo!

SILVIO (avvilito). To'! E io che credevo di avertelo detto.

FANNY. Ma non lo dicesti. Ne sono sicura.

SILVIO. Ebbene! Ciò non ha importanza. Ma pure è interessante per spiegare come io abbia potuto finire in quella stanza. Esco credendo di averti detto che ho da andare in via Corsi N. 34 a prendere un bagno. Era una bugia ma innocente ve', perché invece io dovevo andare dal dottor Seppi in via del Bosco numero quattro ciò che naturalmente volevo celarti. Ecco qui il biglietto col quale egli accettava di ricevermi per la seconda volta e mi dava l'appuntamento. Eccolo! C’è la data?

FANNY (guardando). No!

SILVIO. Scrive "oggi alle quattro pomeridiane" e non mette la data. Curioso! Nella mia povera testa ammalata avevo dunque due idee confuse. Dovevo andare in via Corsi N. 34 come avevo detto a te o via del Bosco N. 4 ove mi attendeva il Seppi. Nota la coincidenza di quel quattro. Io finii dunque e non so davvero in qual modo coll'andare né in via dei Bosco N. 4 né in via Corsi N. 34 ma bensí in via Corsi N.4 (con enfasi) ove nessuno mi attendeva o mi voleva, lo dico, lo ripeto, lo giuro.

FANNY (spaventata). Te ne prego, non agitarti.

SILVIO (sempre piú agitato). E perché mi sono poi fermato al primo piano? Cosí volle il mio destino. Pensa, Fanny, che Seppi sta al secondo piano mentre lo Stabilimento dei Bagni è situato a piano terra. Perché dunque al primo piano?

FANNY. Calmati, Silvio, calmati.

SILVIO. Ora veramente ho bisogno di calma. La porta del primo piano era socchiusa. Improvvisamente ero stato colto dal mio male in una forma mai prima sperimentata. Non te la descriverò. Ti dirò solo che avevo la coscienza di dover morire subito, subito. Dio mio, che miseria. La vita poco prima intensa, piena, s'affievoliva, spariva. Approfittai del primo rifugio offertomisi: Quell'uscio socchiuso! Entro e non so se la stanza sia oscura o se io stia perdendo la vista. Intravvedo una sedia e mi vi accomodo. Sto per perdere i sensi e non ho accanto un amico! Ricordo ancora benissimo di aver intravvisto un letto e di aver avuto il desiderio di arrivarci ma non domandarmi come ci sia arrivato perché non lo so.

FANNY. Calma, te ne prego. Ti esponi ad una ricaduta. Vuoi altre di quelle goccie?

SILVIO. Non interrompermi. Non so neppure quanto tempo io abbia giaciuto in quel letto non mio. Vengo destato da un grido, il tuo. Apro gli occhi e ti vedo accennare verso il letto: Con una donna, infame. Se ben ricordi, io, piú che sorpreso di vedere te, fui sorpreso di vedere un'altra donna dall'altra parte. Udisti il mio grido: Una donna. Lo udisti?

FANNY. Veramente io non udii nulla ma quando lo dici…

SILVIO. Fuggisti infatti come una pazza… Avresti dovuto vedere la donna. Destata dal tuo grido e dal mio, corse ad aprire le imposte urlando: Mamma, mamma! Capitò subito fuori un donnone che mi venne addosso minaccioso, domandandomi spiegazioni e mettendomi i pugni sotto il naso. Io allora capisco tutto, tutto. Tante minaccie mi stordiscono ma intravvedo in un lampo la mia disperata situazione causa la mia malattia e causa la tua gelosia che - subito lo previdi - avrebbe di tanto aggravata la mia salute m'avrebbe tolta ogni speranza di salvezza. (Gridando mentre Fanny protesta; poi piglia fiato e rimessosi continua calmo.) Il partito migliore era di fuggire. Prendo il cappello e infilo le scale. Le donne mi corrono dietro urlando. Per le scale il portinaio mi arresta. Con uno sforzo supremo arrivo a svincolarmi e fuggire ma prima di lasciarmi, quell'energumeno mi lascia andare sulla testa un colpo poderoso che mi schiaccia il cappello e quasi mi stordisce. È una vera fortuna se arrivai a fuggire perché altrimenti oggi il mio nome figurerebbe in questo giornale. (Prende un giornale dal tavolo.) Leggi! Qui!

FANNY (legge). Un malandrino sonnolento! Apprendiamo un fatto alquanto strano avvenuto tre giorni or sono in via Corsi. La persona che ce lo racconta merita piena fede altrimenti… (Continua da sé.)

SILVIO. Tre giorni fa… il giornale è del 12.

FANNY (finisce di leggere a voce alta)… non senza aver ricevuta una benché inadeguata punizione in un pugno poderoso sulla testa.

SILVIO. Ecco il cappello. Fu un colpo ti dico.

FANNY. Povero Silvio.

SILVIO. Raccontai tutto al Cirri. Puoi interrogarlo. Egli disse che benché tutto ciò non provi un aggravamento del mio male pure l'avventura potrebbe essere considerata come un accesso epilettiforme cui in avvenire potrei andare esposto. Ma tu mi starai sempre accanto nevvero? Non permetterai che durante un accesso simile io resti in mano di estranei esposto a villanie o peggio.

FANNY (con un bacio). Sí, sempre.

SILVIO. Se sapessi come mi sento bene di averti accanto a me, non piú minacciosa ma mite, buona carezzevole. Oh! mi sento tanto bene che voglio subito distruggere quella boccetta delle goccie. Certo, se tu mi resti affezionata, io non ne avrò piú bisogno… checché ne dica Cirri.

FANNY. Che cosa dice Cirri?

SILVIO. Andrai a parlargli tu. Io credo che a me non dica la verità. Dice che in complesso non ho nulla, cioè che non c'è pericolo imminente. Ma forse - chi lo sa? - a te dirà altrimenti cioè la verità. Anzi devi promettermi di dirmi tutto. Sia magari il peggio ma a me piace di avere intorno a me tutto limpido, chiaro, vero.

FANNY. Te lo prometto. (Carezzevole.) Vado a riprendere il mio posto in questa casa. (Guardandosi stupita.) Sono vestita come se mi trovassi qui in visita. Vieni con me, Emilia?

EMILIA. No! Io devo andarmene subito, subito.

FANNY. Allora arrivederci, Emilia. (Abbracciandola.) Sai, non t'ho mai voluto bene come ora. Hai fatto male di non dirmi subito tutto… Ma sei piú che perdonata! Se non ci fosse stata la tua testimonianza io non avrei potuto credergli. Grazie, grazie. (La bacia replicatamente. Poi esce accompagnata da Silvio fino alla porta.)

 

 

SCENA OTTAVA

EMILIA e SILVIO

 

EMILIA (corre per la scena respirando fragorosamente come fosse in cerca di aria). Oh! Oh!

SILVIO (prende la boccetta della medicina e ne tracanna tutto il contenuto). Di' la verità. Hai mai visto un uomo piú innocente di me? Come mi sento puro.

EMILIA (avviandosi). Tanto sei puro che mi togli il respiro.

SILVIO. Oh! tu sei una donna strana! Disprezzi tuo marito perché ti dice la verità e me perché non la dico.

EMILIA (alza le spalle ed è in procinto di andarsene; poi si trattiene). Mio marito! Questo debbo dirti! Io, ora, dopo di aver veduto te all'opera, io lo adoro. Come sono stata ingiusta con lui. Ne ho rimorso.

SILVIO. Ed hai ragione. Non ho parole abbastanza per dirti che sei stata con lui ingiusta e cattiva.

EMILIA (fuori di sé). In quanto a te non è detta l'ultima parola. Spero bene che prima o dopo Fanny aprirà gli occhi sul tuo conto.

SILVIO (ridendo sgangheratamente). Io davvero non lo credo.

 

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.20

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