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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La verità

ITALO SVEVO

Commedia in un atto

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PERSONAGGI

 

SILVIO ARCETRI

FANNY, sua moglie

ALFONSO BERTET

EMILIA, sua moglie

LUIGI, servitore

 

 

La scena rappresenti la stanza da lavoro di un ricco signore. Mobili grevi e solidi. Una porta di fondo ed una a sinistra dello spettatore. Molte sedie disposte disordinatamente. Sul tavolo delle carte ed un cappello schiacciato.

 

 

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SCENA PRIMA

SILVIO ARCETRI e LUIGI

 

SILVIO (seduto al tavolo pensieroso, la testa poggiata su una mano). Mi disturbi, te ne avverto.

LUIGI (che si dà da fare nella stanza). Oggi dovrei spazzolare bene questi mobili.

SILVIO. Lascia stare te ne prego finché sono qui. È stato nessuno a domandare di me?

LUIGI. Sí, signore. Una persona della quale però il signor padrone m'ha proibito di parlare.

SILVIO. La piccola Elena? Nessun altro?

LUIGI. Come nessun altro? La piccola Elena!

SILVIO. Hai capito sí o no che se mi parli ancora una volta di lei ti scaccio sul momento? Non ti vergogni di aver fatto e di voler fare eternamente quel mestiere?

LUIGI (risentito). È stato il signore che me l'ha imposto e insegnato.

SILVIO. E adesso ti dico di abbandonarlo. Io non so piú se fosti tu ad offrirti d'ajutarmi o se io te l'imposi… La storia data da tanto tempo. Ma ora t'impongo di ritornare con me alla virtú.

LUIGI (dopo un breve istante di riflessione). Signore! Mi dispiace ma io non posso accompagnarla in questo lungo viaggio alla virtú perché da lungo tempo ho risolto di avviarmi da solo… abbandonando naturalmente questa casa.

SILVIO. Oh! Oh! La mia metamorfosi non ti va?

LUIGI. Non mi va infatti. Pareva una brutta nube di passaggio e invece ora sono convinto che il sole non si vedrà piú. Sono otto giorni che la signora ha abbandonata questa casa. Nel frattempo avvisate Dio sa da chi della sua assenza si presentarono qui la piccola Elena, la grande Maria, la rossa… Come si chiama?

SILVIO. Tusnelda.

LUIGI. A tutte la porta fu chiusa in faccia e Lei continua a fare questa bella vita, là a quel tavolo mentre la signora non si risolve a venire. Del resto ho perduta anche la fiducia nel Suo spirito. Come può immaginare che la signora Fanny perdoni dopo tutto quello che ha visto?

SILVIO. Visto? Non ha visto niente.

LUIGI. La povera signora lo gridava per la casa di aver visto tutto. Tutti potevano sentirlo.

SILVIO (borbotta). Non basta mica vedere… Del resto non te ne incaricare tu.

LUIGI. Capirà! Noi poveri non possiamo mica passare con tanta disinvoltura dal vizio alla virtú! Ci si abitua a varie comodità cui è doloroso rinunziare e che non si potrebbero soddisfare se si fosse obbligati di non far altro che spazzolare dei mobili.

SILVIO. Ah! Se si tratta di solo denaro io sono disposto ad aumentare la tua paga anche di venti franchi mensili.

LUIGI (con amarezza). Oh! Signore! Neppure Lei sa quanto mi rendevano quei Suoi magnifici slanci giovanili che ora chiama vizio. Ella ormai è veramente virtuoso. Lo vedo anche dalla Sua offerta.

SILVIO. Ebbene! Quanto ti rendevano?

LUIGI. Su per giú cento franchi al mese e talvolta anche molto di piú.

SILVIO (con ammirazione). Possibile! (Fuori suona un campanello.) Vai a vedere chi è. Se fosse mia moglie fischia per avvisarmene. Eccoti… dieci franchi per dimostrarti che anche la virtú sa pagare.

LUIGI. Grazie! (Borbotta.) Trattandosi della moglie non è pagata male. (Esce e subito si ode un fischio leggero.)

 

 

 

SCENA SECONDA

ALFONSO BERTET e SILVIO

 

SILVIO (all'udire il fischio s'è gettato a sedere in un atteggiamento di tristezza). Mia moglie! Finalmente!

ALFONSO (uomo di media età, vestito da persona che poco bada alle forme esteriori, cappello a cencio che non leva. Si ferma alla porta a contemplare Silvio che non lo guarda). L'uno fischia e l'altro piange. Che ci sia relazione fra le due azioni? (Ad alta voce.) Buon giorno.

SILVIO (stupito). Tu? Sei tu? (Riprendendosi.) Finalmente, amico mio! Ti sei deciso di frammetterti per regolare una storia che getta tale disordine nella nostra famiglia?

ALFONSO (molto freddo). Sí! Sono venuto precisamente a questo scopo.

SILVIO. Ebbene! Siedi! Che cosa vuole dunque mia moglie da me?

ALFONSO. Non lo sai ancora? Essa vuole che tu confessi. Non domanda altro.

SILVIO. Si è data mai tortura maggiore della mia? Che cosa vuole essa ch'io confessi quando sono innocente?

ALFONSO (seccato). Uff! (Calmo.) Mia sorella non ha quest'opinione. Sai! Noialtri Bertet non siamo letterati come te ma una certa dose di buon senso ce l'abbiamo anche noi.

SILVIO. È però la vera pratica della vita ch'io dico vi manchi, non il buon senso. Il buon senso! È il senso comune, il senso volgare, stupido, basato sulla conoscenza di certe leggi costanti che poi non s'avverano che raramente. A voi manca l'immaginazione per vedere e capire come le piú varie circostanze campate in aria ai quattro poli possano riunirsi e cadere in dato luogo e in un dato tempo sulla testa di un disgraziato per schiacciarlo.

ALFONSO. Di' pure la parola: Un cumulo di circostanze. È parola bellissima e l'hai impiegata varie volte con mia sorella. Ne abbiamo riso abbastanza. Cioè per parlare esattamente sono stato io a ridere di quella parola; mia sorella ne piange. Piange non soltanto delle circostanze ma anche del cumulo. Non soltanto mi tradisce - essa dice - ma mi disprezza ritenendomi tanto sciocca da potermi far credere una cosa simile. Vediamo caro amico! Mia sorella entra in una stanza e ti trova in letto con una donna. Nella stanza una dolce semioscurità; le finestre ermeticamente chiuse ma la porta aperta. Tu dici che basta il fatto di quella porta aperta a provare la tua innocenza. Noi Bertet crediamo invece che certi uomini in certi momenti dimentichino di chiudere quello che veramente andrebbe chiuso. Sta bene! Tu ti sei gettato per caso, per una stanchezza fisica e morale che noi Bertet diciamo invece immorale su un letto ove c'era una donna. Come va che questa donna non si sorprese affatto di vederti nel letto ove essa dormiva?

SILVIO. Se dormiva non poteva sorprendersi.

ALFONSO (accalorandosi). Ma per non destarla tu devi essere entrato in quella stanza sulla punta dei piedi, devi aver badato di non far cigolare la porta…

SILVIO. Infatti non cigolò! (Sorpreso.) Doveva essere stata unta di fresco.

ALFONSO. A mia sorella parve anche di aver visto che la testa della donna poggiasse su un tuo braccio.

SILVIO. È un'invenzione cotesta. Questo poi mi meraviglia di Fanny.

ALFONSO. Essa disse: “Mi parve.” È onesta! Se ne fosse certa, allora, credo, non avrebbe neppure il bisogno di avere la tua confessione.

SILVIO. Credo io! Come potrei negare allora?

ALFONSO. Oh! Tu potresti negare ancora! Che cosa proverebbe quella testa sul tuo braccio? Semplicemente che certo fosti tu ad entrare per primo in quella stanza e che fu la donna tanto smemorata da gettarsi su quel letto quando tu c'eri già addormentato. Figurati quale sorpresa al tuo ridestarti di scoprire quella donna che al tuo arrivo sicuramente non c'era stata. (Ridono ambedue.)

SILVIO. Hai della fantasia tu.

ALFONSO. Ho rimorso di aver riso di cosa tanto triste. Ho torto di discutere le tue bugie. Sono tanto piramidali che non si possono discutere.

SILVIO. Già! tu sei mio nemico.

ALFONSO. Non crederlo. Non siamo amici perché tu, il tuo carattere e la tua immaginazione mi sono avverse. Però siamo alleati naturali. Infatti che cosa ne faccio io di mia sorella, io che non ho bisogno dei suoi denari? Figurati che l'ho tutto il santo giorno fra' piedi a lagnarsi di te e della sua sventura; è una bella seccatura ed anche uno scandalo. La sorpresi ieri che non trovando altri confidava le sue pene a mia figlia. Dovetti proibirle di confondere le idee a quella innocente. Fammi il piacere di riprendertela al piú presto.

SILVIO. Sei un bel Tizio tu! Io vi sono dispostissimo, lo sai bene! Oh! se tu volessi aiutarmi con una sola parola! Sarebbe cosa tanto facile! Senti, Alfonso. È evidente che tu non puoi tenere in casa mia moglie. Io la conosco. Quando è gelosa dice… tutto. Poveretta quella tua figliuola; deve sentirne di grosse. Bisogna assolutamente che tu m'aiuti.

ALFONSO. Ed io sono pronto di farlo.

SILVIO. Io ti domando una cosa semplicissima. A me basta che tu dica a Fanny che sai che da molto tempo io mi trovo in cura per una grave malattia nervosa; di tutto il resto m'incarico io.

ALFONSO. Io non dico delle bugie.

SILVIO. Ed io non voglio delle bugie. Vieni con me dal dottor Cirri ed egli ti confermerà che già da tre mesi mi fa delle applicazioni elettriche.

ALFONSO. Quel dottor Cirri col quale tu passi le notti quando Fanny è ai bagni?

SILVIO. Uff! che uomo! Il dottor Cirri è mio amico ed io ti prego di non mettere in dubbio la sua onestà.

ALFONSO. Sai che tu fai a me l'impressione di un uomo corto di mente? Ti arrovelli a combinare delle bugie che in nessun caso ti potrebbero condurre allo scopo. Perché piuttosto non confessi? Siamo giusti; mia sorella ha ragione. Essa dice: Lo vedessi pentito di quanto ha fatto, volesse scusarsi e cercare di meritarsi il mio perdono. Invece mi deride. Se gli perdono - date le premesse - ricomincerà domani se non addirittura oggi. Ebbene! Io le do ragione.

SILVIO. Eh! già! tu vuoi rovinarmi!

ALFONSO. Voglio salvarti invece! Io, sai, contadino arricchito non ho che un solo grande amore a questo mondo: La verità. Essa è la grande purificatrice e pacificatrice. Io l'amo! Dove essa è passata là c'è pace, dolcezza e virtú ed ogni mio sforzo è fatto per farla entrare in casa mia.

SILVIO. Ti assicuro che anche io l'amo.

ALFONSO. Dàlle albergo in casa tua e in te stesso e vedrai come la tua vita diverrà lieta e semplice. Un altro al mio posto potrebbe domandarti non so che atti di contrizione. Io invece convincerò mia sorella di non domandarti altro che la verità. Quella sola sarà l'espressione dei tuo pentimento. E quando la dirai sarai nello stesso tempo perdonato e corretto. Confessa! Racconta tutta la tua vita passata. Piú misfatti racconterai non costretto come per quest'ultimo ma di tua libera volontà e maggiore sarà la commozione di mia sorella che correrà al perdono. Ne sono certo! Di' una parola e fra pochi minuti essa sarà qui.

SILVIO (guardandolo con ammirazione). Sei un grande poeta, tu. Quasi, quasi…

ALFONSO (accorgendosi di aver trionfato). Di' questa parola ed io corro da mia sorella.

SILVIO (risoluto). Ebbene! Dille che venga e saprà il mio delitto il mio nero delitto. A patto che tu poi mi aiuti ad ottenere il suo perdono.

ALFONSO. Ma io in questo caso sarò tutto tuo. Fra un quarto d'ora al piú sono di ritorno con lei. (Via.)

 

 

 

SCENA TERZA

SILVIO e LUIGI

 

SILVIO. Luigi! Luigi!

LUIGI. Comanda?

SILVIO. T'avevo detto di fischiare soltanto quando viene mia moglie.

LUIGI. A me parve piú prudente di fischiare anche quando venne il fratello suo. O che sono d'accordo forse loro due?

SILVIO (guardandolo ammirato). Ha ragione il briccone. Il fischio però non mi piace. Per mettermi in guardia quando viene qualcuno basterà che tu chiuda con grande forza la porta di casa.

LUIGI. Trovo anch'io che sia meglio. Quando fischiai il signor Bertet mi guardò a lungo per capire la melodia che volevo esprimere.

SILVIO. Eh! perché sei poco accorto. C’è modo e modo di fischiare. (Suono di campanello.) Che mia moglie sia già qui? Impossibile! La verità non potrebbe poi darle le ali! (Luigi esce e subito dopo si ode un gran fracasso di porta che si chiude.)

 

 

 

SCENA QUARTA

EMILIA e SILVIO

 

EMILIA (indignata). Che maniera!

SILVIO (alza guardingo la testa e resta stupito al vedere Emilia). Tu! Ma è un po' troppo.

EMILIA. Che cosa è troppo?

SILVIO (un tempo). Non hai incontrato tuo marito?

EMILIA. L'ho visto ma era tanto agitato che gesticolava parlando da sé come un pazzo. Non ho creduto di dover fermarlo; forse m'avrebbe impedito di venire da te. Come hai fatto ad agitarlo tanto?

SILVIO. Ho io agitato lui? Credo sia stato piuttosto lui ad agitare me.

EMILIA. In qual modo?

SILVIO. M'indusse a promettergli di dire tutta la verità a mia moglie…

EMILIA (ridendo). Ah! Ah! Ci sei cascato! Finalmente potrai raccontare anche a me come la è andata. Mi piace di sentire anche l'altra campana. Scommetto che tua moglie esagera un pochino le tue colpe senza dubbio molto gravi. Dice per esempio che al vederla tu avevi l'aria piuttosto di uomo seccato che addolorato. Quella povera Fanny! Mi dispiace le sia accaduto un fatto simile ma giacché fu tale il suo destino m'avrebbe piaciuto di vedere il viso che fece al momento.

SILVIO. Brava, volevi esserci anche tu.

EMILIA. Ma come hai potuto dimenticare di chiudere quella porta?

SILVIO. La chiave non girava ed io non avevo tempo. Eppoi! Noi siamo in questa città centosettantamila persone circa: centosessantanovemila e novecento e novantanove avrebbero potuto entrare ed io non avrei alzata la testa. Giusto quell'una cui l'ingresso era proibito capita da un miglio di distanza, passa dinanzi a migliaia di case ed entra giusto in quella. E in quella casa ci sono cinque piani e mia moglie s'arresta al primo. E al primo piano ci sono due porte e mia moglie infila giusto quella a sinistra. Non a destra ma a sinistra! Che casi!

EMILIA. Io non lo so ma si dice che i casi sieno ridotti ad uno soltanto. Pare che il caso abbia voluto che la donna con la quale ti trovavi fosse la sarta di tua moglie. Certo che allora si capirebbe perché tua moglie abbia trascurate tutte quelle case e sia entrata proprio in quella.

SILVIO. Giuro che non è vero.

EMILIA. E non hai promesso a mio marito di dire la verità?

SILVIO. Sí, anzi! la verità, la pura verità. Visto che ho promesso dovete tutti credermi. Ma credi che io sia uomo capace di sedurre la sarta di mia moglie? (Emilia ha un gesto espressivo.) E perché credi ciò?

EMILIA. Ne so di peggio sul tuo conto.

SILVIO (dopo un istante di riflessione). Ah! Già! Perché una volta feci la corte a te che sei mia cognata? Che relazione c'è fra te e una sarta? Anzi come puoi credere che l'uomo che amò te possa abbassarsi fino ad una sarta? Pensi poco altamente di te stessa. Mi avvilisci e nel tempo stesso avvilisci anche te stessa. E poi tu non crederai mica che io abbia voluto tradire quel povero Alfonso. Ohibò! Io volevo arrivare a un'intima comunione di pensieri con te, a un'intesa intellettuale che m'avrebbe portato di nuovo alla poesia.

EMILIA. E cominciavi col toccarmi i piedi sotto la tavola.

SILVIO. Non ricordo! Non ricordo! Deve essere stato un caso. Non vedi come sono irrequieto coi piedi, io?

EMILIA. E dire che sei in vena di dire la verità!

SILVIO. Sempre! Sempre la santa verità: Io offenderti coll'attaccarti dai piedi in su? Io che miravo al tuo intelletto? Prendevo la strada piú lunga in questo modo. E tu naturalmente hai raccontata questa storia a mia moglie?

EMILIA. No! Io non sono affatto obbligata di dire a Fanny una verità che aumenterebbe la sua disgrazia. Non sono mica sposata con essa.

SILVIO. E a tuo marito l'hai raccontata?

EMILIA (arrossendo). No! Neppure! Io non avevo nulla da rimproverarmi. Era una cosa che riguardava te solo e non volevo mettere male fra mio marito e la famiglia di sua sorella.

SILVIO (riflessivo). Dunque ci sono delle verità che vanno taciute?

EMILIA. Per me, sí, per mio marito no. A sua giustizia debbo dirtelo: Egli dice sempre tutta la verità. Ne ho le prove.

SILVIO. Diancine! Tientelo caro quell'uomo straordinario. E cosí tu sai di essere stata tradita?

EMILIA (con ira). Come lo sai? Mio marito racconta anche agli altri le sue avventure?

SILVIO. Oh! No! Ma se ti dice la verità… in quindici anni di matrimonio…

EMILIA. Capisco! Giudichi da te e da… lui. (Con disprezzo.)

SILVIO (guardandola). Povero Alfonso!

EMILIA. Non m'ha tradita ma quasi. Se tardavo qualche giorno di ritornare a casa chissà cosa sarebbe avvenuto.

SILVIO. E questo "quasi" egli te lo ha raccontato? Dio benigno! Esiste dunque una cosa simile? Ma se io mi fossi dedicato a raccontare a mia moglie tutti i "quasi" della mia vita non ci sarebbe stato del tempo per parlare d'altro. Come anche tu lo sai, io sono fortissimo nei "quasi".

EMILIA (ride, poi). Sono stata mandata qui da tua moglie. Appena partito Alfonso essa ebbe una nuova idea. Non le basta piú la confessione ma la vuole in iscritto e firmata. Allora soltanto ritornerà a te e promette che non se ne parlerà altro.

SILVIO. È pazza! Io scrivere e firmare. È una condizione avvilente. Che ne dici?

EMILIA. A me pare che quando si è peccato bisogni fare la penitenza.

SILVIO. E non faccio penitenza io da otto giorni a questa parte? Oh! tu non puoi immaginare quello che passo chiuso qui fra queste quattro mura in attesa di dire questa verità che ha da liberare tutti. E faccio una vita esemplare. (Emilia ride di gusto.) Ah! Tu ridi birichina! Se sapessi come penso con rancore a te. Perché se tu avessi voluto non sarei capitato in simili frangenti. Probabilmente Fanny sarebbe andata in quella casa mentre io mi sarei trovato in tutt'altra.

EMILIA (ridendo). Chissà? Dopo un anno e piú.

SILVIO. Oh! Te lo giuro! Tu saresti stata la donna che avrebbe saputo incatenarmi per sempre. Oh! Se tu avessi un po' di cuore! Se vedendomi tanto abbattuto ti venisse il desiderio di risollevare un uomo che pure voglio o non voglio ha qualche valore.

EMILIA. Ricominci mi pare.

SILVIO. Pensa come sarebbe interessante un legame fra due persone di spirito come siamo noi due in un ambiente improntato all'amore di verità di tuo marito e di mia moglie. E se la nostra relazione cominciasse dall'accordarmi un po'…. (Suono di campanello seguito presto dal solito rumore.) un po' di aiuto per imbrogliare quell'energumena di mia moglie… (Si getta disperatamente al tavolo e si copre gli occhi col fazzoletto.)

 

 

 

SCENA QUINTA

ALFONSO e DETTI

 

ALFONSO (guardando dietro di sé). Asinaccio! Quasi mi schiacciava il piede nella porta.

EMILIA. Anch'io ho osservato che quel tuo cameriere ha un modo di chiudere la porta addirittura pericoloso. Che sia ubbriaco?

SILVIO. Certo no! Soffre della follia del dubbio. Crede sempre di non avere chiusa la porta e per accertarsene la sbatte a quel modo. Ma non occupiamoci d'inezie. Che cosa apporti tu Alfonso?

ALFONSO. Lasciami pigliar fiato. (Siede, poi a Emilia.) E tu hai raggiunto il tuo scopo? Hai la confessione scritta?

EMILIA. Non volle darmela.

SILVIO. Ma Fanny?

ALFONSO. Non ha voluto venire. Chi vi capisce voi due? Tu ti sei ostinato per tanto tempo in una bugia stupida e colpevole; lei, poi, al sentire la verità… (Piglia fiato). Vado da lei sicuro del fatto mio e le dico: Adesso puoi andare da tuo marito perché mi ha confessato tutto e non vuole altro che vederti subito per ripetere la sua confessione anche a te e ottenere il tuo perdono… Santi del paradiso! Saltò su come una furia e corse in cerca del cappello. Capii che non voleva correre a perdonarti ma bensí venire a cavarti gli occhi. Gridò per ben cinque minuti le cose piú pazze e contraddittorie. Si strappò di testa il cappello come se le avesse pesato. Rideva e piangeva. S'arrabbiò perché io non m'ero fermato a ricevere la tua confessione intera. Parlava il desiderio della verità fin là e lo capivo. Ma poi mi saltò al collo piangendo e gridò: Vedi se avevo ragione vedi se avevo capito. Non esitai a dirle che non ne avevo mai dubitato. Ah! finalmente anche tu mi dai ragione. La sola che ancora sembri di tenere per quel vile assassino è quell'acqua cheta di tua figlia. Aveva dunque raccontato tutto a quell'innocente. Mi arrabbiai anch'io e la rimproverai acerbamente di esser venuta ad educare a quel modo la mia figliuola. Lagrime, svenimenti, urla! Pareva ti avesse sorpreso in quel momento una seconda volta. Quando finalmente si arrivò a parlare da cristiani io continuai a farle dei rimproveri per avermi indotto a venire qui per strapparti una confessione verso promessa di perdono. Altri pianti: Le doleva ma non era possibile. Aveva creduto di poter perdonare e s'era ingannata. Non ti avrebbe rivisto mai piú. Ci credi tu? Io non lo credo e sono anzi convinto che la cosa potrebbe ben presto comporsi ove tu volessi seguire un mio consiglio. Io, se fossi in te, correrei a casa mia, mi butterei alle ginocchia di mia sorella e le confesserei tutto, tutto. Sai quale pregio manchi alla tua confessione? La spontaneità! Confessi una cosa che già tutti sanno. Per addolcire Fanny, per dimostrarle la sincerità del tuo pentimento ci vorrebbe dell'altro. Dovresti aggiungere alla tua confessione quella di qualche altra tua marachella come ne devi avere parecchie sulla coscienza. Anzi se tu volessi seguire il mio consiglio dovresti addirittura confessarle tutte per scaricare la tua coscienza del tutto.

SILVIO (con ira contenuta). Ma senti! Che cosa ti ho fatto io perché tu abbia a cercare tutti i mezzi per rovinarmi? Comincio a credere che in verità il patrimonio di tua sorella t'interessi piú di quanto tu voglia lasciar credere. Chi t'ha autorizzato a dire ch'io abbia confessato tutto? Cosa mai, che il diavolo ti porti, ho confessato io?

ALFONSO (confuso). Non hai confessato? Non hai detto: (pensando intensamente) Dille che venga qui; le dirò tutta la verità?

SILVIO (trionfante). Dirò! Ma l'ho detta io questa verità? Non avevi capito, imbecille, che si trattava di un tranello per farla venir qui e convincerla della mia innocenza?

ALFONSO (fuori dei gangheri). Ah! siete matti tutti e due ed io non voglio piú aver da fare con voi. (Risoluto si dirige all’uscita.)

SILVIO (trattenendolo a viva forza). Aspetta un momento, aspetta soltanto finché ci siamo intesi. È davvero permesso di assaltare un uomo come hai fatto tu, per danneggiarlo, per ammazzarlo? Vieni qua con l'aspetto di un amico e, a forza di chiacchiere, mi strappi di bocca una parola che tu interpreti erroneamente e con quella tenti di rovinarmi riportandola proprio a chi non doveva udirla in quella forma. È un'azione indelicata anzi addirittura disonesta. (Con enfasi.) Io sono innocente! Se mia moglie fosse venuta qui glielo avrei detto e ripetuto. Ora che ho le prove della mia innocenza… (Alfonso ride.) Capirai che a me non importa di convincere te e che riserbo le mie prove per mia moglie. Da te non domando altro che onestà. Dillo ad alta voce: T'ho io confessato qualche cosa?

ALFONSO. No! ma hai detto delle parole ch'equivalevano ad una confessione.

SILVIO. Ammetto che per un istante tu abbia potuto considerarle equivalenti. Ma ora che sai la verità ti sembrano ancora tali?

ALFONSO (ridendo). La verità!

SILVIO. Nota che per il momento io non parlo che di una verità: Che io - sia o non sia vera la colpa che mi si attribuisce - non ho mai confessato niente.

ALFONSO (dopo un istante di riflessione). Infatti! Io ho sbagliato. Però non mi dicesti anche che volevi confessare il tuo delitto, il tuo nero delitto? Non equivaleva ciò ad una vera e propria confessione? Che te ne pare Emilia? (Emilia alza le spalle non volendo esprimersi.)

SILVIO. Era un'ironia! Come hai fatto per non capirlo? Mi piace di scorgere che riconosci il tuo errore e sono convinto che vorrai ripararlo. A me basta che tu vada da mia moglie e le racconti ma con tutta esattezza tutto ciò che s'è detto fra noi due tanto prima che adesso. È il tuo dovere. Le racconterai come hai riconosciuto tu stesso di aver errato e le dirai che io ho asserito di avere in mano le prove della mia innocenza.

ALFONSO. Faccio volentieri come tu desideri… ma non capisco. Come si fa ad essere tanto ostinati? A che ti servirà questa commedia?

SILVIO. Non te ne incaricare! Fa tu il tuo dovere intanto. Pensa che io comincio a crederti un raggiratore che nel suo interesse metta male fra me e mia moglie. Racconta pure a mia moglie di questo mio sospetto.

ALFONSO. Mi offendi!

SILVIO. Ti assicuro che non so spiegarmi altrimenti il tuo modo di procedere. Forse la colpa - come dici tu - è tutta di mia moglie. T'ha reso un bel servizio. È in una luce strana che io ti vedo quando ricordo il tuo protestato amore alla verità. Riservo però il mio giudizio a quando avrò parlato con Fanny. Cercherò di capire il tuo giuoco. Capisco che tu vuoi fare in modo ch'io non riveda piú mia moglie…

ALFONSO. Io? Io? Ah! Come ho fatto male d'immischiarmi nei fatti vostri. Mi sta bene. La prova della mia sincerità la avrai subito. Vado a casa e se mia sorella non acconsente di venire subito qui le proibisco di rimettere piú piede in casa mia. Cosí saprai quanto me ne importi del suo patrimonio. (Corre via.)

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.22

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