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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA SETTIMA

ANNA e DETTI

 

ANNA.               La sarta non era in casa. Che fate qui tutti riuniti? Rita, hai dato il pane agli uccellini?

RITA.                  Non ancora signora padrona.

ANNA.               E sono già le dieci. Vai a darlo subito. L'hai almeno sminuzzato?

RITA.                  Solo in piccola parte, signora. Ma la colpa non è mia. È stato Fortunato a turbarmi con le sue gelosie. Credeva ch'io iersera sia stata in compagnia del signor Guido mentre io ero stata la sera intiera col signor Giovanni.

ANNA.               Cioè nettavi qui in questa camera le maniglie.

GIOVANNI       (confessando). Le permisi però di smettere e di tenermi un po' di compagnia.

ANNA.               E che male c'è?

FORTUNATO. Ma quando seppi ch'essa era stata col signor Giovanni io stesso non trovai nulla a ridirci.

ANNA.               E a te fa piacere la compagnia di Rita?

GIOVANNI       (parla con qualche stento). Talvolta… raramente… sí.

ANNA.               E allora mi dirai quando la vuoi ed io la farò libera da ogni lavoro. E adesso su, Rita. Vengo ad aiutarti a sminuzzare il pane. (Via con Rita subito seguite da Fortunato.)

GIOVANNI.      E adesso mi tocca andare a passeggio con quel signor…

ENRICO.           Boncini.

EMMA                (abbracciandolo). Addio, papà. Come ti voglio piú bene, ora. Mai piú mi staccherò da te.

GIOVANNI       (riflettendo). Oh, io non sono tanto ottuso come voi credete. Ma aspettate. Non è detta l'ultima parola. Io voglio pensarci… intendere. (S'avvia per uscire, poi ritorna.) Io credo di aver capito quello che voi pensate. Solo… non so bene quello che pensi io. (S'avvia e poi ritorna.) Certo, qui non vi possono essere dei dubbi. O l'operazione c'è o non c'è. Se c'è io debbo essere un altro di quello ch'ero e voi non potete ridere di me. Ed io mi sentivo un altro. Anche nel sogno, ma anche nella viva realtà con gli occhi aperti. Perché riderne? Distruggere tutto questo?

ENRICO.           Ma chi ride di Lei?

EMMA.               Noi ridere di te?

GIOVANNI.      State zitti. Tu e lui! Zitti vi dico. Non è per nulla ch'io vissi tanto. Intendo tutto. Ci sono tanti modi di ridere di una persona. Un uomo è tradito dalla moglie? Ecco, si ride di lui. Ma si ride di lui anche se egli crede di tradirla e a lei non importa. (Poi.) Non è questo ch'io voglio dire ma se state attenti potete intendere. Io non dico che ad Anna non importi di me. Essa non ride. Ma voi, voi volete ridere. E mi offendete. Che cosa ho fatto io? Quello che mi dissero di fare. Feci… feci quello che la ricetta del medico prescriveva. E per questo non si deve ridere. Io terrò quella ricetta per mia legge, fino all'ultimo respiro. Lo giuro. (Commosso.)

EMMA.               Ma padre mio! Se tu ti commovessi, se tu piangessi, io piangerei con te.

GIOVANNI       (accarezzandola). Sí, figliuola mia, tu saresti capace di piangere per me. Ti ringrazio. (Poi.) Ma anche questo tuo pianto sarebbe una derisione. Io sono vecchio solo perché non sono morto giovine. Ed è una cosa che capiterà anche a te. (Poi a Enrico con voce rude ed alta.) Ed anche a Lei.

ENRICO.           Speriamolo! Io allora mi farò operare.

GIOVANNI       (dopo una pausa di riflessione). Questo è detto molto bene. Dire cosí è meglio che ridere - molto meglio - ma anche molto meglio che piangere. È la prima volta ch'Ella dice una cosa intelligente ma quando la disse, la disse proprio al momento dovuto. Bravo! Questa parola chiarisce tutto. È tanto importante ch'io ammetto ch'Ella sposi mia figlia. (Ad Emma.) Oh, sposalo pure. Vale meglio un uomo che dice una volta tanto una parola intelligente quando occorre che un altro che t'inondi ogni giorno la casa di un'intelligenza di cui non sai che fartene. Sposalo, sposalo. È un uomo che può essere comodo di avere in casa. Al momento dovuto salta fuori e dice la parola giusta. Io non l'avrei trovata. Sposalo pure.

EMMA.               Non è questo il momento, padre mio.

GIOVANNI.      So, so. Aspettiamo il prossimo 22 di marzo.

ENRICO             (agitato). Il 22 di febbraio. Il povero Valentino è morto proprio il 22 di febbraio.

EMMA                (imperiosa). Non parli cosí.

GIOVANNI.      Una grande parola Lei ha detto. Io non la ricordavo. Eppure prima di fare una cosa simile io consultai un collegio medico - vesti nere ampie e cravatte bianche - e tutti furono d'accordo. Anche il dottor Raulli.

EMMA.               No, padre mio. Il dottor Raulli non fu mai d'accordo.

GIOVANNI       (confuso). A me pareva… Ma ora grazie al Cielo, non ho piú da pensarci perché l'operazione non è piú da farsi, è già fatta. E bisogna goderne. L'amore, sí, anche quello appartiene ai ringiovaniti… per quanto nessuno ci creda. Ma ci sono altre cose: La generosità, la bontà. I vecchi sono meschini e miseri. Guarda. (Estrae dalla tasca un pugno di monete.) Ogni giorno distribuisco ai mendicanti dieci lire. Oggi di piú perché sono con quel signor…

ENRICO.           Boncini.

GIOVANNI.      Boncini. Oggi darò di piú perché il Boncini deve convincersi che sono giovine e seguirmi operandosi. Quando saremo in molti ci consulteremo fra noi ci appoggeremo l'uno con l'altro e ci spiegheremo piú facilmente. Intanto quando con tutta fiducia ci confesseremo l'uno all'altro si arriverà piú presto a distinguere quello ch'è sogno e quello ch'è realtà. Ci assoceremo, saremo dei veri fratelli, tutti noi operati. Io, vado, addio! (Preme il cappello in testa ed esce con passo deciso.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.27

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