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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA VENTITREESIMA

GIOVANNI e DETTI, poi RITA

 

GIOVANNI.      E andiamo a mangiare. (Va a sedere a capo tavola e Anna l'aiuta a mettersi il tovagliuolo. Guido siede anche lui mentre Enrico cammina su e giú pensieroso.) E dov'è Emma? Sapete che voglio che tutti sieno puntuali a colazione.

ANNA                (imbarazzata). Ebbe un attacco di nervi.

GIOVANNI.      Dal dispiacere che non sono morto? A me sembra una vera e propria sconvenienza che non sia a tavola con noi e voglio anzi che tu glielo dica. Che sia ultima volta. (A Guido in disparte.) Tu, subito dopo colazione vai dal dottor Giannottini a trattare eppoi vieni a prendermi. (A Rita che apporta una boccia d'acqua.) Anzi, Rita. Di' a Fortunato di tenersi pronto con l'automobile per le 16. Uscirò. (Poi.) E questa zuppa? (Poi si leva col tovagliuolo allacciato attorno al collo e trascina Anna al proscenio.) Ho deciso, Anna. Nel mondo moderno non c'è posto per i vecchi. Farei l'operazione anche se dovesse costarmi la vita.

ANNA                (spaventata). Costare la vita? Se Guido dice ch'è un'operazione da nulla.

GIOVANNI.      I medici dicono sempre cosí. Poi, se hanno commesso un errore, lo seppelliscono.

GUIDO               (accorre). Che c'è, zio?

ANNA.               Lo zio dice che l'operazione implica un pericolo. (Commossa.) Che bisogno c'è di fare una cosa simile? Se sta bene cosí. Io non voglio si esponga a pericoli.

GUIDO.              Macché! Lo zio scherza.

GIOVANNI.      Lui è un medico o quasi. Ma già parla come un medico. Non c'è da fidarsi. Poi se hanno commesso un errore lo cancellano mettendolo sotto terra.

ENRICO.           Lo sanno tutti ch'è una cosa da nulla. Purtroppo! Se cosí non fosse la signora Emma non sarebbe tanto disperata.

GIOVANNI.      Io qui non capisco una quantità di cose. Che c'entra Emma? (Rivolto ad Anna senza guardare Enrico.)

ANNA.               Emma piange perché l'operazione non fu tentata per il povero Valentino.

GIOVANNI.      Per il povero Valentino? Ma quello lí era marcio fino all'osso che faceva schifo. Come si poteva tentare una cosa simile con lui? Con me che ho tutto normale, è tutt'altra cosa.

ENRICO             (con gioia). Oh, se Lei avesse il coraggio di dirlo alla signora Emma.

GIOVANNI.      Dirle che cosa?

ENRICO.           Che il povero Valentino era purulento.

GIOVANNI.      Non capisco perché avrei da dirglielo. (Scaldandosi.) Io ho da dirle tante altre cose e gliele dirò. (Poi.) Ma fra le tante cose che non capisco… Come sa Lei ch'io voglio farmi operare? Chi Glielo disse?

ENRICO             (dopo un istante d'esitazione). Me lo disse Lei stesso. (Giovanni resta muto dalla sorpresa.)

ANNA.               Signor Biggioni, senza complimenti… se vuole accomodarsi… un piatto di minestra…

ENRICO.           Io non vorrei disturbarla. Ma d'altronde vorrei dire ancora una parola alla signora Emma prima di andare. M'ha congedato in un modo tanto strano…

ANNA.               E allora s'accomodi. (Enrico siede solo a tavola.)

GIOVANNI.      Sono stato proprio io a dire dell'operazione a quel signore?

ANNA                (esitante). Mi pare di sí.

GIOVANNI.      Io non l'avrei invitato a colazione. M'è antipatico. Perché pare tanto contento ch'io mi faccia tagliare?

ANNA.               Crede certo che sia per il tuo bene.

GIOVANNI.      Come si chiama?

ANNA.               Biggioni. Enrico Biggioni. Ho dovuto invitarlo perché altrimenti non si sarebbe andati a tavola mai piú.

GIOVANNI.      Capisco. (Siedono a tavola. Giovanni guarda verso la finestra.) Quella Rita. Ha dimenticato di preparare la mia poltrona.

ANNA                (suona poi grida). Rita, Rita… Margherita.

GIOVANNI.      Margherita? Si chiama Margherita?

ANNA.               Eh! Rita! Non lo sapevi?

GIOVANNI.      Non ci avevo mai pensato. (Mangia, poi.) Margherita! Curioso. Una cameriera. (Mangia ancora, poi.) Sono stato io a mandarla da Fortunato. (Mangia ma è inquieto.)

ENRICO.           Vuole che metta io a posto quella poltrona?

GUIDO.              Ci sono io. (Si leva.)

ENRICO.           Sia tanto buono e lasci che faccia io. (Porta la poltrona alla finestra.) Al sole?

GIOVANNI       (subito arrabbiato lascia cadere il cucchiaio nel piatto). Ma come si figura Lei le cose? Vuole farmi dormire al sole?

ENRICO.           È subito fatto. (Sposta la poltrona.)

GIOVANNI.      Ma non da quella parte. In mezz'ora il sole raggiungerebbe la poltrona se fosse posta da quella parte.

ENRICO.           È subito fatto. Ecco! (Spinge la poltrona verso il proscenio.)

GIOVANNI.      Non tanto! Non tanto! Vuole mandarmi al polo nord? Ma insomma io voglio avere un po' di calore dal sole e niente della sua luce. Capisce, Lei? È semplice.

ENRICO.           È fatto, ecco fatto.

GIOVANNI       (di malumore). Quasi.

ANNA.               E Umbertino? Bisogna farlo chiamare. Rita… Rita… Margherita.

GIOVANNI       (mormora colpito). Margherita.

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.59

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