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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Appendice prima
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Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

[PRIMO]

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SCENA UNDICESIMA

CLELIA e DETTE

 

CLELIA.               M'ha chiamata signora?

ALBERTA           (molto esitante). Che aspetto aveva quel signore che poco fa è stato qui a trovare la signora Alice? Ve lo domando solo… per passare il tempo. Io fra poco vedrò mia cugina e potrò domandarglielo io.

CLELIA.               È un signore occhialuto, piuttosto forte, che cammina lentamente almeno quando passa dinanzi a questa casa. (Pensando.) È un po' calvo… due mustacchietti… e fa dei gesti vivi quando parla.

ALBERTA.          Telvi?

CLELIA.               Non lo so. Io sentii la sua voce solo per un istante. La signora Teresina cercava il suo fazzoletto. Io volli vedere se l'avesse dimenticato qui e venni fino alla porta ove fui trattenuta dalla signora.

TERESINA          (contenta). Senti?

CLELIA.               Io udii la sua voce dire una cosa strana. Ecco: “Eppure lei conobbe mia moglie.”

ALBERTA.          La conobbe benissimo. Io lo so. Ed altro?

CLELIA.               Se la signora Teresina non m'avesse fermata io avrei sentito altro. Cosí invece… null'altro.

ALBERTA.          La signora ebbe ragione di richiamarvi. Non è bene di ascoltare alle porte.

CLELIA.               In questo piccolo quartiere si sente tutto anche non volendo.

ALBERTA.          Questo è vero.

CLELIA.               Ieri io giravo di qua e di là a raccattare le cose della signora Teresina e mi dispiacque tanto di capitare nella stanza della signora Alice che vi si trovava con un signore.

ALBERTA.          Il pittore?

CLELIA.               No, no! Quello lí non arriva piú oltre di qui. Era un signore che le diede del denaro, molto denaro ed essa firmò una cambiale.

ALBERTA.          Ne siete sicura? Oh, poverina.

CLELIA.               Ne sono sicurissima perché la signora Alice s'accorse della mia presenza solo quando tutto fu finito. Mi cacciò allora con cattiva maniera.

ALBERTA           (molto commossa pensando ad Alice). Oh, poverina.

CLELIA                (sorridendo). Certo non è piacevole di essere maltrattata.

ALBERTA.          Non parlavo per voi che meritavate di essere redarguita per essere entrata in una stanza dove non era il vostro posto.

CLELIA.               È stato un errore che mi dispiacque. Poi fui presente e senza volerlo quando il signore partí dicendo: Arrivederci. Di qui ad un mese.

ALBERTA.          Promettendo dell'altro denaro?

CLELIA.               Lo crede Lei signora? Io credo si trattasse di venir a riprendere quel denaro. Quello lí era il piú brutto signore ch'io abbia visto in questa casa e anche fuori di qui. Una testa del tutto calva e molti peli dove non appartengono, sul collo per esempio… un vero scimmione.

ALBERTA           (ancora esitante). E il pittore?

CLELIA.               Il signor Sereni?

ALBERTA.          Sapete anche il suo nome?

CLELIA.               È l'unica cosa che sia finita su quel quadro. Guardi. (Corre al quadro e lo fa vedere.) Non è ben chiaro il nome. Sembrerebbe Pirini ma mi fu detto che si chiama Sereni.

ALBERTA           (guardando il quadro). A mio sapere Alice non possiede un vestito tutto oro e azzurro. Se lo fece fare ora?

CLELIA.               Siede sempre in quel suo vestito bianco.

ALBERTA.          Chissà come Sereni si figura un vestito. Riponga quel quadro. Fra poco la zia verrà a stare insieme a Lei in casa mia. Badi che in casa mia Lei dovrà comportarsi altrimenti.

CLELIA.               Ma io non feci nulla di male. Se non si chiudono gli occhi qui si vede tutto.

TERESINA.         Bada Clelia che tu non devi dire ch'io abbandono questa casa. Alice ne sarà avvisata poi.

CLELIA.               Capisco, capisco. Io so tacere.

ALBERTA.          Ed il pittore viene qui ogni giorno?

CLELIA.               Quasi. Ma non sempre alla stessa ora. Sta qui di faccia. È tanto facile di chiamarlo. Guardi! Vuole vederlo. (Prende un lembo della tenda e lo stende sulla finestra.) Se è in casa di qui a 10 minuti è qui.

ALBERTA.          Come ha fatto?

CLELIA                (ridendo e andando a lei). Vuole vedere? Stia a vedere.

 

SCENA DODICESIMA

ALICE e DETTE

 

ALICE                  (entra veloce e resta interdetta vedendo Alberta).

ALBERTA           (andando a lei). Oh, Alice. Finalmente ci ritroviamo.

ALICE.                 Come stai?

ALBERTA.          Io bene. E tu?

ALICE.                 Benissimo grazie. (Silenzio penoso. Intanto Clelia tenta di arrivare alla finestra per mettere a posto la tenda.)

ALBERTA           (decisa). Senta Clelia. Mi fa il piacere di portare per un istante la zia? Mi sente? (A Clelia che tenta di farle intendere il suo proposito.)

CLELIA                (avvilita). Eccomi signora. (Eseguisce.)

TERESINA          (cerca anche lei di farsi intendere da Alberta, poi). Piano, te ne prego. (In seguito ad un movimento brusco della sedia.)

 

SCENA TREDICESIMA

ALICE e ALBERTA

 

ALICE                  (dopo un'altra pausa). Avevo da fare qualche altra visita. Poi mi seccò. Piove e ritornai a casa prima del tempo.

ALBERTA.          Ti ringrazio d'essere ritornata. Cosí almeno finalmente ti rivedo.

ALICE.                 Ne avevi desiderio? Anch'io. Sí io avevo desiderio della mia antica compagna di gioventú non di quell'altra.

ALBERTA           (offesa). Quale altra?

ALICE.                 So ben io quello che dico. (Poi.) Quell'altra, quella che mi mandò a dire col mezzo del dottore che per ritornare alle relazioni di prima occorreva io domandassi scusa.

ALBERTA.          Scusa? Il dottore deve essersi espresso con poca esattezza. Io domandavo una parola una sola parola di spiegazione. M'hai detto delle cose terribili. Io ne soffersi molto.

ALICE.                 Ne soffersi anch'io perché ci credevo. Voglio dire che in quel momento ci credevo. E lungamente continuai a crederci. Fino ad ora.

ALBERTA.          Ed ora?

ALICE                  (esitante). Non ci credo piú se veramente tanto soffristi anche tu.

ALBERTA           (intenerendosi). Mi dai la mano, cugina mia? (Alice eseguisce.) Mi dai un bacio? (Si baciano.) Ne sono felice.

ALICE.                 Credo d'esserlo anch'io.

ALBERTA.          Perché dici di crederlo soltanto?

ALICE.                 Perché se anche non è vero ch'io debba domandarti scusa, come voleva il dottore, è invece certo che molto io ti debbo. Molto. Io ti debbo la grande sincerità. Io debbo essere sincera perché divento subito infelice, molto infelice se non sono sincera. Eppoi non siamo cugine? Fra cugine il primo obbligo è la sincerità.

ALBERTA.          Ebbene. Siediamo qui insieme e dimmi la tua intera sincerità. Mettiti qui, qui.

ALICE.                 Io non ti amavo piú e profondamente me ne vergognavo. Questo era il mio dolore.

ALBERTA.          Ed ora, ora?

ALICE.                 Ora io vorrei amarti e spero di saper amarti. Ma, cugina mia, bisogna collaborare, aiutarmi. Io non sono padrona dei miei sentimenti e ne sono stupita: Non amo quando dovrei e talvolta anche odio quando non dovrei.

ALBERTA.          Ma dimmi tu come ho da fare. Io sono pronta di comportarmi come tu vorrai pur di conservarmi il tuo affetto. Io sono pronta di arrivare a qualunque generosità per darti la tranquillità e la sicurezza e la felicità.

ALICE                  (con voce profonda, vivamente). Non bisogna piú darmi niente. Mai piú niente. Questo ho scoperto studiando la mia malattia. Mai piú niente. Bada Alberta: Se ho da volerti bene non devi darmi del denaro.

ALBERTA.          Ti darò delle cose che acquisterò io perché sieno belle e degne della mia cugina.

ALICE.                 Tu sei migliore di me. Ti ringrazio. (Baciandola con effusione voluta.) Ma io non voglio niente. Non posso accettare.

ALBERTA.          Sarà una strana relazione la nostra. Io ricca fornita di tutto quello che può occorrermi ed anche di quanto non m'occorre. E tu povera, bisognosa.

ALICE.                 Ma io non sono tanto povera. C'è il piccolo patrimonio dei bambini. Quello bisognerà pur consumarlo per educarli.

ALBERTA.          Non basterà.

ALICE.                 Come puoi saperlo?

ALBERTA.          È questione di conti. Tu, poverina, non sei mai stata molto forte in cifre.

ALICE.                 Ma io potrò anche lavorare. Ho immaginate tante cose. Dapprima pensavo d'impiegarmi in qualche ufficio. Mi dicevano ch'era tanto facile d'imparare a scrivere a macchina. Poi scopersi che sarebbe stato piú facile per una madre di trovare del lavoro in casa. E pensai di mettermi a fare dei disegni per le modiste o anche lavoro di modisteria.

ALBERTA.          Hai provato?

ALICE.                 Finora feci questo cappello che mi vedi in testa. È bello nevvero?

ALBERTA           (meno convinta). Bellissimo. Ma hai provato di vendere qualche cosa?

ALICE.                 No, finora no! Sai non è ancora tutto organizzato qui come vorrei. Bisognerà fare anche delle economie. Cosí avrò anche l'aspetto di piú povera e mi sarà piú facile di offrire il mio lavoro.

ALBERTA           (ridendo). Mia povera Alice! Si vende piú facilmente avendo l'aspetto ricco. L'aspetto povero impedisce l'affare.

ALICE.                 Grazie, grazie. Dammi dei consigli. Di questi ho bisogno. Tu sei una persona tanto pratica, tu che non ne hai bisogno.

ALBERTA.          Io sono una persona pratica. Certo. E perciò se io fossi al posto della mia cuginetta Alice che ha un cervello vivo pieno di sogni andrei dalla persona pratica, la mia cugina Alberta e le direi: Guidami tu.

ALICE.                 E se facessi cosí come mi guideresti?

ALBERTA.          Ecco. Io direi a mia cugina Alberta: Tu non fosti del tutto buona, io ebbi un istante di grande cattiveria. Ma nulla di male è avvenuto e possiamo ritornare alla nostra vita antica.

ALICE.                 Tu non fosti del tutto buona. È vero?

ALBERTA           (abbracciandola). È vero. Ma tu fosti molto cattiva. Come un bambino imbizzito.

ALICE                  (ridendo). Proprio cosí.

ALBERTA.          E cosí ritorniamo ad essere quello che siamo state sempre. Ed io faccio ammenda onorevole e prendo in casa mia la zia Teresina.

ALICE                  (poco soddisfatta). Perché? Perché vuoi seccarti? Sai la vera questione non era mica zia Teresina.

ALBERTA           (ridendo). Mi pare di ricordare che zia Teresina pure c'entrava qualche poco.

ALICE.                 Sí. Qualche poco. (Poi.) Se zia Teresina è contenta, io non voglio mica impedirle di andare a star con te. Ma m'ha detto poco fa che stava tanto bene in casa mia.

ALBERTA.          Sai. A zia Teresina non bisogna credere. Essa è tanto spaventata che in tua presenza direbbe tutto quello che può credere tu desideri. (Dopo un istante di riflessione.) Anche in mia presenza, forse.

ALICE.                 Teme me? Forse la colpa è mia. Oh, poverina! Ma io ero tanto infelice. Cercherò di spiegarle. Essa è la sorella delle nostre madri. Le dobbiamo del rispetto.

ALBERTA.          E a mia grande sorpresa scopersi anche che la zia non è mica noiosa. È divertente sentirla parlare delle sue esperienze in casa dello zio Enrico. E anche in casa tua.

ALICE.                 Anche in casa mia?

ALBERTA.          Sí! Descrisse una tua occhiata d'odio. Essa ci vide tutti i colori: Addirittura un arcobaleno.

ALICE.                 D'odio, io, per la zia? Mai! Oh, ricordo, d'ira, sí d'ira. Non arrivano a farle intendere ch'essa poteva rimanere in casa mia o andarsene senza provocare il mio risentimento. (Riflette.) Ma questo fu addirittura peggio che odio: Un'enorme indifferenza, un disprezzo pieno, immeritato. (Studia ancora.) Ma dissi proprio cosí?

ALBERTA.          Davvero non lo so perché essa non me lo disse. Essa parlò solo di quell'occhiata che le parve lampo e tuono.

ALICE.                 Come sono stata cattiva! Io ricordo di averla guardata cosí. Era solo un'espressione d'impazienza. Volevo uscire presto, per non imbattermi in te e non arrivavo a intendere quello ch'essa desiderasse. Vedi come siamo cattive?

ALBERTA.          Che c'entro io? (Ridendo.) Io non so guardare a colori. Quando guardai io qualcuno cosí?

ALICE                  (rassegnata). È vero. (Poi.) Non si potrebbe ritardare di qualche poco la partenza della zia? Io amerei tanto di dividermi da lei in pace. Vorrei anche abituarmi a vedere in lei la sorella di mia madre, un vivente suo ricordo.

ALBERTA.          Non si può cara Alice. Giusto oggi ho l'auto libera. La mando qui ed è fatto in un momento. Già tu potrai venir a trovarla quando vorrai e terremo ambedue buona compagnia alla zia.

ALICE                  (cedendo a malincuore). E sia. Sarebbe stato meglio… Ma già, fa lo stesso.

ALBERTA.          E che ti disse Telvi che ti capitò in casa insalutato ospite?

ALICE.                 Come sai ch'è stato qui?

ALBERTA.          Me lo disse Clelia. Cioè me lo descrisse e non c'è da sbagliare. Un po' vecchio, un po' brutto, molto noioso. Essa intuí che doveva essere noioso. È una ragazza di spirito quella. Come sono lieta d'averla posta accanto alla zia.

ALICE.                 Telvi, poverino, è innamorato di me. Ricordi ch'io ti dicevo ch'era tanto bello da lui quel suo amore per la moglie e il dolore d'esserne stato abbandonato? Ebbene non ha piú né dolore né amore, il poverino. Resta solo e nudo come madre natura l'ha fatto.

ALBERTA.          E che ti disse?

ALICE.                 Vorrebbe divorziare perdendo una quantità di denaro e sposarmi.

ALBERTA.          E tu?

ALICE.                 Io non potei rifiutare perché egli me lo proibí. Non dovevo dire né sí né no. Feci del mio meglio perché intendesse un no. Ma egli non volle e se ne andò. Ho paura ritorni ed io non ho un portiere cui dare ordine di tenerlo fuori.

ALBERTA           (come se volesse adattarsi). Se hai deciso cosí, sia. Io spero che hai riflettuto e pensato al tuo avvenire e a quello dei tuoi figliuoli.

ALICE.                 Al mio avvenire, certo. E anche al loro. Non potrebbe giovare loro di avere accanto una persona tanto noiosa. E poi se ha da perdere tanto di quel denaro per sposarmi finirebbe coll'essere un cattivo affare per lui e anche per me.

ALBERTA.          Ma non devi prendere alla lettera quello che ti dicono gli uomini d'affari. Quando guadagnano del denaro attenuano le cifre ed esagerano quando perdono. Credimi: Telvi è una di quelle casse forti che non saltano.

ALICE.                 Capisco! Anche per una cassa forte è troppo pesante.

ALBERTA.          Ma è buono, generoso e, in fondo, intelligente.

ALICE                  (seccamente). Lascia stare te ne prego. Io sono tuttavia giovine e all'amore ho rinunziato. Non arriverò mai al punto di accettare di simulare un amore che non sento.

ALBERTA.          Come sei bambina.

ALICE.                 Oh, tanto bambina non sono se ho saputo, se ho dovuto rinunziare all'amore.

ALBERTA.          Hai dovuto?

ALICE.                 Cioè: L'amore m'ha abbandonato. Sai la felicità di destare un'ammirazione, un desiderio? Oh, tu la senti ancora. È una parte della vita e non la piú insignificante. Stupido! Ma è cosí. Ebbene, io no. A me l'amore è interdetto. Quando m'è offerto, mi ripugna. Pare che tutto il mio animo sia occupato da qualche altra cosa che non so che cosa sia. Non può essere il denaro, nevvero?, perché allora basterebbe sposare Telvi. Ma io non amo l'amore. Mi fa ridere. Mi pare poco importante.

ALBERTA.          Saresti proprio matura allora per sposare Telvi.

ALICE.                 Eh! No! Io ho tuttavia troppo rispetto per l'amore. Hai conosciuto delle persone prive di religione del tutto che sono piene di riverenza per la religione dei loro antenati e della loro giovinezza? Sono veramente le persone piú religiose. Non sanno pregare e ne soffrono. Guardano verso il cielo con dolore e rimpianto. Cosí sono io per l'amore. Dovrebb'esserci nel mio cuore ove c'è invece un vuoto scavatovi da chi sa chi. E duole come una ferita.

ALBERTA.          Ma dopo la morte di tuo marito tu non avesti occasione di amare. Fosti sempre occupata tanto dal pensiero dei tuoi bambini e delle tue… difficoltà.

ALICE.                 Sí, le mie difficoltà furono grandi. Ma quando un mese fa io da te mi divisi avevo proprio l'intenzione di dimenticare queste difficoltà e… e… fare all'amore.

ALBERTA           (con qualche violenza). Tu parli di Sereni?

ALICE.                 Parlo proprio di lui.

ALBERTA.          Un uomo che ha bisogno di cambiare di donna ogni qualvolta fa un nuovo quadro. Capisco perché tu non possa gioire dell'amore.

ALICE.                 Perché? Anche quell'amore si potrebbe intendere. È intero! Potrà finire prima o dopo ma si può gioirne magari anche senza parteciparvi. Che cosa di piú bello che giovare ad un'ispirazione? Quando Sereni dice che i nostri pittori antichi avevano la vita, cioè l'arte piú facile perché le donne erano fatte altrimenti, io penso che possa aver ragione. Purtroppo io sono fatta cosí e non so aiutarlo. Quel quadro lí non sarà mai finito.

ALBERTA.          Tanto meglio.

ALICE.                 Né io né tu siamo al caso di giudicare. E mi costerebbe tanto poco di dirgli che l'amo… Ma non posso. I miei figliuoli - come dici tu - e le mie difficoltà sono troppo importanti. Quando m'offre amore io penso d'essere come l'assetato cui si offra da mangiare.

ALBERTA.          E se io sapessi che queste difficoltà t'impediscono una cosa simile, io le aumenterei, le aumenterei perché sono la tua salvezza.

ALICE.                 E che può importare a te?

ALBERTA           (stupita). Non vedi perché mi possano importare?

ALICE.                 No. Non lo vedo.

ALBERTA.          Se non vedi perché io me ne interessi, non tocca a me di spiegarlo.

ALICE.                 Che ci sarebbe di mutato in me se io divenissi l'amante di Sereni? Voglio dire per te che mi sei cugina che ci sarebbe di mutato?

ALBERTA           (stupita). Io amo te ma amo anche la tua purezza, la tua illibatezza. (Dopo una pausa.) Ma perché abbiamo da discutere una cosa che non esiste nello stesso momento in cui tu mi dichiari che non esisterà mai?

ALICE.                 È perché a me importa. Ti raccontai in questo momento come io mi dolga di non saper vivere e amare e tu mi gridi subito: Non devi vivere, non devi amare. Odio quella parte di me stessa che dice cosí. Mentre io vorrei amare te, vorrei amare te con tutte le mie forze.

ALBERTA.          Ma Alice mia, quella parte di te stessa che tu odii è la piú bella, la piú nobile.

ALICE.                 Non ne sono mica tanto convinta.

ALBERTA.          Cugina mia. Parliamo di cose piú importanti. Di quanti denari abbisogni?

ALICE.                 Io? Io non ho bisogno di denaro.

ALBERTA.          Non m'avevi promesso sincerità? Come puoi dirmi una cosa simile? Non so forse che prendesti a prestito del denaro da uno strozzino?

ALICE                  (stupita). Anche questo sai?

ALBERTA.          Me lo disse Clelia.

ALICE.                 Clelia quella di cui sei tanto contenta… Io presi quei denari solo per un mese. Non potevo aspettare la definizione delle pratiche per aver libero il denaro. Ma ora alla fine del mese potrò saldare il mio debito con quel signore che non è uno strozzino ma una persona a modo. Mi prese solo il cinque per cento.

ALBERTA.          Al mese?

ALICE.                 Visto che non tengo il denaro per piú di un mese, poco mi può importare che sia a mese o ad anno.

ALBERTA.          Sei tanto innocente che non è possibile prendersela con te. Dimmi quanto ti occorre e l'avrai senz'altro. Ho convinto Carlo che quando si tratta di te non voglio essere diretta da lui. Dimmi dunque. Ma presto. Il tuo rifiuto mi fa pena e m'offende. Tu non puoi fare senza il mio soccorso e tutti i tuoi affari devi dirmeli perché tu finiresti col rovinarti.

ALICE.                 Ma se io voglio provare di vivere coi miei mezzi, non sarebbe meglio anche per te?

ALBERTA.          Sarebbe meglio solo se sapessi che tu puoi fare a meno di me. Cosí è una cosa insopportabile. Pensa che facendo tutte le tue spese da te finiresti coll'aver bisogno di somme cui io non potrei corrispondere. Cosí, invece, dei piccoli importi dati ogni giorno io neppure m'accorgerei.

ALICE.                 Ogni giorno! Non piú volte al giorno?

 

SCENA QUATTORDICESIMA

SERENI e DETTE

 

SERENI                (entra sicuro. Quando vede Alberta, a malapena riesce di celare la sua sorpresa). La signora Alberta! Quale sorpresa piacevole. Hanno fatto la pace?

ALBERTA.          Certamente! Voi sapete quanto io la desideravo.

SERENI.               Anch'io la desideravo. Può dirlo la signora Alice che io vedo di spesso perché è tanto buona di accettare la fatica di quel ritratto.

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.59

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