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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

Quattro atti

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ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA

CHERMIS e ALBERTA

 

ALBERTA.          Qui hai i tuoi denari 2100 franchi.

CHERMIS.          Eccovi le cambiali. Occorre però il saldato.

ALBERTA.          Non occorre! (Le straccia.)

CHERMIS.          Sembra che voi l'abbiate con me. Supponete forse che io abbia rubato a voi questo denaro?

ALBERTA.          A me dispiace che tu abbia a fare l'usuraio.

CHERMIS           (irato). L'usuraio! Io!

ALBERTA.          Stimo io! Il 30 per cento…

CHERMIS.          Ma che 30 per cento. Si parla del 2,½ % al mese.

ALBERTA.          Che fa il 30 per cento all'anno.

CHERMIS           (a mezzo confuso a mezzo petulante). Ma che! Questi affari si trattano a mese.

ALBERTA.          Bada che sentendoti parlare cosí finisco col perdere ogni fiducia nel mio grande uomo d'affari. Veramente non capisci d'aver domandato troppo?

CHERMIS           (con malizia avendo trovata la via da seguire). No! Io non ho domandato troppo. Sapete, padrona! Ci sono due specie di denari. Quelli che guadagnate voi restando vestita come siete voi e abitando in questo palazzo e quelli che guadagno io vestito cosí e abitando un tugurio. Certo i vostri si possono regalare verso un inchino, due, dieci inchini. I miei no! I miei devono essere pagati. Io degl’inchini non so che farmene.

ALBERTA           (spazientita). Ma io non t'impongo di regalare i tuoi denari. Dovresti prendere un interesse da persona proba.

CHERMIS           (scoppiando). E se ci fossero delle persone che preferiscono di prendere il denaro all'interesse che lo do io piuttosto che di pagare quello che domandate voi?

ALBERTA.          Eh! via!

CHERMIS.          Oh! non occorre andare tanto lontano per trovare di tali persone. La signora Alice per esempio!

ALBERTA.          Hai visto ch'essa ha finito col prendere i denari da me!

CHERMIS.          Perché io volli i miei! Stimo io! Era ridotta a non avere piú la libertà di scelta! A me non pagava neppure l'interesse! E non lo pagherà neppure a voi. Quella lí non paga né interesse né capitali.

ALBERTA           (un po' violenta). Ma io non domando nulla.

CHERMIS.          E allora avrete tutto quello che domandate. Ma non sarete contenta! Io sono un uomo comune, ma certe cose le capisco bene. Voi non sarete contenta!

 

SCENA SECONDA

CARLO e DETTI

 

CARLO.               Buon giorno! Come sta?

ALBERTA.          Ha dormito tutto un sonno e mi parve del tutto rimessa.

CHERMIS.          Sta male la signora Alice?

ALBERTA.          No. Ora sta benissimo! Puoi andartene, Chermis! Ritorna domani; per oggi non ho voglia di sentire altro.

CHERMIS.          Buon giorno! (Ridendo a Carlo.) Una buona signora la signora Alberta. Ma non con tutti! Con me l'ha a morte.

ALBERTA.          Non dire sciocchezze e lasciaci, te ne prego.

CHERMIS.          Eh! vado, vado. Che furia. Arrivederci, padrone. (Esce.)

 

SCENA TERZA

ALBERTA e CARLO

 

CARLO.               Donato sarà qui presto.

ALBERTA           (lo guarda attenta). Tu! mio povero amico soffri di gelosia. Hai abbandonati gli affari e sei venuto qui per sorvegliarmi!

CARLO.               Oh, per sorvegliarti! Questo non si può dire.

ALBERTA.          Ma qualche cosa di simile.

CARLO                (sorridendo). Sí! Per sorvegliare Donato. Di te non temo. Temo di lui. (Attirandola a sé.) Vedi! Egli è un noto donnaiolo eppure mai lo temetti come ora. Si sapeva da tutti che ti faceva la corte. Ma solo ora mi fa impressione.

ALBERTA.          Ora ch'è in procinto di sposarsi!

CARLO.               Sí, ma sembrerebbe che si sposi per far piacere a te.

ALBERTA.          Ma non hai sentito da Alice che anche senza il mio intervento egli l'avrebbe sposata tuttavia?

CARLO.               Ed è vero? (Pensieroso.)

ALBERTA.          Sai, io a Sereni dovetti promettere che mi sarei addossata le spese dell'educazione dei figliuoli di Alice. Era la minima cosa che potevo fare. (Abbracciandolo.) Te ne prego, non torturarmi. Oggi che sono tanto felice di aver riconquistata la fiducia e l'affetto di Alice. Quello che io finora ti dissi non è del tutto vero! Anch'io ebbi le mie colpe e sono pronta di riconoscerlo. Con tutte queste mie beneficenze io finii col fare un po' di confusione. Alice andava trattata come una sorella e non come una poverina che avesse avuto bisogno di sola carità e non prima di tutto di affetto.

CARLO.               Ma tu dicevi di averglielo dato tale affetto.

ALBERTA.          Sí! Io lo dicevo e lo credevo anche. Ma pare non fosse cosí! Ella sentí che c'era una mia volontà di padroneggiare e si ribellò. Può aver avuto torto perché mi fece male, molto male. Ma io non posso che stimarla di piú. Non accettò niente da lui e piuttosto si acconciò a far debiti. Come è stata forte! Anche lui mi aveva detto di non averle mai dato un centesimo ma io non gli credetti. È questo che mi fece sentire i miei torti.

CARLO.               Credimelo! Se vuoi conservare l'affetto di tua cugina devi stare attenta come procedi con Sereni. Essa è gelosa di te.

ALBERTA           (ridendo). E tu, anche! Come va che solo Sereni e solo ora ti faccia paura!

CARLO.               Ho da dire la verità? Anche se ti può seccare? Ebbene! Ti vidi tanto accesa dal desiderio di vedere Alice ai tuoi piedi che ti stimai capace di comprometterti a questo scopo con Sereni.

ALBERTA.          Dio mio! Come avete potuto pensare tu ed Alice una cosa simile? Vedi che in qualche cosa io devo aver sbagliato per acquistare un simile aspetto ai tuoi occhi e ai suoi. Ma non farti dei pensieri per Sereni! Io, se lo vuoi, non lo vedrò che quello che occorre per restare accanto ad Alice che di me ha bisogno.

CARLO.               Io non penso di farmene dei pensieri ma desidero che neppure Alice se ne faccia. Hai visto che finché essa non venne ad accusarti a me io non dissi niente.

 

SCENA QUARTA

ALICE e DETTI

 

ALICE                  (appoggiata allo stipite della porta). Vedete che sto in piedi abbastanza bene da sola. Ora posso andare a casa.

ALBERTA.          Ma perché? Perché tanta fretta?

ALICE.                 Lasciami andare. Ho da fare tante cose.

ALBERTA.          Vuoi lavorare nello stato in cui ti trovi?

ALICE.                 Non si tratta di lavorare. Devo disporre di tante cose. La zia me lo disse che io trascuro i nostri bambini. Con un coraggio di cui né io né tu l'avremmo creduta capace. Non voglio piú trascurarli. Ora che le mie cose… in grazia tua… si trovano regolate, non voglio che si possa piú dire di me una cosa simile. Il mio primo pensiero dev'essere per i miei figliuoli. (Commovendosi, poi.) Me ne dispiace per mio marito… Abbiamo stabilito di chiamarlo subito cosí, nevvero?

ALBERTA           (è andata a prenderla e l'appoggia per condurla al tavolo.) Sarà subito qui. Noi due vi lasceremo soli, vi spiegherete e tu avrai intera la tua serenità. È una cosa tanto semplice!

ALICE                  (guardandola con curiosità). Ti pare? Anche a me parve, allora… In fondo quali doveri avevo io? Verso me stessa! Ma se a me stessa non ci tenevo! In complesso, debbo dirlo, ho avuto fortuna, grande fortuna. (Abbattutissima.)

ALBERTA.          Non sembri abbastanza felice.

ALICE.                 È che sto male! Eppoi le cose sono messe in modo che mi vergogno un poco dinanzi a voi.

CARLO.               Neppure agli occhi di un negoziante come son io un amore come il vostro non rappresenta una vergogna.

ALICE.                 Vi ringrazio, Carlo. Ma non è di ciò che io mi vergogno. È di apparire quale una bambina cattiva e debole. Sí! Cattiva! E debole! Una bambina che si ribella! Che si ribella! Che si sottomette! E trovo voi, buoni come dei genitori. Mi accogliete come… come… il figliuolo prodigo. (Ad Alberta a bassa voce.) Tu hai pagato quell'uomo?

ALBERTA.          Sí!

ALICE.                 Ma gli hai dato tutto, tutto quello che gli avevo accordato e che a te pareva troppo?

ALBERTA.          Certo, tutto!

ALICE.                 E quanto ti debbo?

ALBERTA           (un momento resta stupita). Non c'è premura. Te lo dirò poi.

CARLO.               Capisco che avete da parlare insieme e vi lascio. Io spero che queste spiegazioni faranno bene ad ambedue. Arrivederci! Di qui a mezz'ora sarò di ritorno e spero di ritrovarvi, signora Alice. (Le bacia la mano.)

ALBERTA           (lo accompagna alla porta). E ti sono passate le rane?

CARLO.               Bada che quella signora m'appare alquanto fosca. È a lei che devi levare le rane. (La bacia in fronte e via.)

 

SCENA QUINTA

ALBERTA e ALICE

 

ALBERTA           (ritorna ad Alice e la contempla). Di'! Alice! M'hai perdonata? Del tutto?

ALICE.                 Quale domanda! (Con riso forzato.) È la stessa domanda che io volevo rivolgere a te.

ALBERTA.          Ma non avresti avuto da aspettare tanto per la risposta. Non vedi come sto studiando la tua faccia per comprendere quello che tu attendi da me? Dimmelo, tu, come possiamo essere di nuovo le buone sorelle che siamo state nella nostra infanzia?

ALICE.                 Lo vuoi? Lo vuoi davvero? Ecco! Se vuoi essere buona devi aiutarmi! Ma non farmi la carità!

ALBERTA.          Ma si può dire quella brutta parola quando io sono pronta di darti tutto, tutto? Carità significa una cosa piccola, meschina! Io invece ti dico che ti do tutto quanto ti può abbisognare e tutto quanto io posso dare. Questo non è piú carità, mi sembra.

ALICE.                 È una carità fatta senza misura ma è una carità ed io non la voglio. Io ora ho bisogno di molti denari e se non avessi te sarei disperata ma non li voglio in dono. Perché non me li presteresti? Io, fra poco, sarò abbastanza ricca. Non potrei restituirti il tuo denaro?

ALBERTA           (gelida). Bisognerebbe allora stabilire anche un tasso congruo d'interessi come fa Chermis.

ALICE.                 Tu sei offesa? (Con impeto improvviso.) E allora non li voglio i tuoi denari. Farò quello che non avrei voluto fare a costo della mia vita. Li domanderò a lui.

ALBERTA.          No! Non ho mai detto di non volerteli dare. Quanti ti occorrono?

ALICE.                 Oltre quelli che desti a Chermis mi occorrerebbero circa tremila franchi… forse basterebbero 2500.

ALBERTA.          Li vuoi subito?

ALICE.                 No! Non c'è premura! (Dopo una lieve esitazione.) Mi basteranno per domani. (Con certa ansietà.) Puoi darmeli?

ALBERTA.          Come puoi dubitarne!

ALICE                  (con calore). Grazie! Grazie! Mille grazie! Mi salvi proprio da un grave intrigo. Perché… devi sapere… che io non dovevo dei denari mica al solo Chermis.

ALBERTA.          E preferivi tutti questi pensieri e intrighi al venirmi a dare un bacio quando io non desideravo altro?

ALICE.                 Sí! Ero fatta cosí, io… allora! E avevo tanto bisogno di denari! Dovevo pur farmi bella… per lui.

ALBERTA.          Ma e come intendevi che sarebbe finita tutta questa storia?

ALICE.                 Dio mio! Tutte le storie a questo mondo finiscono. Io m'ero provveduta di una boccettina di veleno.

ALBERTA           (coprendosi la faccia). Oh! disgraziata! disgraziata! E i tuoi figliuoli?

ALICE.                 I miei figliuoli? Quelli rappresentavano l'unico dolore. Ma poi io ti conoscevo. Saputami morta tu saresti accorsa. E loro, giovinetti, avrebbero potuto essere cresciuti alla gratitudine che tu volevi.

ALBERTA.          Sicché tu pensi che per conservarsi la mia amicizia bisogna mostrarmi una grande gratitudine?

ALICE.                 Non una grande gratitudine ma quella che ti spetta. Io fui sconoscente. Lo so! Lo so! Ma io non so essere altrimenti. Per cambiarmi sarebbe occorso quella fialetta…

ALBERTA.          Non parlarne!

 

SCENA SESTA

CAMERIERA e DETTE

 

CAMERIERA      (porge ad Alberta un biglietto di visita).

ALBERTA.          Sereni! Venga, venga.

ALICE                  (seccata). Senza seccarvi qui non avrei potuto rivederlo in casa mia?

ALBERTA.          Te ne prego, Alice. Rivedilo qui e non altrove. Non ti domando altro. Non gratitudine per esempio. Di quella sei esonerata. Non mi devi niente! Lo proclamo ad alta voce: Io ti sarò grata per sempre se mi lascerai condurre questa soluzione nel modo piú decoroso.

ALICE                  (con sguardo torvo). Si tratta del decoro della famiglia. Capisco!

 

SCENA SETTIMA

SERENI e DETTE

 

SERENI                (lieto passando stringe la mano ad Alberta). Grazie, grazie! (Corre ad Alice e le bacia la mano.) Vi sentite bene?

ALICE                  (offrendogli le labbra). Perché non mi dai del tu? Capisco la tua intenzione e te ne ringrazio. Ma davanti ad Alberta. Dubiti ch'essa sappia?

SERENI.               La mia valorosa moglie! Hai ragione! Non ipocrisie davanti alla signora. Le dobbiamo tanto! Essa intese meglio di me quello che faceva al caso nostro.

ALBERTA.          Ma via non ringraziate! Io non ho fatto proprio nulla. (Accennando a Sereni di tacere.) Quello che ora debbo fare e sono sicura che per ciò e solo per ciò mi serberete riconoscenza è di lasciarvi soli. Poi Alice desidera di ritornare a casa sua. Io avrei voluto trattenere Alice finché è tanto debole ma essa dice ch'è attesa e che ha tante cose da fare.

SERENI.               Non ti troveresti meglio curata in questa casa piuttosto che nella tua ch'è tanto deserta?

ALICE                  (un po' nervosa). No! Ve ne prego! Non fatemi parlare per cosa che non vale la pena. Voglio ritornare a casa mia! Scusami, Alberta, ma non posso rimanere qui.

ALBERTA.          E chi vuol opporsi alla tua volontà? La carrozza sarà subito pronta. E mi chiamerete quando avrete finito di spiegarvi.

SERENI.               Ma non possiamo parlarci anche dinanzi alla signora? Già! Quali segreti ci sono fra di noi? Essa sa che ti amo!

ALICE.                 Già! Potremo parlare a casa!

ALBERTA.          No! Parlate qui! Ve ne prego! Eppoi desidererei che fino al vostro matrimonio non vi vediate piú che in questa casa! Volete farmi questo piacere?

SERENI.               Sarà forse meglio! (Guarda Alice che si stringe nelle spalle.)

ALBERTA.          Sorveglierò che vi si lasci in pace. (Esce.)

 

SCENA OTTAVA

SERENI e ALICE

 

SERENI                (s'inginocchia accanto alla sedia ove è seduta Alice). Se sapessi come ho sofferto dacché ho appreso che stavi male. Sapevi già di quanto s'era concordato con la signora Alberta?

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.21

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