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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

Quattro atti

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ATTO SECONDO

 

 

SCENA NONA

ALBERTA e DETTE

 

ALBERTA.          Buon giorno, zia. Ha una buona cera quest'oggi. (La bacia.) Ne son ben lieta.

TERESINA          (guardandola). Ho davvero una buona cera?

ALBERTA.          E Alice? È di là? Non bisognerebbe avvisarla che sono qui?

TERESINA.         Alice è uscita or ora.

CLELIA.               E disse pure che non sarebbe ritornata presto.

ALBERTA           (alterata alla zia). Le diceste ch'io dovevo venire?

TERESINA.         Certo, glielo dissi subito ieri.

CLELIA.               Ero presente anch'io che la zia glielo disse.

ALBERTA           (con ira). Chi vi domanda di fare delle testimonianze di cui la zia non ha bisogno?

CLELIA.               Credevo Lei me l'avesse domandato. Mi scusi.

ALBERTA.          Sta bene. Adesso mi lasci sola con la zia.

 

SCENA DECIMA

ALBERTA e TERESINA

 

ALBERTA.          Che sfacciata!

TERESINA.         È una buona ragazza… con molti difetti. Se tu lo vuoi mandiamola pur via. Però se si ha da licenziarla vorrei non ne fosse avvisata che al momento in cui avrebbe da lasciarmi. Te ne prego! Io sono del tutto in mano sua e se si arrabbiasse potrebbe sbattere me e la mia seggiola contro la parete. È molto robusta.

ALBERTA.          Non ci penso neppure di privarla di persona che Le è gradita.

TERESINA.         Gradita! Non è la parola. Non è mica piacevole di farsi spingere di qua e di là. Ma quando occorre è bene di trovare chi lo faccia.

ALBERTA.          E ieri quando Lei disse ad Alice ch'io sarei venuta a farle visita essa subito disse che sarebbe uscita?

TERESINA.         No! No! Non disse nulla. Oggi soltanto disse che sarebbe uscita e, infatti, uscí.

ALBERTA           (un po' abbattuta). Com'è ostinata!

TERESINA.         Anche sua madre era cosí. Volle sposarsi quando e con chi volle lei. Volle… volle… sempre volle.

ALBERTA           (levandosi il cappello). Ebbene! Io aspetterò Alice. Vede zia! Qui siamo in due litiganti e questo sciocco litigio minaccia di farsi eterno. È certo che spetta a me di mostrarmi arrendevole. Facendo la pace io non ci guadagno nulla, anzi tutt'altro. Se continuiamo il litigio lei addirittura è rovinata. Tocca perciò a me di cedere.

TERESINA.         E continua a tenerti il broncio avendo da perderci tanto? Ma allora devi averle date delle forti ragioni a risentirsi.

ALBERTA.          No zia! No! Io neppure capisco come ciò avvenne. Io avevo scritto a Lei zia di venire a Trieste e dimenticai di avvisare Alice che avevo destinato che Ella andasse a stare con lei. In fondo che disturbo poteva arrecarle? Tutte le spese erano pagate da me. Volevo proprio pagare tutto.

TERESINA          (dolorosamente colpita). Ed è dunque per causa mia che avete litigato. Anche questo doveva capitarmi! Oh, se l'avessi saputo mai piú avrei accettato il tuo invito. Perciò Alice mi ha accolto cosí.

ALBERTA.          Non capisco, zia. Che c'entra Lei?

TERESINA.         Mi domandi come io c'entri e mi trovo cacciata dentro fra' vostri due odii? Oh! Oh! Tutto il corpo mi duole come se fossi posta fra due macine.

ALBERTA.          Ma zia mia! Non si tratta mica di due odii. Tutt'altro. Io amo Alice. Da tre, quattr'anni io non penso che a lei. Le diedi denari, vestiti e masserizie. D'estate essa è mia ospite nella mia villa di Tricesimo ove anch'io starei tanto volentieri se non fossi obbligata di seguire mio marito che non si prende che un mese di permesso e deve dedicarlo alla cura del suo fegato. Ma Alice ha proprio parlato d'odio?

TERESINA          (vivamente). No, non ha detto niente. Io mai ho sentito qualche cosa.

ALBERTA           (la guarda titubante). Veramente io non credo che la disputa sia sorta per causa Sua. (Poi.) Solamente allora dovrei pensare che ci sia sotto qualche risentimento piú profondo. Ma come avrei dato io motivo a risentimento. Invidia? Io da un mese studio e rivedo ogni parola della disputa e non riesco a intenderla. Ebbene! Oggi voglio chiarirla. Io resterò qui magari fino a questa sera ma voglio parlare con Alice. (Si leva il cappello e lo depone.)

TERESINA          (pensierosa). Già, io non c'entro, nevvero? Se tu vuoi restare io non posso mica impedirtelo.

ALBERTA.          Certo Lei non c'entra. Ma come passeremo qui tanto tempo? Intanto, zia, perché mandò a dirmi che m'aspettava con tanta impazienza?

TERESINA.         Ti fu detto impazienza? Non credo sia la vera parola. Desideravo di vederti, ecco tutto.

ALBERTA           (freddamente). Grazie.

TERESINA.         Io in complesso qui mi trovo bene. Però trovo che sarebbe bene per me di ritornare in campagna. Come posso restare qui sapendo che il mio arrivo ha prodotto fra di voi un dissenso simile? Io, poverina, fra voi due. (Piange.)

ALBERTA.          Ma zia, a mio sapere nessuna di noi due Le fece nulla di male.

TERESINA.         Ma non mi amate. Non sai che quando si è deboli e malati si ha bisogno di aiuto e appoggio? Non mi amate. (Piange ancora.)

ALBERTA.          Ma io Le voglio bene.

TERESINA.         Anche Alice dice cosí, proprio cosí. (Poi.) E noi nati in campagna stiamo bene solo in campagna. Se ci fossi io non potrei piú salire quei colli nostri ma respirerei l'aria che ne viene. Poi potrei stendere i piedi fuori di questa seggiola e sentire l'erba, l'erba umida e fresca, l'erba piú soffice di qualunque piú soffice guanciale e sentirla e, forse, trarne qualche forza. (Poi.) Perché non m'allogheresti nella tua villa di Tricesimo? Io non posso ritornare dal cugino che mi volle via.

ALBERTA.          Di solito d'estate in quella villa ci va Alice coi bambini.

TERESINA.         Anche adesso che non vi parlate?

ALBERTA.          Dipenderà da lei. Certo io la porrò a sua disposizione come se nulla fosse avvenuto.

TERESINA.         Se non fate la pace essa non accetterà.

ALBERTA.          Lo crede? Io ritengo che per una stupida ostinazione essa non vorrà rinunziare ad un vantaggio alla salute dei bimbi.

TERESINA          (con amarezza). Quelli lí sono sani e forti e non hanno bisogno di nulla. Dovresti sentire la loro voce. Tanti tromboni. Poi se anche vengono c'è posto per tutti. Io occuperei quella piccola stanzuccia a cui s'accede da quella porticina accanto alla stalla. Eppoi là sarei pure un poco utile ad Alice perché io so come si deve vivere e moversi in campagna. Poco utile, certo, ma un poco piú che qui. E a questo mondo per vivere felici bisogna pur essere un poco, un poco utili. Se non si serve a niente, proprio a niente, tutti ti guardano con quegli occhi che distruggono.

ALBERTA.          Zia, se non vuole altro andrà a Tricesimo.

TERESINA          (commovendosi e baciandole le mani). Grazie, grazie.

ALBERTA.          Ma zia. (Strappando le proprie mani dalla bocca di Teresina e subito baciandola in fronte.) Dica, zia: Com'è che Lei, invecchiando, si fece tanto dolce? Eppure dicono tutti che invecchiando il carattere s'inacerbisca. Ricorda? Quando noi, d'estate, si veniva a stare in casa del povero nonno, le nostre mamme ci affidavano a Lei. Bastava una sua occhiata per farci stare buone e (sorridendo) se ben ricordo anche le nostre mamme avevano un po' paura di Lei.

TERESINA.         In allora ero tanto utile a tutti… era altra cosa. Nostra madre, la tua nonna, morí quand'io avevo diciassett'anni e io dovetti assumere la direzione di tanti minorenni. M'accorsi subito che l'interesse della casa esigeva ch'io alzassi la voce. Piú gridavo e meglio andava tutto. Gli armenti si moltiplicavano, il vino aumentava di ettolitri e con le patate si giunse a pesi mai visti prima. Ed io gridai, gridai. Mio padre me ne lodava. Tanto piú gridai. Tua madre si sposò giovanissima. Era dolce, bella e buona e non gridava mai perché gridavo io. Anche la mamma di Alice era bella e buona. Ma testarda! Io gridavo e lei invece piangeva e faceva silenziosa quello che voleva. Chi la sposò non poté accorgersene prima. Invece me non occorreva sposarmi per sentirmi. Ed io aspettai invano il marito perché - è strano - gli uomini sposano chi vogliono eppoi appena esigono si diventi quello che occorre. Perciò il matrimonio della mamma di Alice non andò tanto bene. Io fui stupida e lei anche.

ALBERTA.          È il destino.

TERESINA.         Il mio fu quello di gridare. Poi, invecchiando tuo nonno divenne melenso e firmò delle cambiali per pagare le quali bisognò vendere tutto. Papà morí poco dopo ed io andai a servire zio Enrico. Anche là gridai molto. Lo facevo per lo zio. Gridai meno però perché lui gridava piú di me. Come mi vedeva si metteva ad urlare. Tacqui quando mi posero in questa seggiola. Domandalo ad Alice e Clelia: Io non grido mai. Eppure potrei fare ancora del bene, ma non mi lasciano. Io potrei aiutare Alice ad educare i suoi bambini. Ma non m'ingerisco di nulla io oramai. Ho tanto bisogno di tutti.

ALBERTA.          Ma se è cosí Lei potrebbe addirittura venir a stare da me.

TERESINA.         Tu avevi paura di me? Perciò mi cacciasti in questa casa?

ALBERTA           (imbarazzata). No! No! Io allora non potevo; avevo un altro ospite in casa e non c'era spazio.

TERESINA.         Ah! cosí! (Poco convinta, poi.) Puoi immaginare come volentieri io verrei a stare nel tuo bel palazzo. Ma tuttavia mi piacerebbe di piú andar a stare a Tricesimo. Muoio dal desiderio di rivedere la campagna.

ALBERTA.          Vede, zia. La primavera è tuttavia esitante. Piove ogni giorno. La casa di Tricesimo è un po' vecchia. È una di quelle case nelle quali fa esattamente il tempo che c'è fuori. Ora sarà molto umida.

TERESINA.         Ma non voglio venire da te perché non voglio offendere Alice. Voi siete come cane e gatto. Io non vorrei trovarmi fra voi due neppure quando vi guardate. L'odio è una cosa terribile per gli ammalati.

ALBERTA.          Ma che cosa può importare a Lei di Alice che non seppe neppure dimostrarle abbastanza affetto per renderle sopportabile il soggiorno in questa casa?

TERESINA.         Ma io non dissi questo. Se hai inteso cosí è stato un malinteso. Essa è stata sempre buona, buonissima con me. Solo poco fa perché credette ch'io mi fossi lagnata di lei mi diede un'occhiata, un'occhiata gialla e rossa, terribile.

ALBERTA.          Ma Lei Alice non vedrà piú se non vuole. Che può importarle di lei?

TERESINA          (esitante). Io non ho che voi due a questo mondo. Due per una vecchia come me pare molto. Ma se perdo una di voi allora ne resta una e una è poco, molto poco. Potrebbe avvenire che tu ti stancassi di me e allora? Non per mia colpa perché io passo le mie giornate su questa seggiola studiando come debbo comportarmi per non avere delle colpe. Ma quelli che sono ricchi e forti si seccano di vedere sempre la stessa faccia implorante. Non lo dico mica per te che sei tanto buona. Lo dico per tutti. Per me prima di tutto. Ricordi la vecchia Anastasia? Io le diedi il piatto di zuppa ogni giorno per ben sei mesi. Ma essa voleva mangiare anche dopo ed io m'arrabbiai. Mi pareva che chi avesse protestato la sua riconoscenza per tanto tempo non potesse poi prendersela con chi le rifiutava il centottantunesimo piatto di zuppa. Invece essa subito m'augurò tutti i malanni e m'arrabbiai anch'io e diedi un calcio al suo canestro. È forse per questo ch'io fui poi ridotta a non poter dare degli altri calci. (Con un sospiro.) Quella brutta strega. (Poi). So che tu non dài dei calci ma io, per quanto la mia vita possa essere ancora breve potrei aver bisogno di tutti e anche di Alice.

ALBERTA           (ridendo). Com'è strana Lei, cara zia. Non sa che quello che faccio per Lei lo faccio anche per degli estranei? Lei non avrà mai bisogno di Alice. Di lei non ha bisogno neppur ora. Eppoi prima o poi Alice si sottometterà e saremo in due a curare la nostra cara zia. Vedrà, vedrà. Io conosco meglio di Lei la vita. La necessità non conosce legge. È stato quest'oggi il dottore?

TERESINA          (seccamente). Sí, grazie. (Poi.) Viene proprio per me?

ALBERTA.          Certamente, cara zia.

TERESINA.         Sta con me per cinque minuti. Poi, molto piú a lungo, con Alice.

ALBERTA.          L'ho pregato io di parlarle. Vede zia ch'io faccio del mio meglio per arrivare alla meta che mi sono prefissa. Quando Alice avrà riconosciuto il suo torto, noi tutt'e tre staremo meglio. Alice, specialmente. Voglio essere molto generosa con lei. È evidente che le nostre relazioni non saranno piú le antiche. Certe parole non si possono dimenticare.

TERESINA.         Sí, le parole sono ancora piú dure a sopportarsi delle occhiate. Oh, se lo so. Tutte queste cose io le so dacché son seduta su questa sedia. (Poi.) Sapevo che il dottore non veniva per me.

ALBERTA.          Ma certo zia, per Lei. In questa casa non ci sono degli altri malati.

TERESINA.         Io credo ch'egli si occupi tanto poco di me che ancora non sa ch'io sono malata alle gambe. Esaminò gli occhi, la schiena e il petto. E che cosa ti disse di Alice?

ALBERTA.          Deve venire questa sera da me e allora sentirò.

TERESINA          (pensierosa). Se tu fai la pace con Alice, io tanto piú debbo badare di non offenderla. Essa certamente sarà per te piú importante di quanto io mai possa esserlo. Perciò, te ne prego, mandami a Tricesimo. Non mica ch'io stia male a Trieste. Anche la vostra città mi piace moltissimo. Cosí piena di pietre. A Tricesimo, però, vi disturberei meno.

ALBERTA.          Non insista, zia. Ella m'offende. (Dura alquanto e Teresina n'è scossa.) Ma zia! Vedrà come staremo bene insieme. Ella mi parlerà dei nostri vecchi e di mia madre e anche di me quand'ero bambina.

TERESINA.         E quando avrò finito?

ALBERTA.          Com'è sospettosa! Quando avrà finito parleremo di altro. Di chi abbiamo parlato sinora? Eppure abbiamo passato insieme una mezz'ora ben gradevole.

TERESINA          (facendo tanto d'occhi). Davvero? Ma se vengo a stare da te voglio che Alice lo sappia solo al momento in cui me ne vado.

ALBERTA.          Ma Lei ha proprio paura di Alice?

TERESINA.         A torto perché essa mai mi disse una parola dura. Ma io da questa sedia sento anche quello che non mi viene detto. Devo averlo appreso da zio Enrico.

ALBERTA.          Era tanto delicato zio Enrico?

TERESINA.         No! Lui non sentiva niente. Ma quand'era arrabbiato si moveva in modo che tutti capivano quello ch'egli pensava. Cosí, a poco alla volta, quei medesimi movimenti, anche attenuati, io imparai a intendere da tutti.

ALBERTA.          Farò dunque come Ella desidera. Nel pomeriggio manderò la macchina a prenderla e scriverò un biglietto ad Alice.

TERESINA.         No! No! Prima manderai la macchina eppoi scriverai il biglietto. Cosí io me ne andrò e non la vedrò piú finché voi due non facciate la pace. Per molto tempo, perciò, io credo.

ALBERTA.          Ella lo crede zia? (Interdetta.)

TERESINA          (esitante). Io non lo so. Tante idee io mi faccio nella mia solitudine e potrebbero essere sbagliate. A me pare… io penso che se essa fosse tanto ansiosa di fare la pace con te ti avrebbe nominata con me che sa che ti vedo talvolta, mai sí a lungo come oggi ciò che essa non può sapere perché quando tu vieni essa è sempre via. Mai essa fece il tuo nome in mia presenza altro che per dirmi di avvisarti che essa non sarebbe stata in casa per vederti.

ALBERTA           (avvilita). È infatti evidente.

TERESINA.         Già a te non può importare nulla. Io credo anzi che questo litigio sia per te un buon affare. Per lei è altra cosa. Ma perché ha tanta superbia? Io so ma bada che non devi dirlo a nessuno che il tutore dei figliuoli finí col concederle degl'importi notevoli. Non so quello che se ne faccia. So che subito al mio arrivo prese per i bambini una maestrina che li conduce fuori. (Con ira.) Dei bambini non s'occupa neppure quando sono liberi della scuola. E della casa neppure. Là in cucina c'è una serva che si mangia i migliori bocconi se poi non asporta anche una parte per il suo amante.

ALBERTA.          Eppure Alice fu sempre una buona madre. (Sconfortata.) Deve odiarmi per decidersi a consumare il piccolo peculio dei bambini.

TERESINA.         Io non so come le madri sieno fatte in città. Da noi in campagna usa altrimenti. Del resto parla con Clelia. Essa sa tutto, tutto. (Ridendo istericamente.) Nulla le sfugge. Sa quello che dice il pittore e quello che dice lei e come procede quel ritratto che non sarà finito mai. Domanda, domanda a Clelia. È il suo divertimento. Essa ama questa casa perché c'è il pittore e perché sulla via c'è un signore attempatello che guarda con nostalgia a quella finestra. È stato qui poco fa e forse Clelia sa quello che ha detto.

ALBERTA.          Ma fa allora la spia?

TERESINA          (spaventatissima). Naturalmente io la biasimo, voglio impedirle di star ad ascoltare. Se vuoi mandiamola via. Poi sto a sentirla perché non posso mica scappare io.

ALBERTA           (dopo un istante d'esitazione va alla porta di fondo e chiama). Clelia.

 

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.15

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