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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Appendice prima
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L'avventura di Maria

ITALO SVEVO

(Commedia in tre atti)

[PRIMO]

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ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA

TARELLI e MARIA

 

MARIA (sta gettando della biancheria in una cassa e canta). "Io lieto me ne vado al reggimento…"

TARELLI (fastidioso). Te ne prego, non cantare. La tua voce e la tua gioia mi ricordano quelle di qualche stupido animale. Non lo preciso.

MARIA. Grazie.

TARELLI. Tale gioia dopo l'insuccesso di ieri! Sta bene non curarsi di questi sciocchi cretini ma nel cuore di una vera artista dovrebbe sempre esserci qualche poco di dolore per un insuccesso.

MARIA. E se nel mio cuore non c'è che vuoi farci? Alla peggio non sarà un cuore di artista!

TARELLI. Oh! questa frase in bocca tua mi duole anche piú che la tua voce e la tua gioia. Hai suonato iersera che pareva che invece dell'archetto maneggiassi una scopa. Quell'adagio poi eseguisti in modo che pareva un cavallo che anela di arrivare alla stalla, tanto ne acceleravi il tempo.

MARIA (giocondamente). Davvero? Tutt'ad un tratto suono male?

TARELLI. Trascuratamente! Lo riconobbe persino Maineri il buon Maineri il quale di solito s'inginocchia dinanzi ad ogni tua nota. Ha poca voglia questa sera, mi disse. Lo trovai troppo indulgente perché ero là là per dare io il segnale dei fischi. Oh! peggio, ancora! Ti avrei bastonata! Pochi minuti prima il professore Giorgio mi aveva raccontato di averti vista abbracciare dal signor Alberto. Ma non sono stati i miei rimproveri che ti hanno impedito di sonare bene. Temo non sia stata qualche altra preoccupazione! Oh! Maria! È la prima volta in tutta la mia vita che anelo tanto di trovarmi lontano da un luogo. Chi me l'avrebbe detto che fuggirei in questo modo da questa innocua e ridicola casa borghese?

MARIA. Povero zio mio!

TARELLI. E attendo ancora sempre le spiegazioni che mi avevi promesso e che dovevano calmare la mia ira. Avevi da darmele al piú tardi entro la mattina. Non hai cambiato di parere?

MARIA. No zio! Ma però mi permetti di dartele in iscritto?

TARELLI. Perché in iscritto?

MARIA. Perché… perché scrivendo si arrossisce meno!

TARELLI (minaccioso). Ah! Hai da arrossire anche tu?

MARIA. Sai che arrossisco facilmente! Dici anche io? Anzi, francamente, se qualcuno ha da arrossire, sono io quella. Lui, poveretto, è del tutto innocente! Mi prometti di non dirgli una sola parola di rimprovero?

TARELLI. Te l'ho già promesso.

MARIA (che fin qui ha sempre lavorato intorno al baule). Cosí io ora ho terminato i miei preparativi per la partenza. È la prima volta che faccio questo lavoro da sola e non lo trovo mica noioso, sai. Ho pregato Amelia di occuparsi dei tuoi bauli. Ora io andrò là nella mia stanza e ti scriverò quella lunga, lunga lettera.

TARELLI. È un'idea molto comica quella di scrivere a una persona con la quale è tanto piú facile d'intendersi alla breve parlando.

MARIA. Piú facile, sí, ma solo in certo senso. Insomma che tu voglia o no questa volta sarai obbligato di decifrare le mie zampe di mosca. Soltanto la prefazione alla lettera vorrei farla a voce perché non so maneggiare tanto bene la penna da poter esplicarti certe cose in iscritto.

TARELLI. Ebbene?

MARIA (gettandogli le braccia al collo). Senti, zio, sei convinto ch'io ti voglio bene? Qualunque cosa ch'io avessi da scriverti mi saprai perdonare, subito, senza esitazioni?

TARELLI (accarezzandola). Capirai pazzerella che la spiegazione, qualunque essa sia non potrà farmi adirare piú del fatto stesso. Ora senza conoscere le tue spiegazioni io penso che sei molto ma molto colpevole eppure non ti tengo il broncio, come vedi. (Dolcemente.)

MARIA Qualche volta le spiegazioni, quando son date con tutta franchezza, aggravano i fatti. (Ridendo.) E vedrai come son franca io quando scrivo.

TARELLI. Ti diverti a torturarmi facendo la sfinge.

MARIA. Abbi pazienza ancora per poco. Volevo dirti dunque, zio, ch'io ti voglio molto ma molto bene. Tu mi hai fatto da padre e da madre! Oh! io non l'ho dimenticato (Rispondendo a un gesto di protesta di Tarelli). Meglio ancora di quanto avrebbero saputo farlo essi stessi. Sei stato tu che hai scoperto in me questo genio per il violino, o che l'hai inventato. Che ne so io? Voglio anzi darti una prova del mio amore. Figurati che nei miei sogni di fanciulla io previdi il momento in cui tu, troppo vecchio, non avresti piú potuto fare questa vita. Ebbene, fra il violino e te, nei miei sogni, non ho mai esitato. L'avrei abbandonato per seguirti e fare con te una vita ritirata, tranquilla quale tu avresti dovuto. Ma mi stai a sentire? Son cose molto importanti quelle che ti dico, e dovresti imprimerti nella memoria ogni mia singola parola.

TARELLI. Sto a sentire ma non vedo l'importanza di queste cose. Ho io mai dubitato del tuo affetto per me?

MARIA. Eppure potresti dubitarne e io non voglio. Dunque se, ammettiamo, io avessi da cambiare condizione…

TARELLI. Questo non ammetto.

MARIA. Ammettilo solo per un istante acciocché io possa parlare con maggior facilità. Ammesso dunque che io avessi da cambiare condizione, anche in allora, specialmente in allora, ti vedrei tanto, tanto volentieri accanto a me. Capisci mio buon zio? (Abbracciandolo commossa.)

TARELLI (riflettendo). Non capisco.

MARIA (sorridendo). E la prefazione è terminata. Adesso lascia ch'io vada a scrivere… il volume.

TARELLI. Potrò stare dietro alla tua sedia a leggere oltre la tua spalla mentre scrivi? Cosí il mezzo di comunicazione sarebbe pur sempre piú rapido.

MARIA. No, lasciami sola. Fra due orette circa, avrai la lettera. Fino ad allora cercati un'occupazione qualunque per passare meglio il tempo.

TARELLI. Ma che cosa ho da fare per due ore intere e con quest'agitazione nell'anima?

MARIA. Va a passeggiare. Eccoti il cappello e il bastone e va a passeggiare da buon figliuolo. Addio, zio. (Abbracciandolo e baciandolo lo accompagna fuori della porta, poi, piangendo ella corre nella sua stanza.)

TARELLI (ritorna lentamente in scena col cappello in testa, pensieroso, irresoluto). Passeggiare? (Lentamente va alla porta donde è uscita Maria e guarda.)

 

SCENA SECONDA

CUPPI e DETTO

 

CUPPI. Prego, signor Tarelli, si potrebbe vedere, parlare con la signorina Maria?

TARELLI. Ah! il signor Cuppi! Per il momento Maria è occupata.

CUPPI. Davvero? Ciò m'incomoda molto, mi dispiace molto.

TARELLI. Perché?

CUPPI. Perché? (Imbarazzato.) Avrei premura di prendere congedo. Sí! vorrei salutarla.

TARELLI. Partiamo soltanto questa sera.

CUPPI. Sí, loro! Ma non io. Per un affare che m'è capitato improvvisamente… inaspettatamente debbo partire subito.

TARELLI (ridendo). Dunque all'infuori che agli artisti, ella si dedica anche a qualche cosa d'altro a questo mondo?

CUPPI. No, si tratta sempre di un affare artistico. Si figuri quello che mi capita. Sento adesso per combinazione che la Mara, la grande riformatrice del teatro moderno recandosi a Genova passa per un luogo qui vicino, per la stazione di un luogo qui vicino, non piú lontano di due ore di ferrovia.

TARELLI. Ebbene?

CUPPI. Ebbene, al suo passaggio assolutamente io voglio salutarla. Capirà che son due anni che non ci vediamo. In quella stazione farò io gli onori di casa, gli onori della stazione. Farò in modo che durante il suo soggiorno colà non le manchi nessuna comodità.

TARELLI. Quanto tempo si ferma il treno?

CUPPI. Quattro minuti e mezzo. Causa le congiunzioni ferroviarie a me questo viaggio costa due giorni di tempo. Se partissi domattina arriverei sul luogo due minuti e mezzo dopo la partenza della Mara e capirà per quanto la differenza sia piccola… Debbo quindi partire fra mezz'ora.

TARELLI. Capisco, capisco! M'incaricherò io dunque dei suoi saluti per Maria.

CUPPI (imbarazzato). Mi scusi non potrebbe permettermi di parlarle per un solo istante?

TARELLI. Mi dispiace ma non posso. Ella è occupata.

CUPPI. È in quella stanza? (Avvicinandovisi.)

TARELLI (tagliandogli la via). Scusi, mi dispiace, ma per il momento mia nipote è impedita.

CUPPI. Ah! cosí! (Piangendo quasi.) Ma cosí io perdo il treno.

TARELLI. Non le ho detto che m'incarico io di portarle i suoi saluti? Può andarsene liberamente.

CUPPI. Non posso perché io alla signorina Maria ho da dire e da dare qualche cosa.

TARELLI. Ebbene! Dica e dia a me.

CUPPI (con rapida transazione). Già fra lei e sua nipote non ci sono segreti, nevvero?

TARELLI. Si figuri!

CUPPI. E se anche la signorina Maria mi raccomandò tanto e poi tanto di serbare il segreto precisamente con lei, non è possibile che si tratti d'altro che di uno scherzo per il quale non vale la pena ch'io perda l'occasione di salutare la Mara? Ella sa di che si tratta?

TARELLI (agitatissimo ma sforzandosi a sorridere). Eh! me lo immagino!

CUPPI. Ecco dunque qui i due biglietti. Mi sono costati precisamente l'importo consegnatomi dalla signorina.

TARELLI. Ah! i due biglietti… postali. (Non avendoli ancora visti per bene.)

CUPPI. No! della Società Florio-Rubattino… da Genova a Buenos Ayres.

TARELLI (cui manca il respiro). Ah! sí, sí, i nostri due biglietti.

CUPPI (curioso). Ma perché la signorina Maria desiderava che specialmente a lei io non dicessi nulla dell'incarico ch'ella mi aveva dato?

TARELLI. Un suo capriccio…

CUPPI. Sí, sí, da musicista… da artista.

TARELLI. Ella sa come sono gli artisti.

CUPPI. Lo so troppo bene… molto bene.

TARELLI (riavutosi del tutto). Il fatto sta cosí. Io veramente volevo continuare il nostro giro in Italia, mentre Maria desiderava di portarsi immediatamente in America. Adesso naturalmente sono costretto di fare il suo volere. Me l'ha fatta quella… furba.

CUPPI (ridendo di cuore). Ah! Ah! Bellissima, proprio bella.

TARELLI. Sí, sí, bellissima, proprio bella.

CUPPI. Io non ho piú che dieci minuti di tempo o poco piú per prendere il treno. Mi scusi con la signorina Maria. Le chieda anche scusa se non ho potuto serbare fino all'ultimo il segreto confidatomi. Acciocché non mi serbi rancore, la prego di fare il suo volere, e di condurla in America. Me lo promette?

TARELLI. Sí, certo, non dubiti.

CUPPI. Prima di andarmene, partire, debbo dirle ancora una cosa. Sa, io ho molta influenza sul pubblico di qui ma, gliel'assicuro, la impiegai tutta per far trionfare sua nipote, per farle avere un successo. Se non serví, non è stata mia la colpa. Sua nipote dovrebbe anzitutto mettersi a suonare tutt'altri pezzi. Quelli lí, tedeschi, qui non piacciono…

TARELLI (conducendolo alla porta). Sta bene, ho capito.

CUPPI. Non si gustano qui. E poi sua nipote dovrebbe procurare di acquistare tutt'altra arcata…

TARELLI. Va bene! Va bene! (Spingendolo.)

CUPPI. Meno sdolcinata!

TARELLI (lo getta fuori). Grazie! Addio!

CUPPI (mette la testa in scena). Assicuri… dica ai signori Galli…

TARELLI. Va bene! grazie! addio! (Gli chiude la porta in faccia.)

 

SCENA TERZA

TARELLI e dietro la scena MARIA

 

TARELLI (ritorna verso il proscenio co' biglietti in mano, ora guardando quelli, ora la porta della stanza di Maria, poi mette i biglietti in tasca, va verso sinistra, apre la porta della stanza di Maria e guarda). Hai ancora molto da scrivere?

MARIA. Sí, zio, ancora per mezz'ora circa.

TARELLI (ridendo rabbiosamente). Un romanzo, dunque, un intero romanzo. (Chiude la porta a chiave e intasca la chiave.) Scrivi con tutta calma, carina, abbiamo tempo.

 

SCENA QUARTA

GIORGIO e TARELLI

 

GIORGIO. Oh! il signor Tarelli.

TARELLI (concitato). Mi saprebbe dire ove posso trovare il suo degno cognato?

GIORGIO. Degno? Non riconosco mio cognato neppure per prossimo.

TARELLI. Ciò non mi concerne. Ove posso trovare suo cognato?

GIORGIO. A costo ch'ella per il momento mi creda l'assassino di mio cognato risponderò biblicamente: Son io il custode di mio cognato?

TARELLI. Ebbene! Allora mi dirigerò direttamente alla signora Giulia. Ella dovrebbe pur sapere dove si trova suo marito.

GIORGIO. Ma perché cerca mio cognato? Ha già mancato a qualche sua promessa verso di lei?

TARELLI (sorpreso, si ferma). A qualche promessa? (Concitato.) Mi vorrebbe spiegare questa sua frase?

GIORGIO. Non posso spiegare nulla io. Poteva essere che mio cognato le avesse fatto delle promesse e visto che so che mio cognato è abituato a non tenerle penso che abbia mancato anche a quelle che forse ha fatto a lei. Ecco tutto! Io cerco di spiegarmi la sua concitazione e null'altro. Se ella non lo sapesse, l'avverto ch'ella è molto concitato.

TARELLI. E ne ho le mie buone ragioni. In quest'istante ho appreso che suo cognato ha l'intenzione di fuggire con mia nipote.

GIORGIO. Davvero? (Sorpreso.)

TARELLI. Ella dunque non lo sapeva?

GIORGIO (calmo). Io lo sapevo ma mi meraviglia ch'ella non lo sapesse.

TARELLI (ironicamente). Ah! cosí! Ella crederà ch'io fossi perfettamente d'accordo di cedere mia nipote al suo signor cognato? Ma pare che voi tutti siate d'accordo in quest'affare poco pulito.

GIORGIO (calmo). Infatti siamo tutti d'accordo.

TARELLI. Ed io che credeva d'essere venuto a stare in una casa onesta.

GIORGIO (c.s.). Mi creda. quando ella v'è entrato, questa casa era onesta. Adesso… dipende dal modo di giudicare le cose.

TARELLI. E sua sorella?

GIORGIO. Anch'essa lo sa, da mezz'ora soltanto però. Glielo dissi io stesso.

TARELLI. E anch'essa diede immediatamente il suo assenso?

GIORGIO. Per essere franco quest'assenso non le venne chiesto. Ella però è una donna ragionevole. Dal momento in cui apprese che suo marito faceva… sí… la corte a sua nipote, ella, risolutamente, si levò dal cuore l'amore al traditore e non le importò piú che di assicurare l'avvenire del figliuolo. Capirà ch'è affare di dignità; nella nostra famiglia non si è usi di domandare in carità neppure l'amore.

TARELLI. A tutto ciò io non ho nulla da ridire e voialtri siete perfettamente liberi di comportarvi come vorrete. In quanto a me è un altro paio di maniche. Non so ancora in quale modo ma le garantisco io che saprò impedire la fuga di mia nipote. Se l'altro vuole fuggire che se ne vada in nome di Dio.

GIORGIO. Capirà che noi dal canto nostro staremo a vedere perfettamente indifferenti a ciò che farà mio cognato, sua nipote e lei stesso. La sorte di mia sorella è decisa. Del resto io non mi preoccupo.

TARELLI. Oh! farò da solo. Il ghiribizzo che pare abbia rannuvolato il cervello di mia nipote, le sarà passato fra poco.

GIORGIO. Sí, in alto mare, all'aria pura, il cervello facilmente si snebbia.

TARELLI. In alto mare? Né mia nipote, né suo cognato vedranno mai il mare se hanno da vederlo insieme. Avrei faticato dieci anni per educare mia nipote, farne un'artista, per poi consegnarla al primo imbecille cui piacciano i suoi begli occhi? Che il signor Alberto sia subito pronto per andare in America e anche al di là, oh! non ne dubito. Va da sé! L'avventura a lui deve apparire carina.

GIORGIO. Non tanto! (Ironicamente.)

TARELLI. Non capisco.

GIORGIO. Ecco! Mio cognato si trovava bene nella sua famiglia e ci sarebbe rimasto ben volentieri se precisamente la sua famiglia non si fosse staccata da lui.

TARELLI. Davvero?

GIORGIO. Naturalmente! Una donna che avesse avuto meno dignità di mia sorella facilmente avrebbe potuto trattenere Alberto. Ma gliel'ho già detto: Nella nostra famiglia non si è usi di mendicare.

TARELLI. Cosí che mia nipote deve accontentarsi di un rifiuto altrui?

GIORGIO. Non dico questo perché, debbo confessarlo, ad Alberto la signorina Maria piaceva anche prima che Giulia lo respingesse. (Ridendo.) Il suo ideale sarebbe stato di tenere la signorina Maria quale dama di compagnia di sua moglie.

TARELLI (alza la mano per picchiarlo).

GIORGIO (reagendo). Olà!

TARELLI (avvilito). Mi perdoni! È stato un movimento istintivo. Le sue parole sono tali che mi pareva di venir picchiato e mi misi sulla difesa.

GIORGIO. Le mie parole sono brusche ma capirà che la cosa di cui si tratta è brusca anch'essa e bisognava intenderci nel modo piú facile. (Avviandosi.) Con permesso! Debbo andare a tener compagnia alla mia povera sorella. (Via.)

 

SCENA QUINTA

TARELLI e MARIA

 

TARELLI (rimane trasognato per qualche istante, poi, deciso, va alla porta a sinistra e la apre). Maria!

MARIA (dall'interno). Non ho ancora finito, zio.

TARELLI (gridando). Non importa, cara. Risparmiati la fatica di scrivermi cose che già conosco. (Piccola pausa. Maria entra.) Ecco qui i due biglietti del cui acquisto hai incaricato Cuppi. (Le consegna i biglietti e gridando ancora). Mi meraviglia che non hai dato l'incarico a me; l'avrei eseguito altrettanto bene. (Siede.)

MARIA (timidamente). Zio mio!

TARELLI. Chi dici? (Guardandosi d'intorno.)

MARIA (pregando). Zio!

TARELLI. Me? Io non sono tuo zio. Sicuramente io non sono zio della ganza del signor Alberto.

MARIA. Oh! zio! Una parola simile a me! Perdono al tuo dolore.

TARELLI. Non ho dolori io.

MARIA. Ma non sei stato tu che mi hai insegnato a pensare con la testa mia, senza pregiudizi e senza paure? Ed ora perché per raggiungere la mia felicità non bado al giudizio che farà di me la gente imbecille tu ti metti a fare coro con essa e mi dici che sono una ganza. Ebbene, ganza! Sarò la ganza del signor Alberto!

TARELLI. Ed io non ho detto altro. (Esitante.) Soltanto io ho detto che lo sei già.

MARIA. E ti sei ingannato. (Tarelli respira.) Noi faremo una famiglia onestamente borghese laggiú in America, una famiglia che per non essere stata consacrata né dal prete, né dal codice, non sarà perciò meno felice.

TARELLI (si alza). Vi sarà una piccola contraddizione nella vostra famiglia. Onestamente borghese! Borghese, sí, ve lo concedo. Lui un bottegaio, dunque borghese, tu una femmina che s'innamorò di un bottegaio, dunque borghese. Ma onestamente! I borghesi non fondano cosí le famiglie. Essi scelgono il paio, li uniscono spesso per accomunare degl'interessi, non si accontentano della legge ma vogliono anche la garanzia della chiesa, e fanno marciare insieme i due, legati solidamente ma presto volonterosi. Cosí si diventa onestamente borghesi! La famiglia dev'essere stata fondata col consenso dei genitori, della legge e del prete. Voi due vi legate insieme con un delitto (Maria protesta) un delitto verso un'altra donna e verso un fanciullo, e un delitto non può fare le veci delle benedizioni.

MARIA. Cosí dicono i preti. (Freddamente.)

TARELLI. Oh! Maria! dimentica per un istante tutto quanto io t'ho detto in vita mia, perché non una delle mie parole è adatta alle nuove condizioni in cui vuoi porti. Fin qui noi due abbiamo corso il mondo, senza aver obblighi, conseguenze, indipendenti affatto, liberi come gli uccelli dell'aria. Dal nostro punto di vista potevamo guardare sorridendo sui nostri simili che per giacere felici e sicuri non hanno soltanto bisogno di piume e di fiori ma anche di catene. Ora invece tu vuoi vivere a modo loro. Ebbene non è me che tu ora hai da ascoltare, ma precisamente la legge borghese; all'infuori di essa non vi è famiglia. Oh! io so esattamente come tu pervenisti alla determinazione di fuggire col signor Alberto. Non è amore il tuo, no! Come potrebbe essere per un animale simile?

MARIA. Oh! zio! (Indignata.)

TARELLI. Lentamente tu ti sei presa di questa casa di questi mobili, della biancheria da curare, del bambino da istruire… Tutte le donne prima o poi hanno di questi affetti ma nella tua mente d'artista il capriccio passerà presto e la casa ti sembrerà troppo ristretta, il bambino, se ne avrai, troppo stupido, la biancheria un imbarazzo. Come non intendi che tale vita non è fatta per te? Oh! io mi ci perdo!

MARIA. Io so che questa vita non è fatta per me e so quindi quale sacrificio io stia per portare ad Alberto. Ma glielo porto lieta perché… io l'amo.

TARELLI (fosco). Davvero? (Siede di nuovo.) È perciò ch'io dissi di non essere piú tuo zio.

MARIA. Oh! zio mio! vieni con noi. Io volevo proporti di seguirci. Vuoi vedere la lettera? Io ti spiegai in essa di quale importanza sarebbe stata per me la tua presenza, il tuo appoggio. Sarebbe stata una nuova legittimazione del nostro nodo.

TARELLI (urlando). No! No! Giammai! Con tale proposta mi offendi. Io mi sento subito da capo a piedi, tutto borghese, e la tua disonestà mi offende, mi nausea. Oh! Maria! Come può essere avvenuto che tu abbia ad amare un animalaccio simile il quale per di piú non ama te?

MARIA. Mi ama!

TARELLI (ridendo). Ah! Ah! ti ama. Tu non sai neppure quale aspetto abbia un uomo il quale ami. Per quanto legato alla sua famiglia un tale uomo non attende di venir cacciato dalla famiglia ma l'abbandona risoluto egli stesso. Se questo Galli ti avesse amata, veramente amata, per possederti avrebbe dovuto ammazzare sua moglie e il suo figliuolo e poi ancora non ti avrebbe meritata.

MARIA (ridendo). Avrebbe dovuto anche suicidarsi e tu naturalmente saresti stato contento.

TARELLI. Non ti ama! Dopo averti avvilita col suo amore egli ti abbandonerà e dovrai ricorrere di nuovo all'arte la quale ti volgerà anch'essa le spalle perché l'arte non è mica una mala femmina cui basti un solo invito perché si dia; bisogna accarezzarla amarla lungamente per averne i piú piccoli favori. Tu avrai perduto quella serenità di coscienza e d'anima che rendeva tanto belle le tue note e infine ti mancherà il mio appoggio perché io… io sarà morto.

MARIA. Oh! Zio!

TARELLI. Dopo un disinganno simile non so a che scopo avrei da continuare a vivere. In te erano poste tutte le mie speranze, l'ideale della mia vita. Quello che a me non era riuscito, riusciva a te, ed io stavo a guardare incantato beato come se la mia vita si ripetesse, piú bella, oh! tanto piú bella. E adesso capita un bottegaio qualunque e rovina tutti i miei piani. (Risoluto.) Senti, Maria! Non sei tu convinta che se la moglie del tuo signor Alberto facesse un solo cenno per richiamarlo a sé, egli si affretterebbe di obbedire e ti lascerebbe fare il viaggio in America da sola?

MARIA. T'inganni! Vuoi leggere la lettera che oggi mi scrisse e nella quale mi comunica la sua risoluzione?

TARELLI. Io non leggo i manoscritti del tuo signor Alberto e se li leggessi per quanto ben scritti, quell'uomo dovrebbe avere una bella calligrafia, non mi commoverebbero. Che ora avevate stabilito per la fuga?

MARIA. Io dovevo partire sola per Brindisi, di qua a un'ora. Egli sarebbe partito questa sera.

TARELLI. Senti Maria! Per quanto ho fatto per te in questi ultimi dieci anni puoi accordarmi un piccolo, un ultimo favore? Dilaziona di qualche ora la tua partenza! Partirai questa sera con lui insieme e che Dio v'accompagni. Io allora, te lo prometto, non farò piú alcun tentativo per trattenerti. Ma fin là promettimi che neppure parlerai col tuo… complice.

MARIA. Complice?

TARELLI. Chiamalo come vuoi, a me fa lo stesso. Mi fai questa promessa?

MARIA. Sí! Te lo prometto. Partirò questa sera soltanto. Mi permetti di renderne avvisato Alberto?

TARELLI (dopo un istante di riflessione). No, te ne prego. Già per lui dovrebbe essere una sorpresa aggradevole di aver da fare con te anche il viaggio fino a Brindisi. Devi promettermi di non mettere piede fuori di quella stanza fino a questa sera. Sarà per te una grave noia ma credo che per amor mio puoi sopportarla.

MARIA. Sí, zio mio. Vedi che cerco con tutti i mezzi di renderti piú gradito il mio ricordo e di diminuire il rancore che vedo mi serberai.

TARELLI. A te rancore, oh, no! (Abbracciandola.) Un ricordo come per una morta, una morta per accidente! Addio! Adesso va nella tua prigione, te ne prego. (Suona il campanello.)

MARIA. Che fai?

TARELLI. Chiamo la cameriera.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:14/07/2005 00.00

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