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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Appendice prima
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L'avventura di Maria

ITALO SVEVO

(Commedia in tre atti)

[PRIMO]

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ATTO SECONDO

 

SCENA OTTAVA

ALBERTO e DETTI

 

ALBERTO. E questo concerto? Io ho finito e voi non avete neppur cominciato. Quando suonate?

MARIA. Non piú per questa mane.

ALBERTO (confuso). Sarebbe il colmo della distrazione, se voi aveste sonato ed io non vi avessi udito.

MARIA. Non si confonda. Non abbiamo suonato affatto. Soneremo dopo pranzo.

ALBERTO. Peccato che io non potrò udirvi, perché al dopopranzo gli affari mi rubano tutto il mio tempo. A rivederci da qui a un'oretta a pranzo. Oggi pranzo di gala a quanto sento. Ho inteso un certo olezzo passando dinanzi alla cucina…

GIULIA. Alla una in punto. Bada di non tardare, te ne prego!

ALBERTO. Non dubitare! Addio! (Bacia Piero.) Ha studiato?

GIULIA. No! Ma studierà adesso.

ALBERTO. Dovreste attenervi a maggior regolarità! Ve l'ho raccomandato tante volte. Cosí avete perduto l'intera mattina.

PIERO. Avevo da leggere a mamma la poesia che m'hanno dato da studiare. C'era però un fracasso qui…

MARIA. Sí! sí! La colpevole sono io. Con le mie prove ho impedito a Giulia di studiare col signorino, il quale del resto ne dimostrava pochissima voglia. Nella vita di un bambino una giornata ha piccola importanza. Se non ha studiato oggi, studierà domani, la prossima settimana, o il prossimo mese.

ALBERTO. Si capisce che di pedagogia ella non s'è mai occupata. Io desidero che col mio figliuolo venga già adesso seguito energicamente un sistema.

MARIA. Mi scusi, dunque, perché di cosí grave mancanza sono io la causa.

ALBERTO. Mi scusi lei anzi. Non avevo mica l'intenzione di farle un rimprovero. Si figuri!

MARIA (ironicamente). Non si scusi, perché son troppo lieta di aver potuto accertare quanto ella sia un buon marito e la mia amica una donna felice.

ALBERTO (ridendo e mettendo una mano sotto al mento di Giulia). Ne dubitava, eh! (S'avvia.) Con permesso. Bada, Piero, di non riposare dopo pranzo delle fatiche che hai avuto questa mattina. (Via.)

MARIA. Strano! Strano! Cosí non me lo sarei figurato.

GIULIA. Ma perché, Maria?

MARIA. Un padre di famiglia cosí buono, attento, amoroso.

GIULIA. Cosí s'è incaricato lui stesso di spiegarti la mia felicità.

MARIA. Diamine! Capisco che le tue parole ora dovrebbero essermi chiare, ma… e vorrei dire una bella bestemmia toscana. La rimando in gola perché ti scandalizzerebbe. (Ride.) Eppure mi darebbe uno sfogo e non avrei piú il bisogno di dire altro.

GIULIA. Non capisco.

MARIA (scoppiando). Ecco! Se a me toccasse, ammettiamo, di essere la manutengola di un ladro e di vedere che questo ladro la sapesse dare ad intendere agli altri in modo che tutti lo avessero a ritenere l'uomo piú onesto sulla terra, ma io non saprei trattenermi dal gridargli: Ladro, ladro; anche a costo ch'egli mi risponda: E tu manutengola! Non essendo poi sua manutengola, come potrei tacere?

GIULIA (con violenza). Non lo sei? Non lo sei?

MARIA. No! Figurati! Io con un borghese commerciante!

GIULIA. Basta! (Molto commossa.) Mi lascio traviare anch'io. Sembra che tu, Maria, abbia perduto il senno. Non capisco… e non voglio capire.

MARIA. Lascia che ti racconti tutto. È cosa innocentissima e… forse… sembrerà tale anche a te. (Ridendo contenta.)

GIULIA. No! basta! Dinanzi al mio figliuolo almeno trattieni la tua fantasia… di artista. Quello che vuoi dirmi sono cose che, se anche vere, non vanno dette a me, non in questa casa.

MARIA. L'abbandonerò perché io ho l'abitudine della franchezza.

GIULIA (dopo un brevissimo istante di esitazione). Oh! via! farai quello che a te piacerà. Vieni, Piero.

PIERO. Che cosa ti ha fatto?

GIULIA. Vieni! vieni! (Via col figliuolo.)

GIORGIO (accorato). Davvero? Ella conosceva già prima mio cognato? Oh! ciò mi dispiace, signorina Maria! Ed io che la consideravo sempre come l'immagine stessa della sincerità! Ella ebbe dei segreti con mio cognato! (Rimproverando.)

MARIA. Ella, professore, ha ragione! Il mio torto è stato di non averne parlato subito… l'unico mio torto.

GIORGIO. Oh! mi dispiace tanto, signorina! Capisco, il solo colpevole è mio cognato…

MARIA. La ringrazio ch'è tanto buono di crederlo. Io non conoscevo neppure suo cognato. Sapevo di lui unicamente ch'era un uomo a cui piacevo. Mi perseguitò per tre giorni prima a Bologna, poi a Firenze e infine a Venezia. Ecco tutto!

GIORGIO (con qualche ansietà). E adesso, adesso?

MARIA. Oh, badi! qualche occhiatina tenera, qualche parolina un po' piú che cortese e nient'altro. Può tranquillizzare sua sorella. Io abbandonerò questa casa, subito, oggi stesso. Ma intanto dica a sua sorella che desidererei fare la pace per evitare scandali. Già, infine, che cosa le ho fatto?

GIORGIO. Certamente farò del mio meglio per farle fare la pace con mia sorella. Non creda assolutamente che vi sia bisogno ch'ella abbandoni questa casa. Oh! io lo saprò impedire. È sul mio signor cognato che deve riversarsi tutta la nostra ira.

MARIA. Davvero? Crede che Giulia gli terrà il broncio?

GIORGIO. Il broncio soltanto! E non le pare che abbia ragione? Ma di ciò piú tardi. Desidero anzitutto che si riconcili con mia sorella. Ella non indovina perché vi do tanto peso? No, no?

MARIA. No, davvero.

GIORGIO. Allora non glielo dico, non glielo dico ancora. Ma insomma sentirà… entro oggi o domani. Vado da Giulia. (Via.)

MARIA (pensa un istante, poi capisce e alza le spalle).

 

SCENA NONA

TARELLI e MARIA

 

TARELLI. Che hai?

MARIA. Oh! zio! Peccato che non sei venuto qualche istante prima. Mi avresti impedito di fare una sciocchezza.

TARELLI. Quale? Hai gettato fuori di casa Maineri perché ha sbagliato qualche nota?

MARIA. Ah! peggio, molto peggio! Mi sono fatta licenziare io da questa casa.

TARELLI. Come sei riuscita a tanto?

MARIA. Ho raccontato a Giulia che suo marito era innamorato di me.

TARELLI. Davvero? (Stupefatto.)

MARIA. Ma sí, davvero!

TARELLI. Ah! è uno scherzo! non ci credo!

MARIA. Inaudita è dunque la mia azione che sorprende persino te?

TARELLI (serio). Inaudita! La parola è precisa! Ma perché? Scherzando forse? Per leggerezza?

MARIA. No! Con la massima serietà di questo mondo. Ella voleva farsi invidiare da me. Diceva che io non potevo essere interamente felice perché non possedevo la stessa felicità di cui essa gode… Allora non ho saputo piú trattenermi. Egli venne, parlò seriamente…

TARELLI. Chi egli?

MARIA (esitante). Il signor Alberto.

TARELLI. Ah! cosí! "Egli" è il signor Alberto?

MARIA (di nuovo esitante). Sí! (Poi.) Si contenne come se fosse il miglior marito di questo mondo ed ella mi guardava ironicamente. Mi dispiace, sai, oh! tanto mi dispiace. Anche verso il signor Alberto ho mancato, perché a lui avevo promesso espressamente di non far parola del suo affetto… del suo capriccio per me. Mi sento male, assai male! Non so proprio come uscirne. Non ti pare che potrei andare da Giulia a dirle che ho mentito e che in quanto le ho detto non v'è una parola di vero? No! questo no! Oh! senti zio! Andiamo via subito da questa casa e da questa città! Lasciamo ch'essi sbrighino le loro faccende come possono! Cosí non sarebbe riparato a tutto? (Piangendo gli getta le braccia al collo.) Oh! zio mio! sono tanto disgraziata.

TARELLI (accarezzandola commosso). Cosí fai sempre quando vuoi farti perdonare qualche scappata. Povera zingara!

MARIA. Oh! no zio! Questa volta non mi capisci neppure tu. E come potrebbe essere altrimenti? Non mi capisco neppure io stessa.

TARELLI. Attenta Maria! Ecco la signora Giulia. Almeno adesso procura di contenerti bene.

 

SCENA DECIMA

GIULIA e DETTI

 

GIULIA (molto seria). Senti, Maria! Giorgio m'ha detto che tu avevi l'intenzione di abbandonare la mia casa prima dell'epoca stabilita. Perché?

TARELLI. Mia nipote l'ha detto soltanto perché oggi abbiamo ricevuto un dispaccio che c'invitava di recarci a Genova. Ella ancora non sapeva ch'io già avevo rifiutato.

GIULIA. Ah! cosí! (a Maria.) Sai che finché resti in questa città, hai il dovere di approfittare della mia casa. Non siamo forse vecchie amiche? Una parola detta in fretta si dimentica facilmente. Io l'ho già dimenticata. (Freddamente.) E tu?

MARIA (freddamente). Anch'io! (Va a Giulia.) Rimango, dunque! (Le porge la mano e poi si pente non vedendo subito pronta quella di Giulia, la quale anch'essa ritira la sua.)

GIULIA. Grazie! Vado a dare ancora alcune disposizioni per il pranzo! Con permesso! (Via.)

TARELLI. Qui sarebbe stato a posto un piccolo segno affettuoso che avrebbe fatto piú bene di tutte le spiegazioni. Perché non le hai stretto la mano?

MARIA. Aveva già ritirato la sua. Oh! se crede ch'io abbia tale bisogno di venir perdonata s'inganna. Del resto si vede che non saprebbe perdonarmi. (Contenta.) L'ho toccata in un punto debole. Ella si contiene cosí per quel grande rispetto che queste borghesi portano alle convenienze. Io l'avrei amata di piú se mi avesse graffiata.

TARELLI. Vedi Maria! Comincio anch'io a desiderare che si parta al piú presto; non sono piú tranquillo.

MARIA. Non capisco io, adesso.

TARELLI. Oh! vorrei che tu non mi comprendessi. Se avessi la certezza che non puoi comprendermi, sarei subito tranquillo di nuovo. Come vuoi ch'io non dubiti di te vedendo che hai provato il bisogno di vantarti della corte che ti ha fatto quel signor Alberto e che ancora adesso ti compiaci di aver offesa, ferita, la tua amica d'infanzia? Non dirmi nulla, non negare e non scusarti. Io non sono mica un ragazzo da non capire che la piú sciocca azione che si possa fare in tali frangenti si è di seccare, di far parlare il malato continuamente della propria malattia. Non una parola su quell'argomento. Io andrò ora dalla signora Giulia a cercare di disporla un po' meglio in tuo favore, durante i pochi giorni che ancora qui rimaniamo dell'avventura non si parli piú. (Si avvia. Poi.) Sono stato da Valzini. Daremo il secondo concerto, ma ho perso qualunque speranza di vedere che il pubblico divenga favorevole. Mi basta di aver capito l'opinione che ne ha Valzini; non mica ch'io abbia chiesto dei consigli a quell'imbecille, ma la sua opinione mi dà una chiara idea dell'opinione prevalente in paese. Figurati ch'io sono andato da lui a fargli i miei ringraziamenti con tutta serietà come se realmente gli fossi stato debitore di riconoscenza e mi attendevo di sorprenderlo e di confonderlo. Invece con la medesima serietà con cui io gli feci i miei ringraziamenti egli li accolse, con la differenza che la sua serietà non era mica simulata come la mia. Dunque egli ritiene assolutamente di meritare la mia gratitudine e di aver scritto di te molto ma molto meglio di quanto tu avessi meritato.

MARIA (che non è stata ad ascoltare). E se vedo il signor Alberto ho da raccontargli dell'indiscrezione che ho commesso con Giulia?

TARELLI (con rimprovero). Ah! tu sei ancora là?

MARIA (confusa). Che cosa mi dicevi?

TARELLI. Niente, niente! Se vedi il signor Alberto procura di contenerti come se nulla di nuovo fosse avvenuto. Come hai detto tu stessa, lasciamoli sbrigare i loro affari da soli. Per levarti l'inquietudine che ti vedo scritta sul volto, vado dalla signora Giulia e cercherò di farvi fare la pace oggi stesso. Attendimi qui. (Via.)

 

SCENA UNDICESIMA

ALBERTO e MARIA

 

ALBERTO. Signorina Maria!

MARIA (che non lo aveva visto). Oh! è lei! (Subito imbarazzata.)

ALBERTO (lietamente). Finalmente! Una volta che la vedo sola. Tra la mia e la sua famiglia, gli artisti e i critici non c'è mai il caso di scambiare con lei una parola. (Ridendo.) C'è poi quel mio signor cognato che è veramente cucito alle sue gonne. Che finisca in un matrimonio?

MARIA (seriamente). Oh! come può crederlo!

ALBERTO. Non occorre me lo dica tanto seriamente; io non l'ho mai creduto. Volevo dire soltanto che si stava meglio quando si stava peggio. Si stava cioè meglio a Firenze, Bologna e Venezia pur non conoscendosi. Mi perdoni lo scherzo! Ella deve accorgersi che io non sono né tranquillo né lieto. (Subito piú serio.) Anzi io soffro! Sa che io non sono uomo da fare delle dichiarazioni molto gentili. Le donne che all'infuori di mia moglie ho conosciute non mi hanno dato quest'abitudine. Sono pochi giorni ch'ella è qui e mi pare un anno perché, con tutta franchezza, non vedo l'ora che se ne vada.

MARIA (che fin qui è stata a udire con evidente compiacimento). Oh! sarà presto soddisfatto.

ALBERTO. Possibile ch'ella non capisca ciò che mi fa avere un tale desiderio.

MARIA (simulando). Io no!

ALBERTO. Oh! mi permetta che glielo spieghi. Ella si rammenta delle spiegazioni che le diedi al suo arrivo? Sembrava, io stesso lo credeva, che una volta appreso ch'ella non era la donna ch'io voleva, io dovessi ritornare prontamente ai miei doveri di marito e obliare tutto il resto. Non le avevo detto ch'io mi sentivo capace di soffocare in me ogni altro desiderio pur di non turbare la mia felicità domestica? Ebbene, ora invece diffido di me stesso. Qualche volta quando mi pongo a riflettere, che che riflettere! Sentite, quando mi abbandono senza ritegno al mio sentimento e esco cosí dalla monotonia macchinale della mia vita, dalla regola che m'impongo nel mio contegno verso di lei, verso mia moglie, l'abitudine per la quale faccio quel gesto o dico quella parola che non penso piú e che non approvo… allora… (Timidamente.)

MARIA (incoraggiante). Allora?

ALBERTO (sorpreso, poi). Penso allora che se io fossi un altro uomo, meno metodico, meno preoccupato dall'idea al futuro, il futuro che finisce sempre coll'ammazzare il presente, dovrei dare un'alzata formidabile di spalle, tale da liberarmi da tutto quanto m'inceppa, m'impedisce la felicità e… e correre precisamente dietro a questa felicità.

MARIA. Ma posso credere che parlando di questa felicità cosí grande che la indurrebbe ad abbandonare ogni altra ella pensi a me, a quella donna che non è neppure da tanto da poter rendere gelosa sua moglie?

ALBERTO. Oh! non mi rammenti quelle frasi disgraziate delle quali non approvo ora neppure una parola. Basterebbe un solo suo cenno per farmi cadere al suoi piedi anche dinanzi a mia moglie.

MARIA (indagando sé stessa). Mi pare di sentirmi sollevata.

ALBERTO. Che dice? (Le prende una mano.)

MARIA (svincolandosi con energia). Mi lasci! (Freddamente.) Io sono al caso di porla immediatamente alla prova. Senta! Poco fa ho raccontato a sua moglie delle assiduità di cui ella mi onora.

ALBERTO. Ah! ella scherza.

MARIA (seria). Sull'anima mia. Ho raccontato a sua moglie ch'ella è innamorato di me ossia gliel'ho fatto credere se anche non è vero.

ALBERTO (mortificato). Davvero?

MARIA (avviandosi verso l'uscita, tristamente). La prova è fatta.

ALBERTO (dopo una breve esitazione). No Maria, rimanga! Non mi lasci cosí dopo che mi ha fatto tanto del male.

MARIA. Le ho fatto del male, lo riconosce?

ALBERTO. Ella forse ancora adesso non sa quanto. Mi ascolti! Io non amavo mia moglie, è vero, ma il rispetto che le portavo, e piú ancora, il sapermi tanto amato da lei, rispettato, venerato addirittura come un essere perfetto, mi faceva fare tutti gli sforzi possibili per continuare ad apparirle meritevole del suo affetto. Ora, invece, oh! certo! precisamente perché finora era stata tanto cieca, la disillusione sarà maggiore! Mi disprezzerà!

MARIA (di nuovo per uscire). Sta bene! La prova è fatta! (Si ferma da sé all'uscita.) Mi perdoni il male che le ho fatto. Già di qui a qualche tempo, quando sarò lontana, si rappattumeranno e il male sarà stato minore di quanto ora a lei sembra. (Alberto accenna di no.) No? Ebbene, ella deve riconoscerlo, questo male ella se lo sarà meritato. Si rammenta delle parole che le dissi quando ella per la prima volta mi diede quelle spiegazioni che poi volle ripetermi a sazietà? “Ma per chi mi prende?” le chiesi. Le ripeto la stessa domanda: “Per chi mi prende?”. Io potrei non essere una fanciulla onorata nel senso borghese, e ascoltare le sue dichiarazioni pur sapendo ch'ella facendomele si rende colpevole verso la sua famiglia e verso la legge. Ma ascoltarle quando dopo le sue spiegazioni significano: “Vorrei passare aggradevolmente quindici giorni con lei. Mi secondi!”. Oh! via! Per chi mi prende? Poco fa io ero già pentita della mia azione, ma ora la trovo giustificata e ho piacere di averla fatta. Oh! tanto! (Molto commossa.)

ALBERTO (dopo un istante di sorpresa). Oh! mi perdoni! So di averla offesa. Darei la mia vita per asciugare quelle lacrime.

MARIA. Ebbene! se vuole, tuttavia, farò uno sforzo e andrò da Giulia a dirle che ho mentito. (Vicinissima a lui.) Rinunzio anche al piacere di essermi vendicata delle sue offese. Vedrà che da Giulia mi farò credere. (Per suo conto Alberto accenna di no.) Le dirò ch'è stata una mia fantasia da artista. Chissà che cosa ella si figura per fantasia d'artista.

ALBERTO. Non vada, Maria. (Attirandola a sé e guardandosi d'attorno con paura.) Io preferisco il suo amore!

MARIA (svincolandosi). Mi lasci. Lo sappia! Io non amerò mai altri che un uomo che sia libero o che per me si sia reso libero.

ALBERTO. Oh! Maria! Io non posso abbandonare il mio figliuolo.

MARIA (ironicamente). Ecco! È giusto! Il suo figliuolo. Non ci avevo pensato! Dunque stia lontano da me! Senta: Io nella mia vita attiva non ho molto sognato d'amore ma non l'ignoro tanto da non comprendere che quello ch'ella mi offre non è amore.

ALBERTO (con forza). Se non è amore un sentimento per il quale non rimpiango di avere forse per sempre ruinata la felicità della mia vita, allora naturalmente il mio non è amore.

MARIA. Non è amore perché ella sa che quella felicità non è compromessa affatto. Di parole non mi accontento, io.

ALBERTO (con forza). È amore! Lo sento forse per la prima volta in mia vita. Un misto di rispetto e di desiderio che mi confonde. Ella lo sa perché gliel'ho raccontato. Nella mia vita passarono parecchie figure di donna. La sua… oh! come si distingue da tutte le altre! Non posso neppure concepire l'idea ch'io ben presto debba rimanere privo di lei. (Con fuoco.) Ella calcola, ella ragiona, io sento solamente, e se mi oppongo al mio sentimento, se resisto, è invano. Io l'amo! Ella non ama me!

MARIA (pacatamente). Ella mente! Senta, io l'amo! (Alberto si avvicina.) Mi lasci! Non so e non arrivo a comprendere il perché di quest'amore. Che però una fanciulla come me giunga fino a confessarlo, è tale una prova d'amore quale ella finora non mi diede. Lo so da poco; l'indovinai dall'ira che mi assalse al vederla un'ora fa dedicare tutte le sue attenzioni, tutte le sue cure a Giulia e… dinanzi a me. Ma pur amandola io riconosco che giammai una donna della mia specie fu piú volgarmente desiderata. Perciò lo sappia, è l'ultima volta che da me ella ha udito una tale parola, perché per lei sul mio volto, non vi sarà piú altro che indifferenza, e anche presto nel mio cuore. È tanto ingiusto il sentimento che provo che mi sarà cosa facile di soffocarlo.

ALBERTO. Ma che cosa vuole che faccia? Mi comandi.

MARIA (con ira). A me lo chiede? Io le ripeto che le sue parole dette a una donna come me sono offensive. (Ironicamente.) Ella vuole amarmi in casa sua e poi andare da sua moglie a tenerle delle prediche sul modo di educare il suo figliuolo.

ALBERTO. Oh! Maria! Se ella mi amasse parlerebbe altrimenti. Io non merito tanta ironia!

MARIA. Me lo dimostri! Vuole fuggire con me? Vuole abbandonare tutto e tutti per me? Io son pronta, andiamo! (Dopo una breve pausa.) No? E allora mi lasci in pace e attenda a sua moglie e al suo figliuolo.

ALBERTO. Io non ho detto di no, o Maria. (Confuso.)

MARIA (avviandosi). Ma neppure di sí… mi pare.

ALBERTO. Fra noi due, io sono il piú vecchio. (Esitante e cercando le parole.) Lasci quindi che io veda… il bene di tutti e due…

MARIA (ironicamente). Di tutti e due.

ALBERTO (piú deciso). Sí di ambidue. Può esserci dubbio ch'io per egoismo rifiuti la felicità ch'ella mi offre? Io sono un uomo in età e una giovinetta, bella, divina, ch'io amo, m'offre il suo amore. Può esservi il dubbio ch'io per egoismo rifiuti? No! Dunque… Ma ella si potrà accontentare della vita modesta che potrò offrirle? Ci ha pensato? Lei, abituata, alla vita artistica, alle soddisfazioni dell'amor proprio, della vanità e dell'ambizione…

MARIA (sorridendo). Oh! sí! All'arte chi ci pensa piú? Io desidero di fare tutt'altra vita di quella che feci fin qui.

ALBERTO. E sarà una vita molto modesta sa! La mia piccola proprietà appartiene naturalmente a Giulia e al mio figliuolo. (Maria assente.) In qualche cantuccio della terra bisognerà vivere, molto lungi di qua. In una casa un po' meno ricca di questa.

MARIA (con entusiasmo). Piccola e povera ma nostra. La felicità mite e quieta della gente modesta.

ALBERTO. Oh! sei divinamente bella cosí, Maria. Chi non peccherebbe? (L'abbraccia con violenza.) Un bacio, Maria, un solo bacio.

MARIA (difendendosi debolmente). No! no! Laggiú, nella casa nostra. Entratavi sarò tutta tua.

ALBERTO. Come pegno… (La bacia lungamente.)

MARIA. Via, Alberto.

 

SCENA DODICESIMA

GIORGIO, poi GIULIA e DETTI

 

GIORGIO (dà un grido).

MARIA (si svincola e lentamente s'avvia).

ALBERTO. Oh! Giorgio!

GIORGIO (ironicamente). Scusino l'incomodo (Via.)

MARIA. Non c'è dubbio; quello lí è corso a raccontarlo a sua moglie. Mi dispiace per le scene che ne risulteranno per lei.

ALBERTO (smaniando). Oh! sí! anche a me dispiace per questo. (Alla porta, gridando.) Giorgio! Giorgio!

MARIA (osservandolo). Il suo entusiasmo è caduto ben presto. Badi ch'ella è ancora sempre libero. Vedrà che le riuscirà presto di calmare Giulia anche se il professore ha già fatto la spia.

ALBERTO. Oh! non è questo che m'importa… è lo scandalo che mi secca. È Giulia! La prego, Maria, mi lasci solo con essa. Non vorrei che scambiaste delle parole brusche voi due. (L'accompagna alla porta celermente, poi avvedendosi prima di lasciarla le bacia una mano.)

GIULIA. E Maria? (Fremente.) È fuggita?

ALBERTO. Non scene, Giulia, te ne prego.

GIULIA. Chi ti ha detto ch'io ne voglia fare? Ella avrebbe potuto rimanere qui; io non l'avrei maltrattata. L'avrei pregata, pulitamente, di andare a far l'amore con te fuori di casa mia. Gliel'ho già detto: Non voglio che insozzi questa casa. (Gridando, poi piú calma.) Ma no! Voglio dimostrarti ch'io sono calma e che quanto ancora ho da dirti non è ispirato dall'ira. Ch'essa rimanga pure per questo poco di tempo. Già so che tu saprai contenerti perché sappilo, io, in casa, s'intende, ti farò spiare… da tuo figlio. Adesso su questo rapporto posso essere tranquilla, non ti pare?

ALBERTO. Ma Giulia! È una cosa che non merita la tua ira…

GIULIA. Non bugie te ne prego. Posso disprezzare Maria, ritenerla per quello ch'è stata fatta dal suo mestiere ma non è una ganza insomma e tu devi averla convinta per bene del tuo amore. Non si tratta di un'inclinazione ideale, di quelle che la gente onesta cela e combatte, non si tratta neppure di una tresca futile di quelle che una donna onesta sa ignorare e scusare. Si tratta proprio di ambidue le cose e a me non resta che piegarmi (con un singhiozzo represso) vinta. Non mi sento abbassata affatto e nel mio dolore non v'è traccia di vanità o di amor proprio offeso. È perciò che non voglio che tu mi faccia delle proteste di cui non so che farmene. Da poco so di essere stata tradita in tale modo ma non mi occorse di meditare molto per trovare la via che debbo seguire. Rimango in questa casa per il mio figliuolo. (Vinta dalla commozione parla piú rapidamente.) Vivremo uno accanto all'altro come due fratelli… due fratelli che non si amano. (S’avvia.)

ALBERTO. Giulia! (vuole fermarla.)

GIULIA (calmissima). Di quest'argomento, basta. Già non potresti dirmi nulla ch'io già non sappia a meno che non fossero bugie. Dunque basta! (Via.)

ALBERTO (si cela il volto e cade seduto).

AMELIA. Signore! La padrona l'avverte che il pranzo è in tavola.

 

 

CALA LA TELA

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.19

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