fancyhome3.gif (5051 bytes) blushrosetit.gif (31930 bytes) fancyemail.gif (5017 bytes)

De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

fancybarT.gif (5506 bytes)

Appendice prima
fancybulsm.gif (614 bytes)
L'avventura di Maria

ITALO SVEVO

(Commedia in tre atti)

[PRIMO]

fancybul.gif (2744 bytes)     fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)    fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)

fancybarB.gif (5659 bytes)

fancyback.gif (5562 byte)

fancynext.gif (5542 byte)

 

PERSONAGGI

 

ALBERTO GALLI, negoziante

GIULIA, sua moglie

PIERO, bambino dodicenne

GIORGIO, professore fratello di Giulia

CUPPI, vecchio possidente

CARLO TARELLI

MARIA, sua nipote

MAINERI, maestro di musica

AMELIA, vecchia fantesca

 

L'azione si svolge nell'epoca presente in una città italiana di provincia.

 

 

fancybul.gif (2744 bytes)     fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)    fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)

ATTO PRIMO

Tinello in casa Galli.

 

SCENA PRIMA

ALBERTO che dorme su un'ottomana, GIULIA e GIORGIO

 

GIULIA (a Giorgio che entra). Pst! Piano che dorme.

GIORGIO. Te lo avevo detto io che non c'era da impensierirsi. Eccolo là che dorme e il rimorso di aver tolto a te il sonno di una notte intera non lo inquieta punto.

GIULIA. Lui non ne ha colpa. Ha perduto per distrazione due treni. Subito egli telegrafò, ma per un caso malaugurato il suo dispaccio mi venne consegnato soltanto pochi minuti fa.

GIORGIO. Diamine! Due treni ha perduto e i suoi dispacci da Firenze ci mettono ventiquattr'ore? Sono cose che non toccano che a lui. Fammi vedere il dispaccio!

GIULIA. L'ho gettato via.

GIORGIO. Perché non indirizzare un reclamo all'ufficio telegrafico? Io non tollererei un simile disordine, per la massima!

GIULIA. Che vuoi che ora a me importi che mettano ordine in quell'ufficio? Chissà quanti anni trascorreranno prima ch'io abbia a ricevere un altro dispaccio. Come dorme! (guardando Alberto con affetto.) Mi dispiace che presto dovrò destarlo perché arrivano Maria Tarelli e suo zio. Senza conoscerli non li ama molto; se incominciano poi dall'impedirgli il sonno, li amerà anche meno e saranno poco aggradevoli i pochi giorni che Maria passerà con noi, perché franco e sincero come è, non sa a celare la sua antipatia.

GIORGIO. Spero che almeno non dirà loro in faccia che li tiene per istrioni. A me fa ira di sentirlo parlare in tale modo di una grande artista.

GIULIA. Che vuoi farci. Lui è un buon borghese che ci tiene alla sua vita regolare e non ama la gente nomade come Maria e suo zio.

GIORGIO (con un po' di disprezzo). Sí! Sí! è degno tuo marito.

GIULIA. Che vuoi farci? Siamo felici cosí. Tu sogni arte e scienza; noi vogliamo calma e felicità. Ritengo però che Maria finirà col conquistare anche le simpatie di Alberto. Delle tue può andar sicura. Anche troppo e bada ch'io terrò gli occhi molto aperti.

GIORGIO. Non temere! Certo è che a parlare con essa mi divertirà meglio che con la gente solita che mi tocca frequentare qui. Però non ho tempo da perdere, io, e debbo riservarmi ad altre cose.

GIULIA. Maria è molto bella; è inoltre distinta e cara. Troverai in lei una donna fuori di certi suoi accenti bruschi, maschili, sorprendenti nella sua voce, ch'è adorabile.

 

SCENA SECONDA

AMELIA, PIERO e DETTI

AMELIA. C'è fuori un signore che vuol parlare col signor Alberto.

GIULIA. Pst! Va a vedere tu, Giorgio. (Giorgio via.)

PIERO. Mamma! Papà non ti ha detto niente del regalo?

GIULIA. No! Gliene parleremo allorché si sarà svegliato. Zitto, ora!

ALBERTO (svegliandosi si guarda d'intorno con sorpresa). Mi pareva d'essere ancora in viaggio. Quanto tempo ho dormito?

GIULIA. Circa due ore. Il sonno, no, non lo hai perduto.

ALBERTO. Hai ragione di farmene un rimprovero. Dopo quindici giorni di assenza doveva bastare la vista della mia cara moglie per tenermi desto. Ma sono precisamente i quindici giorni di fatiche che mi fanno essere cosí. Ho faticato molto. (Stirandosi.)

GIULIA. C'è fuori un signore che domanda di te. Amelia, chiami il signor Giorgio.

ALBERTO (ancora assonnato). Chi domanda di me?

GIULIA. Non lo so; Giorgio ce lo dirà. (Siede accanto a lui e attira a sé Piero.) Piero chiedeva se gli hai portato qualche dono.

ALBERTO (da prima sorpreso). Un dono! Ah sí! Me ne sono dimenticato.

GIULIA (sorpresa e offesa). Davvero?

ALBERTO. Ho pensato ch'era meglio di fare tale acquisto qui, ove tutto è piú a buon mercato.

PIERO. Allora potrò scegliere io? (Alberto lo bacia ridendo.)

GIULIA. Avrei preferito che tu avessi fatto tale acquisto fuori. Sarebbe stata una prova che anche lungi da noi, a noi sempre pensi.

ALBERTO (scherzosamente). Io non ci ho mica pensato che il dono a Piero poteva valere per te quale una prova del mio affetto. Altrimenti gli avrei portato non uno, ma dieci doni.

PIERO. Dieci doni! Peccato che non ci hai pensato.

ALBERTO (ridendo). Bravo Piero! Tu trovi sempre la parola giusta.

 

SCENA TERZA

CUPPI, GIORGIO e DETTI

 

GIORGIO. S'accomodi. (Presenta.) Il signor Cuppi, mia sorella, mio cognato Alberto Galli.

CUPPI (esageratamente cortese). Ho tanto, tanto piacere. (Stringe la mano a Giulia, poi ad Alberto.) Li conosco di vista da parecchio tempo e sempre mi auguravo che si presentasse l'occasione di fare una conoscenza piú intima… (correggendosi)… sí… piú vicina, piú vicina, sí. Ora l'occasione s'è presentata, perché io attendo i signori Tarelli.

ALBERTO. Ah! cosí! sono raccomandati a Lei? Non avranno dunque bisogno di noi?

CUPPI. No! No! non sono raccomandati a me! Ma come? (Ridendo.) Loro non mi conoscono affatto? Bisognerà che mi presenti da me? Non sanno ch'io sono l'amico degli artisti? Se non faccio altro io a questo mondo! Come si fa abitare questa città e non conoscermi? Oso asserire, sí oso, che in questa città di provincia io sono la cosa, la persona piú preziosa per gli artisti. Sono loro servo devoto e li aiuto in tutte le piccolezze di cui possono abbisognare. È un'occupazione che rende poco, ma che fa passare magnificamente, sí, aggradevolmente la vita. La Ristori diceva di questa città: Di bello non c'è che la statua a Dante e Cuppi; paragone che non calza perfettamente, perché io servo a qualche cosa, a molto anzi. Peccato che i signori Tarelli trovino qui l'alloggio pronto; ne avevo uno bellissimo da porre a loro disposizione, una vera occasione.

ALBERTO. Se preferiscono quello, che si servano.

GIULIA. Ma Alberto! (Poi a Cuppi.) Ho promesso a Maria di tenerla con me. Viene qui piú allo scopo di vedermi che di dare quei due concerti.

CUPPI (ammirandola). Era proprio amica sua intrinseca?

GIULIA. Ma sí! amica di collegio.

CUPPI. Tanto giovine e in poche settimane è divenuta famosa, conosciutissima. Tutti i giornali parlano di lei.

 

SCENA QUARTA

AMELIA e DETTI, poi MAINERI, TARELLI e MARIA

 

AMELIA. Sono qui, ma in tre.

ALBERTO. In tre? Vanno aumentando continuamente?

AMELIA. Una signora e due signori. Sono ancora giú dinanzi alla porta di casa.

CUPPI. Vuole che li vada a chiamare io?

MARIA (entra seguita da Maineri e Tarelli). Ne parleremo piú tardi. E Giulia? Come stai? (La bacia affettuosamente.) Uh! Che pezzo di donna. Hai il volume che in passato avevamo in due. Sei cambiata, molto cambiata. Sempre una bella persona, ma non sei piú quella. Che peccato! Io che speravo di ritrovare in te quella mia antica, dolce amica cui mi piaceva tanto di fare del male per vedere fin dove arrivasse la sua indulgenza. Certo hai perduto quell'indulgenza! Chissà quanto cattiva sarai divenuta invecchiando.

GIULIA. Tu sei sempre la stessa co' tuoi occhi serii e dolci. (Presentando.) Mio marito…

ALBERTO (con lieve sorpresa). Signorina!…

MARIA (ridendo dopo un istante di sorpresa). Ooh! una vecchia conoscenza!

ALBERTO. Infatti, abbiamo fatto una parte di viaggio insieme. Da Bologna a Firenze.

MARIA. Ancona, cioè.

TARELLI (intervenendo). Firenze, Firenze. Me ne ricordo benissimo. Firenze!

ALBERTO. In Ancona non sono stato questa volta. (Un po' confuso.)

MARIA (sorpresa). Ah! cosí!

ALBERTO (a Giulia). L'altr'ieri siamo stati insieme. Da Bologna a Firenze.

MARIA (molto sorpresa). L'altr'ieri?

GIULIA. E non vi siete conosciuti?

MARIA. Non ve n'è stata l'occasione.

ALBERTO (cortesemente a Maria). Ha fatto buon viaggio?

MARIA (freddamente). Sí, grazie.

GIORGIO (a mezza voce, fra sé). Strano! Una è stata con lui in Ancona; l'altro invece non si rammenta che d'essere stato a Firenze.

GIULIA (presentando). Mio fratello Giorgio, professore al Liceo.

GIORGIO. Ho tanto piacere di fare la sua conoscenza. Ne chieda a mia sorella. Contavo i giorni che mancavano al suo arrivo qui, perché per me è una fortuna che la casa di mia sorella divenga un po' piú artistica.

MARIA. Grazie del complimento, ma non posso accettarlo. Non rendo mica artistici i luoghi che tocco!

GIULIA (a Maria). Bisogna sapere che lui, oltre che professore, è artista e dotto. Si occupa di storia patria.

MARIA. Anche questo paese ha una storia?

TARELLI (intervenendo). Ma che dici, Maria? Offendi i signori, eppoi ti sbagli. Questo paese! Non è per di qua che sono passati i Romani?

GIORGIO. Questa è una colonia romana.

TARELLI. Naturalmente, Maria, ti sei dimenticata di presentarmi.

MARIA. Mi pareva non occorresse. Mio zio, Carlo Tarelli.

TARELLI (stringendo la mano a Giulia). Il quale accetta con gratitudine l'ospitalità che tanto gentilmente gli è stata offerta. (Poi ridendo ad Alberto.) Veramente peccato che a Bologna nessuno ci abbia presentati. Avremmo fatto molto piú aggradevolmente il tratto da Bologna a Firenze, poiché è quello il tratto che abbiamo fatto insieme.

MAINERI. Signorina! Debbo andarmene! Sono legato alle mie lezioni.

MARIA. Incatenato, mi pare, a dirittura. Rimanga soltanto un istante ancora che la presenti ai padroni di casa, poiché ella dovrà venire qui di spesso per causa mia. Il professor Maineri che gentilmente s'è offerto di accompagnarmi al piano nei due concerti che ho da dare qui. Ha avuto la gentilezza di venirmi a ricevere alla stazione.

GIULIA. Ci sarei venuta anch'io, se mio marito non fosse stato ancora molto stanco del viaggio.

MARIA (abbracciandola). Ooh! non avevo mica l'intenzione di farti un rimprovero. Perché ridi?

GIULIA. Perché hai conservato quel tuo ooh maschile che in collegio tanto ci piaceva.

MARIA. Delle cattive qualità non ne ho perduta nessuna.

MAINERI. Col suo permesso io ritornerò qui domattina.

MARIA. E la ringrazio. Mi piace tanto di trovare al mio arrivo in una città, subito, alla stazione, dei volti amici.

MAINERI. Non ha nulla da ringraziare. Due mesi fa ho assistito ad un suo concerto a Milano e m'è nato in cuore il desiderio di sedere io una volta al pianoforte e accompagnare quel suo violino ch'è una vera orchestra da sé solo. Quasi quasi compio un voto. A rivederci domattina. (Via.)

TARELLI. Scusi, signor professore Giorgio. (Subito amichevolmente.) Ella, quale professore di belle lettere, se bene ho udito, dovrebbe pur conoscere qualche critico musicale in questa città.

GIORGIO. No, affatto! Vivo a scuola e in casa e con giornalisti non ebbi finora nulla da fare. È gente che a me non piace.

TARELLI. Peccato! Di solito vengono i critici a cercare di noi, ma capisco che qui toccherà a noi di cercare loro. Le faccio del resto i miei complimenti se non conosce giornalisti. Anch'io, se potessi, farei a meno di essi. Canaglie! Però dico peccato per il caso nostro. Non conosce neppure nessuno che pratichi la compagnia di giornalisti? Eh! già! Capisco! Non volendo aver da fare con giornalisti, è bene tenersi lontano da chi li pratica.

CUPPI (lieto). Son qua io! È proprio il momento di presentarmi. Critici musicali? Ma io li conosco tutti! Uno cioè, ch'è però l'unico! Valzini! Vado a chiamarlo.

ALBERTO (ridendo). Ce ne eravamo dimenticati. Il signor Cuppi… amico degli artisti.

CUPPI. La presentazione è completa, non c'è piú nulla da dire sul mio conto. Amico degli artisti! Dalla Ristori alla grande riformatrice del teatro moderno, la Mara, di tutti, di tutte sono stato… o sono amico.

TARELLI. Ha nominato solo gli artisti drammatici; si dedicherà poi col medesimo zelo ai musicisti?

CUPPI. Solo ai violinisti. Ho una passione speciale io per il violino, per il re degl'istrumenti. I sonatori di piano non amo e non li ama neppure il nostro pubblico a quanto ho potuto osservare. Ho già conquistato dei titoli di benemerenza per i violinisti. Il celebre Janson ch'è stato qui due mesi fa, alloggiò, mangiò, e quasi quasi suonò anche col mio aiuto.

TARELLI. Janson è stato qui?

CUPPI. Ma sí! Non lo sapeva?

TARELLI. E quale successo si ebbe? (Piccola pausa.)

CUPPI. Perché celarlo? Enorme! Molto grande! Per otto giorni la città non si occupò che di lui; il teatro era pieno, zeppo, e vi erano rappresentate tutte le classi sociali… o quasi. Janson era un ospite ricercato dalle principali famiglie della città. I poeti gl'indirizzavano versi e i giornalisti articoli di fondo. Partendo, egli mi disse che avrebbe voluto essere nostro concittadino… naturalmente se non fosse stato svedese.

TARELLI. In allora, poveri noi, nevvero?

CUPPI. Oh! no! al contrario! Onorando Janson la città dimostrò quanto essa apprezzava il vero merito e saprà dimostrarlo anche nella signorina.

TARELLI. Valzini è molto riputato in città?

CUPPI. Moltissimo. Si racconta che gli autori principali, come Verdi e Wagnèr (all'italiana), quel tedesco, leggano sempre le sue critiche.

TARELLI (a mezza voce e con gesto espressivo). Scusi, in confidenza. Bisogna ungere?

CUPPI. Ah! no! da noi non troverà di quella stampa. Valzini è ricco ossia ha tutto il poco di denaro di cui abbisogna. È gentile però e una buona parola mia servirà a sufficienza. Ma denaro? Ohibò!

TARELLI. Ho chiesto per la buona regola. Naturalmente che se è ricco e stimato da Wagnèr (imita Cuppi) non si lascerà pagare.

CUPPI. A rivederci, signori, in mezz'ora o poco piú ritorno con Valzini.

TARELLI. Grazie! La prego di dirgli che mia nipote ed io verremo da lui domani s'egli non può venire da noi oggi.

CUPPI. Sta bene. Mi piace! Valzini certo sarà lusingatissimo dell'ambasciata. Con permesso. (Via.)

GIORGIO (congedandosi). Signorina! Interverrò anch'io se me lo permette alle prove di domani, quantunque io non sia molto musicale. Anzi, e con me parecchi scrittori moderni, siamo in genere contrari alla musica. La cosa tuttavia m'interessa.

MARIA. Con quelle premesse certo io non ci tengo molto di essere onorata della sua presenza. Ad ogni modo, se Ella verrà, suonerò istesso.

GIORGIO (dopo un istante di esitazione). Va bene! Accetto le sue parole come un invito. Vede che ci metto della buona volontà anch'io. A rivederci. (Via.)

GIULIA. Perché lo tratti cosí? Lui ti parla con una deferenza che tu neppure puoi apprezzare, perché non sai come tratti con gli altri.

MARIA (abbracciandola con grande effusione). Oh! se sapessi quanto piú felice mi renda di vedermi trattata bene da te. Se tu lo vuoi, farò dei complimenti anche a tuo fratello, quantunque le persone antimusicali non mi piacciano.

GIULIA. Sai pure che non bisogna tener conto di tutto quello che dicono i dotti.

TARELLI. Lasciamo stare qui queste valigie?

GIULIA. No! le farò trasportare subito nella stanza destinata a lei. (Chiamando.) Amelia!

TARELLI. Non si scomodi. Le posso portare io, da solo; dov'è la stanza?

GIULIA. Di qua. In fondo a questo corridoio. (Via.)

TARELLI. Mi dispiace d'incomodarla. (La segue.)

 

SCENA QUINTA

ALBERTO e MARIA

Maria vuol seguire Tarelli.

 

ALBERTO. Scusi, signorina Maria! Una sola parola? Non è Maria ch'ella si chiama? Dolce nome! L'avessi conosciuto ieri!

MARIA (ridendo). L'altr'ieri, cioè.

ALBERTO. L'altr'ieri o ieri fa lo stesso. Non è una bugia, è una… distrazione. Avevo raccontato a mia moglie d'aver lasciato Firenze l'altr'ieri. Mi dispiaceva di lasciarmi smentire.

MARIA. Rammento ch'ella mi aveva detto ch'era stata sua intenzione di lasciare Firenze l'altr'ieri. A sua moglie raccontò quindi l'intenzione.

ALBERTO. Sí! La prima intenzione, perché la seconda, debbo confessarlo, era di rimanere a Firenze finché c'era lei e poi di seguirla per otto o dieci giorni o magari per un mese.

MARIA. E Giulia?

ALBERTO. A mia moglie avrei scritto che gli affari mi trattenevano fuori.

MARIA. Povera Giulia! Per aver a ritrovarla cosí, volentieri avrei rinunziato di rivederla.

ALBERTO. Perché? Chi le dice ch'io sia un cattivo marito? Ne chieda a Giulia e le dirà che migliore non potrei essere. Il modello dei mariti.

MARIA. Dunque tanto peggio: Tradita e ingannata.

ALBERTO. No! Né tradita né ingannata. Adesso io la conosco. So chi è, cioè una grande artista e al tempo stesso una fanciulla onorata. Ma prima…

MARIA (seria). Prima aveva potuto credere ch'io non sia una fanciulla onorata?

ALBERTO. Mi scusi e non si adiri. Mi lasci parlare francamente, perché altrimenti non potremo intenderci.

MARIA. Non capisco quale bisogno ci sia d'intenderci.

ALBERTO. Vedrà, grandissimo bisogno o meglio son io quegli che sente tale bisogno. Via! Non sarà tanto buona da rendermi un lieve servigio, quale è quello di starmi ad ascoltare? Glielo chiedo quale marito di Giulia.

MARIA. Non è il titolo ch'ella potrebbe invocare, ma parli, mi rassegno.

ALBERTO. Non ha bisogno di rassegnarsi a nulla, perché mi farebbe un torto credendo ch'io possa avere l'intenzione d'offenderla. Sull'anima mia! Respingerei con indignazione un'idea che potesse essere meno rispettosa per lei; non la penserei neppure! Si sente sicura? Posso parlare ora senz'altra preoccupazione che di esprimermi precisamente e chiaramente? (Maria annuisce.) Ecco! Io non ho altro scopo che di provarle che la sua amica Giulia è piú felice di quanto ella sembra di credere. Per darle tale prova mi basterà dirle che anche quando corro dietro ad altre donne, in quel medesimo istante, quando sono tutto intento a raggiungere il mio scopo e mi trovo in quello stato di esaltazione in cui ella, per mia disgrazia, mi vide, anche allora, amo mia moglie appassionatamente e le darei in quel medesimo istante il bacio affettuoso di ogni sera.

MARIA. Beata Giulia, allora.

ALBERTO. Perché, vede, mia moglie e le altre donne, quelle cui corro dietro io, non sono le stesse donne. Che cosa può importare a Giulia di quei fuochi di paglia accesi da altre, di quei desiderii che non somigliano in nulla all'affetto che porto a lei?

MARIA. Ma che razza di gente ella dunque credeva di aver trovato in me e in mio zio?

ALBERTO. Non feci alcuna supposizione sul suo stato; poteva essere quello di una donna ricca o di una grande artista; ella poteva essere la moglie di un banchiere o di un nobile, per me era indifferente. Le donne sono donne e l'esito della mia avventura non dipendeva da queste circostanze. Quello che a bella prima pensai e che mi diede le massime speranze fu ch'ella fosse la moglie di suo zio. (Maria ride.) Io vedevo in lei una di quelle brave mogli borghesi dal marito troppo vecchio e le quali, per prudenza, non lo tradiscono che quando sono in viaggio. In viaggio… eravamo.

MARIA. Ma come le è venuta l'idea ch'io sia la moglie di mio zio?

ALBERTO. Mi auguravo che cosí fosse ed io vedo spesso le cose come desidero che sieno. Quando appresi d'essermi ingannato mi avvolsi nella mia pelliccia e mi affrettai a rimpatriare.

MARIA (ridendo). Immediatamente? Aveva il timore di contrarre degl’impegni troppo duri?

ALBERTO. No, ma temevo di perdere il mio tempo, ciò che anche in istato di esaltazione, se posso, evito.

MARIA (non molto lusingata). Ah! cosí! Assolutamente dunque il suo proposito correndomi dietro era di passare meno peggio qualche giorno e niente piú?

ALBERTO (ingenuamente). No! no! Se ella mi avesse trattato bene, molto bene, i miei affari si sarebbero tirati molto ma molto in lungo. Mi si dice che la sua ambizione era di venir considerata e trattata come un uomo. Sono certo che in questo riguardo ella non avrà da lagnarsi di me.

MARIA. Non mi lagno nemmeno. Però di qualche cosa d'altro vorrei lagnarmi. Ecco! Non m'è dispiaciuto di sentirla parlare; ella parla bene di queste cose e sono curiosa di sentirla parlare d'altre, di quelle di cui parla a Giulia. Anzi, ne ho ritratto anche un altro piacere, cioè, la certezza di non venir mai piú disturbata da lei e di sentirmi sicura in casa sua.

ALBERTO (con un sospiro). Certo, certo, la mia simpatia è delle piú rispettose.

MARIA. Ma quello che assolutamente non so indovinare si è la ragione che la indusse a raccontarmi tutte queste belle cose ch'io non avevo chiesto di conoscere.

ALBERTO. Non l'ha ancora capita? Mi meraviglio. Le ho detto, nevvero, che prima di tutto mi premeva di provarle che la sua amica Giulia è una donna felice? Mi pare che su questo punto siamo d'accordo! Ora debbo prevenirla che questa felicità scomparirebbe, se Giulia sapesse che oltre ad amarla moltissimo, io… l'amo nel modo che le spiegai.

MARIA (ridendo, ma con voce un po' stonata). Ma basta cosí, allora! Questo dunque era il nocciolo del frate grigio? Si tratta di non far capire a Giulia che nella noia del viaggio ella s'è compiaciuto di guardare la sua umilissima serva! Ma crede poi ch'io abbia avuto l'intenzione di vantarmene?

ALBERTO. No! Temevo soltanto che a tutta la cosa ella avesse potuto dare tanto poca importanza da parlarne in un istante di buon umore come di un fatto che non concernesse né lei né Giulia. Ora, se, come purtroppo è vero, per lei io, le mie parole o le mie azioni sono cose indifferenti, per Giulia la cosa è ben diversa. La mia casa è delle piú borghesi; tutto vi è basato sulla cieca fiducia che portiamo uno all'altra. La felicità di Giulia è formata dalla sua fede in me. Mi porta un affetto quasi esclusivo; cioè diviso fra me e Piero, nostro figlio. Vuole un po' di bene anche a Giorgio, suo fratello il professore che ella ha conosciuto or ora, quel pedante, il resto del mondo per essa non esiste. Ella è perciò tanto irragionevole da sembrarle naturale ch'io l'ami come essa ama me, esclusivamente. Il primo dubbio potrebbe distruggere questo castello in aria e la mia e la sua felicità. È perciò che formalmente la prego di essere cauta. Avrei potuto, come ella stessa osservò, risparmiarmi la fatica di farle questa preghiera e affidarmi alla sua naturale discrezione, ma la cosa era troppo importante per lasciarla in balia del caso. Glielo assicuro: Basterebbe una sola parola detta scherzosamente per destare la diffidenza in Giulia, e capirà che se giungesse al punto di diffidare, poco le costerebbe di procurarsi la certezza del mio tradimento.

MARIA. Diamine! Con le sue massime, sfido io, si esporrà continuamente a dei pericoli.

ALBERTO. Mi creda! Meno spesso di quanto sembri! (Con qualche calore.) Oh! me lo creda! Non basta mica ogni gonnella per farmi pericolare!

MARIA (ridendo). Adesso ch'è sicuro della mia discrezione, pare voglia ricominciare.

ALBERTO. Oh! no! Voglio essere un buon ospite e rispettoso; renderò felice Giulia che crederà che le mie gentilezze sieno usate a lei per riguardo suo.

MARIA. Molto compito!

 

SCENA SESTA

CUPPI e DETTI

 

CUPPI (correndo). Valzini è qui! Verrà subito.

ALBERTO e MARIA. Chi è questo Valzini?

CUPPI. Il critico, il giornalista ch'ero stato incaricato di far venir qui.

MARIA. Prego, signor Alberto, ne faccia avvisare mio zio.

ALBERTO. Vado io stesso! (Via.)

CUPPI (stanco). Auff! Sono corso per arrivare prima di Valzini. Volevo avvisarla di certe particolarità, fatti che lo concernono e ch'è bene ch'ella conosca. Prima di tutto tenga presente che il nonno di Valzini è stato un grande musicista, sí, abbastanza conosciuto; per fargli piacere bisogna dirgli ch'ella lo conosce di fama, di nome. Anche suo padre ha scritto un'opera ch'è stata data a Milano, una sola volta, ma a Milano, capisce. Poi bisognerà che io le indichi i nomi delle romanze, tutte per soprano, scritte dal nostro Valzini. Eccole: "L'usignolo sul mandorlo", "Primavera campagnola"…

MARIA (fin qui distratta, lo interrompe bruscamente). È roba che a me non importa. Con permesso. (Via.)

 

CALA LA TELA

 

 

fancybarT.gif (5506 bytes)

fancybul.gif (2744 bytes)

fancybulsm.gif (614 bytes)        fancybulsm.gif (614 bytes)         fancybulsm.gif (614 bytes)

fancyhome3.gif (5051 bytes)

fancyback.gif (5562 byte)

fancynext.gif (5542 byte)

fancyemail.gif (5017 bytes)

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.51

fancylogo.gif (5205 bytes)
fancybul.gif (2744 bytes)
Top