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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Il ladro in casa

ITALO SVEVO

Scene della vita borghese

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ATTO QUARTO

 

 

SCENA QUINTA

ELENA e DETTI

 

ELENA                      (agitatissima). Catina mi ha detto che eravate qui. Sentite, Ignazio! Datemi le gioie o io sono una donna perduta.

IGNAZIO.                 Ve le darò. Ve le darò. (Sottovoce.) Calma, calma!

ELENA.                     Le avete qui, nevvero? Già oggi mio marito si accorse che mancavano. Gli dissi ch'erano dal gioielliere. Adesso non potrei piú oltre mentire, dirgli che le ho date a voi, gioielliere, perché sarebbe stato mio dovere avvertimelo almeno quando siete scomparso. (Carla comprende, si alza, vuole parlare, non può, esce vacillando e chiude la porta dietro di sé.)

IGNAZIO. Ma Carla, ove vai? Oh, Elena, Elena! Tu mi rovini. Io dicevo sempre che le donne mi rovinerebbero. Ecco le tue gioie! Occorreva lasciarti trasportare da tale passione per quattro miserabili pezzi d'oro? (Le consegna un cofanetto.)

ELENA                      (aprendo il cofanetto con vivacità e guardandoci dentro per verificare). Oh, bravo, bravo! Mi ridonate il respiro! Grazie! (Dopo una piccola pausa.) E adesso addio. (Va verso la porta.)

IGNAZIO.                 Cosí, dunque, Elena, mi abbandoni anche tu? Questo addio significa proprio una separazione definitiva?

ELENA.                     Sí, Ignazio, ho sofferto troppo. Ho capito ch'è meglio annoiarsi e non aver da temere niente da nessuno. Quando mi sono vista sola con voi in quella stazione e poi mi avvertiste ch'eravamo perseguitati, fuggii spinta proprio da vergogna e da paura; poi vissi molte ore in angoscia per queste malaugurate gioie… Addio! (Via.)

IGNAZIO                  (chiamando). Catina!

 

SCENA SESTA

CATINA e IGNAZIO

 

IGNAZIO.                 Bella creanza questa di lasciarmi solo. Favorisci dire alla mia signora moglie che venga un poco a tenermi compagnia.

CATINA.                  Sta appunto salendo le scale il signor Carlo.

IGNAZIO.                 Brava! Verrà lui a tenermi compagnia…

 

SCENA SETTIMA

IGNAZIO, CARLO poi CARLA

 

CARLO.                    Voi qui?

IGNAZIO.                 Sí, Carlo (stendendogli la mano). Ero in procinto di partire e non n'ebbi il coraggio pensando a te, allo stato in cui ti lasciavo…

CARLO.                    Lo so e ve ne ringrazio, ma a quanto sento i carabinieri vi confermarono in questo proposito.

CARLA                     (entrando improvvisamente). E cosí non credergli, perché mente, mente sempre.

IGNAZIO.                 La signora stava ad origliare?

CARLA.                    Sono ritornata appena adesso. Del vostro dialogo con Elena non avevo piú nulla da udire. Se avevo già compreso tutto… (piangendo al collo di Carlo). Oh, Carlo! Consegnalo alla polizia. Liberamene!

IGNAZIO.                 La signora ha uno speciale affetto per il suo marito legittimo…

CARLA.                    Quel riso ironico mi fa male!… Come seppi udirlo tante volte e non odiarvi, non disprezzarvi come meritate!

IGNAZIO.                 Le insolenze sono troppe! Bada a te, Carla!

CARLA.                    Mai troppe, a te, miserabile! Perché, sai, Carlo! Ci tradí, ci rovinò tutti. E me, me trascinò per tali sozzure, per tali infamie che mai, mai piú saprò quietare la mia coscienza. Sappi che allorché per la prima volta ti estorse denari io sapeva ch'era già fallito e non dissi una parola. È ben vero che per un istante, ad onta che sapessi tutto, fui ingannata dal tono d'ingenuità con cui ti parlava, ma solo per un istante! Eppure tacqui. Io ti tradii già dal primo giorno in cui lo vidi! Allorché tu, poveretto, chiedesti quella dilazione che ti occorreva, con due parole egli mi convinse a non concedertela. Che cosa potevo farci? Mi sembrava di essere una cosa con lui.

IGNAZIO                  (a Carlo). E ciò le avrebbe continuato a sembrare, se non mi avesse scoperto in fallo di lesa fedeltà coniugale! Avrei altrimenti potuto continuare col suo mezzo chissà per quanto tempo ancora!

CARLA                     (piú calma). È vero, è vero. Tutto tutto gli perdonai meno questo. Ma non è il dolore di venir tradita che mi strappa queste parole. Tradendo me che gli sacrificai tutto, egli si rivelò anche a me per quello che era. Io feci sempre ciò che volle, fino all'ultimo, anche quando volle fuggire a tua insaputa, e mi obbligai alla menzogna, all'ipocrisia che tanto mi doleva, specialmente ad usarla con te. Ma adesso è finita. Oh, davvero, mi sento lieta che ciò sia avvenuto! Mi sento libera di agire secondo la mia coscienza e secondo giustizia. Non piú dissimulazioni, non piú misfatti! Non lasciarlo fuggire, Carlo! Egli ha con sé trentamila franchi e sono tuoi.

IGNAZIO.                 Suoi? Sono in gran parte dello zio e di altri. Se però li vuole, eccoli!

CARLO                     (con nausea). Io non accetto denari rubati.

CARLA.                    Perché? Se sono rubati a te.

CARLO.                    Neppure. Vieni, Carla. Lascia che fugga, che se ne vada dove vuole, e tu ritorna con noi.

IGNAZIO.                 Se voi non mi aiutate, se non mi celate per qualche giorno, la fuga sarà alquanto difficile. Vedi, Carlo, io lascio a te quindicimila franchi; tengo soltanto la metà per vivere all'estero, finché trovo una occupazione qualunque che non mi sarà difficile di trovare con una tua buona raccomandazione.

CARLA.                    Va bene va bene! (Vedendo che Carlo esita a prendere i denari offerti, li prende lei.) Sono tuoi, li prendo io.

CARLO.                    Carla!

IGNAZIO.                 Ma io li do volentieri. Chi piú contento di me di poter riparare almeno in parte al mal fatto?

 

SCENA OTTAVA

CATINA e DETTI

 

CATINA.                  Era venuto il signor Marco Lonelli. Io gli dissi che poteva entrare ma egli se ne andò dicendo che sarebbe ritornato subito.

IGNAZIO                  (con spavento). Ho capito.

CARLO.                    Temi che tuo zio ti tradisca?

IGNAZIO.                 Non temo, ne sono sicuro.

CARLA.                    Era qui poco fa, e si lagnava con noi della tua scomparsa. (È agitatissima.)

IGNAZIO                  (osservandola con attenzione). Non capisco perché ti agiti tanto, tu, all'idea ch'io possa venir preso.

CARLA.                    Mi duolerebbe lo scandalo. (Si vede che soffre.)

IGNAZIO                  (comprendendo). Oppure ti dispiacerebbe si sappia che partecipasti agli utili dei miei furti?

CARLA                     (indignata). Oh, no. So che ognuno riconoscerebbe il mio, il suo (additando Carlo) diritto di prendere questi denari. Non temo che lo si sappia. Tu procura di fuggire. Sei ancora in tempo.

IGNAZIO.                 E se non volessi?

CARLA.                    Oh, è tanto tanto basso ciò che pensi e ciò che vuoi! Aumenta la mia vergogna a doverti confessare che… soffrirei sapendoti in carcere.

IGNAZIO                  (la guarda esitante, quasi commosso, poi fa le spallucce). Son cose che si dicono in tali momenti. Parlando d'altro; per la mia fuga io ho già disposto con un padrone di barca, il quale però parte appena dopodomani. Ma comprenderete che qualcun altro dovrebbe andare a trattare…

CARLO.                    Ci andrò io.

IGNAZIO.                 Sta bene! Abbiamo qualche poco di tempo e dovreste approfittarne per darmi da mangiare. Mi sento molto debole.

 

SCENA NONA

CATINA, ELENA, FORTUNATA e DETTI

 

CATINA.                  Ho visto entrare in casa i carabinieri.

IGNAZIO.                 Ahi, ahi!

ELENA.                     Sono i carabinieri.

IGNAZIO.                 Abbiamo inteso! Ad ogni modo, grazie per la premura.

ELENA.                     Non vengo soltanto per avvisarvi; vengo anche a salvarvi. Questa casa è sorvegliata: Io conosco un mezzo per farvi uscire da una casa qui accanto.

IGNAZIO.                 Sentiamo.

ELENA.                     Potete entrarvi salendo sul tetto della casa qui a destra.

IGNAZIO                  (ironicamente). Se però Carla mi permette di approfittare di un vostro consiglio. (Le due donne retrocedono spaventate a tanta insolenza.) Ma, dunque, andiamo! (ad Elena.)

ELENA                      (a Catina). Catina, tu conosci quel passaggio in casa Doritti. Mostraglielo!

IGNAZIO.                 Io non vi ho offeso, signora, perché non volete rendermi voi questo supremo servigio? (Le tende la mano.) Ebbene, se non volete, datemi la mano in segno almeno, che non l'avete con me!

ELENA.                     Eccola! Siate felice!

IGNAZIO                  (la guarda fisso). Peccato! (Si volge a Carlo.) E voi, Carlo, datemi la mano in segno di perdono. Sapete, non volli farvi del male. Mi vedevo cadere e volli sostenermi. (Carlo dà la mano. Ignazio si volge.) Ebbene, Carla, che ne dici? È l'ultima volta che ci vediamo. A te non chiedo perdono. Che cosa ti feci? Puerilità. Ed occorreva una sciocca gelosia per offenderti! Siamo uomini tutti e tu avevi torto di credermi fedele.

CARLA.                    Hai ragione. Ma fuggi, Ignazio, ed io ti sarò riconoscente come se mettessi in salvo anche me. Fuggi! Il tempo incalza!

IGNAZIO.                 Addio, Carla! (La bacia, quantunque ella dimostri ribrezzo.) Andiamo, Catina, e conducimi bene! Tu sei causa ch'io non ho potuto mangiare in pace. Addio, tutti! (Via con Catina.)

ELENA                      (a Carla). Carla, io non ho voluto mai offenderti!

CARLA.                    Adesso non ne parliamo! Ch'egli si salvi ed io non porto rancore a nessuno. Ho perdonato a lui ch'è il piú colpevole! (Le dà la mano ch’Elena stringe.)

ELENA.                     Grazie.

 

SCENA DECIMA

Il MARESCIALLO dei carabinieri. Poi MARCO, poi CATINA e DETTI

 

MARESCIALLO. Il signor Ignazio Lonelli?

CARLA                     (nello spavento). Ma se qui non c'è! Manca da casa da ieri mattina!

MARESCIALLO (a Carlo). In base a questo mandato mi permetterete di perquisire questa abitazione?

CARLO.                    Faccia pure, signore.

MARCO                    (entrando). Signor maresciallo, le annuncio che vidi mio nipote salire le scale… io dico che vuole fuggire per il tetto.

MARESCIALLO. Chi è suo nipote? (Carla sta per mancare.)

MARCO.                   Il malfattore che lei cerca.

MARESCIALLO. Ah, grazie. (Esce.)

ELENA.                     Pfui! Vergognatevi!

CARLO.                    Avete commesso un'azione infame.

MARCO.                   Lasciatemi in pace! Non commise Ignazio un'azione piú infame ancora? (Esce.)

CARLO.                    Coraggio, Carla, forse riesce ancora a fuggire!

CARLA.                    E come? Adesso sanno dove si trova.

CATINA                   (entra correndo.) Aiuto! aiuto! Il signor Ignazio è caduto dal tetto!

CARLA.                    Ah! (Cade svenuta).

CARLO.                    Come? Caduto dal tetto?

CATINA.                  Sí. Io lo vidi tutto ad un tratto scivolare, scivolare, trattenersi con le mani e i piedi, ma inutilmente. Se ne andava come su ruote. Io gridava: Ma si tenga, ma si tenga! Non serviva! Poi scomparve.

ELENA.                     Carla è svenuta.

FORTUNATA          (che guarda dalla finestra). Ma è là, è là! Lo salveranno ancora! Si tiene ad una grondaia. Un carabiniere si mostra già sul tetto! (Elena e Carlo accorrono alla finestra.) La grondaia cede! (Inorridita Elena fugge dalla finestra.)

CARLO.                    È salvo! è salvo, se si tiene! Il carabiniere è giunto ad afferrare la grondaia. Oh! (Fugge anch'egli.)

ELENA                      (fuori di sé). È caduto, è caduto. Aiuto! Aiuto! (Gridando verso la strada, donde si sente un rumore confuso.)

FORTUNATA. Signora, signora! Forse è salvo! Chissà! Tante volte si è udito di cadute simili.

MARCO                    (entra). Un bicchiere d'acqua! Dammi un bicchiere d'acqua! Quale spettacolo!

FORTUNATA. È morto?

MARCO.                   Morto? Non soltanto. Per mettere in bara tutti quei pezzi occorrerà la scopa.

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.27

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