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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Il ladro in casa

ITALO SVEVO

Scene della vita borghese

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ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA

CATINA che introduce IGNAZIO LONELLI

 

CATINA.                  Ho da chiamare la signora Carla?

IGNAZIO.                 È nella sua stanza?

CATINA.                  No, è con la signora Fortunata.

IGNAZIO.                 Non avvisarla, allora, Catina. Catina, non è vero ch'io ti trattai sempre bene? Brava! Mi son dimenticato di darti la strenna a capo d'anno. Ecco qui. Cinque franchi. Li tenni sempre in questo taschino per darteli all'occasione. Dunque. Io ti trattai sempre bene e posso fidarmi di te. Tu devi, fino a nuovo ordine, non avvisare nessuno che io sono qui. All'infuori di mia moglie è meglio che nessuno lo sappia, e lei devi avvisarla appena sarà sola. Dove potrei nascondermi?

CATINA                   (additando la porta in fondo). In quel camerino, ch'è vuoto.

IGNAZIO.                 E non ci viene nessuno?

CATINA.                  Nessuno, mai. Ma perché si nasconde?

IGNAZIO.                 Dimmi un poco, sinceramente, non sai nulla, tu? (La fissa.)

CATINA.                  Nulla? Che cosa nulla?

IGNAZIO.                 Dammi la mano. Sei una brava donna. E, dimmi ancora: Sei religiosa? (Catina lo guarda.) Credi in Dio?

CATINA.                  Oh, se ci credo! Farei un buon affare, vecchia come sono, a non crederci.

IGNAZIO.                 Ebbene, giurami sulla salute dell'anima tua che dirai solo a Carla di avermi visto!

CATINA.                  Ma perché?

IGNAZIO.                 Si tratta di uno scherzo, ma voglio essere sicuro del fatto mio. Eccoti altri cinque franchi, ma te ne prego, Catina, giura!

CATINA.                  Se vi preme tanto, giuro.

IGNAZIO.                 Ricordati che per gli spergiuri ci son le pene dell'inferno! E adesso su questo punto sono tranquillo. (Si sente suonare.) Puoi andare ad aprire. (Catina via. Si suona una seconda volta con insistenza. Ignazio si ritira nello stanzino.)

 

SCENA SECONDA

CARLO, MARCO LONELLI, poi CATINA

 

CARLO                     (entrando con Marco). Catina, non senti?

CATINA.                  Ero già andata ad aprire, quando il signore suonò per la seconda volta.

MARCO.                   Lasciateci soli. (Catina con un complimento, via.) Senta, Almiti. Le porto delle nuove che poco le potranno piacere. Anzitutto bisogna che sappia che non sporgo denunzia contro mio nipote.

CARLO.                    Io non ho che a lodarla per questa omissione.

MARCO.                   L'accusa era già stata fatta dal signor Marchini al quale Ignazio diede oro falso in cambio di oro buono che gli era stato affidato per il lavoro. Lei ora può accorgersi qual fior di birbante sia suo cognato. Ma non è per dirle questo che sono venuto qui. Il piú importante di tutto si è che Ignazio è preso o quasi.

CARLO.                    Ciò significa?

MARCO.                   … ch'è stato messo nella impossibilità di sfuggire alla pena dovutagli. Non ancora, ma quanto prima, perché Ignazio si trova ancora qui, in questa città.

CARLO.                    Come lo sapete?

MARCO.                   So che non è partito ed ecco come. Marchini piú svelto di noi due fece la denunzia in tempo debito. Allorché i carabinieri si presentarono in casa sua per eseguire l'arresto, il portinaio disse loro quello che non aveva voluto dire a me, cioè l'indirizzo nuovo d'Ignazio. All'Hotel de la Ville era andato ad abitare, quell'imbecille! All'hotel si seppe ch'era uscito dieci minuti prima con un fattorino che gli portava il baule. Alla stazione infine lo si vide presentarsi al bigoncio per il biglietto, senza prelevarlo, lasciò là cento franchi. Pare si sia accorto in tempo del tranello. Che le pare?

CARLO.                    Penso anch'io che sia ancora in città.

MARCO.                   Ma dove? Son ben dodici ore che lo si cerca inutilmente.

CARLO.                    Che ne so io? (Con impazienza.)

MARCO.                   Devo dirle che non sono venuto qui principalmente per informarla di tutto ciò, perché in fondo, non mi serve a nulla che lei lo sappia… Dica, non ha visto Ignazio, quest'oggi?

CARLO.                    Lei suppone che io l'abbia nascosto? ch'egli abbia cercato riparo in casa mia?

MARCO                    (esitante). E chi lo sa?

CARLO.                    Non è stato qui. Ma, dica un po', se ci fosse, che farebbe lei? (Sorridendo.)

MARCO.                   Non capisco! Che farei? Andrei alla polizia, notificherei il soggiorno del malfattore e non me ne occuperei piú oltre.

CARLO.                    Eh, via! Lei tradirebbe un nipote per quella cambialuccia! Non ha da avere altro da lui?

MARCO.                   Non si tratta della cambialuccia, caro il mio signore; si tratta del modo! Io, vecchio negoziante, venir ingannato in tal modo! Estorcermi in tal modo gli ultimi denari occorrenti alla fuga! Dopo che per anni ero riuscito a salvarmi da lui! Un tale atto merita vendetta e me la procurerò. Ancora una domanda, e poi me ne vado.

 

SCENA TERZA

ELENA e DETTI, poi CARLA

 

ELENA.                     Si può?

CARLO.                    Entri, signora. Ieri suo marito mandò a vedere se lei era qui.

ELENA.                     Fu un malinteso.

CARLA                     (entrando). Oh, Elena (Le getta le braccia al collo e si mette a piangere.)

CARLO                     (a Marco). Si ricordi di non dire nulla a mia sorella di quanto lei disse or ora!

MARCO.                   Come vuole. Ma a sua volta - n'è sicuro? - sua sorella non saprà nulla di nuovo sul conto del marito? Questa era la domanda che ancora avevo da farle.

CARLO.                    Carla è da ieri sera con mia moglie. Non la lasciò un minuto.

MARCO                    (dopo un po' di esitazione). Ebbene, mi do per vinto. (Rivolto a Carla.) Nipote mia, devi darti pace! Sono cose che accadono tutti i giorni, anche piú volte al giorno…

CARLA.                    E non avete sue nuove?

MARCO.                   Nessuna. Fu visto alla stazione… (Un movimento di Carlo lo interrompe.) Fu visto, insomma, partire e poi piú nulla… Sai tu qualche cosa di piú preciso?

CARLA                     (giungendo le mani con gioia). Allora è in salvo!

MARCO                    (alzando le spalle). Se ciò ti fa piacere! Buon giorno! (Via.)

CARLO                     (a Carla). Adesso spero di vederti piú tranquilla. Come vedi io sopporto molto bene le mie disgrazie. Fa tu lo stesso. (Avviandosi.) Di' a Fortunata che a mezzodí sarò a casa. (Ad Elena.) Buon giorno, signora! (Via.)

ELENA                      (a Carla). Oh, finalmente! Carla! Dov'è Ignazio? A me lo puoi confidare…

CARLA.                    A quest'ora in Svizzera. A meno che non gli sia toccato una disgrazia.

ELENA.                     Davvero? E non ne sai di piú?

CARLA.                    No, assolutamente. Null'altro.

ELENA                      (disperandosi). Povera me! Come fare, allora?

CARLA                     (allarmata). Che c'entri tu?

ELENA.                     Non per lui, non per lui! Ha con sé tutte le mie gioie, oro e pietre preziose per ventimila franchi…

CARLA.                    Di questo né Ignazio né tu mi diceste mai una parola!

ELENA.                     Da quando ti sei sposata per i miei gioielli mi servivo da lui…

CARLA.                    Ma tutte le tue gioie?

ELENA                      (disperata). Oh, sí, tutte. Non mi rimangono che questi orecchini che non gli diedi, perché volevo tenerli addosso. Come farò? Come farò, mio Dio? Cosa dirò a mio marito?

CARLA                     (calma con sforzo). Ma perché gliele desti?

ELENA.                     Non ti dissi ch'era il mio gioielliere?

CARLA.                    Ma tutte. Tutte?

ELENA.                     Ma sí. Alcune volevo far rilegare, altre soltanto pulire, ad altre infine occorrevano delle riparazioni.

CARLA.                    Tu dirai a tuo marito la verità, ecco tutto. Cosa c'è da disperarsi?

ELENA.                     Ma mio marito non sapeva che io le aveva date ad Ignazio.

 

SCENA QUARTA

FORTUNATA, DETTI, poi CATINA

 

FORTUNATA. La signora Elena! Ieri sera…

ELENA.                     Lo so signora. Fu un malinteso. Mio marito mi aveva compreso male.

FORTUNATA. Cosí? Me l'ero immaginato.

ELENA.                     Le distrazioni di Emilio producono spesso tali malintesi. Adesso l'ho reso avvertito che mi trovo qui, ma chissà che lui non mandi a cercarmi? È meglio che scenda un istante; poi ritornerò a fare un po' di compagnia a Carla. Addio, Carla! (La bacia.) Buon giorno. (Via.)

FORTUNATA. Ha l'aria di una fuga. Ieri a sera la signora scomparve tutto ad un tratto senza lasciare notizie di sé, neppure al marito. Poco prima s'era fatto prestare da me un cofanetto che può servire anche per viaggio. Chissà quale mistero si cela qui sotto! qualche appuntamento andato a male! Dev'essere stato proprio un malinteso; ce lo ha detto ella stessa. Intanto ecco una cosa che in te mi dispiaceva… quest'amica che ci fece tanto del male… Intanto, facendoti fare quel brutto matrimonio.

CATINA                   (in orecchio a Carla). In quello stanzino c'è qualcuno che l'attende.

CARLA.                    Chi mi attende?

CATINA                   (strizzando l'occhio verso Fortunata). St! Suo marito.

CARLA                     (minaccia di cadere). Mio marito… qui?

FORTUNATA. Tuo marito?

CARLA.                    Ignazio, qui? Ma dunque non è salvo? Ignazio! Ignazio! (Apre la porta, si vede Ignazio nel mezzo del camerino che beve da una tazza.) Tu, qui! tu qui! Quale imprudenza! Se ti prendono! Perché non sei fuggito? Qui ti cercano, sai! Oh, se ti trovano! Io ne morrei!

IGNAZIO.                 Calma, calma, mio tesoruccio! Non sono preso ancora! (Nel sortire vede Fortunata.) Ma Carla, tu mi tradisci… Io non voleva esser veduto!

FORTUNATA          (ironicamente). E questo desiderio era molto fondato.

IGNAZIO.                 Sfido io! Mi si cerca e tanto minor numero di occhi che mi vedono, tanto minore è il pericolo di venir preso! Non mica ch'io diffidi di lei, signora cognata, ma una parola imprudente è detta presto!

FORTUNATA. Potrebbe deporre quella tazza! (Additando la tazza che Ignazio tiene in mano.)

IGNAZIO.                 È vero! (La vuota e la depone sul tavolo.) Scusi, se bevevo il suo latte senza chiedergliene il permesso. Ma avevo molta fame. Sono piú di dodici ore che non mangio con calma!

CARLA.                    Ma perché, perché non sei fuggito?

IGNAZIO.                 Io voleva fuggire, ma… non mi si lasciò. Alla stazione mi accorsi d'essere sorvegliato, e già sul punto di partire trovai piú prudente rimanere.

FORTUNATA. Cosí, lei, dopo fatti tutti i preparativi, ha dovuto abbandonare tutto?

IGNAZIO                  (con dispiacere). Tutto, sí, tutto.

FORTUNATA          (con intenzione). Tutto? Tutto?

IGNAZIO                  (sorpreso). Se glielo dico. Tutto, si, tutto.

FORTUNATA. E la signora Elena?

CARLA.                    Che dici?

IGNAZIO.                 La signora Elena non è in casa sua?

FORTUNATA. Sí, ci è ritornata poco fa. Quasi contemporaneamente a voi. Son cose che non mi concernono. Sentite! Se volete rimanere nascosto qui, rimanete pure. Naturalmente quando Carlo verrà a casa, io lo avvertirò che ci siete. Del resto non abbiate timore; egli non è uomo che si vendichi, che vi accusi. (Via.)

IGNAZIO                  (irritato). Vedi, tuttociò è molto noioso. Avrei preferito di non aver piú a parlare con Carlo.

CARLA                     (turbata). Che cosa diceva Fortunata di Elena?

IGNAZIO                  (ridendo). Che ne so io? Pare che anche la signora Elena abbia tentato contemporaneamente a me una specie di fuga e col medesimo esito. Ma noi adesso tenteremo la fuga insieme, sai, mio tesoruccio; e se ci riesce, potremo essere ancora felici in lidi piú ospitali. Vedi questa piccola saccoccia? Contiene la somma di trentamila franchi. È quanto ci basta pei nostri gusti modesti.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.51

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