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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Il ladro in casa

ITALO SVEVO

Scene della vita borghese

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ATTO TERZO

SCENA SESTA

EMILIO e DETTI

 

EMILIO                     (con un libro in mano). Buon giorno…

CARLO                     (seccato). Buon giorno. Scommetto di indovinare cosa la conduce! Lei mi porta la sua opera nuova!

EMILIO.                    Bravo! (Allegramente, porgendo il libro.) Eccolo. Ne faccia l'uso che crede.

CARLO                     (aprendo il volume e pesandolo). È straordinariamente grosso. Le mie congratulazioni! (Leggendo.) "All'amico Carlo Almiti. L'autore." Mille grazie.

EMILIO.                    Non c'è di che.

CARLO                     (leggendo). "Angelo Poliziano ed il Rinascimento". Naturalmente un giudizio non glielo potrò dare, poiché non me ne intendo molto di belle lettere, ma lo leggerò attentamente e poi lo serberò per Ottavio. Ci vorrà del tempo, ma spero sarà un lettore degno dell'autore.

EMILIO.                    Grazie. Senta, non sono venuto soltanto per il libro (imbarazzandosi) cioè, sarei… venuto anche per quello, ma ho da parlarle anche di altre cose. Quindici giorni or sono, o giú di lí, è venuto da me suo cognato, Lonelli, e mi pregò di prestargli fino a circa due ore dopo, cinquemila franchi. Promise di portarmeli egli stesso. Io non l'ho piú visto.

CARLO.                    E le deve ancor sempre quella somma?

EMILIO.                    Si capisce. Se parlassi con lui glieli chiederci senza riguardo, ma è strano! Da quel giorno non lo vedo piú. Forse anche perché il mio libro è già stampato da quindici giorni. (Carlo fa un gesto interrogativo.) Sí, suo cognato s'interessava molto alla stampa del lavoro e veniva ogni due o tre giorni a veder come procedesse.

CARLO.                    Non comprendo come Ignazio possa aver avuto bisogno di cinquemila franchi. Ad ogni modo glielo chiederò. Dev'essere una delle sue solite dimenticanze.

EMILIO.                    Non ne dubito. Non ne ho mai dubitato.

 

SCENA SETTIMA

MARCO LONELLI e DETTI

 

MARCO.                   Buon dí.

FORTUNATA. Buon giorno.

CARLO.                    Signor Lonelli!

MARCO.                   Non c'è qui mio nipote?

CARLO.                    No, c'era però un quarto d'ora fa.

MARCO.                   Meno male.

CARLO.                    Perché meno male?

MARCO                    (ridendo). Ah, niente, niente… per una mia idea particolare. Ma non sapeva ch'era in procinto di cambiare di abitazione.

CARLO.                    Ignazio cambia di casa? Chi l'ha detto?

MARCO.                   Nessuno. Nella loro casa abita altra gente. Si capisce che loro non vi stanno piú.

FORTUNATA. Impossibile! Ce ne avrebbero pur detto qualche cosa!…

MARCO.                   Allora sono fuggiti. Loro non sanno davvero dove abitino ora?

CARLO.                    Se non sapevamo neppure che volesse cambiar casa…

MARCO.                   Ah, il brigante! Me l'ha fatta o me la vuol fare!

CARLO.                    Che cosa intende?

MARCO.                   Mi risponda prima lei! Ho scontato ieri ad Ignazio un suo "Pagherò". Eccolo. È suo? (Gli mostra una cambiale.)

CARLO.                    Ma sí; è la mia firma. (Guarda con piú attenzione.) Ma questa cambiale è falsa!

MARCO                    (correndo verso l'uscita). Allora so cosa mi rimane a fare!…

CARLO                     (trattenendolo). Un momento, signor Lonelli! Se questa cambiale fu falsificata da Ignazio, con l'intenzione di danneggiare lei, suo zio…

FORTUNATA          (interrompendolo).… A te deve sempre ancora ventimila franchi?

CARLO                     (agitatissimo). Che c'entra questo? Egli mi deve questo ed anche di piú. Ma pagherà, pagherà di certo!

MARCO.                   Ma possibile che non abbiate ancora compreso di che si tratta?

CARLO                     (risoluto). No, non l'ho compreso, e sono anzi certo che voi v'ingannate! Vi dico che non può essere…

EMILIO                     (scoraggiato). Ma non sarebbe neanche impossibile.

MARCO.                   Ho capito che voi ci perdete piú di me e toccherebbe a voi sporgere denunzia. Se volete farlo, vi do la cambiale con la firma falsificata.

CARLO.                    No. Non ancora! Da qui ad un'ora Ignazio sarà qui.

MARCO.                   Un'ora? Volete attendere un'ora? Datemi la cambiale. (La prende e la intasca.) Attendetelo con calma. Vi garantisco che ve lo conduco. (Via.)

EMILIO.                    Capisco che i miei cinquemila franchi se ne sono iti. Voi perdete molto di piú.

CARLO                     (cade seduto piangendo e nascondendosi la faccia). Oh, s'è vero, povera la mia famiglia!

FORTUNATA          (vicina a lui). Senz'avvisarmene avevi dato dell'altro denaro ad Ignazio.

CARLO                     (prendendole la mano e tenendosi ancora la faccia coperta). Sí, Fortunata, perdonami! Ho fatto male. Ho fatto male, perché nel mio stato attuale non avevo diritto di affidare tanto ad un sol uomo. Ma egli mi diceva sempre che per salvare i primi danari datigli, gliene occorrevano degli altri, e mi sono lasciato abbindolare.

FORTUNATA. E quanto in tutto?

EMILIO                     (imbarazzato è andato verso la porta). Dato che lei non crede ancora che il signor Ignazio sia fuggito, c'è sempre tempo a disperarsi. Per i miei cinquemila franchi io non farò alcun passo. Attenderò ciò che lei vorrà comunicarmi in proposito. Coraggio! Si ricordi, ad ogni modo che lei ha dei buoni amici!

CARLO.                    Mille grazie, signor Emilio! (Emilio via.)

FORTUNATA. Tu non esci? Non vai ad accertarti del fatto? Eventualmente a provvedere.

CARLO.                    Sí, andrò subito, ma non farti vane lusinghe, povera moglie mia! Provvedere? e a che? Se il marito di mia sorella è fuggito, vuol dire che non poteva provvedere ai suoi impegni, neppure a quelli contratti con me. Ma forse non è fuggito. Chissà!!

 

SCENA OTTAVA

CARLA e DETTI

CARLO.                    Carla! E tuo marito? (Veemente.)

CARLA                     (vestita a nero, pallida addolorata è rimasta in fondo della scena). Mio marito?

CARLO.                    Non è dunque fuggito? È sempre con te?

CARLA                     (piangendo cade seduta sulla sedia presso la porta di fondo). Dio mio!

CARLO                     (si copre il volto con le mani). Dunque era vero! Era vero! Oh, l'infame!

CARLA                     (sempre singhiozzando). No, Carlo! È stata la forza delle circostanze che lo ha spinto! Egli poveretto lottava, faceva di tutto per sortirne con onore, ma alla fine è stato vinto.

CARLO.                    Ma perché nei suoi sforzi per salvarsi ha rovinato me? Oh, il traditore! (Furibondo.) Tu sai, Fortunata, se io sia stato leggero, se abbia mai confidato alla cieca in altri! Quelle furono lotte! Tutta la mia vita ci misi! Tutte le mie forze, tutta la mia intelligenza! Ero attivo fino alla esagerazione ed economo. E costringevo anche te ad essere tale. Tanta perfidia, tanta dissimulazione mi vinsero che non mi vergogno di essermi confidato come un bambino! Io credeva di conoscere il mondo, gli uomini e adesso che sono stato ingannato lo credo ancora! Perché… chi poteva attendersi di scoprire un ladro in un congiunto?

CARLA.                    Oh, Carlo!

CARLO.                    Benedette le lagrime che t'impediscono di parlare per difenderlo! Io ti perdono. Sono stato ingannato io, sei stata ingannata anche tu sua moglie. Tu, probabilmente non sai nulla, o almeno non sai tutto.

CARLA.                    Oh, egli mi raccontava tutto!

CARLO.                    No, ti dico. Non può essere! Non piangeresti o almeno non piangeresti che per me. Ti ricordi che davanti a te, un anno fa, mi chiese di partecipare ad un suo affare prestandogli diecimila lire? Già allora egli sapeva che non sarebbe stato in condizione di restituirmeli.

CARLA                     (debolmente). No!

CARLO.                    Ti dico di sí Carla, ti dico di sí. Tu non sapevi nulla, ma io ben presto mi accorsi, no, non mi accorsi, sentii, ch'era cosí. Era un istinto, ma io lo soffocai per vari motivi, di cui non ti dirò che uno: era tuo marito. Tutto ad un tratto, all'epoca precisa in cui doveva pagarmi una parte del debito, mi chiese invece altri denari. Mi mostrò delle merci preziose che pel momento gli era difficile di realizzare, dei libri di un valore considerevole. Se quei libri fossero stati veridici, se quelle merci fossero state sue, a quest'ora il suo stato non avrebbe potuto mutarsi talmente da un istante all'altro.

CARLA.                    Perdette poi tutto in fallimenti…

CARLO.                    Non è vero! Giuocava a carte e può aver perduto al circolo i denari rubatimi; ma mi meraviglierebbe, perché non gli sarà stato facile trovare un uomo piú ladro di lui.

CARLA.                    Io non posso rettificare queste orribili accuse, ma t'inganni. Non è giusto attaccare in tal modo un assente. Io non mi lagno per me, ma vorrei essere morta piuttosto che essere qui in questo stato. (Piange.)

CARLO                     (la guarda un istante intenerito). Siamo due disgraziati, è vero!

FORTUNATA          (abbracciando Carla). Povera donna!

CARLO.                    Io non intendevo farti del male. Chissà! Forse anche questa volta riuscirò a cavarmela col lavoro, con l'aiuto di amici che conoscono la mia onestà. Ma il colpo è stato forte, molto forte! Perché continuai a dargli denari; si trattava di salvare una grossa somma con sacrifici, relativamente piccoli, ed io lo feci. (Rialzandosi con energia.) Insomma, meglio l'agonia che la morte. Sono piú avanti con gli anni, ma non mi trovo in uno stato peggiore di quello in cui mi trovavo sei anni or sono (con leggero rimprovero) allorché tu ti sposasti. Ricordi? Io ti scongiurava di non sposarti o almeno di aspettare.

CARLA.                    Io non potevo.

CARLO.                    O meglio non volevi. Anche adesso hai avuto dei torti. Tu sapevi che il colpo si preparava e hai taciuto.

CARLA                     (esitante). Non sapevo.

CARLO.                    Non mentire, Carla!

CARLA                     (ad un tratto agitata). Chi ti dice ch'io menta?

CARLO.                    Se lo sappiamo che da parecchi giorni avete abbandonato la vostra casa. Non so dove avete passato tutto questo tempo, ma dal vostro contegno, dal tuo contegno è facile comprendere che non volevi si sappia questo cambiamento.

CARLA.                    Ebbene, è vero. Io sapevo che Ignazio doveva fuggire e non dissi nulla. Dovevo tradire mio marito?

FORTUNATA          (si allontana da lei). Tradire tuo fratello?

CARLA.                    E che cosa avrebbe servito a Carlo sapere di questa fuga? Avrebbe danneggiato Ignazio senza alcun suo utile.

CARLO.                    E tu, disgraziata, che cosa speri, ora, da tuo marito?

CARLA.                    Che cosa io spero da lui? Intanto che egli giunga in salvo. Poi mi ama, mi ama sempre come il primo giorno del nostro matrimonio. Appena potrà mi chiamerà presso di sé.

CARLO.                    E tu andrai? Ti affiderai di nuovo a quell'individuo?

CARLA.                    Ma con gioia! S'è l'unica felicità che mi rimanga vivergli accanto!

CARLO.                    Tu sei perduta per noi, capisco. È anche naturale. (Riscaldandosi.) Ma però al vederti cosí tranquilla, cosí indifferente alla mia disgrazia, preoccupata soltanto di te, della tua sorte, provo un intimo senso di disgusto.

CARLA.                    Di me chi ci pensa?

CARLO.                    È vero, ho sbagliato, di lui ch'è causa di tutto. Eppure io ti amai, ti protessi, ti feci da padre per molti e molti anni. Non ho mai chiesto un compenso, ma non mi aspettavo di venir pagato con tanta tanta ingratitudine.

CARLA.                    Non saprei in qual modo avrei da dimostrarti la mia gratitudine in queste circostanze. La gratitudine possono dimostrarla le persone felici, io non lo potrei mai! Capisco che la mia vista deve riescirti incresciosa. Io non ne ho colpa. Non voglio fartela perciò sopportare piú a lungo. Addio. (Si avvia risolutamente verso l'uscita.)

FORTUNATA. Eh, via, Carla!

CARLA.                    No, mi lasci, mi lasci! Io me ne vado.

FORTUNATA. E dove?

CARLA.                    Via di qua, intanto.

CARLO.                    Non sono io che ti scaccio! Sei tu che fai di tutto per accrescere il mio dolore con scenate! Insomma, finiamola! Tu rimani qui. Manderemo Maria a invigilare la tua casa.

CARLA.                    Non ho casa. In quest'ultime settimane abbiamo vissuto all'albergo.

 

SCENA NONA

MARIA e DETTI

 

MARIA.                    Il signor Emilio manda a veder se la signora Elena è qui.

FORTUNATA. No, sarà probabilmente da sua madre.

MARIA.                    La madre della signora Elena mandò a dire che non la vede da questa mane.

FORTUNATA. Ma qui non c'è.

MARIA.                    Perdonino il disturbo. Buona sera!

 

CALA LA TELA

 

 

 

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.33

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